Pubblichiamo un’anticipazione dal prossimo numero di Malamente (#11) in uscita a giugno
Di Jomo Gbomo
Sapevi che la raffineria di Falconara è una delle più moderne e avanzate tecnologicamente in Italia certificata per la tutela ambientale, per la sicurezza e qualità?
Sapevi che le emissioni della raffineria di Falconara sono fra le migliori del panorama nazionale e internazionale di settore?
Sapevi cha la qualità dell’aria di Falconara è migliore di molte aree di Ancona e Jesi e in ogni caso in linea con tutte le altre realtà marchigiane?
Sapevi che gli impianti di bonifica del sito di Falconara sono un esempio di efficienza ed efficacia?
http: // blograffineria. gruppoapi. com
L’11 aprile, alla raffineria API di Falconara, un incidente al serbatoio di stoccaggio del greggio TK61 ha causato rilascio di benzene e altre sostanze tossiche in quantità imprecisate. Per un’intera settimana l’aria irrespirabile ha avvolto la città e l’intero circondario, fino a Senigallia, Jesi e Ancona. L’azienda ha classificato la situazione come “incidente minore”, risolvibile con un piano di emergenza interno ed è prontamente corsa ai ripari, monitorando la cisterna giorno e notte e utilizzando uno schiumogeno assolutamente “biodegradabile e atossico”. Le autorità locali non hanno ritenuto opportuno prendere provvedimenti per far esporre il meno possibile gli abitanti alle esalazioni, come la chiusura delle scuole e l’invito a evitare attività sportive all’aperto: una decisione che dicono di aver assunto a ragion veduta e non per minimizzare incautamente la gravità della situazione, come qualche malalingua ha voluto insinuare.
Il 28 aprile, un corteo di mille o forse duemila persone, indetto dai comitati ambientalisti, ha attraversato le strade di Falconara, tenendosi giustamente a debita distanza dalla sede della raffineria per ribadire il messaggio che “Noi non siamo contro l’API”. Lo striscione di apertura lanciava un SOS con le parole d’ordine “Salute Occupazione Sicurezza”, a sottolineare la necessaria conciliazione di diritto alla salute e diritto al lavoro, cioè “il lupo sazio e l’agnello intero”, come dicono i polacchi. I giornali locali hanno incensato la manifestazione per la sua compostezza e sobrietà e per aver saputo far prevalere sopra ogni indignazione il senso di responsabilità, affinché avvelenati e avvelenatori possano continuare a convivere pacificamente.

Sentiamo l’esigenza di rassicurare tutti coloro che hanno vissuto una settimana di ansia e che ancora adesso vivono nella preoccupazione e vogliamo mettere in guardia contro gli inutili e interessati allarmismi, amplificati a dismisura sui social network. Spesso si tratta, probabilmente, di fake news belle e buone, come quelle che ruotano attorno alla quantità di particelle di benzene rilevate nell’aria. C’è chi giura che le centraline di rilevazione dell’Arpam abbiano registrato cifre inverosimili, sparando numeri da giocare al lotto: picchi di 102,2 microgrammi per metro cubo, medie giornaliere di 37,5. Le rilevazioni sono consultabili da chiunque sul sito dell’Agenzia, ma invitiamo a leggerle con le dovute precauzioni, tenendo conto dei margini di errore e soprattutto del fatto che siano state immediatamente smentite dall’azienda: “nessun limite di emissioni potenzialmente dannose per l’ambiente è stato superato”.
Possiamo infatti sentirci più che tutelati dalla “soglia limite” per l’esposizione al benzene, fissata per legge da chi di queste cose se ne intende e ci dice che una concentrazione media di 5 microgrammi per metro cubo al giorno, facendo il calcolo sulla media di tutto l’anno, non ha mai fatto male a nessuno. Così, se per qualche giorno le ciminiere dovessero malauguratamente superare la soglia, hanno tutto il tempo di aspettare qualche folata di vento ben piazzata che andrà ad aggiustare la media annuale. Anzi, siamo portati a credere che le istituzioni preposte, che sappiamo essere dalla parte dei cittadini contro i poteri forti, per tutelare senza sconti la nostra salute abbiano fissato una soglia largamente inferiore al livello di reale nocività, quindi, davvero, non c’è niente di cui preoccuparsi. E poi, avete pensato che i dirigenti della raffineria, così ingiustamente vituperati in queste settimane, lavorano e vivono anch’essi, ogni giorno, a Falconara e dintorni? Se ci fosse reale pericolo per la salute loro e delle loro famiglie sarebbero i primi a far chiudere la baracca.

