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Queer Anarchy in St. Imier

Da Rivista Malamente n. 30, set. 2023 (QUI IL PDF)

Intervista di Vittorio a Anna, Eli, Fiona, Flip

Dal 18 al 23 luglio nella cittadina di Saint-Imier in Svizzera si è svolto il raduno anarchico internazionale a 150 anni dalla nascita del movimento anarchico organizzato (settembre 1872). Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Bakunin e Kropotkin portavano lunghe barbe arruffate e cravattini neri alla Lavallière. Oggi l’anarchismo è più vivo che mai, ma l’estetica e le pratiche che marcano lo stile di migliaia di giovani attivisti e attiviste sono senz’altro queer e al tradizionale nero si sono aggiunti tutti i colori dello spettro. Lo stile queer contraddistingue la maggior parte dei partecipanti tra i venti e i trent’anni a questo vivace campeggio, dove ogni giorno si condividono idee e pratiche di lotta in più di duecento workshop e eventi. Migliaia di giovani si sono incontrati in una polifonia gioiosa e creativa, a volte caotica e leggera, altre di una intensità e radicalità spesso ancora invisibili nello spazio pubblico del nostro disgraziato paese. Questa intervista raccoglie le voci di giovani militanti provenienti dagli USA, dalla Francia e dal Regno Unito, che vivono attualmente in diversi progetti di abitazione collettiva a Berlino. Nell’intervista presentiamo i partecipanti con i pronomi con cui hanno scelto di essere chiamati secondo il genere nel quale si identificano, secondo una pratica ormai consolidata in ambiente anglosassone. Abbiamo mantenuto nel testo la pluralità di identità utilizzando il maschile e il femminile in modo inclusivo, senza appesantire il testo con particolari segni ortografici.

Vittorio (he/him): Inizierei con una domanda molto elementare perché ho notato nello spazio dell’editoria anarchica, ma anche tra la gente che sta partecipando a questo incontro, l’associazione tra anarchia e queer. Cosa significa, questo per voi? È questo l’abbinamento perfetto? Il nuovo abbinamento? Di cosa stiamo parlando?

Eli (they/them): L’anarchia queer è la creazione del genere e dei ruoli di genere, e la creazione di reti di relazioni basate sull’amore, sulla cura reciproca, sull’impegno profondo per l’amicizia. Questa è l’etica delle comunità queer, e i movimenti e le comunità anarchiche hanno davvero bisogno di quest’etica, in modo da poter diventare spazi amabili e sostenibili, che creano una cultura in cui le persone rimangano e si impegnino a lungo termine. Quindi l’anarchia queer mi sembra una combinazione naturale e necessaria, perché penso che le relazioni del patriarcato e dell’eterosessualità cis siano molto dannose per tutte le persone coinvolte, compresi gli uomini cis. La politica queer offre un’alternativa che è molto più forte, che ha più probabilità di generare un futuro anarchico.

Fiona (she/her): Sì, penso che sia così. Ne abbiamo già parlato un po’ ieri, ma per me si tratta molto di capire come la cultura queer, o la cultura tra persone queer, conduca all’anarchismo. Perché ancora esiste l’immagine dell’anarchico associata alla mascolinità e alla tattica specifica di distruzione delle proprietà, associata all’immagine della violenza e a stereotipi più maschili. Credo che, almeno per quanto riguarda la mia esperienza, la cultura anarchica queer sia molto incentrata su come ci prendiamo cura l’uno dell’altro, come costruiamo reti sostenibili di assistenza e come rendiamo questo anche un agire politico. Quindi per me si tratta di rivalutare tutto il lavoro riproduttivo, tutto il lavoro di cura, tutto il lavoro di costruzione di relazioni, che è stato femminilizzato per molto tempo.

Penso sia importante affermare che questo è, anche, davvero rivoluzionario e molto importante per la lotta perché è questo che ci fa costruire reti sociali sostenibili. Sono necessarie entrambe le facce, quella distruttiva (la distruzione della proprietà), ma anche quella costruttiva. E mi sembra che l’anarchismo queer contribuisca al movimento soprattutto con questa seconda parte. Anche se ovviamente molti anarchici queer stanno nello scontro diretto con lo Stato e non vogliamo essere assegnati e assegnate a quella sfera di lavoro storicamente femminilizzata. Mi sembra però che il contributo più specifico della cultura queer sia nell’altro lato della medaglia. Questa è la mia prospettiva.

