Per celebrare il 120° anniversario della nascita di George Orwell e per raccontare il tema della fantascienza letteraria distopica, il magazine di Rai Cultura “Wonderland” ha incontrato lo scrittore Marco Sommariva, autore del saggio “Ombre dal futuro. Viaggio nella letteratura distopica”, Edizioni Malamente.
Author: Redazione
Lo scioglimento di Soulèvements de la Terre. Cosa succede ora?
Da lundi.am, 27 giugno 2023
A nostro parere la notizia dello scioglimento del movimento Souèvements de la Terre in Francia indica due importanti linee di tendenza anche per le lotte ecologiste nel nostro paese:
- è possibile aumentare il livello di efficacia e l’impatto delle azioni contro le industrie ecocide e contro le grandi opere inutili a patto di dotarsi di un’alchimia organizzativa intelligente, generosa e coraggiosa, di cui abbiamo estremo bisogno anche in Italia. La tendenza è globale ed è necessario aprire maggiormente il dibattito nel nostro paese verso ciò che sta accadendo altrove.
- gli stati democratici sono in difficoltà di fronte all’enorme contraddizione generata dalla crisi ecologica e fanno ricorso agli strumenti dell’antiterrorismo, alzando così il livello dello scontro in una direzione che era già prevista da numerose analisi e ricerche sul tema e che non deve sorprenderci.
Per questo abbiamo deciso di tradurre e documentare quello che sta succedendo in Francia, anche perché pensiamo che nonostante la generosità estrema di tanti/e attivisti/e ecologisti/e che si impegnano quotidianamente nel nostro paese sia necessario uno scatto di creatività e di determinazione all’altezza della situazione drammatica che stiamo vivendo.

Dopo diversi mesi di esitazione e tentennamenti, il governo ha finalmente deciso di mettere in atto le sue minacce. Durante il Consiglio dei ministri di mercoledì 21 giugno, il presidente della Repubblica, il primo ministro e il ministro dell’Interno hanno firmato il decreto di scioglimento del “raggruppamento di fatto” Soulèvements de la Terre. All’alba del giorno prima, diciassette persone erano state arrestate e le loro case perquisite nell’ambito di due distinte inchieste: una sullo smantellamento dell’impianto Lafarge[1] a Bouc-Bel-Air il 20 dicembre scorso, l’altra sulle manifestazioni a Sainte-Soline.
Poiché molto è già stato detto e scritto su questo scioglimento, sia dai nostri colleghi e colleghe della stampa che dagli stessi Soulèvements de la Terre, ci concentreremo qui su ciò che ci sembra essenziale.
SCIOGLIMENTO E STATO DI EMERGENZA
Dal punto di vista del governo, questa decisione di sciogliere i Soulèvements de la Terre è allo stesso tempo una misura forte e un’ammissione di fallimento.
Continue readingCiò che cresce ovunque non può essere dissolto
Il governo francese ha appena avviato la procedura di “scioglimento” per il movimento Soulèvements de la Terre.
Ma ciò che cresce ovunque non può essere dissolto.
Soulèvements de la Terre ha rilanciato.
La rete è più viva che mai. Nuovi sollevamenti crescono ovunque, in difesa dei territori e del nostro futuro.
Tutta la nostra solidarietà.
Qui sotto il loro più recente comunicato.

Il 21 giugno, in consiglio dei ministri, il governo ha avviato la procedura di scioglimento di Soulèvements de la Terre. Dopo averci tirato in faccia le sue granate, ora sostiene che non abbiamo più il diritto di esistere insieme e di organizzarci. Il governo sta cercando di dissolvere un sollevamento con tutti i mezzi che ha a disposizione – anche arrestando gli/le attivisti/e nelle loro case, come è successo il 20 giugno.
