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Se Urbino continua a morire, noi continuiamo a lottare (#10)

Se Urbino continua a morire, noi continuiamo a lottare
Di Libera Biblioteca De Carlo

Urbino, Libera Biblioteca De Carlo.
Urbino, Libera Biblioteca De Carlo.

“Urbino è morta perché da quando ci viviamo è cambiata in peggio e noi non siamo riusciti a farci molto. La vita degli studenti è sempre più precaria e la socialità libera è soffocata. […] Urbino è morta e continuerà a morire se continuerà questo andazzo. Ma noi siamo vivi e continuiamo ad essere in contrasto con la direzione che Urbino sta prendendo. Siamo ancora qui a lottare per una città ricca di socialità e di dignità”.

Questo è ciò che scriveva Pimpi più di due anni fa, nell’edizione di gennaio [#2, ndr.] di Malamente, e ci piacerebbe dire che abbiamo fatto la rivoluzione, che la città è piena di spazi e libera dalla repressione, ma purtroppo le cose non stanno così. Urbino, ancora oggi, si porta dietro l’immagine di città-campus, una città pensata a misura di studente, piccola per conformazione, circondata da mura, quasi un museo a cielo aperto, ma anche un luogo dove divertirsi e trovare momenti di svago. L’Urbino composta dai suoi cittadini si affianca all’Urbino degli studenti, a tal punto che le due dimensioni si ibridano e si confondono, sovrapponendosi e mischiandosi in quella che è, appunto, definita come una vera e propria città-campus. Un’immagine che appare accattivante e invitante riuscendo così ad essere convincente per quella parte di studenti che devono decidere dove passare i prossimi anni della loro vita. Peccato che questa sia l’Urbino di quarant’anni fa!

Già Pimpi aveva descritto alcune problematiche della realtà urbinate: la mancanza di spazi liberi all’esterno dell’università, l’ordinanza anti-alcol e le numerose misure repressive nei confronti di chi osa dissentire. Ma se Urbino continua a morire, noi continuiamo a lottare. Anche se il ricambio generazionale e la dimensione universitaria portano questa città a essere un luogo di passaggio per studenti e studentesse, noi siamo qui oggi e continuiamo a batterci per gli stessi ideali. Il Collettivo per l’Autogestione non esiste più, o meglio, si è trasformato in quella che oggi è la Libera Biblioteca De Carlo che, a sua volta, ha adattato le sue pratiche conflittuali sulla base dei nuovi componenti che la animano. Il fulcro delle lotte in questi ultimi due anni è stata proprio la mancanza di spazi e l’opprimente controllo sociale. Non a caso in conseguenza alle politiche portate avanti dal Comune abbiamo sentito l’esigenza, nell’aprile del 2017, di aderire all’Assemblea per il diritto alla città insieme ad altri studenti e cittadini di Urbino. Alle modalità di gestione dell’ordine pubblico, repressive e limitanti, abbiamo quindi risposto creando momenti di dialogo, confronto e socialità, cercando di rendere nuovamente fruibili tutti quegli spazi che una volta potevano essere vissuti appieno dalla comunità.

Lavori di restauro all'aula occupata autogestita C3.
Lavori di restauro all’aula occupata autogestita C3.

In tale clima siamo riusciti a organizzare una mobilitazione che ha raggiunto il suo apice l’8 maggio 2017, giornata in cui più di 400 studenti, e non, hanno popolato la piazza scontrandosi direttamente con il sindaco e la sua giunta in merito alle politiche intraprese negli ultimi anni. Il Comune infatti, in un’escalation di misure repressive volte a limitare l’accesso agli spazi pubblici e alla criminalizzazione dello studente, non ha fatto altro che accrescere il conflitto tra le diverse soggettività che animano la città. È stata proprio la piazza, luogo per antonomasia di discussione e incontro, a ritrovarsi di fronte a un emblematico svuotamento e a una perdita di significato a causa dell’eccessiva militarizzazione e chiusura dello spazio urbano. Per questo motivo, proprio da lì abbiamo deciso di rivendicare il nostro diritto a vivere la città. Impossibile negare che avevamo riposto numerose speranze nell’assemblea e nella mobilitazione dell’8 maggio. Purtroppo, a distanza di un anno, ci siamo resi conto di non essere riusciti a indirizzare verso veri e propri risultati pratici quelle potenzialità; forse per inesperienza, forse per un’analisi poco corretta o forse ancora non lo abbiamo capito!