Flip (he/him): La prima cosa che mi viene in mente, anche ascoltando le vostre risposte, è come continuare a essere imprevedibili. Penso che nell’anarchismo si parli molto di rimanere decentrati e che le tattiche illeggibili per lo Stato siano una delle nostre armi più forti: la queerness fornisce questa base per cambiare e spostarsi costantemente, per essere ingovernabili nella forma più elementare e fondamentale cioè sfidando ciò che è totalmente assunto come normale, ovvero il binarismo di genere e l’eterosessualità. Oltre a questo, parte della funzione principale dell’eterosessualità in una società capitalista è quella di riprodurre lo stesso mondo, letteralmente, facendo figli e facendo sì che ogni generazione ricrei continuamente lo stesso mondo. Penso invece che per le persone queer – per il solo fatto di essere queer – molte di queste norme sulla creazione dello stesso vecchio mondo capitalista vengano messe in discussione, in quel processo che porta a domandarsi: “beh, se non mi sto riproducendo, se non sto creando di nuovo lo stesso vecchio mondo, allora cosa sono qui a fare?”.

Non credo che la queerness sia di per sé necessariamente anarchica ma, per quanto mi riguarda, non voglio che la mia queerness diventi una pratica assimilata in cui riproduco il vecchio mondo. Quindi credo che per me sia evidente il legame tra queerness e anarchismo; li vedo in un certo senso indispensabili l’uno per l’altro. Ho bisogno che la mia queerness continui a essere imprevedibile, quindi ho bisogno che sia anarchica. E ho bisogno che il mio anarchismo non diventi mai una cosa abitudinaria, non cessi mai di essere dirompente, quindi ho bisogno che sia queer.

Anna (she/her): Credo che, per come la vedo io, in una società libera sia necessario sbarazzarsi di tutte quelle strutture contro cui i queer già vivono: il patriarcato, l’eterosessualità. Il tipo di mutuo appoggio che si crea nei circoli queer è un modello di società libera. Se si guarda alla crisi dell’AIDS e al modo in cui gli omosessuali si sono organizzati contro lo Stato e hanno avanzato richieste, e al modo in cui le persone si sono prese cura l’una dell’altra quando le strutture ufficiali non esistevano, questo è bellissimo ed è anche ciò di cui abbiamo bisogno. Questa è la mia visione. Credo che la mia anarchia sia così radicata nella mia visione del mondo che non riesco a vederla come separata dalla queerness. Il desiderio di non essere assimilati e il desiderio di liberarsi dalle costrizioni in cui ci troviamo mi sembra che siano lo stesso impulso, ma che si manifestino in modi diversi.

Grazie, possiamo passare alla seconda domanda. Qui a Saint-Imier, dieci anni dopo l’ultimo meeting, si nota come lo stile, le attitudini queer siano diventate egemoni tra i giovani partecipanti. Le pettorine fucsia del “care team” hanno sostituto il vecchio concetto di servizio d’ordine, l’inclusione di tutte le diversità è una pratica centrale in tutti gli spazi. Alcune cose stanno evidentemente cambiando. Da dove nascono queste nuove idee e queste identità? Pensate che ci sia stato un apprendimento dalle generazioni precedenti di anarchici e anarchiche o lo vivete piuttosto come una rottura?

