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Della montagna e di altre sciocchezze (#10)

Della montagna e di altre sciocchezze
Di Cristiano Ceccucci

Castello di Frontone e Monti Catria e Acuto

Castello di Frontone e Monti Catria e Acuto. Foto di Cristiano Ceccucci

 

Inizio

Il primo ricordo che ho della montagna risale a oltre trent’anni fa. Con mio padre eravamo saliti dalla “strada delle Scalette” fin quasi a ridosso dei prati del Catria [montagna dell’Appennino umbro-marchigiano, ndr.] sovrastati dall’imponente croce di ferro. Avevamo percorso una delle tante carrozzabili che negli anni Sessanta e Settanta furono aperte in quello che fu uno sconsiderato assalto alla montagna nel nome del “progresso” e che oggi rimangono come vecchie cicatrici che il tempo e la natura faticano a rimarginare.
Fummo sorpresi dalla nebbia che arrivò rapida e silenziosa e avvolse tutto, isolandoci dal mondo. Per me, bimbo di dieci anni, fu quasi un gioco il fatto di ritrovarci avvolti in quella bambagia, ma mio padre si preoccupò e non poco. “La nebbia ammanta tutto di bianco e nasconde, all’occhio di chi guarda, il giallo e il bruno delle colline in lontananza, giù verso la costa. L’immaginazione e il pensiero sono liberi di vagare, in modo di attraversarla e scorgere al di là il sole”.
Fummo “salvati”, in fondo si trattò di un’avventura, dal seguire il suono delle campane al collo delle mucche che pascolavano più a valle, nei pressi della gloriosa 500.
Dopo quell’esperienza ho ricordi di notti passate in tenda, nella faggeta di Valpiana, assieme a mio padre, ai miei fratelli e sorelle attorno a un fuoco, in attesa che l’acqua nella pentola bollisse per un piatto di spaghetti che assomigliavano più a una “colla” che a un piatto di pasta.
Passano gli anni… Nel frattempo mio padre se n’è andato e la passione per le camminate, la montagna e gli spazi aperti che ci ha instillato si è radicata ed è cresciuta. Un’altra passione che aveva, quella della caccia, non è riuscita per fortuna a mettere radici… Non ho mai capito come una persona che ama la natura, e mio padre l’amava davvero, possa esercitare un’attività come la caccia. Ma questa è un’altra storia…

Faggi e antiche pietre

Faggi e antiche pietre. Foto di Cristiano Ceccucci

La percezione del tempo

Avete mai provato a pensare al tempo?
No, non al tempo meteorologico, ma a quello inventato dagli esseri umani per regolare e ordinare le loro occupazioni e attività.
Ecco, quassù in montagna, il tempo come lo intendiamo noi non esiste.
Quassù i problemi e i pensieri legati al materiale quotidiano non arrivano, tutto segue un altro ritmo cadenzato dai suoni, dai colori, dal vento e dal susseguirsi delle stagioni.
Ci troviamo in un altro spazio-tempo, uno spazio-tempo per così dire verticale, che richiede un’altra visione e altri modi di pensare.
L’esplorazione della montagna, con i suoi valichi, i suoi passi i sentieri i boschi e le pareti rocciose, è esplorazione di noi stessi, dei sentieri e dei nostri valichi e forre interiori.
Le montagne sono il nostro desiderio di Altrove, la ricerca della bellezza come cura e nutrimento dell’anima.
La concentrazione nel camminare, passo dopo passo, la fatica e il sudore, hanno una funzione rigenerante per il corpo e soprattutto per la mente.
Otto ore di camminata, di fatica e sudore, non sono la stessa fatica e sudore paragonabili a ore di lavoro “in pianura”, legate alle nostre materiali e terrene attività.
Sono fatica e sudore che portano a scoprire angoli di paesaggio che a volte neanche immaginiamo possano esistere in questo mondo totalmente asservito allo sfruttamento e al profitto.
Eppure certi scorci e certi panorami esistono ancora e basta poco e un minimo di curiosità per arrivare a goderne.
Una prateria d’alta quota, una forra, un bosco o la cima di una montagna.
Quando guardiamo un monte, anche quello che ci sembra di conoscere meglio, in realtà non osserviamo mai lo stesso monte.
Basta una luce diversa, il vento o una stagione differente; potremmo vivere diverse vite, ma la montagna che ci si presenterà davanti sarà sempre mutevole e sfuggente, seppur concreta e apparentemente immobile.
E si risveglierà di nuovo, mutevole e brulicante di vita, al tepore di una nuova stagione.

Fonte Cupaie, monte Catria.

