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Ritorno in paradiso

Dalla rivista ecologista “Do or Die” [da Rivista Malamente #27, dic. 2022. Scarica il PDF]

Cosa accadrebbe se un giorno venissero abbandonate le metropoli? Se quegli spazi coperti di asfalto e cemento, brulicanti di umani e merci, alimentati da combustibili ed elettricità, soffocati dalle loro scorie, fossero di punto in bianco liberati dalla virulenza dei loro abitanti? Questo articolo – tratto dalla rivista ecologista “Do or Die” (n. 10, luglio 2003), tradotto in opuscolo da Istrixistrix e qui riproposto con una nuova revisione – traccia con una qualche attendibilità scientifica le tappe e i passaggi che segnerebbero nei decenni e secoli successivi all’abbandono la riconquista del territorio da parte delle forze naturali. In fondo, nella vita del pianeta, la nostra specie è solo di passaggio. Quello che ha edificato cadrà e, prima o poi, perfino le macerie saranno spazzate via.

«L’inferno è una città molto simile a Londra» scrisse Shelley due secoli fa. Ma non è sempre stato così. Prova a immaginare un periodo dieci volte più lontano nel passato dell’epoca di Shelley, quando il panorama in Parlament Square era molto diverso. Là dove ti trovi adesso, un grazioso ruscello scorre giù dalle colline di Hampstead. Proprio di fronte ci sono le sponde piene di canneti dei meandri del Tamigi. Sulla destra, dove verrà eretta l’Abbazia di Westminster, c’è Thorney Island [Isola Spinosa], chiamata così per l’abbondanza di rovi selvatici. Dietro c’è la quiete dei campi contornati da salici. Ancora un migliaio di anni fa, quando Edoardo il Confessore la stava prendendo in considerazione come sito per la sua grande abbazia, Thorney Island era un posto tranquillo e rustico. «Un luogo delizioso, circondato da terre fertili e campi verdi», scrisse un monaco nella sua biografia di Edoardo.
È possibile far tornare indietro l’orologio, e che Londra sia di nuovo un paradiso silvestre? Se hai mai nutrito il desiderio di vedere il traffico svanire, gli edifici crollare e le colline e le valli di Londra di nuovo piene di fiori, di alberi e del canto degli uccelli, non sei solo. Verso la fine dell’Ottocento il naturalista Richard Jefferies era così disgustato dalla sporcizia della capitale da scrivere After London, romanzo in cui i londinesi si estinguono in modo misericordioso e la città ritorna rapidamente a essere una palude.
Ma cosa accadrebbe realmente se Londra tornasse alla natura? Supponiamo che questo fine settimana i londinesi fuggano in seguito a un incidente nucleare tipo Chernobyl. O che le notizie della sera annuncino che è stato rilasciato un virus geneticamente modificato, come nel film 28 Days Later. Oppure, che improvvisamente i londinesi si sentano così male a causa della vita in città da seguire il consiglio di Shelley e fuggire «verso i boschi selvaggi e le colline erbose». Quanto impiegherà Londra abbandonata per tornare a essere un paradiso rurale? In che modo la natura prenderà il controllo?