Eli: È una rottura. C’è anche una sorta di conflitto con la vecchia generazione. Tuttavia, credo che le tradizioni di cura e di relazione reciproca profonda esistano da molto tempo. Quando Anna ha parlato, la prima cosa che mi è venuta in mente sono le tradizioni femministe nere e la cultura indigena di relazioni amorevoli e centrate. Penso anche che le comunità queer siano sempre state costrette a entrare in reti di cura e amore per necessità. Al di fuori della struttura familiare etero sorge il bisogno di trovare modi per sostenersi a vicenda emotivamente, finanziariamente e materialmente. Non mi sembra una pratica nuova, ma lo sento, lo vedo e l’ho anche sperimentato, sono stato in spazi anarchici per circa otto o nove anni. In questo periodo ho assistito a un cambiamento. Penso che ci siano molti fattori che probabilmente sono in gioco per rendere più popolare la politica queer negli spazi e nelle scene politiche, fattori che hanno a che fare con internet e con le cose che stanno prendendo piede in generale nella società. Ma non credo che questo sia un concetto nuovo che i queer anarchici stanno portando nella discussione. Penso che lo abbiamo imparato da altre tradizioni di lotta e, comunque, anche la cultura queer ha già una storia molto lunga.

Fiona: Penso che abbia senso che siano i queer ad aver avuto l’opportunità di costruire questa cultura della cura, perché se vieni cacciato dalla tua famiglia, se non trovi spazio nella famiglia nucleare, allora devi costruire altri modi di relazionarti. Il concetto di famiglia scelta, negli spazi queer, per me parla molto anche di questo. È come se scegliessimo la nostra famiglia, scegliessimo i nostri parenti, e quindi dobbiamo imparare a relazionarci l’uno con l’altro in un modo che non si riproducano le cose che abbiamo sperimentato nella famiglia nucleare. Forse questa è una nota a margine, ma in realtà sento che questo è anche un altro modo in cui per me la queerness è connessa all’anarchismo: l’uscire dalla famiglia nucleare. Perché è la cellula iniziale della struttura capitalista in cui l’eredità viene tramandata, penso che questo mettere in discussione la struttura della famiglia nucleare e costruire di più relazioni tra compagni o tra persone che amiamo o tra i nostri vicini, sia per me un passo verso l’anarchia.

Anna: Non sono stata qui dieci anni fa, e sicuramente non ero qui venti anni fa, ma la società è cambiata così tanto in vent’anni. Voglio dire, non so come sia in Italia, ma nel Regno Unito, sai, la differenza tra il 2013 e il 2023 in termini di accettazione sociale, per esempio, della transessualità e della queerness è semplicemente come la notte e il giorno. È così… così diverso. Noi anarchici e anarchiche viviamo in questa società e credo che alcuni dei cambiamenti a cui probabilmente stiamo assistendo siano anche i lunghi effetti del movimento femminista degli anni Settanta. Penso che il femminismo della seconda ondata, con tutte le sue storture e le sue svolte e la sua ostilità, a volte totale, nei confronti delle persone trans, abbia fatto comunque molto per trasformare la realtà vissuta del genere nella società. E questo sta iniziando a emergere in un numero sempre maggiore di modi. Sì, sempre più persone dicono: “va bene essere queer, va bene essere trans, è persino bello”. Sicuramente quando avevo 13, 14, 15 anni non c’erano modelli positivi per le persone trans nei media, nel mondo. E ora sembra che ci cadano addosso quando esci dalla porta la mattina. Sai, c’è anche un sacco di merda là fuori, ma è cambiato molto. Credo che ci siano più persone disposte a sperimentare, a provare cose diverse, e la società nel suo complesso è cambiata in questo senso.

Non so cosa c’entri l’anarchismo in particolare, ma se passi un po’ di tempo su Twitter e guardi tutte le giovani donne trans, le ragazze trans, molte di loro sono politicamente radicali. Penso che ci sia stata una radicalizzazione generale delle persone più giovani rispetto a venti anni fa. E penso che la popolarità delle idee queer e trans e la radicalizzazione politica siano andate di pari passo. Non so bene perché, ma mi sembra che qualcosa sia cambiato un po’ dopo il grande crollo finanziario del 2008, quello è stato il mio momento di maturazione politica, quindi ho l’impressione che molte cose siano cambiate in seguito.