Dai sinistri uffici di piazza Beauvau, questo scioglimento si prefigurava come una mannaia. Doveva essere la fine della storia. Eppure le voci che si diffondono nel Paese, dove le speranze ancora germogliano, raccontano una storia diversa. Sussurri contagiosi e innumerevoli slanci di solidarietà ci ricordano che i peggiori attacchi a volte producono rovesci inaspettati.
E se questo scioglimento fosse in realtà un invito ministeriale a unirsi in un grande movimento di resistenza? Una rete che vanta già 110.000 membri, 180 comitati locali e tante persone impegnate nella vita pubblica, nei collettivi e nei sindacati. Un movimento che si pretende di vietare ma che è collettivamente inarrestabile, preso di mira dalle autorità ma radicato nei territori, presente nei luoghi di lavoro e nelle scuole, nei fienili e negli scantinati, fino al cuore delle amministrazioni. Il governo sosteneva che saremmo scomparsi, in realtà diventiamo ogni giorno più visibili.
Continue readingAltri fiori, altri partigiani
Redazione Malamente

Ieri (07 maggio) a Kiev, in una località che è stata tenuta segreta per motivi di sicurezza, si è svolta la commemorazione di tre volontari internazionalisti caduti in combattimento a Bakhmut il 19 aprile, quasi impercettibili tra le centinaia di vite che vengono falciate ogni giorno dalla guerra sul lato ucraino e russo.
Questi tre uomini hanno però un significato particolare perché raccontano una storia minoritaria ma per noi molto importante all’interno della tragedia in corso. Dmitriy «Leshy» Petrov, Finbar «Chia» Cafferkey e Cooper «Harris» Andrews erano tutti e tre internazionalisti e attivisti antifascisti nei loro paesi. La piccola celebrazione in forma privata ha coinvolto decine di attivisti ucraini e di altre nazionalità, insieme ad alcuni familiari giunti dall’estero per l’occasione.
A Kiev dall’inizio della guerra esiste infatti una piccola ma resiliente rete di volontari/e, attivisti/e, militanti che nonostante e contro le difficoltà della guerra lottano per l’emancipazione sociale, sostengono lotte sindacali, forme di mutuo appoggio, forniscono sostegno materiale ed emotivo alle vittime della guerra e mantengono viva una elaborazione politica critica verso la società ucraina mentre al tempo stesso partecipano alla sua difesa. La cerimonia è stato un momento di emozione intensa, in cui sono emerse le biografie di questi uomini che nel momento della morte hanno mostrato controluce le aspirazioni, le passioni, le difficoltà di milioni di esseri umani che lottano per la liberazione in questo mondo in fiamme.
La propaganda russa anche in Italia sta tentando in questi giorni, inutilmente, di infangare il loro nome e la loro traiettoria di lotta con fantasiose ricostruzioni che raccontano una inesistente collaborazione o subordinazione alle forze neonaziste ucraine. Chi conosce la storia, l’etica e la pratica di questi compagni caduti o chi si sia preso il disturbo di passare anche solo qualche giorno in Ucraina nell’ultimo anno e mezzo capisce che quelle che circolano sui canali filorussi sono solo manipolazioni e infamie.
Tuttavia è importante fermarsi a raccontare e approfondire la storia e il profilo di questi attivisti perché essi mostrano una ricchezza umana, un coraggio e una capacità di visione del futuro che dobbiamo difendere e rafforzare nella nostra pratica quotidiana. Nelle loro biografie, infatti, la guerra non appare come un valore in sé o come qualcosa da celebrare, ma come un elemento tragico e inevitabile nei conflitti per l’emancipazione delle classi subalterne. C’è un filo rosso che unisce le lotte nelle metropoli degli Stati Uniti e della Russia, nelle campagne dell’Irlanda e del Rojava, con quello che sta succedendo oggi sul fronte est dell’Ucraina.