2023 -2028

«Molte città hanno già il potenziale biologico – microrganismi, nematodi del terreno, lombrichi e così via fino ai più grandi invertebrati – per dare inizio rapidamente a quei processi naturali che ora subiscono l’interferenza degli esseri umani per il semplice fatto che gli uomini siano lì attorno», dice John Hadidian, direttore del Programma di protezione di flora e fauna urbana presso The Human Society of the United States.
I cambiamenti iniziali sono familiari a ogni cittadino che combatte contro l’invasione di piante e arbusti. Durante il primo anno, tarassaco e altre piante cominciano a crescere nelle grondaie o sbucano dalle crepe provocate dal ghiaccio e dalle piogge nel cemento, nelle piastrelle e nei muri. Ma queste piante sfruttano solo debolezze già esistenti. Arbusti come la buddleia sono molto più aggressivi: le sue radici sono abbastanza potenti da penetrare nei mattoni e nella calce per trovare l’umidità, come sostiene il botanico Anthony Bradshaw, già ricercatore dell’Università di Liverpool. La buddleia cresce in fretta e i suoi semi leggeri vengono dispersi con facilità dal vento. Portata in Gran Bretagna dall’Himalaya per adornare i giardini vittoriani, oramai si trova ovunque a Londra, pronta a sbarazzare la città da cemento e mattoni.
La lettiera creata da queste piante, oltre al sottile strato di muschi e licheni, gradualmente si assesta come un fine strato di terra sopra cemento e asfalto, permettendo ad altre piante di disseminarsi. Nel giro di cinque anni le strade, i marciapiedi, i parcheggi e le grandi piazze della città sono ricoperte da un tappeto vegetale e da un ricco manto erboso di trifoglio.
Le piante che fissano l’azoto, come il trifoglio, attecchiscono per prime perché il terreno contiene molta sabbia e detriti generati dal disintegrarsi dei mattoni e del cemento ed è ancora povero di nutrienti. Per lo stesso motivo l’ontano, che fissa anch’esso l’azoto, sarebbe il primo albero ad attecchire. Gradualmente, queste piante fanno spazio a specie meno adattabili. Una base di erbe e arbusti si espande sopra la città. Mentre lo strato di terra si accumula, trovano appiglio le piante dalle radici profonde. Gli alberi iniziano a crescere e le loro radici frantumano, passandoci attraverso, ciò che è rimasto della pavimentazione stradale e dell’asfalto che avevano sigillato ermeticamente la terra quando gli umani avevano il dominio.
La città di Pripyat, vicino a Chernobyl, dimostra quanto velocemente la natura possa prendersi la sua rivincita. Pripyat era la più moderna tra le città sovietiche, costruita dai lavoratori del nucleare di Chernobyl. Già nei primi anni Duemila, afferma Donald Bruce, ex ispettore che ha visitato Pripyat, il lastricato di blocchi di cemento di una delle piazze della città si è frantumato e, in alcune parti, è stato alzato di circa un metro dalle radici degli alberi, come se fosse stato colpito da un enorme terremoto.
Il ritmo del cambiamento accelera dopo che Londra è colpita da incendi e inondazioni. L’inizio dell’autunno del quinto anno dopo il suo abbandono è un momento in cui è probabile si verifichino degli incendi. Per le strade si è accumulata una lettiera superficiale di erbe e foglie morte. Un’estate secca, un colpo di fulmine, e la città è in fiamme. Il fuoco sventra gli edifici che ancora dominano il paesaggio di Londra: le case bruciano e i tetti cominciano a crollare. Il legno divorato dalle fiamme offre il fertilizzante per accelerare il ritorno di Londra al suo passato. «Le piante ne verrebbero davvero rafforzate, traendo vantaggio dall’azoto messo a disposizione dal materiale combusto», dice Hadidian.
Prima del fuoco Londra è semplicemente una città derelitta. Nei cinque anni seguenti le piante sono pronte a prendere il sopravvento allorché un’altra potente forza della natura – le alluvioni – inizia a colpire la città.