Flip: Forse questo non risponde alla domanda iniziale, ma credo che, a causa del gran numero di attacchi in tutto il mondo contro le persone trans, il femminismo trans-queer sia in realtà una prima linea antifascista e che il queering del genere sia un’espressione per immaginarsi il superamento dell’alternativa fascista che viene proposta da tutte le parti. Se pensi a questo incontro a cui stiamo partecipando, vediamo che sono state messe in funzione delle strutture come un’équipe di cura o un’équipe di accesso, e si capisce che queste iniziative derivano dal bisogno di prendersi cura di noi stessi e di proteggerci. Alcune di queste cose derivano anche dalla storia dell’AIDS e dalla consapevolezza che lo Stato non ci avrebbe fornito le informazioni o le medicine o le cure di cui avevamo bisogno. Quindi abbiamo dovuto iniziare a costruire queste complesse infrastrutture e reti per salvarci letteralmente la vita l’un l’altro o per prenderci cura l’uno dell’altro nei momenti più difficili di dolore. E il fatto che queste idee oggi vengano trasferite in questi spazi è davvero fantastico.

È fantastico che altri se ne approprino anche se ho sempre la preoccupazione che quando le pratiche vengono scollegate troppo dal loro contesto e dalla loro storia si perda qualcosa. Quindi penso che sia bene continuare ad avere conversazioni sull’origine di queste pratiche per continuare a vedere la cura come una pratica queer, che viene da una storia queer. E penso che in questo modo ci siano meno opportunità di frammentazione e di scontro con le generazioni precedenti. Penso che sia giusto fare delle critiche ma è importante anche mantenere una certa continuità.

Anna: A proposito di antifascismo e transfobia, nel contesto britannico – che è quello che conosco meglio – i fascisti usano gli attacchi alle persone trans e queer come strategia di prima linea. Da questo punto di vista la situazione nel Regno Unito è molto intensa. Anche le femministe di sinistra hanno spesso posizioni anti-trans, una cosa che, ora, nel Regno Unito, è diventata piuttosto rispettabile. Non era così normale cinque o sei anni fa essere transfobici.

Succedeva, alcune persone lo erano, ma non era una cosa bella, o meglio, non era considerata una cosa accettabile mentre adesso, anche nei media liberali, la transfobia è diventata una posizione mainstream. E si vedono insieme anche l’estrema destra e le femministe transfobiche. Non vorrei definirle femministe ma, come dire…, c’è un’ala del movimento transfobico, una sorta di movimento critico di genere, che si allea esplicitamente con l’estrema destra. Ho visto questa cosa su Twitter di recente dove c’era qualcuno che in una manifestazione stava facendo un discorso citando il Mein Kampf. In una manifestazione contro le persone trans. Era fottutamente folle. Quindi, sì, penso che stiano succedendo cose davvero strane e, non so… non è che il nemico del tuo nemico sia necessariamente tuo amico, ma quando i fascisti stanno combattendo così duramente contro la fluidità e l’espressione di genere e la sessualità… bisogna domandarsi qualcosa, e l’anarchismo non può permettersi di perdere su questo piano.

Una domanda difficile. Mi collego a un argomento che discutevamo anche nella nostra rivista, nel nostro collettivo. Come rispondete alla tendenza del capitalismo di appropriarsi e di usare al suo interno ogni pratica culturale? Tutto questo ha un legame, ad esempio, con la riproduzione artificiale dell’umano, ha a che fare anche con le posizioni transumane, transumaniste. Quindi, se conoscete questo dibattito, vorrei chiedervi se avete una posizione in merito, se avete delle preoccupazioni, oppure, qual è la vostra idea?

Eli: Personalmente, la prima cosa che emerge in me è il bisogno di separarmi dalla prospettiva transumanista. Perché, perché, beh, perché sono scettico sulla relazione, sulla capacità di separare il capitalismo e la tecnologia transumanista, sono abbastanza sospettoso di una visione utopica, tecnocratica, pseudo anarchica. Non condivido questa visione del mondo. Il mio femminismo e il mio femminismo queer sono profondamente legati alla terra e a un modo di relazionarsi che si allontana dal capitalismo e dalle sue tecnologie. Questo mi sembra molto coerente per me. Non vedo la politica queer come se fosse un progresso verso una visione utopica in cui forse la riproduzione avviene totalmente al di fuori del corpo. Esistono anche queste idee, che capisco da dove vengano, specialmente tra le persone trans. Ma io non vedo il passare del tempo e il progresso tecnologico in questo modo. Piuttosto, vedo la mia politica queer come un ritorno e una connessione più profonda con la terra e vedo il nostro rapporto con la terra e con l’altro come una parte del femminismo.

