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La Rete per l’educazione libertaria: una realtà (#7)

La Rete per l’educazione libertaria: una realtà
Intervento di Giulio Spiazzi

La Biblioteca libertaria Armando Borghi di Castel Bolognese in occasione del centenario della sua fondazione ha organizzato lo scorso autunno un ciclo di conferenze e seminari sull’e­ducazione libertaria intitolato “Vaso, creta o fiore? Educare alla libertà”. Pubblichiamo la trascrizione dell’intervento tenuto da Giulio Spiazzi la sera del 4 novembre presso il Teatrino del Vecchio Mercato, dedicato ai valori fondanti, ai percorsi e alle prospettive delle Rete per l’educazione libertaria, di cui Giulio è stato uno dei fondatori, oltre a essere attuale “ac­compagnatore” nella Piccola scuola libertaria Kether sulle colline di Verona. La registrazione dell’incontro, comprendente anche il dibattito con il pubblico presente, è disponibile sul canale youtube della Biblioteca Borghi.

La REL è una realtà in crescita, fatta di alcune esperienze già mature e consolidate e di tanti gruppi che, anche nelle Marche, ci stanno provando. Su queste pagine abbiamo già affron­tato l’argomento con una lunga intervista alle animatrici della scuola Serendipità di Osimo (Malamente #3) e contiamo di tornare a parlarne anche nei prossimi numeri, dando spazio al fermento di quanti stanno cercando di mettere in pratica, con modalità diverse, approcci di pedagogia non autoritaria.

 

Studiare
Studiare

 

Una storia collettiva

La storia collettiva e partecipata della REL, Rete per l’educazione libertaria, parte da lontano, ancora prima della data progettuale di fondazione del 2006, avve­nuta poi fattivamente nel 2008 nella città di Padova. Infatti già nel 2004-2005, a seguito di contatti e di frequentazioni presso l’allora comunità educante speri­mentale Kiskanu di Verona, insieme a Francesco Codello si era dibattuto sulla necessità di creare una Rete per l’educazione libertaria in Italia, quando ancora non esistevano realtà educative libertarie se non, in nuce, la nostra di Verona. A Berlino nel 2005 Francesco aveva partecipato all’incontro internazionale dell’I­DEC, International Democratic Education Conference, e aveva contribuito at­tivamente alla redazione della dichiarazione sulla libertà di scelta educativa dei bambini e delle bambine e dei ragazzi e delle ragazze, che è il nostro manifesto (lo trovate anche sul sito della REL).

Nella scelta di dare vita a una Rete emergeva chiaramente la consapevolezza che i tempi stavano finalmente maturando, anche per il nostro Paese, per rendere concreto l’appello libertario che si ritrova nel principio dei “fini congiunti inscin­dibilmente ai mezzi”. L’esistenza già dal 2004, a Verona, di una realtà “scolastica” di ricerca e sperimentazione educativa libertaria e l’affiorare di volontà che si an­davano concretizzando in altre parti d’Italia, in specie a Bologna con il progetto che verrà a chiamarsi I Saltafossi, indicavano che esistevano anche in questa parte d’Europa nuovi orizzonti dove la teoria libertaria poteva essere e divenire sempre più pratica libertaria.

A Padova, quando venne varato il cammino della futura REL, oltre a Francesco Codello e al sottoscritto erano presenti anche rappresentanti di diverse esperienze educative libertarie, che complessivamente coprivano un vasto arco temporale di crescita di bambini e ragazzi, che andava dalla fascia prescolare con Grazia Ho­negger Fresco (una diretta allieva della Montessori, che ricordo sempre con pia­cere come una “ribelle” montessoriana), alla nostra realtà veronese che riguardava la scuola primaria, alle proposte di cultura e autoeducazione permanente senza età, al di fuori dei percorsi di scolarizzazione, di Elis Fraccaro e dell’Ateneo degli imperfetti di Marghera. C’erano dei fuoriusciti dalla scuola steineriana – io sono tra questi – che non si riconoscevano nel suo dogmatismo e c’era chi criticava il sistema montessoriano sclerotizzato e diventato probabilmente qualcosa d’altro rispetto alle indicazioni della Montessori. Insomma, un mondo a vastissimo gi­ro d’orientamento si ritrovava volontariamente per ascoltarsi e per promuovere un’utopia che, nel corso di questi quasi dieci anni di viva esperienza sul campo, è oggi la Rete per l’educazione libertaria: una delle possibili voci di aggregazione e di frequentazione del variegato mondo della pratica diretta libertaria.