Fonte Cupaie, monte Catria. Foto di Cristiano Ceccucci

I primi a sfruttare i boschi e le foreste a livello “industriale” furono i romani sia per le costruzioni civili e militari, che per usi agricoli.
Eppure anche i romani, i più moderni tra gli antichi, avevano per gli alberi e i boschi un certo rispetto e timore.
Si, timore, perché la “Selva” rappresentava un luogo ostile, sede di imboscate improvvise e violente, che scompaginavano l’assetto ordinato delle legioni e impedivano ai soldati di combattere, come erano soliti fare, in maniera ordinata.
Alcune selve erano considerate sacre in quanto collegate a località divine di per sé, come sepolcri, templi, sorgenti.
Questi luoghi prendevano il nome di Lucus (Luchi) e erano abitati da divinità, il Genius loci, che rappresentava l’entità soprannaturale che viveva in quel posto. Luco dei Marsi, per esempio, tradisce nel suo nome la presenza di un’antica e sacra presenza.
Dopo duemila anni di cosiddette “civilizzazione” e “modernità” non siamo stati capaci neanche di mantenere un po’ di sacralità per gli alberi e i boschi ma, anzi, abbiamo fatto di tutto per svilire e distruggere tali ambienti.
Nel secondo dopoguerra la superficie boschiva dell’Italia era attorno al 18% del territorio, oggi siamo al 35-36%, il doppio.
C’è stata una grande ripresa dovuta principalmente all’abbandono della montagna e all’inurbamento delle popolazioni, ma la maggior parte di questi boschi sono boschi “poveri” cioè cedui, legati a tagli pesantissimi che difficilmente riusciranno a raggiungere lo stato di boschi maturi ad alto fusto.
Per quanto riguarda le Aree protette e i Parchi Nazionali molto è stato fatto per garantire la salvaguardia degli ecosistemi naturali che hanno favorito la creazione di oasi e “corridoi ecologici” necessari alla fauna selvatica per spostarsi e riprodursi.
Ma la maggior parte di tali aree sono “protette” solo sulla carta in quanto attività venatoria e bracconaggio, il cui confine a volte è nebuloso, abusivismo edilizio, tagli indiscriminati, uso di mezzi motorizzati e altre attività umane, appunto sulla carta proibite, vi si svolgono comunque.
In un paese come il nostro nel quale tutto quello che va sotto il nome di cultura è visto con sospetto, se non con paura, da una classe politica sempre più avulsa dalla realtà e autoreferenziale, la natura e l’ambiente, che per me rientrano a pieno titolo nel concetto di beni culturali, sono beni non essenziali, che possono essere anche trascurati.

Castellaccio, resti di fortilizio medievale nei pressi di Fonte Avellana.

Castellaccio, resti di fortilizio medievale nei pressi di Fonte Avellana. Foto di Cristiano Ceccucci

La Memoria e la Montagna

La montagna per me è anche il luogo della Memoria.
Della Memoria e della Resistenza. Della Resistenza legata al passato e della mia Resistenza attuale.
I partigiani salirono in montagna per sfuggire ai rastrellamenti e per lasciare le città dominate da tedeschi e fascisti. Oggi si sale in montagna per ricordare e ancora una volta per resistere.
Resistere ai ritmi imposti dalla società attuale che tutto ha omologato e che ci vuole non più come cittadini con dei diritti e dei doveri, ma come consumatori solamente e che si ricorda di noi solo in occasione di quella sorta di farsa che sono diventate le elezioni!
Questa società che ci obbliga a dover produrre e consumare tutto e sempre di più per diventare schiavi di una sola cosa, il mercato e le multinazionali.
Resistenza, quindi, e Memoria. La montagna ha Memoria.
Molta gente invece ha rimosso i fatti del passato e sottovaluta i rischi del presente perché scomodi e ingombranti e perché di ostacolo al raggiungimento dei loro fini e delle loro misere esistenze.