È vero che il capitalismo ha una incredibile capacità di appropriarsi delle identità queer, ma non solo di quelle queer. Su internet vedo anche l’appropriazione di cose come ACAB o di idee, mode e slogan molto radicali. E penso che con l’aiuto dei social media e di internet, il capitalismo sia estremamente potente nel rivendere le nostre identità e nel vendere le identità degli altri. Penso che quella del recupero sia una minaccia reale, ma penso anche che questo sia il punto in cui la queerness e l’anarchismo si appartengono, perché se il nostro anarchismo è vero nel senso che è anti-capitalista e anti-stato fino in fondo, e noi siamo anarchici queer, allora la nostra politica è una negazione del capitalismo e non potrà essere recuperata. Eppure vedo che questo accade continuamente e mi disturba molto.

Noto anche che la queerness va di moda, che ora è cool e sexy. Ed è anche per questo che la si vede ovunque. Ed è anche per questo che si vedono l’estetica e la cultura queer in spazi cis ed etero. Non credo che sia una cosa negativa, perché penso che la queerness, come abbiamo detto prima, abbia qualcosa da offrire anche alle persone cis ed etero. Tuttavia, il fatto che diventi un’estetica, come ha detto Flip, e che perda le sue radici nella tradizione, è per me personalmente doloroso. A volte mi sembra un attacco alla importanza e alla profondità del mio rapporto con questa identità. Quindi, sì, è qualcosa che mi preoccupa molto questa sorta di cultura o estetica queer capitalista.

Fiona: Penso alle opere che sono state scritte a New York da Sarah Schulman sulla gentrificazione della cultura queer. Durante la crisi finanziaria c’era una tendenza così rivoluzionaria, che essere queer era molto radicale. Era essere contro la famiglia. Era essere contro lo Stato e i poliziotti. Le sue ricerche mostrano il processo storico attraverso il quale l’identità queer è stata normalizzata. E così ora è molto, molto, molto ok, possibile e normalizzato essere in una coppia gay o lesbica, avere una casa, dei bambini e un cane e avere una vita molto normale, essere una famiglia nucleare e avere uno stile di vita molto normale, senza mettere in discussione lo Stato, senza mettere in discussione la normalità oltre l’eterosessualità. E quindi credo che per noi queer l’anarchismo ci riporti anche a quell’eredità davvero rivoluzionaria e ad affermare che quello che stiamo facendo e chi siamo deve essere una minaccia alla struttura della famiglia e dello Stato.

Anna: Io mi sento più tranquilla al riguardo. Viviamo nel capitalismo e il capitalismo funziona così. Certo, vogliamo porre fine al capitalismo, ma finché siamo nella società capitalista queste cose continueranno. Anche se ci sarà sempre qualcosa che il capitalismo non riuscirà a metabolizzare. Oggi lesbiche o coppie gay o altro possono vivere in case con due genitori con bambini, ma c’è ancora un aspetto dell’identità queer che il capitalismo non può semplicemente riconfezionare e normalizzare. E penso che ogni volta che il capitalismo prende sul serio le richieste dei movimenti sociali e si trasforma per accoglierle (come è successo con il movimento femminista alla fine degli anni Settanta) rimane sempre qualcosa da fare. C’è sempre la prossima battaglia. C’è sempre la prossima contraddizione che il capitalismo non può sopportare e, quindi, la necessità di continuare a lottare contro il sistema.

Questo mi sembra il modo strategico di affrontare la questione. Al momento non so quali parti della queerness il capitalismo non possa metabolizzare, ma credo che lo scopriremo nei prossimi cinque o dieci anni. E, per certi versi, il contraccolpo fascista che stiamo vedendo è motivato proprio da quello che capitalismo non riesce a metabolizzare.

