Non finisce qui
Di Redazione
Il tempo non smussa la rabbia che abbiamo provato nelle calde giornate di inizio luglio, quando un fascista ha ucciso a pugni un uomo perché aveva la pelle di un colore diverso a Fermo, nell’ombelico della provincia italiana, sotto casa nostra. Il tempo passa e un po’ dappertutto l’impazienza cresce per delle condizioni di vita che non cambiano, anzi la disuguaglianza tra ricchezza e povertà, tra futuro e mancanza di opportunità aumenta anche nelle nostre terre che in anni già lontani venivano vendute con lo slogan “tranquillamente Marche”. I fascisti cercano di raccogliere il malcontento e nel caso di Fermo sembra che ci stiano riuscendo, ma la loro strada sarà piena di ostacoli come quello rappresentato dagli amici di Pergola del nuovo Coordinamento antirazzista della Valcesano ritratti in copertina, che hanno rotto la parete invisibile della diffidenza e hanno coinvolto i rifugiati in uno spazio di azione e riflessione comune.
Questo numero di Malamente si apre con una finestra sul terremoto che dal 24 agosto ha iniziato a colpire le zone appenniniche della nostra regione e di Abruzzo, Umbria e Lazio. La solidarietà dal basso che si è mossa ci ha sorpresi, ci ha visti coinvolti e ha aperto delle domande sul senso e sulle prospettive dell’auto-organizzazione nei disastri, di oggi e di domani, che dovrebbero trovarci maggiormente preparati e meno dipendenti dagli specialisti dello Stato. Poi siamo ritornati a Fermo per raccogliere il primo tassello di un’inchiesta sul neofascismo nella nostra regione che è sempre più urgente. Noi proviamo a fare la nostra parte e speriamo che altri si muovano nella stessa direzione, di certo non è più tempo di cullarsi nel pacifismo e nella troppa tolleranza del passato recente.
All’opposto della grettezza provinciale di alcuni c’è però la generosità internazionalista di altri uomini e donne che da Pesaro sono arrivati fino a Salonicco, per documentare le condizioni di vita dei respinti dai muri alle frontiere dell’Unione Europea e per provare a prendere a calci le reti che li rinchiudono. Facciamo poi tappa sulle montagne e sulle colline in cui convivono storie di decadenza e sfruttamento con storie di vita e di liberazione. La parabola dell’industria pesante a Sassoferrato ci parla della fragilità delle cosiddette “aree interne”, usate e poi gettate via dai democristiani di ieri e di oggi, mentre la storia dell’apicoltura Corbecco, tra Urbino e Fossombrone, ci illumina con la speranza di una nuova vita per l’agricoltura e per la condivisione nelle campagne.
Ci sono ancora pagine anche per condividere la nostra riflessione sullo sfruttamento della terra e sui danni della tecnologia come strumento di potere, che si concretizza, passata l’estate e i suoi tormentoni, in un’inchiesta sullo stato del litorale adriatico consumato dall’industria del turismo e in una traduzione inedita in italiano di uno scritto di Miguel Amorós sulle basi dell’anti-industrialismo. In conclusione proponiamo come di consueto un contributo sulla storia delle lotte sociali del territorio con una scheda biografica che sa farci anche sorridere e, infine, spazio alla recensione.