Cascina in fazione Pretare, Monti Sibillini

Cascina in fazione Pretare, Monti Sibillini. Foto di Cristiano Ceccucci

 

Escursionismo come ecologia della mente e del corpo

Per avvicinarsi alla montagna non c’è bisogno di essere degli atleti o voler svolgere una pratica estrema, basta essere consapevoli dei propri limiti e capacità e osservare poche ma precise norme di comportamento. Il modo migliore per andare in montagna penso sia quello del trekking e dell’escursionismo.
Si tratta di un metodo lento, a “misura d’uomo”, che permette di cogliere tutti i diversi aspetti dell’ambiente, di osservare i colori e le forme, di cogliere i silenzi e i suoni e di vedere animali.
L’ecologia è la scienza che studia gli esseri viventi, l’ambiente in cui questi vivono e le interazioni che avvengono tra questi e l’ambiente stesso.
L’uomo, in quanto creatura vivente e abitante di questo pianeta, non fa eccezione, interagisce con gli altri esseri viventi e l’ambiente da millenni, modificando e condizionando la vita dei primi e l’assetto e l’equilibrio del secondo, spesso in maniera negativa e fortemente impattante.
La pratica del camminare è vecchia quanto l’uomo.
Basti pensare ai popoli del passato, e anche a molte popolazioni attuali, che fin dalla notte dei tempi si spostavano, e si spostano, alla ricerca di territori idonei prima al loro stile di vita legato alla caccia e alla raccolta, poi alle greggi e alle mandrie e alla ricerca di luoghi con climi più miti, quindi adatti all’agricoltura.
Oggi l’escursionismo, il recupero dei sentieri e delle vecchie mulattiere, può essere visto non solo come attività ricreativa e di approccio e ritorno al territorio, ma come vera e propria operazione di recupero culturale delle tradizioni e della memoria.
Nella nostra regione molti sono i sentieri percorribili durante tutte le stagioni dell’anno, da quelli del massiccio del Catria e del Nerone a quelli del Furlo e delle Cesane, da Frasassi e dall’area del pre-appennino fabrianese, al Montefeltro con i due “Sassi” e il monte Carpegna, al massiccio dell’Alpe della Luna, a cavallo tra le Marche, la Toscana e l’Umbria che funge da spartiacque tra l’alta valle del Tevere e quella del Metauro.
Semplici passeggiate o trekking impegnativi su notevoli distanze e con importanti dislivelli.
Boschi, ruscelli, gole e forre che si alternano a prati e pascoli di alta quota, ambienti diversi che costituiscono quell’unicum che rappresenta l’ecosistema montano della nostra regione e che deve essere tutelato e salvaguardato.
Il silenzio dei luoghi attraversati permette di concentrarsi sull’ambiente che si sta attraversando e di cogliere i suoni e gli scorci più belli, di osservare qualche timido animale che si può incontrare lungo il cammino o di vederne le tracce.
Per chi sa “cogliere” si tratta di una immedesimazione con la natura e con la vita che si muove attorno che ci permette di avere un contatto diretto con l’ambiente “primordiale” dal quale tutti veniamo.
In realtà un ambiente primordiale e puramente naturale è oggi pressoché impossibile da rinvenire nel nostro paese, se non in qualche località che si è salvata dalla rapacità dell’uomo e dal profitto a tutti i costi perché assolutamente impervia e difficilmente raggiungibile e quindi economicamente non conveniente, o perché trasformata in area protetta.

Muretto a secco nella faggeta alle pendici del monte Gorzano, monti della Laga

Muretto a secco nella faggeta alle pendici del monte Gorzano, monti della Laga. Foto di Cristiano Ceccucci

 

Finale

Questo breve excursus all’interno del mondo della montagna, dei miei pensieri e in fondo del mio modo di essere, vuole stimolare un invito alla riflessione.
Senza nessuna pretesa dal punto di vista didattico o del voler insegnare qualcosa a qualcuno e ben consapevole che le mie non sono verità assolute.
Sono semplicemente lo sforzo che cerco di compiere quotidianamente nell’approcciarmi agli argomenti che più mi stanno a cuore e nel cercare di avvicinare più gente possibile (se lo vorrà) a un ambiente, la montagna appunto, e alla natura in senso più ampio, che meritano sicuramente la nostra attenzione e il nostro rispetto.
Vorrei far capire che la natura basta a sé stessa.
E dovrebbe bastare così come è anche a noi.
Che non è un bene di consumo e non è nemmeno un contenitore vuoto da dover riempire a tutti i costi con qualcosa che sia “altro”.
Un’alba e un tramonto sono fenomeni naturali già splendidi ed emozionanti così come sono, senza bisogno d’altro.
Altrimenti si perde il senso profondo delle cose e la gente penserà che un tramonto, un bosco e un sentiero “sono fighi” perché c’è della bella musica rilassante, le candele che accompagnano il cammino ai lati del sentiero e il baracchino delle bibite al termine del percorso.
Come ho detto, il mio vuol essere un invito alla riflessione e ad abbandonare almeno per una volta, quando si sale in montagna, gli orpelli che quotidianamente ci portiamo dietro, ma anche dentro.

Scultura di ghiaccio

Scultura di ghiaccio. Foto di Cristiano Ceccucci

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