Flip: Il capitalismo sta come sempre reificando le cose per sussumerle in se stesso. Immagino che la parola giusta sia “ottimizzabilità” come se il capitalismo cercasse sempre di ottimizzare il sistema. E questa è una cosa che mi spaventa molto. Non solo per quanto riguarda le persone trans nello specifico, ma per le persone queer in generale, il fatto di essere così rappresentate nei media in questo modo fa sembrare quasi possibile per tutti diventare una versione queer ottimizzata di se stessi. Che si adatta al capitalismo ed è perfetta in ogni modo. E questo si collega anche al transumanesimo, perché è come se molto di ciò che viene spinto da una tendenza liberale quale è la medicalizzazione abbia l’obiettivo di normalizzare un terzo genere come la transessualità.

È complicato, anche perché io mi sono impegnato in una transizione medica, ho fatto un intervento chirurgico e mi sono medicato con gli ormoni. In generale, penso che sia importante continuare a fare le cose alle nostre condizioni, in modi autonomi dal controllo sociale capitalista. Per me, questo riporta alla questione dell’imprevedibilità di cui ho parlato prima, cioè come facciamo a rimanere illeggibili? Come possiamo continuare a spingere contro le strutture che cercano di inghiottirci, assorbirci e governarci? Cosa significa questo? Penso che questo richieda una sorta di prospettiva relazionale, in cui ci muoviamo al di là dell’individuo, al di là dell’idea di ottimizzare se stessi. Potrei far sì che il mio corpo superi i suoi limiti naturali e diventi una cosa infinita a immagine del capitale? Non sto cercando di fare questo. In realtà sto cercando di avvicinarmi a ciò che mi rende vivo. E questa è una cosa finita. Sono un essere mortale e voglio essere connesso a un’ecologia. Penso che ci sia anche qualcosa di rilevante nel presumere che sia naturale essere cisessuali ed eterosessuali. In realtà, la transessualità è del tutto naturale.

Fa parte della natura. Tutti i nostri corpi fanno parte della natura e la natura è imprevedibile. Questa è la cosa che il capitalismo odia così tanto. Per me, quindi, non c’è opposizione binaria tra il transumanesimo e le pratiche basate sulla terra. Penso che in realtà ci sia un modo per riconciliarle. Ed è quello che cerco di fare come persona che in genere è molto contraria alla tecnologia digitale. Accetto comunque che tutta la tecnologia sia in fondo biotecnologia. Tutto ciò che usiamo cambia il nostro modo di interagire con il mondo, compresi gli ormoni, che possono essere ricavati dalla terra. Tutte queste cose sono naturali. Non ho le idee del tutto chiare ma credo che sia importante interrogarsi sempre su cosa significhi essere naturale. Penso che sia importante continuare a rifiutare di essere perfetti e completi. E continuare a vedere la nostra transessualità come una trasgressione del bisogno di essere perfetti o normali o qualcosa del genere.

Questo può anche significare rifiutare la rappresentazione, non permettere a noi stessi di essere così visibili, continuare a essere come clandestini. Vorrei che a volte potessimo sbarazzarci di tutte le serie di Netflix dedicate alle persone trans. Voglio dire, a un certo punto smetteremo di essere alla moda, giusto? A un certo punto faranno meno serie televisive con persone trans e allora potremo tornare a essere un po’ più tranquilli su tutto.

Allora posso tenermi la barba. Aspetto dieci anni e sarò di nuovo alla moda (ride). Vedete qualche luogo o qualche lotta che ritenete più importante in Europa? Voglio dire, siamo qui a Saint-Imier per incontrarci. Discutiamo, ci prendiamo il tempo per fare una chiacchierata come questa, ma poi ci saranno giornate di conflitti, di lotta anche dura. Cosa c’è al centro della vostra attenzione? In cosa siete coinvolti e coinvolte attualmente?