Continue readingIl rapporto completo dell’intelligence francese che elogia Soulèvements de la Terre
Da lundi.am
Il 26 marzo scorso nella località rurale di Sainte-Soline si è svolta una grande azione di protesta del movimento Soulèvement de la Terre contro un progetto di costruzione di un mega-bacino artificiale e di privatizzazione delle acque agricole.
La violenza della repressione ha sconvolto la Francia, già attraversata da manifestazioni molto radicali. Perché lo Stato ha difeso un buco coperto di plastica lanciando più di 5.000 granate (potenti più di una bomba carta) ferendo centinaia di persone di cui due gravemente?
Perché, nonostante questo, le proteste continuano e il sostegno popolare a pratiche radicali di sabotaggio ecologista sta crescendo?
I nostri amici di Lundimatin hanno pubblicato otto pagine di una relazione dei SRCT, l’equivalente della nostra Digos, che spiegano perché lo Stato teme Soulèvement de la Terre: perché funziona!
Spesso le parole dei nostri nemici sono in grado di descrivere meglio di tanta retorica “dei compagni” lo stato di salute di un movimento sociale, nella misura in cui esso è in grado di svolgere la sua necessaria e per noi benefica funzione di minacciare l’ordine costituito.
Con questo testo vogliamo aprire una sezione di approfondimento su quello che sta succedendo in Francia e sulle possibilità di relazione e di apprendimento – quanto mai necessario – per le lotte territoriali in Italia.

Stando alle dichiarazioni del ministro dell’Interno Gérald Darmanin, lo scioglimento di Soulèvements de la Terre sarebbe giustificato dagli «eventi inqualificabili» che si sono verificati a Sainte-Soline e «dall’estrema violenza di gruppuscoli che sono nel mirino dei servizi di intelligence da molti anni».[1] Tuttavia, un rapporto del Service central du renseignement territorial in riferimento a Soulèvements de la Terre getta una luce completamente diversa su questo annuncio. Leggendo infatti questa nota confidenziale sorprendentemente elogiativa si capisce che al di là del pretesto della violenza, se il ministro cerca di sciogliere il movimento, è perché questo ha successo!
In che senso ha successo? Il nocciolo della questione è questo: attraverso una serie di analisi elogiative che fanno riferimento alla capacità di federarsi, di uscire dal letargo politico e di avere un impatto reale sui progetti distruttivi per l’ambiente, ci viene spiegato in otto pagine che il problema fondamentale con questo movimento è che invece di fare la sua bella contestazione entro i limiti stabiliti riesce ad incidere in campo politico. Ciò che il governo indica, facendo seguire a questa nota di intelligence un tentativo di scioglimento, è che per lui, d’ora in poi, qualsiasi opposizione efficace che intralci le sue politiche – e quelle delle lobby finanziarie e industriali che lo sostengono – deve scomparire. Sciogliere tutta l’opposizione, anche se ciò significa farlo in un bagno di sangue prima di raggiungere i meandri dei tribunali.
Al di là di questa trasparente visione delle motivazioni del governo, il compitino scritto da un sociologo di polizia sfidato dalla vivacità del suo soggetto risulta tuttavia falsato dalla manifesta incapacità di percepire il movimento per quello che realmente è. Invariabilmente, tutto ciò che è effervescenza, rete, coalizione viene ridotto – per meglio incriminarlo in seguito – alla supervisione di un gruppo dirigente. Soprattutto, è necessario dare l’impressione che le persone e i gruppi che agiscono siano guidati solo da motivazioni fredde e strumentali e che vogliano opportunisticamente dirottare la causa ecologista e contadina verso una ricerca puramente astratta di motivi di scontro e violenza. Ma come stupirsi che dei funzionari, che scrivono dalle loro scrivanie al servizio di un governo che si ostina a distruggere terre coltivabili, foreste, fattorie, fiumi ecc., non riescano a capire e ad afferrare quel che viene difeso e costruito, i legami, la solidarietà e le gioie che ne derivano? Non sorprende nemmeno che gli autori del rapporto riducano tutto il fermento politico locale e decentralizzato, a cui Soulèvements de la Terre fa da eco e da catalizzatore, al rigido assetto verticistico che è il solo che conoscono.