Dico che la REL è solo “una delle possibili” reti perché noi non ci siamo mai sognati di dire che siamo l’unica rete per l’educazione libertaria. Noi siamo la REL, siamo partiti nella maniera che vi sto raccontando ma ciò non toglie che è che chi è fuori dalla REL sia fuori dall’educazione libertaria. È anche vero che la REL in tutti questi anni ha fatto un bel percorso e ha quindi accumulato una discreta esperienza per quanto riguarda il collegamento tra varie realtà educative, sia scolastiche che extra scolastiche.

Attraverso la pratica della condivisione e del sostegno mutualistico di kropotkiniana memoria, offerto da coloro che hanno acquisito capacità e conoscenze dirette sulla crescita di comunità autoeducanti, negli anni si è allargato e diffuso significativa­mente il numero di realtà che si riconoscono in questo percorso, creando un circui­to attivo in continuo movimento. All’interno della Rete si ritrovano quindi sia le si­tuazioni “storiche” che l’hanno generata e che ne hanno segnato il percorso (ricordo Kiskanu, ora Kether, di Verona e I Saltafossi di Bologna, solo per citare le prime) sia diverse nuove realtà che si sono affiancate nel tempo con coraggio e determinazione per rafforzare e ampliare il comune tessuto educativo libertario italiano.

 

Volare
Volare

 

In rete per un cammino comune

Fatta questa premessa “storica”, la domanda d’obbligo è: “che cos’è dunque la REL?”. Possiamo dire che la Rete per l’educazione libertaria è in primis una “pra­tica di relazione che si nutre di presenze” ed è bene sottolineare che le presenze sono corpi, corpi reali, non pensieri e teorie immateriali. La presenza è importan­te. Noi non comunichiamo solo per email ma cerchiamo di incontrarci per poter tessere fisicamente delle relazioni. La REL si estende da un capo all’altro della penisola e quindi non è sempre facile trovarsi, ma nel tempo si è visto che chi effettivamente vuole aderire e seguire i percorsi della rete trova il modo di essere presente fisicamente agli incontri: siamo un gruppo di donne e di uomini che si ritrova per stare assieme, per discutere di educazione libertaria e per agire conse­guentemente in quest’ambito.

Per scelta la REL non ha una formalizzazione giuridica, non siamo un’associa­zione iscritta in qualche registro. Dunque la REL è un insieme aperto di persone reali che, partendo da motivazioni interiori, da un desiderio d’essere, hanno dato vita a un soggetto concreto, non formalmente riconosciuto dunque non giuridi­co, un soggetto collettivo che cerca con le proprie forze e con le proprie capacità di divulgare, diffondere, mettere in relazione le esperienze di pratiche autoedu­cative che si reggono filosoficamente su principi di matrice libertaria. La REL è quindi una “partecipazione collettiva” di desiderio, di contatto, di scambio, di approfondimento e di scommessa sulla fattività, oggi giorno, della messa in opera di pratiche educative autoeducanti sinceramente libertarie.

Per far questo la REL compie un lavoro di tessitura che passa attraverso momenti annuali di aggregazione nazionale (quest’anno si è appena concluso il 7° incontro) e seminari di approfondimento, dialogo, discussione e studio comune. Proprio domani a Pavullo, nel modenese, presso la comunità autoeducante de I Prataioli prenderà il via il 5° seminario operativo incentrato su tematiche educative impor­tanti quali: corpo e sessualità nell’esperienza educativa libertaria; le competenze di base per un accompagnatore libertario; la funzione “politica” del cammino REL in Italia; etc. Possiamo delineare una cronologia e una geografia di queste attività assembleari periodiche. Gli incontri nazionali si sono finora svolti a Verona (scuo­la libertaria Kiskanu), ancora a Verona, a Roma, a Rimini, a Urupia nella comune libertaria di S. Marzano di S. Giuseppe nel Salento tarantino, a Osimo (Scuola libertaria Serendipità) e ad Abbiategrasso (Scuola libertaria Ubuntu). I quattro seminari hanno invece visto la luce alla Scighera di Milano, a Osimo, ancora a Milano e l’ultimo a Verona presso la comunità autoeducante Kether.