2028 -2033

Andati via gli umani, le alluvioni sono inevitabili. Il 12 gennaio 1996 le barriere anti-alluvione del Tamigi sono state chiuse per contenere i danni provocati dalle ondate durante tre maree consecutive, generate dalla combinazione di una forte tempesta e della marea equinoziale. Senza le barriere anti-alluvione, dice Mervyn Littlewood, ingegnere delle maree presso l’Hydraulic Research di Wallingford, le ondate avrebbero potuto abbattersi sul centro di Londra e danneggiare gli argini che lo proteggono. «Quindi, in un tempo relativamente breve, ci sarebbero delle inondazioni regolari provocate dalle maree equinoziali»; ma anche senza una tempesta, dice Littlewood, l’abbandono assicura il fatto che gli argini del fiume vengano lentamente erosi e danneggiati dalla subsidenza. Alcune volte all’anno, e poi più di frequente, i terreni lungo le sponde del Tamigi vengono allagati e gradualmente ritornano a essere paludi.
Alla chiusura del primo decennio dopo l’abbandono, la vita selvatica comincia a prendersi quel che le spetta. Piante comuni come il camenèrio, che cresce in luoghi rovinati incessantemente dall’uomo, lasciano spazio al vero fiorire della natura. Le orchidee riappaiono di nuovo nel centro di Londra. Il fiume, le ferrovie e i canali forniscono ampie vie di collegamento tra il centro di Londra e la campagna circostante, aiutando le antiche presenze a diffondersi di nuovo in città.
Le sue punte avanzate sono già qui. Il Parco naturale di Camley Street vicino al Regent’s Canal, nel nord di Londra, è un’area che un tempo faceva parte della foresta del Middlesex. Andy Littlewood, che gestisce il Parco per conto della London Wildlife Trust, dice che contiene cinque orchidee maculate comuni, i cui semi probabilmente sono arrivati lungo il canale da qualche lontana sorgente. Inoltre contiene un ampio laghetto, la cui popolazione ittica viene sostenuta dagli avanotti provenienti dal canale. Se mai Londra venisse evacuata, Littlewood crede che il Parco in sé funzionerebbe da riserva di semi e da vasca per colonizzare terreni più lontani.
Con le piante arrivano farfalle, api e altri insetti e invertebrati. Seguono insetti più grandi, uccelli e infine, una volta ricostruitasi la catena alimentare, mammiferi. In breve, perfino il centro di Londra è pieno di farfalle, così come di gheppi, volpi, ricci, pipistrelli e – quando al passaggio delle inondazioni rimangono vasche e paludi nella zona più vicina al fiume – rospi, rane e tritoni. Nel terreno che si sta sviluppando crescono le betulle.
Ma non tutta la vita selvatica della Londra abbandonata è interamente naturale. I due lupi grigi dello Zoo di Londra si sono moltiplicati e incrociati con cani domestici inselvatichiti. Bernt Jones dell’Università di Uppsala, in Svezia, sostiene che i cani più grandi, come i pastori tedeschi, possono benissimo sopravvivere allo stato selvatico e rivelarsi compagni adatti per i lupi. Le razze di cani più piccole semplicemente forniranno loro il pranzo. I gatti se la cavano meglio. Uno studio del 1993 sul contenuto dello stomaco e sul comportamento dei gatti selvatici ha dimostrato che il 75% della loro dieta proviene da cibo lasciato loro apposta dagli umani, mentre il resto proviene da cibo trovato in giro. Tuttavia altri studi hanno dimostrato che i gatti di città uccidono molte prede anche se poi non le mangiano, soprattutto uccelli, seguiti da piccoli mammiferi come topi e ratti. Secondo Hadidian, sarebbe molto più facile per i gatti «riscoprire i loro geni selvatici» rispetto ai cani.
Molti animali che noi crediamo siano “selvatici” scompaiono durante il primo decennio, dal momento che dipendono dal cibo e dal riparo fornito dagli esseri umani: non ci sono più i vasti stormi di piccioni in Trafalgare Square e i topi domestici spariscono. I topi di fogna non se la passano meglio. «Il motivo per cui ci sono topi è perché ci sono persone», sostiene Dave Cowan che lavora per il ministero al Laboratorio centrale di scienze dell’agricoltura, pesca e alimenti di Slough. Arvicole, topi selvatici e altre specie rurali ritornerebbero a «riempire la nicchia», dice Oliver Gilbert, reader in architettura del paesaggio all’Università di Sheffield.
Mentre le betulle invadono il Mall – grande strada che separa il Green Park dal St. James Park – e molte parti del centro di Londra si riempiono di edifici bruciati, sommersi da rampicanti e da arbusti che spuntano dalle sporgenze e dalle crepe nei muri, la città assediata resiste ancora contro l’assalto furibondo della natura. Gli edifici in cemento e acciaio nel distretto finanziario della City e della zona est verso Canary Wharf sono di una solidità enorme. Sebbene le strade siano diventate verdi, questi palazzi sembrano solamente abbandonati. Le finestre sono rotte, oppure sono venute via dal telaio, e il cemento è annerito dal fumo degli incendi. Ma la loro struttura è in buona forma come sempre, o addirittura meglio perché, come dice Tim Burstein del Dipartimento di scienza dei materiali all’Università di Cambridge, senza la gente non ci sarebbe l’inquinamento provocato dai veicoli e dalle industrie e la pioggia sarebbe meno acida di adesso. Questo aiuta a preservare il cemento, che è alcalino. La condizione degli edifici è una buona notizia per gli uccelli che nidificano sulle scogliere. Alla fine del primo decennio, il complesso di tubi e scale che adornano il palazzo della Lloyd sostiene una cospicua popolazione di gheppi, sparvieri e persino qualche poiana dalle zampe pelose.