Al di là della povertà delle loro analisi, è chiaro che se negli ultimi due anni folle crescenti non si sono accontentate di marciare ma hanno cercato gesti diretti per bloccare cantieri, per impedire il saccheggio dell’acqua o dei terreni, è perché si avverte un’urgenza vitale di agire. Tentativo di dissoluzione o meno, repressione brutale o meno, questo senso di urgenza non potrà che aumentare finché i decisori politici continueranno a promuovere infrastrutture che incarnano una violenza ecologica e sociale che molte persone hanno ormai scelto di affrontare.
Il 30 marzo, il quotidiano “Le Monde” ha pubblicato un articolo intitolato Nous sommes les Soulèvements de la Terre in cui decine di attori/trici, artisti/e, parlamentari e scrittori/trici hanno rivendicato di far parte del movimento. Attualmente conta più di 20.000 firme.
Continue readingChatGPT e il futuro che verrà. L’Intelligenza artificiale e la catastrofe esistenziale
Liberamente tratto da “Superintelligenza” di Nick Bostrom
ChatGPT è in pieno sviluppo. Dove arriverà? Molti scienziati stanno già mettendo in guardia sui possibili imprevedibili sviluppi dell’Intelligenza artificiale. Un’intelligenza che può crescere in maniera esponenziale, al di fuori dei limiti di un cervello biologico.
Senza dover diventare specialisti delle nuove frontiere della ricerca tecnologica, sapere in che direzione stanno andando le sue strade ci permette di comprendere le logiche che la sottendono e intravedere gli sviluppi futuri, motivando la nostra critica che, prima di essere tecnica, è sociale e politica.
Per capire cos’è l’Intelligenza artificiale – che non è solo ChatGPT, ma ben di più – pubblichiamo degli estratti dal libro “Superintelligenza” di Nick Bostrom (Bollati Boringhieri, 2018; ed. originale: 2014). L’autore non è certo un rivoluzionario luddista, il contrario. È un filosofo e scienziato di origine svedese, che è stato a lungo uno dei principali sostenitori del potenziamento umano, fondatore della World Transhumanist Association, direttore del Future of Humanity Institute. Insomma, tutto meno che un nostro compagno di strada. Bostrom però, con la sua profonda e non acritica conoscenza dell’argomento, riesce a descrivere in maniera chiara e divulgativa tematiche di grande complessità e a mettere in guardia sulle nubi minacciose che si addensano all’orizzonte.
Il pericolo che il genere umano corre con lo sviluppo artificiale delle superintelligenze è di portata esistenziale, perché in mano ad apprendisti stregoni incapaci di fermare gli spiriti che stanno evocando.
L’articolo è lungo, mettetevi comodi.

Le vie per arrivare alla superintelligenza
Per il momento le macchine sono di gran lunga inferiori agli esseri umani quanto a intelligenza generale, tuttavia un giorno saranno superintelligenti, cioè dotate di un intelletto che supererà di molto le prestazioni degli esseri umani, in tutti i campi. Come arriveremo a questa situazione futura? Iniziamo esplorando le diverse strade che possono portare l’umanità allo sviluppo di una superintelligenza: l’Intelligenza artificiale è solo una tra queste.
Continue readingRitorno in paradiso
Dalla rivista ecologista “Do or Die” [da Rivista Malamente #27, dic. 2022. Scarica il PDF]
Cosa accadrebbe se un giorno venissero abbandonate le metropoli? Se quegli spazi coperti di asfalto e cemento, brulicanti di umani e merci, alimentati da combustibili ed elettricità, soffocati dalle loro scorie, fossero di punto in bianco liberati dalla virulenza dei loro abitanti? Questo articolo – tratto dalla rivista ecologista “Do or Die” (n. 10, luglio 2003), tradotto in opuscolo da Istrixistrix e qui riproposto con una nuova revisione – traccia con una qualche attendibilità scientifica le tappe e i passaggi che segnerebbero nei decenni e secoli successivi all’abbandono la riconquista del territorio da parte delle forze naturali. In fondo, nella vita del pianeta, la nostra specie è solo di passaggio. Quello che ha edificato cadrà e, prima o poi, perfino le macerie saranno spazzate via.