È bene precisare, quando si parla di seminari, qual è la posizione esplicita della REL rispetto a queste proposte. Siamo fermamente convinti che nessuno di noi si possa proporre né qui né altrove come “esperto”, “formatore”, detentore di un ricettario che possa far diventare qualcun altro un “operatore libertario” o che lo possa ren­dere empatico con bambini, bambine, ragazzi e ragazze. I seminari di studio e di incontro/confronto della REL sono momenti autoformativi importantissimi, dove chi vi partecipa trova nello scambio di esperienze, dentro la dimensione fortemente contestuale del momento, la possibilità di far crescere se stesso e la comunità di cui fa parte. Siamo quindi del tutto estranei all’idea di un intervento da parte di “tec­nici-guru” col compito di insegnare come dover essere libertari o quale particolare dottrina frequentare per aprire e gestire una scuola libertaria, come se fosse un fran­chising, una start-up o altre, per me odiose, imprese micro-capitalistiche di questo tipo. La REL non dà certificazioni né attestati di “buon educatore libertario”, ma promuove scambio, confronto, messa in gioco su queste questioni educative.

Viaggiare
Viaggiare

 

È necessario puntualizzare questo perché rispetto a quando siamo partiti, ormai una decina di anni fa, l’educazione libertaria sembra adesso interessare un vasto pubblico – per fortuna – ma a volte con l’idea che si possa diventare libertari da un momento all’altro e si possano creare scuole che partono immediatamente e perfettamente libertarie. Se ci chiedete come fare per creare una scuola libertaria, la risposta è: fatela, punto e basta. Non è che siano i più bravi a riuscirci. Riesce chi sa congiungere la teoria alla pratica. Noi possiamo fornire un aiuto per quanto riguarda la nostra esperienza, suggerire ad esempio di partire come associazione piuttosto che come cooperativa sociale, dare indicazioni su come regolarizzarsi con i pagamenti, dare cioè delle indicazioni tecniche… le problematiche sono tante, il lavoro da fare è notevole.

A volte quando andiamo a visitare alcune realtà ci chiedono se secondo noi sono “abbastanza libertarie” o addirittura se facciamo corsi di formazione all’essere li­bertari o cose del genere. La REL non ha la funzione di dare una “certificazione” alle realtà che incontra nel corso della propria attività. La REL non dà il bollino di “libertario”, non autentica nessuna scuola che si propone come tale. Insomma, c’è questo grosso rischio della moda del momento, mentre quello che conta è proprio il fatto che si tratta di un cammino estremamente delicato, quotidiano, di contatto con i ragazzi, un cammino di relazione. Tutto il resto è qualcosa che appartiene all’idea teorica e astratta di certi adulti che pensano questa realtà come una moda, se non come un business.

La REL non ha nemmeno la funzione di pubblicare e promuovere sul proprio sito qualsiasi cosa esistente sul territorio che si dica, anche solo di nome, “libertaria”. Come ho sottolineato all’inizio, la relazione si nutre di presenze, per cui laddove esistano esperienze nascenti che ci contattano è sempre bene andare di persona, non con lo scopo di verificare, controllare, bollare o meno questa o quella realtà, ma – i viaggi assidui per l’Italia di Francesco Codello, miei, di Gabriella Prati e di altri lo testimoniano – per iniziare a costruire un rapporto tra persone, ambienti e situazioni che possa dipanarsi nel tempo e nelle difficoltà inevitabili. Lo scopo è intraprendere un cammino comune d’intesa, nel tracciato fluido e in divenire del­la REL, quale organismo aperto alle trasformazioni innescate da reali incontri di persone finalmente scese dall’empireo della teoria alla quotidianità spinosa della pratica libertaria, immersa nel contesto neo-liberista della società attuale.

