Il proletariato non ha nazione. Ricordi d’internazionalismo dalla provincia marchigiana
Di Valerio [QUI IL PDF]
A forza di esportare la pace, gli Stati Uniti si sono ritrovati in guerra in 222 dei 239 anni della loro storia; per la maggior parte sono state guerre di aggressione o invasioni preparate dalla CIA. Tutti i presidenti degli Stai Uniti sono stati, in un modo o nell’altro, coinvolti almeno in una guerra. Fu soprattutto l’aggressione al Vietnam, con le immagini dei massacri e i villaggi bruciati dai bombardamenti al napalm, che contribuì a maturare nelle nostre coscienze quella sensibilità internazionalista che ci fece “sentire nostra qualunque ingiustizia commessa in qualunque parte del mondo”.
In Cile, l’11 settembre del 1973, il generale Pinochet filoguidato dagli americani attuò il colpo di Stato uccidendo il presidente Allende. Il golpe ebbe un’influenza politica ed emotiva enorme in tutto il mondo e l’eco di quell’avvenimento si fece sentire anche in Italia. In quei giorni il giornale «Lotta continua» lanciò una campagna di finanziamento denominata “Armi al MIR”, grazie a quella mobilitazione furono raccolte alcune centinaia di milioni che vennero girate agli uomini della resistenza cilena per continuare la lotta. Con l’appoggio a Pinochet, gli USA vollero mandare un monito a tutti i partiti socialisti del mondo: l’intendimento era quello di impedire la formazione di governi di ispirazione socialista, anche se democraticamente eletti e, con la cosiddetta “operazione Condor”, gli USA promossero la formazione di giunte militari e reazionarie in tutta l’America latina.
In Portogallo, nel 1974, una sollevazione attuata da militari dell’ala progressista delle forze armate, pose fine al regime fascista di António Salazar e del suo successore Marcelo Caetano. La dittatura aveva avuto origine dal golpe del 28 maggio 1926, durante la seconda guerra mondiale il Portogallo era rimasto neutrale poi, nel 1949, cessò l’isolamento politico del regime che per le sue posizioni anticomuniste diventò membro fondatore della NATO. Nel frattempo, la resistenza del Portogallo alla decolonizzazione provocò l’insorgere di un lungo conflitto tra le forze coloniali portoghesi e i movimenti di liberazione in Angola, Mozambico e Guinea-Bissau. All’inizio degli anni Settanta alcuni ufficiali con idee progressiste si riunirono nel Movimento delle forze armate (MFA) allo scopo di abbattere il regime e avviare il paese sulla strada della democrazia e della decolonizzazione. Il 25 aprile 1974 Radio Renascença trasmise la canzone Grândola Vila Morena: fu il segnale che dette inizio alle operazioni militari con l’arresto degli alti ufficiali fedeli al regime e l’occupazione di luoghi strategici, come l’aeroporto di Lisbona e la prigione politica di Peniche. Il colpo di mano dei soldati democratici ebbe l’immediato appoggio della popolazione. Il nome di Rivoluzione dei garofani deriva dal gesto di una fioraia, che in una piazza di Lisbona offrì garofani ai soldati; i fiori furono infilati nelle canne dei fucili diventando simbolo della rivoluzione. Poco dopo, venne sciolta la polizia politica e abolita la censura, le colonie ottennero l’indipendenza, i prigionieri politici uscirono dalle carceri e i politici in esilio tornarono nel paese. Il Primo maggio un milione di persone si ritrovò a Lisbona, per la prima volta legalmente, per la festa del lavoro.
La Rivoluzione aprì un periodo di grande fermento politico in cui si contendevano il potere i partiti della sinistra progressista e rivoluzionaria contro i partiti moderati e liberali. Il fallimento di un colpo di coda reazionario sostenuto dagli Stati Uniti consentì di spingere ulteriormente per una transizione verso il socialismo. Nel 1975, banche, compagnie di assicurazione e numerose industrie furono nazionalizzate, il nuovo governo attuò una riforma agraria per abolire il latifondo e ridistribuire la terra ai contadini, per diversi mesi in tutto il paese si svolsero manifestazioni, occupazioni di case, fabbriche, terreni. Per difendere il processo rivoluzionario, durante quella “calda estate” accorsero compagni da tutta Europa e anche dalla provincia di Pesaro partirono in una decina con destinazione Lisbona.
In Nicaragua, il 19 luglio 1979, fu abbattuta la dittatura della famiglia Somoza che per decenni aveva tenuto il paese in un abisso di povertà, predando ogni bene disponibile per arricchirsi grazie alla protezione americana. La rivoluzione fu guidata da un gruppo armato che contava su un ampio appoggio popolare, i sandinisti, eredi delle imprese di Augusto Sandino che negli anni Trenta, insieme al suo “piccolo esercito pazzo”, sconfisse i marines che occupavano il paese. I sandinisti erano contadini, operai, studenti e intellettuali e godevano dell’appoggio di buona parte della Chiesa locale, cosa che permise di poter cominciare a governare un paese ridotto in cenere.
La rivoluzione sandinista riuscì a raggiungere mete mai sognate prima nell’istmo centroamericano. Vi furono processi innovativi come la nazionalizzazione dei beni strategici e la riforma agraria, con la restituzione di migliaia di ettari ai piccoli produttori. Una delle prime grandi imprese fu inoltre la Crociata nazionale di alfabetizzazione, attuata per portare l’istruzione a una popolazione che aveva più del 50% di analfabetismo e che riuscì a ridurlo a circa il 12%. Il processo per instaurare una politica di giustizia sociale ebbe luogo soprattutto grazie alla partecipazione di giovani compagni che fin dall’inizio aderirono al movimento guerrigliero; furono loro il vero motore dell’alfabetizzazione della popolazione, così come vennero impiegati nei processi di mobilitazione per le giornate produttive agricole, diventate il supporto economico del paese. Di grande importanza fu l’impegno della popolazione nel conflitto che venne sostenuto negli anni Ottanta contro i movimenti controrivoluzionari (Contras), una guerra apertamente finanziata e guidata dagli Stati Uniti di Reagan. Per continuare a garantire l’istruzione e le prestazioni sanitarie i sandinisti chiesero aiuto a tutti coloro che nel mondo si battevano contro lo strapotere dell’imperialismo americano. E così anche dalla nostra provincia partì per quel sperduto paese un consistente numero d’insegnanti, medici, infermieri e tecnici.
Il 18 ottobre 1977, alle prime ore del mattino, Andreas Baader e Gudrun Ensslin furono suicidati nelle loro celle del carcere speciale di Stammheim in Germania. Il primo fu ucciso con un colpo di pistola alla nuca, la seconda impiccata a un filo elettrico; Jan Carl Raspe fu trovato agonizzante per un colpo alla testa e morì in ospedale, l’unica compagna che si salvò fu Irmgard Möller. Per vendicare in qualche modo quel suicidio di Stato, la sera dello stesso giorno una squadra partita da Fano partecipò all’assalto armato alla concessionaria italiana della BMW, in via Malaguti a Bologna. In quell’azione, mentre alcune squadre entrarono ed evacuarono l’edificio da clienti e dipendenti, una trentina di compagni bloccò completamente porta San Donato. Mentre la concessionaria veniva data alle fiamme, in fase di ripiegamento un agente di polizia fu intercettato e disarmato della sua arma d’ordinanza. La stessa notte furono fatte saltare in aria la sede della tedesca Kalle Infotec (materiali per ufficio) e la concessionaria bolognese della Volkswagen. Fu quello fu il modo per rendere un ultimo saluto ai compagni della RAF caduti a Stammheim.