Flip: Prima di venire qui siamo stati alla fiera del libro anarchico dei Balcani. E la prima cosa che mi viene in mente è, in relazione all’ultima domanda, come alcuni ci abbiano riferito che in Serbia, per esempio, la maggioranza delle persone non ha realmente in mente la transessualità come problema, ma poi l’estrema destra, ricevendo articoli dall’estrema destra negli Stati Uniti sulle persone trans, importa l’idea che la transessualità sia un ideale liberale occidentale malvagio. Quindi, in termini di queerness, credo sia davvero importante che in tutta Europa ci sia una solidarietà internazionale più solida verso le persone trans, dato che il fascismo sta portando a una rinascita del controllo non solo sulle persone trans, ma sui corpi di tutti e tutte. Poi, una cosa che mi sembra davvero importante e che sono felice di vedere qui è l’idea abolizionista. Ieri ho partecipato a un seminario intitolato Abolire Frontex, mi piace l’idea che possiamo applicare questo quadro abolizionista, che negli Stati Uniti è esistito per lungo tempo (prima per l’abolizione della schiavitù e oggi per l’abolizione della polizia e delle prigioni), alle frontiere e al regime di frontiera dell’UE. L’idea che l’abolizione sia una cosa che significa distruzione totale, non riforma, mi sembra la prassi anarchica più importante e urgente, dato che la catastrofe climatica si aggrava e ci sono sempre più persone che hanno bisogno di spostarsi.

La prima linea più urgente è quella di assicurarsi che le persone che sono vittime del fascismo o della catastrofe climatica, o di entrambi, siano in grado di muoversi. E sì, sembra che i confini e le prigioni siano i più rappresentativi di tutto ciò che odiamo nella società e della violenza a cui cerchiamo di opporci. Quindi credo che più il discorso si diffonda tra gli Stati Uniti e l’Europa, più saremo in grado di essere creativi e forti come movimento a livello mondiale.

Eli: La maggior parte della mia esperienza organizzativa è maturata nelle lotte abolizioniste degli Stati Uniti, contro le carceri e la polizia. Tuttavia, più recentemente in Europa, ho dovuto cambiare molto il mio rapporto con la politica, visto che il contesto è molto diverso. Penso che l’Europa sia un luogo unico perché è il ventre della bestia. Anche gli Stati Uniti lo sono, ma in modo diverso. Mi sembra che uno dei fronti più importanti sia quello dei confini. Ma personalmente, a Berlino, mi sto organizzando in collettivi per la giustizia sanitaria che hanno l’obiettivo di rivendicare la nostra autonomia sulla salute, sui corpi, sulle malattie, di imparare a prenderci cura di noi stessi e degli altri senza dipendere dal complesso industriale medico. E questo è il mio obiettivo principale negli ultimi anni.

Fiona: Di recente mi sono concentrata maggiormente sul tentativo di lottare contro lo sfratto della mia casa collettiva. Quindi mi sono dedicata soprattutto alla lotta contro la gentrificazione. E vedo anche il legame con la lotta queer, perché i modi di vita che sono sotto attacco a Berlino, per esempio, a causa della gentrificazione, sono per lo più modi di vita queer. Sono soprattutto gli appartamenti collettivi condivisi con molti queer, anarchici e di sinistra radicale che sono minacciati di sfratto, perché vogliono sostituire quegli spazi con famiglie e individui che hanno soldi e attività economiche. Sento che l’anarchismo queer avrebbe molto da insegnare su come costruire delle comunità autogestite, per esempio, come sto facendo io a casa mia e come possiamo continuare a costruire nei nostri quartieri: strutture effettive di un processo decisionale collettivo a livello locale, che non si aspettano nulla dallo Stato, ma cercano di costruire alternative, di costruire il proprio potere. E credo che questo sia qualcosa che i queer sarebbero davvero bravi a fare. Poi, per riprendere quello che hanno detto gli altri, penso anch’io che i confini e il clima sembrano essere oggi i due maggiori problemi politici.

Anna: Io mi sto ancora adattando alla vita di Berlino e sto cercando di stabilirmi in modo più permanente. Penso che il regime di frontiera e la crisi climatica siano le questioni più importanti e urgenti contro cui sto lottando. Penso anche che sia importante lottare contro la transfobia, cercando di distruggerla prima che diventi una forza organizzata.

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