Da questo percorso si è consolidata ancora di più la collaborazione tra i due soggetti che da tempo vivevano l’aula occupata ex C3: il Collettivo e La Sociologica, che hanno deciso di costituirsi come soggetto unico mettendo in comune le proprie pratiche e le proprie prospettive nella Libera Biblioteca De Carlo.
Essendo un collettivo universitario, abbiamo deciso per quest’anno di oc¬uparci in particolare dell’università e dei suoi mutamenti a partire dalla scelta presa dal nostro ateneo di aderire all’accordo tra CRUI e Ministero della giustizia. Tale accordo, che si palesa con una progressiva militarizzazione dell’istituzione universitaria, si configura come la base di un progetto molto più ampio. Se le sue fondamenta ci restano oscure, abbiamo potuto notarne chiare conseguenze nella costituzione del master in comunicazione strategica organizzato in collaborazione con il 28° Reggimento Pavia di Pesaro, con il conferimento del Sigillo di Ateneo al Capo della polizia e della Pubblica sicurezza Franco Gabrielli, regista della discutibile gestione delle situazioni emergenziali di Ventimiglia e de L’Aquila e con tutta un’altra serie di eventi-vetrina, volti a consolidare l’immagine di un’università propensa alla sicurezza e al decoro.

In piazza per il Diritto alla Città, 8 maggio 2017
In piazza per il Diritto alla Città, 8 maggio 2017

Noi non ci siamo mai tirati indietro dal contestare il corteggiamento dell’università nei confronti dell’esercito e delle forze dell’ordine. Non l’abbiamo fatto prima e non lo faremo tanto meno ora, soprattutto dal momento in cui l’ateneo ha stretto accordi con i Carabinieri e la Guardia di finanza per la riduzione del 30% delle tasse per le forze dell’ordine e i loro familiari, dimostrando come un diritto di tutti possa divenire sempre più esclusivo. La repressione subita durante questi eventi è stata la solita degli ultimi anni: divieto di accesso alle aule in cui sono tenuti questi teatrini, la Digos che ci segue come ombre, la presenza del questore durante la contestazione ad Alfano, le telecamere puntate addosso, ma nulla al di fuori dell’”ordinaria repressione”. Come nel film L’odio, “il problema non è la caduta ma l’atterraggio” avvenuto quando durante la consegna del Sigillo di Ateneo al Generale Toschi della Guardia di finanza sono state attuate delle procedure di sicurezza anti-terrorismo, con il solo problema che il terrorista in questo caso era lo studente.
L’ironia della sorte ci riporta a venerdì 17, data carica di simbolismi all’interno del senso comune. Quella mattina ci siamo presentati all’ingresso dell’università dove stava avendo luogo il conferimento del Sigillo al Generale e il benvenuto ci è stato dato da un massiccio dispiegamento di carabinieri, poliziotti e finanzieri. A rigor di quella stessa ironia, in quanto studenti l’ingresso ci è stato negato, onorandoci esclusivamente della possibilità di poter manifestare le nostre “dimostranze fuori” (cit). Naturalmente non è mancata la volontà di oltrepassare lo sbarramento, tentativo che, seppur fallito nel suo intento, ha avuto il merito di concretizzare quella tensione che già si percepiva nell’aria. Difatti, una volta aperto lo striscione, ha avuto inizio il gioco del tiro alla fune con la Guardia di finanza che è andato a concludersi con una nostra “vittoria” portando, però, a un successivo inseguimento del nostro compagno che stringeva il premio tra le mani. La caccia al lupo si è conclusa con il rilascio di un calcio a un altro dei nostri che cercava di capire le intenzioni dell’uomo in divisa.

Urbino, inaugurazione dell'anno accademico 2017-2018.
Urbino, inaugurazione dell’anno accademico 2017-2018.

Il finale di alcune storie si mostra chiaro fin dall’inizio, ma in questo particolare caso la violenza che ne è scaturita è stata del tutto nuova nel contesto universitario urbinate. Il culmine dello scontro è stato raggiunto nel momento in cui un compagno è stato atterrato e sbattuto contro il muro per poi essere successivamente trascinato per i capelli all’interno dell’ateneo, spazio trasformatosi improvvisamente in una caserma. Il ragazzo ha subito il solito trattamento riservato alle “zecche”: insulti, minacce di violenza, di arresto ecc. Dopo una mezz’oretta, in cui non sono mancati atti intimida tori per coloro che si trovavano all’esterno, il compagno viene denunciato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, e finalmente rilasciato dal “Commissariato degli Studi di Urbino”. Tutta la vicenda era stata ripresa da una compagna alla quale è stato letteralmente strappato il telefono dalle mani e poi riconsegnato dopo aver cancellato i video che testimoniavano gli eventi di quella mattinata. Il saluto, infine, ci è stato dato da un “tornate da dove siete venuti, è meglio per tutti!”.