Ci preme ricordare anche altre cose, ad esempio che è solo grazie alla generosità di API e al suo sostegno concreto al mondo dell’infanzia se il reparto di neonatologia dell’ospedale pediatrico Salesi di Ancona ha oggi un ecografo di nuova generazione. Inoltre, quasi non vorremmo dirlo per non rovinare la sorpresa, pare che l’azienda stia pensando di darci, se ce ne fosse ancora bisogno, una ulteriore prova della sua vicinanza ai bimbi del nostro territorio con l’acquisto di uno stimolatore muscolare per il reparto di chirurgia pediatrica. Ammesso e non concesso che da queste parti l’incidenza di linfomi, leucemie e tumori sia superiore alla media, soprattutto per quanto riguarda le fasce più deboli, non si può negare che API abbia fatto e continui a fare tutto il possibile, senza curarsi dell’ingratitudine di molti, per prevenire e mitigare il danno di cui è essa stessa la prima causa.
Non parliamo solo di bambini. Anche adolescenti e ragazzi sono da sempre in primo piano nelle politiche aziendali di responsabilità verso il territorio. È vero che sulle pagine di Malamente abbiamo spesso criticato la cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”, tuttavia ciò non ci impedisce di saper distinguere caso da caso e di valorizzare quelle eccezioni che confermano la regola. Dobbiamo riconoscere che API ha investito molto per rafforzare il rapporto tra scuola, università e mondo del lavoro, costruendo percorsi didattici in azienda che permetteranno a un congruo numero di fortunati studenti e studentesse di mettersi alla prova e scoprire i propri talenti e le proprie aspirazioni. Un conto è mandare i ragazzi a fare i lavapiatti negli alberghi della costa, tutt’altra cosa l’opportunità di crescita che offre loro il mondo del petrolio falconarese. D’altra parte l’arricchimento è reciproco: ci vogliono carni fresche per mantenere a regime e giustificare l’esistenza di un settore che produce nocività su nocività ma grazie al quale possiamo godere spensieratamente dei nostri modelli di vita e livelli di consumo.
Non dimentichiamo, infine, l’intervento nella cultura, nella musica, nell’arte, nello sport, la sponsorizzazione di manifestazioni cittadine, festival, concorsi, eventi e sagre paesane, insomma la lunga mano di API che distribuisce oboli a destra e sinistra, segno evidente di quanto abbia a cuore il benessere della comunità locale. Vogliamo in particolare ringraziare tre signori che non si risparmiano da questo punto di vista, a partire dal giornalista Roy Gianni, incaricato delle relazioni esterne e della comunicazione della raffineria, ovvero impegnato nell’arduo compito di aumentare la “confidenza” verso il sito di Falconara da parte della popolazione residente. Vi è poi Antonio Cavacchioli, responsabile delle risorse umane e dell’organizzazione, a cui spetta anche l’incarico di gestire una sana collaborazione con la controparte sindacale; ultimo, ma non per importanza, Giovanni Bartolini, responsabile in API di salute, sicurezza, ambiente, qualità, sempre pronto a bloccare la produzione alla minima puzza fuori posto.

Certo, nessuno è perfetto e qualche piccolo incidente di percorso può capire a tutti, anche ai più attenti e coscienziosi. Proprio per minimizzare l’errore umano, disgraziatamente sempre dietro l’angolo, lo scorso anno (2017) è stato varato il “Progetto Sicurometro”, una sorta di patente a punti utilizzata per istruire, in maniera gioiosa, tutti i dipendenti al rispetto delle regole di sicurezza in raffineria. Chi non adotta le adeguate procedure si vede decurtati un certo numero di punti e da quel momento, come sanno tutti i bambini che hanno toccato una e una sola volta il forno acceso, ci penserà due volte prima di commettere lo stesso errore. Insomma, il motto è: imparare divertendosi.
L’azienda, inoltre, tiene a rassicurarci di essere in grado di mettere in campo le migliori tecnologie disponibili per riparare ai danni di altre tecnologie. Tutto ciò contribuisce ai nostri sonni tranquilli. D’altra parte è molto più facile finire al pronto soccorso per una banale disavventura domestica (uno scalino salito male, un coltello che sfugge di mano etc.) che per una leggera nausea o un appena avvertibile bruciore di gola causati da esalazioni di benzene o di altre sostanze ritenute tossiche. In fin dei conti anche l’acrilammide è cancerogeno: lo troviamo nelle patate fritte, nel pane tostato, nel caffè ma nessuno di noi si sognerebbe di mettere alla gogna il bar della piazza.
Eppure abbiamo ascoltato assurde proposte di riconversione industriale, provenienti da certi ambientalisti che forse pensano di vivere su un altro pianeta. Vorremmo proprio vederli il giorno in cui la loro auto rimarrà a secco e le pompe di benzina saranno vuote, se avranno ancora voglia di fantasticare! Tubi, cisterne e impianti della raffineria sono stati progettati per uno scopo ben preciso, i lavoratori hanno acquisito negli anni competenze nel campo del greggio e dei suoi derivati che il mondo ci invidia: com’è possibile pensare di rinunciare a tutto questo? Se di benzina abbiamo bisogno, come indiscutibile bene primario per la sopravvivenza dell’economia mercantile e industriale, da qualche parte una raffineria dovrà pur sorgere. E il nostro territorio non può certo arrogarsi il diritto di tirarsi indietro in nome del mare, delle colline e della dolce vita marchigiana.