 

Scrutare
Scrutare

 

Democrazia diretta e pratiche libertarie

La Rete per l’educazione libertaria nasce quindi dalla volontà di donne e uomini provenienti da diversi percorsi formativi e lavorativi, non solo in esperienze auto-organizzate, che sperimentano pratiche educative alternative in progettualità co­munitarie. Questa ricerca teorica, ma soprattutto pratica, del fare libertario mette al centro della propria riflessione educativa e politica il ruolo di bambini e bambi­ne, ragazzi e ragazze, coinvolti in prima persona nella loro crescita autoeducativa. Fanno parte della Rete molte figure diverse, da chi effettivamente sta costruendo una scuola o è già dentro questo tipo di percorso, a soggetti a vario titolo interes­sati a conoscere, confrontarsi e riflettere intorno a un differente modo di pensare e vivere l’educazione, a studenti, a genitori coinvolti nelle problematiche di crescita dei loro figli. Ne fanno parte anche diversi insegnanti delle scuole statali; abbiamo anche genitori che insegnano nella scuola statale ma portano i figli alla scuola libertaria e sarebbe interessante indagare i perché di questa scelta.

La REL vive fin dagli albori della sua nascita un forte dibattito interno su tema­tiche semantiche percepite come basilari. Agendo per la diffusione del pensiero e delle pratiche educative libertarie, si è interpellata per lungo tempo anche sul significato del termine libertario, piuttosto che democratico da dare proprio a se stessa in fase costituente. Fuori dai nostri cosiddetti confini nazionali, le realtà autoeducanti vengono identificate generalmente con il termine, in parte fuor­viante, “democratiche”. Ciò comporta a mio avviso, anche a livello di immagi­nario collettivo, una visione che abbraccia qualsiasi tipo di democrazia, in specie quelle attuali occidentali con tutto il carico di disuguaglianze gerarchizzate e di dominio dell’uomo sull’uomo e sulla donna. Per noi invece il significato del ter­ mine “libertario” rimane strettamente connesso con l’intima e profonda storia di lotte che questo modo d’essere ha avuto e ha proprio in questa penisola: l’Italia. Ecco perché nell’ambito delle reti europea (EUDEC) e mondiale (IDEN), non utilizzando come tutti gli altri il termine “democratico”, siamo una mosca bianca: ne abbiamo discusso a lungo, per almeno un anno, e alla fine, a mio parere giu­stamente, c’è stata una convergenza definitiva della Rete sul termine “libertario”. È stata una decisione che ha comunque avuto anche un suo prezzo da pagare, in termini di fuoriuscita di persone che si collocavano più in una definizione di scelta maggioritaria.

I luoghi di questo ciclo di seminari, come la Biblioteca Borghi, l’Archivio storico della FAI, testimoniano chiaramente la lunga tradizione di un’altra concezione di democrazia, non certo maggioritaria ma consensuale, non delegante ma diretta, dove l’esposizione del proprio essere individuale si rispecchia nell’ascolto e nella relazione con la collettività assembleare. Questa democrazia effettivamente parte­cipata è il modo di vivere di bambini e ragazzi nel confronto e nell’incontro, senza mediatori indirizzanti, senza una maggioranza che schiaccia inevitabilmente la minoranza che dissente anche solo momentaneamente riguardo a qualcosa. Nella pratica i ragazzi hanno sperimentato come crescendo la consapevolezza in ognu­no di loro si possa arrivare all’unanimità nelle decisioni con una certa velocità e si possano risolvere i problemi senza aver un gruppo maggioritario che decide a scapito di altri. Dopo diversi anni mi rendo conto che tanti frutti estremamente positivi stanno venendo fuori da queste pratiche che all’inizio possono sembrare degli azzardi. E credo che questo metodo di riunirsi assieme e di trovare un’una­nimità, certo non a tutti i costi, avrà la sua influenza su quando questi bambini e ragazzi diventeranno uomini e donne.