2033-2083

Alcune delle altre strutture di cemento – come i ponti di Londra – non avrebbero vita facile dopo la partenza degli esseri umani. Blackfriars Bridge e alcuni tra gli altri ponti di metallo che attraversano il Tamigi hanno bisogno di una riverniciatura regolare e trenta anni dovrebbero bastare per farli cadere in rovina, dice Littlewood. I massicci pilastri in muratura reggono più a lungo, ma cinquant’anni dopo l’abbandono i ponti stanno crollando: «sorgerebbero una serie di sbarramenti lungo il corso del fiume, laddove cadono le macerie», dice Littlewood. Negli anni ’70 i salmoni sono tornati nel Tamigi, dopo che è stato ripulito, ma non vi depositano ancora le uova. Nella nuova Londra liberata dall’inquinamento il salmone supera con un balzo le barriere artificiali per trovare la via verso le zone in cui deporre le uova risalendo il fiume.
Venti o trent’anni dopo la partenza degli esseri umani, boschi di betulle riempirebbero rapidamente gli spazi aperti, dice David Goode, direttore della London Ecology Unit. Altrove regna un impenetrabile strato formato da un folto boschetto di sambuchi alti forse fino a cinque metri. Quando le betulle maturano e alcuni alberi cadono, andando ad aumentare la lettiera depositata sul terreno, arrivano il sicomoro e l’acero.
«L’intero paesaggio cittadino che è stato costruito cambierebbe in modo abbastanza drammatico nel giro di trent’anni», dice Goode. L’edera, portata dagli uccelli dai cimiteri vittoriani in cui prospera, sta scendendo giù dai tetti dei grattacieli, fornendo a Canary Wharf e a Centre Point un cappello verde che si espande. L’edera si arrampica anche da terra e raggiunge probabilmente un’altezza massima di quaranta metri, sostiene Gilbert.
Le costruzioni in legno sarebbero le prime a sparire del tutto, dice Hari Srinivas del Dipartimento di ingegneria sociale del Tokyo Institute of Technology, seguite da quei materiali che tengono incollati insieme gli edifici – tramezzi, isolanti, ecc. – materiali che gli insetti distruggono facendoci dentro il nido. Passeri comuni, piccioni e altri uccelli che nidificano all’interno degli edifici cittadini di solito sono accompagnati da insetti che vivono nei loro nidi. Una volta andati via gli uccelli, gli insetti colonizzano tappezzerie e piante.
I resti delle case costruite in mattone e pietra sono ancora chiaramente visibili nel mezzo della foresta che cresce. Tubi d’acciaio e cavi di rame sono arrugginiti ma ancora riconoscibili. Ma siccome gli alberi crescono e si radicano in mezzo alle macerie, iniziano a venir giù sempre più muri. Una lettiera di foglie si accumula su mattoni e detriti, ammorbidendo i loro duri spigoli. Ci vogliono ancora due secoli prima che siano ridotti a misteriose collinette al di sotto del manto erboso, e prima che le gigantesche torri di cemento che dominano ancora lo skyline al di sopra degli alberi vengano infine giù.