«L’inferno è una città molto simile a Londra» scrisse Shelley due secoli fa. Ma non è sempre stato così. Prova a immaginare un periodo dieci volte più lontano nel passato dell’epoca di Shelley, quando il panorama in Parlament Square era molto diverso. Là dove ti trovi adesso, un grazioso ruscello scorre giù dalle colline di Hampstead. Proprio di fronte ci sono le sponde piene di canneti dei meandri del Tamigi. Sulla destra, dove verrà eretta l’Abbazia di Westminster, c’è Thorney Island [Isola Spinosa], chiamata così per l’abbondanza di rovi selvatici. Dietro c’è la quiete dei campi contornati da salici. Ancora un migliaio di anni fa, quando Edoardo il Confessore la stava prendendo in considerazione come sito per la sua grande abbazia, Thorney Island era un posto tranquillo e rustico. «Un luogo delizioso, circondato da terre fertili e campi verdi», scrisse un monaco nella sua biografia di Edoardo.
È possibile far tornare indietro l’orologio, e che Londra sia di nuovo un paradiso silvestre? Se hai mai nutrito il desiderio di vedere il traffico svanire, gli edifici crollare e le colline e le valli di Londra di nuovo piene di fiori, di alberi e del canto degli uccelli, non sei solo. Verso la fine dell’Ottocento il naturalista Richard Jefferies era così disgustato dalla sporcizia della capitale da scrivere After London, romanzo in cui i londinesi si estinguono in modo misericordioso e la città ritorna rapidamente a essere una palude.
Ma cosa accadrebbe realmente se Londra tornasse alla natura? Supponiamo che questo fine settimana i londinesi fuggano in seguito a un incidente nucleare tipo Chernobyl. O che le notizie della sera annuncino che è stato rilasciato un virus geneticamente modificato, come nel film 28 Days Later. Oppure, che improvvisamente i londinesi si sentano così male a causa della vita in città da seguire il consiglio di Shelley e fuggire «verso i boschi selvaggi e le colline erbose». Quanto impiegherà Londra abbandonata per tornare a essere un paradiso rurale? In che modo la natura prenderà il controllo?
Ridateci la forca!
Redazione, Rivista Malamente n. 28 (marzo 2023)
Per acquistare la copia cartacea o abbonarsi alla Rivista:
Rivista Malamente 28 – Edizioni Malamente
Giudici della giustizia italiana levatevi la maschera e ridateci la forca!
Almeno la morte libera: si sale sul palco, si getta un grido alla folla e tutto finisce…
Meglio la morte, meglio la forca, la ghigliottina, la fucilazione!
Ridateci la forca! Almeno quella uccideva; era come l’attimo fuggente!
L’ergastolo è la tortura senza fine, è la disperazione eterna.
Carlo Molaschi, “Pagine libertarie”, 15 nov. 1921

«Ridateci la forca!», urlava cent’anni fa l’anarchico Carlo Molaschi ai giudici italiani che avevano appena rimesso in libertà un attentatore al re – Antonio D’Alba – dopo che nove anni di isolamento nel carcere di Santo Stefano gli avevano fatto perdere la ragione.