Attendere
Attendere

 

Non è una considerazione da poco perché nelle scuole libertarie, come ad esem­pio a Kether, la democrazia è vissuta davvero come democrazia diretta. La scuola è piccola perché volutamente abbiamo scelto l’idea alla Paul Goodman che “il piccolo è bello”, nel senso che nel piccolo c’è la possibilità di relazionarsi e il metodo democratico di scelta è consensuale, cioè non passa nessuna decisone se non siamo d’accordo tutti. Potete capire che palestra di vita fanno questi figlioli, a partire dalla materna, avendo riconosciuta la possibilità di dire la propria, di dirla in assemblea, di mettere in pratica il principio one man, one vote, per cui l’e­spressione della propria incisività sul mondo viene presa in considerazione: ogni testa vota e quel voto è rispettato, quindi un bambino di tre anni potrebbe anche bloccare la decisione finale dell’assemblea. Il senso di responsabilità di ognuno si innalza veramente di molto rispetto a una democrazia di delega. Sono meccani­smi che fanno fare grandi salti di coscienza ai bambini. Quelli più piccoli magari ancora non comprendono esattamente cosa stia succedendo, però alzano la mano perché iniziano a capire che alzando la mano hanno voce in capitolo e capita che si mettano a parlare di problematiche che in quel momento non hanno molto senso, ma per loro sono conquiste enormi, perché un bambino di tre anni che si mette in primo piano di fronte a una platea con ragazzi molto più grandi di lui è una grossa conquista di sicurezza e autostima.

Qualunque situazione di unanimità non è mai data, ma cresce strada facendo nella pratica del vivere gli eventi della propria autoformazione a stretto contatto con la comunità dei molteplici. Parliamo perciò di pratiche “libertarie” per met­tere in chiaro un percorso fatto di crescita quotidiana, di convivenza tra uguali nel rispetto delle differenze. Tutto ciò per noi rientra nello spazio reale del politico. La REL dunque fa politica, fa cultura, produce documenti di riflessione e di critica. Come osserva Thea Venturelli, comunarda di Urupia che da circa un anno ha da­to inizio a un percorso di educazione libertaria per bambini e bambine all’interno della comune libertaria salentina: “la consapevolezza che un percorso educativo è essenzialmente un percorso politico, il ritenere l’educazione lo strumento privi­legiato per un significativo e radicale cambiamento sociale che parta dal singolo individuo: questi sono i punti di partenza per una pratica quotidiana che impe­gna tutti i mezzi a disposizione di chi ha deciso di accompagnare le donne e gli uomini di domani nel loro percorso di crescita, operando contro ogni realtà che mortifichi l’essere umano e ne ostacoli la libera e soggettiva espressione”.

 

Osservare
Osservare

 

Accompagnatori per l’autoeducazione

Sulla base di quella “semantica liberata” di cui si accennava prima, riguardo alla decisione di adottare il termine libertaria anziché democratica, la REL ha per lungo tempo studiato e sviscerato un altro appellativo che nel tempo aveva subito una radicale perversione di senso, come avrebbe detto Ivan Illich, ovvero quello di “maestro”, “professore”, “docente”, all’estero è spesso usato “facilitatore”. Per definire il ruolo dell’adulto all’interno di queste comunità autoeducanti, noi pre­feriamo utilizzare il senso e il significato di “accompagnatore libertario”.

È logico che difficilmente sentirete bambini o ragazzi che vi chiamano “accompa­gnatore”. Ai bambini piccoli piace chiamarti “maestro” e dal nostro punto di vista sarebbe anche scorretto togliere loro questa voglia di chiamarti così, poi magari quando arrivano alle soglie della secondaria di primo grado cominciano a chia­marti per nome: “Giulio”, “Susanna”…, insomma osano e decidono loro quando è il momento. Invece per quanto riguarda la stesura di un documento o per dare una chiave di senso all’azione che facciamo preferiamo usare “accompagnatore”. “Facilitatore” non ci sembra adatto perché non dobbiamo facilitare niente, anzi spesso sono i ragazzi che facilitano il nostro lavoro.