2083-2583

Gli edifici londinesi in mattoni sono stati sventrati dal fuoco, scalzati dall’acqua, battuti dal vento e infiltrati dalle radici delle piante e dagli insetti. Quelli più vicini ai fiumi – il Tamigi e i suoi affluenti, tra cui i molti fiumi sotterranei di Londra come il Fleet che scorre lungo Farringdon Road – sono i primi ad andarsene, dice Heather Viles, lecturer di geografia fisica all’Università di Oxford. Adesso anche le strutture in cemento e acciaio stanno soccombendo. Dopo duecento anni molti di questi edifici stanno andando in rovina, se non sono addirittura sull’orlo di crollare. Finché il cemento è rimasto alcalino, le barre d’acciaio che lo rinforzano hanno retto contro la corrosione. Ma il diossido di carbonio contenuto nella pioggia ha gradualmente trasformato in carbonato la superficie del cemento ed è riuscito a penetrare all’interno, mentre l’acido derivato dal decadimento della materia organica nel terreno ha infiltrato le fondamenta.
Una volta corroso l’acciaio, la fine è rapida. I prodotti della corrosione occupano tre volte il volume dell’acciaio stesso, dice Burstein, perciò quando l’acciaio si arrugginisce si espande fino a frantumare il cemento che lo ricopre. «Probabilmente questo è il danno maggiore che si vedrà in edifici come Canary Wharf e quelli della City, quando i rinforzi in acciaio iniziano a corrodersi», spiega Alan Poole dell’Unità di geomateriali del Queen Mary and Westfield College di Londra.
A questo si aggiungono gli effetti dell’acqua sotterranea che sale. Londra, dice Viles, sta già avendo dei problemi soprattutto a causa dell’esodo delle industrie, che significa che molta meno acqua sotterranea viene pompata fuori per usi commerciali. Siccome l’acqua cresce ancor di più, vasti edifici dalle fondamenta in cemento posate nell’argilla sprofondano e si inclinano. Le fondamenta di Canary Wharf sono un’enorme massa di cemento e rinforzi d’acciaio. Due o trecento anni dopo l’abbandono, quando l’argilla si impregna d’acqua e l’acciaio si è corroso, l’intera torre comincia a pendere. A metà del XXIV secolo la Grande torre pendente di Canary Wharf è un’attrazione turistica di prim’ordine. I nipoti dei nipoti di quelli che abbandonarono Londra, tornati ad affacciarsi da queste parti, ora fanno eco-crociere sul fiume, guardando le sponde fiancheggiate dal sambuco e dal salice e la piana alluvionale alle sue spalle coperta dal pioppo e dal frassino. In lontananza una vasta foresta di querce si espande sulle basse colline in direzione di Hampstead Heath. La Isle of Dogs, che si alza di poco sopra il livello delle acque, è ritornata a essere completamente paludosa. Al di sopra dei canneti e del fango si erge la grossa torre rivestita di edera, con un angolo d’inclinazione pazzesco, un monumento all’orribile città che fu.
Il fiume domina il paesaggio. Dall’alto, volteggiando, una poiana vede una Londra completamente trasformata. Dopo cinquecento anni senza l’intervento umano, il Tamigi non assomiglia per niente a com’è oggi. «Il fiume che attraversa il centro di Londra è più stretto di come sarebbe naturalmente, a causa della bonifica delle terre ai suoi margini», dice Mervyn Littlewood. «Se gli fosse permesso di badare a sé stesso probabilmente sarebbe meno profondo e più ampio». Alla fine arriva a raggiungere la larghezza che aveva nella Londra pre-romana, quando Southwark, sulla sponda meridionale di London Bridge, era terreno di fango e palude. Buona parte della città ritorna a essere foresta su un’area soggetta ad allagamenti.
Ma i naturalisti, nelle loro avventure in quello che fu il centro di Londra, possono ancora scorgere il lavoro degli esseri umani. Londra non è mai ritornata completamente alle sue vere origini. Gli umani hanno infatti portato troppe piante e animali da fuori. «Quando gli uomini sono arrivati con i loro commerci e interessi nell’orticoltura e nella coltivazione dei campi, la percentuale di importazione è accelerata enormemente e sono arrivate specie da tutte le parti del mondo», dice Gilbert. La foresta di Greater London contiene molte delle specie esotiche introdotte dagli esseri umani che possono adattarsi e sopravvivere senza di loro, come le «super-piante» ibride generate per la resistenza alle malattie. Nelle zone più secche la foresta di querce è frammezzata qua e là da specie forestiere come il sicomoro, l’acero norvegese, la quercia della Turchia e alcune conifere.
A un certo punto, forse cinquecento anni dopo l’abbandono, la Grande torre pendente del centro direzionale di Canary Wharf crolla. «Alla fine crollerebbe, probabilmente in una notte tempestosa», dice Poole. È improbabile che essa, come ogni altro edificio moderno, duri così a lungo come alcune grandi costruzioni in pietra del medioevo. «Guarda Ely Cathedral, vecchia di mille anni, con una lieve inclinazione, ma notevolmente stabile», dice Burstein. «La sovrastruttura può darsi sia vacillante, ma le fondamenta sono sorprendentemente resilienti». In una piana alluvionale come quella di Londra, dopo mille anni, l’inondazione delle fondamenta e il movimento naturale del suolo lasceranno in piedi pochissimi edifici. Per quel momento sia le querce sia le foreste in aree soggette ad allagamenti saranno mature e le macerie di Canary Wharf inghiottite dalla palude.

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