Se il finale non è sempre prevedibile, al contrario la morale è sempre presente. Ciò che emerge dalla giornata di venerdì 17 è la chiara volontà di reprimere il dissenso al fine di facilitare la costruzione di una facciata pulita, ordinata e sicura, voluta dall’ateneo. Questo aspetto si è palesato in diverse circostanze, come il giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico in cui ancora una volta ci è stato negato l’accesso all’interno del polo didattico Volponi, o quando siamo stati minacciati di denuncia per aver organizzato un pranzo sociale nella nostra aula occupata autogestita. A distanza di poco più di un mese dal fatidico venerdì 17, abbiamo ricevuto la visita di un responsabile delle sedi universitarie che, attraverso un ulteriore uso scontato delle intimidazioni più volte sentite, ci ha costretti ad annullare la “Fejolada Popular”. Ora, il problema non risiede assolutamente nei fagioli, questo è abbastanza chiaro, ma in un episodio repressivo avvenuto questa volta non fuori, ma proprio all’interno dell’ateneo. Visto l’accaduto abbiamo deciso di rispondere chiamando un’assemblea pubblica con l’obiettivo di discutere in merito a queste pratiche ormai sempre più frequenti che ogni giorno si presentano in modo esponenziale sulla nostra pelle. Il nostro slogan “Non ci avrete mai come volete voi. Viva i fagioli!”, tragicamente ironico, ha rappresentato poi la nostra presa di posizione nei confronti della papabile denuncia all’autorità di pubblica sicurezza se avessimo organizzato l’evento.

Aula C3, Libera Biblioteca De Carlo, “Fejolada Popular”.
Aula C3, Libera Biblioteca De Carlo, “Fejolada Popular”.

Da cinque anni la Libera Biblioteca De Carlo è un esperimento di autogestione, un luogo dove poter sviluppare un pensiero critico, uno spazio di aggregazione e autorganizzazione dove si incontrano diverse esperienze. Sono numerose le persone che hanno attraversato e attraversano tuttora l’aula e non poche sono le attività organizzate: dalle presentazioni di libri, ai cineforum, alle assemblee e pranzi sociali. Uno spazio che possiede una propria unicità in una realtà piccola come quella di Urbino; uno dei molti spazi progettati dall’architetto Giancarlo De Carlo dove risiede l’idea dell’università orizzontale e partecipata, dell’incontro e del confronto, della diffusione e condivisione. In molti si sono dati da fare per rendere più accogliente questo unico spazio libero a disposizione degli studenti. La partecipazione e le idee si sono mostrate sempre più numerose nel lavoro pratico svolto quotidianamente: siamo riusciti a sbarazzarci di una moquette ormai rovinata sostituendola con un parquet, abbiamo creato una biblioteca autogestita, riordinando, catalogando e mettendo a disposizione più di duemila libri. Come realtà autorganizzata che porta avanti una politica dal basso, abbiamo potuto realizzare tutto questo attraverso la vecchia e buona pratica dell’autofinanziamento. Naturalmente, non sono mancate visite indesiderate che, con occhio attento, controllavano che il lavoro non andasse oltre la sostituzione del pavimento visto che, da parte nostra, c’era anche l’intenzione di ridipingere le pareti dell’aula per completare il lavoro di restauro. Fino a quando la manovalanza autogestita va a sostituire un obbligo di manutenzione dell’ente, va tutto bene, ma se poi si tratta di creare qualcosa come un murales, espressione libera di una socialità organizzata, l’unica risposta dallo stesso ente è una minaccia di denuncia (perché il pavimento glielo abbiamo fatto noi, ma poi il muro se lo devono pulire loro!).
Se Urbino era morta, oggi ne troviamo le macerie che continuiamo a raccogliere una a una, mettendo in gioco le nostre stesse teste, cercando di riequilibrare una socialità sempre meno libera che tocca da vicino tutte e tutti noi studenti. E come diceva l’ormai non più sbarbato Pimpi, continueremo ad essere in contrasto con la direzione che Urbino da anni ha intrapreso, trovandoci la maggior parte delle volte dalla “parte sbagliata” della barricata, che in fin dei conti non è nemmeno così male!

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