Proprio su questo punto ritengo opportuno citare Lamberto Borghi, che in uno dei suoi scritti ci parla dello psicopedagogista americano Carl Rogers, quando questi af­frontò il problema dell’apprendimento in ambito di educazione libertaria contro le supposte “verità-totemiche” di comportamentisti quali ad esempio Skinner convin­ti, all’opposto, che “l’uomo non è libero” e che “l’immagine di un uomo interior­mente libero e padrone del proprio comportamento è solo un surrogato prescienti­fico”. Probabilmente questo Skinner non aveva frequentato comunità autoeducan­ti. Ebbene Rogers risponde mettendo in chiaro, dal mio punto di vista, ciò che è focale nel termine “accompagnatore”, con queste parole: “mi sono convinto che il solo apprendimento che influenza in modo significativo il comportamento è quello che il discente scopre, e di cui si appropria, da sé”. E aggiungeva: “in conseguenza […], sento che non mi interessa più essere un insegnante, mi rendo conto che mi interessa solo essere un discente e preferibilmente di imparare cose che contano, che esercitano un’influenza significativa sul mio comportamento. Trovo molto proficuo imparare in gruppi, tramite un rapporto con una persona […]. Ritengo che uno dei modi per me migliori, anche se più difficili di imparare, consista nell’allentare la mia struttura difensiva, almeno temporaneamente, e di cercare di capire il modo in cui un’altra persona sente e considera la propria esperienza”.

Costruire
Costruire

 

L’accompagnatore deve fornire un esempio, senza sentirsi per forza di cose un esempio. Deve comportarsi come un adulto corretto, ma soprattutto autentico: i ragazzi percepiscono immediatamente se uno sta mentendo, se sta facendo l’a­micone… queste cose non funzionano. Gli accompagnatori sono cioè persone che autenticamente si mettono in gioco con i ragazzi e che sono presenti con la loro spontaneità, per cui se qualcosa li fa arrabbiare che si arrabbino pure; a volte gli adulti devono re-imparare a essere spontanei, a essere effettivamente se stessi: questa è la carta vincente, questo è il buon esempio. Se si vuole essere un accompagnatore, fare dei passi indietro con i ragazzi è estremamente salutare ed è forse la prima auto-regola che ognuno dovrebbe darsi. Il fatto di imparare un altro linguaggio, che molto spesso è un linguaggio del corpo, oppure di fermarsi e di non interrompere quello che sta accadendo è un grosso allenamento che un accompagnatore deve fare di fronte alle dinamiche libere dei ragazzi.

Questo, per quanto riguarda la mia personale esperienza di lavoro e di vita nelle realtà autoeducanti che aderiscono alla REL, è l’azzardo necessario per riportare il mondo degli adulti, in maniera consapevole, a ri-colloquiare in termini non im­positivi con l’autocrescita spontanea dei giovani, nei luoghi dove si decide assieme un cammino educativo libertario. Poniamoci la domanda che dà anche il titolo a questo ciclo di seminari: “Vaso, creta o fiore?”. Perché mai formare qualcuno come creta? Oppure l’idea del vaso: io conosco, travaso la mia conoscenza in te bambino, che sei il vaso, riempito della mia scienza. È invece il fiore il simbolo dell’educazio­ne libertaria. Il fiore nasce spontaneo e l’educatore al limite zappetta intorno, vede che qualche erbaccia non vada a stritolarlo quando è debole, gli dà da bere. Sono passaggi sottili ma nella pratica diventano fondamentali.

Concludo con una sintesi di parole non mie, ma che per me abbracciano tutta l’e­norme esperienza che non solo le singole scuole libertarie, né la sola Rete per l’edu­cazione libertaria, ma l’intero panorama di pratiche politiche dove il mezzo e il fine combaciano potrebbe esprimere. È la voce di un ragazzo di undici anni, ebreo isra­eliano, colta durante un’assemblea a Kether, po­chi giorni fa, indirizzata a risolvere pacatamente una delle tante problematiche di convivenza e di rispetto che in una situazione autoeducante si devono affrontare. Giuseppe Zwiebel, questo il suo nome, con noi da cinque anni ci dice, nel­la fase cruciale di una sorta di contenzioso che si era innescato: “noi siamo una comunità, non siamo individui anonimi”. Partendo proprio dal­le parole di un bambino che frequenta la quinta elementare io riassumerei l’esperienza della REL: noi, la REL, siamo una comunità, non siamo in­dividui anonimi ma persone che vogliono incon­trarsi per fare un percorso comune e per cercare di far crescere sempre più questo tipo di visione anche qui in Italia.

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