Mentre scriviamo queste righe non sappiamo come andrà a finire lo sciopero della fame di Alfredo Cospito, che ad oggi ha superato i cento giorni facendogli perdere più di quaranta chili di peso. Cospito è accusato di una “strage” che non ha provocato neanche un ferito – un ordigno fuori da una caserma dei carabinieri – qualificata come “strage contro la sicurezza dello Stato” (neanche piazza Fontana, la stazione di Bologna e Capaci sono state definite in questi termini). Per questo pende su di lui l’ergastolo ostativo, cioè senza possibilità di accedere ad alcun beneficio, rinchiuso in regime di 41-bis.
Non è un “errore giudiziario”: Cospito è un anarchico, un fiero nemico dello Stato, uno a cui prudono le mani e che ha già rivendicato un fatto come aver sparato alle gambe – all’indomani del disastro di Fukushima – a un manager di Ansaldo nucleare. Gesto per il quale ha già quasi finito di scontare dieci anni di carcere. Il suo sciopero della fame non è una scelta disperata, ma è parte di un percorso consapevole e di grande dignità. Su di lui si sta consumando la vendetta del potere, a futuro monito per chiunque osi ancora pensare e praticare, nelle molte e diverse forme possibili, l’idea di rivoluzione sociale.
Il regime carcerario 41-bis vuol dire sbattere una persona in cella e “buttare via la chiave”, come qualche forcaiolo ogni tanto invoca contro il mostro di turno. Vuol dire rimanere chiuso ventidue ore al giorno in una cella singola la cui finestra dà sui muri della prigione, dividere due ore con al massimo altre quattro persone scelte dalla direzione, avere diritto a un solo colloquio al mese senza contatti fisici e con vetro divisorio a tutta altezza, niente giornali, controllo e censura della corrispondenza in entrata e in uscita, limitatissimi i pacchi dall’esterno così come i libri che si possono tenere in cella (massimo cinque). È un lento annientamento fisico e psicologico, al quale sono condannati in Italia circa 700 detenuti. Come molti strumenti eccezionali, nati per far fronte a una “emergenza”, anche il 41-bis è stato poi reso ordinaria amministrazione, normalizzato e accettato nel silenzio generale.
Oggi non si usano più le tenaglie arroventate, ma lo Stato tortura lentamente con un metodo vessatorio che ha poco a che vedere con la presunta finalità di interrompere le comunicazioni tra “dentro” e “fuori”. Il lungo sciopero della fame di Cospito ha sollevato il velo su questa vera e propria tortura democratica che si consuma giorno dopo giorno nelle nostre carceri. Il movimento di solidarietà che si sta facendo sentire nelle piazze non chiede pietà per Cospito (né lui la vorrebbe) e neanche che lo Stato di diritto mostri la sua solidità permettendosi di umanizzare i regimi speciali di detenzione (questo lasciamolo dire ai “sinceri democratici”); chiede invece che la tortura cessi in maniera definitiva per tutti e tutte e che, in prospettiva, si incominci a discutere della necessità di liberarsi dal carcere in ogni sua forma, per una società che non ne abbia più bisogno.
In questo numero della rivista parliamo anche di altri argomenti che ci stanno a cuore (modelli di vita alternativi al sistema, nuove generazioni in lotta, recupero abitativo delle aree interne, utopia, storie sovversive, critica al mondo neotecnologico ecc.). Lo facciamo come sempre con articoli, interviste, traduzioni.
Non parliamo invece (ancora) di un’altra questione emersa in questi mesi e che ci riserviamo di approfondire: la costruzione a Pesaro di un laboratorio biotecnologico a livello 3 di bio-sicurezza, gestito dall’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche. Si tratta di un laboratorio con annesso stabulario in cui verranno condotte su animali – come si legge nero su bianco nei documenti approvati dal Comune – «sperimentazioni e manipolazioni, in vivo e in vitro, di agenti virali pericolosi per la salute animale e dell’uomo». Sebbene siano previste elevate misure «di bio-contenimento e bio-sicurezza nei confronti di agenti infettivi», si sa che la prudenza non è mai troppa e che il rischio di incidente irreversibile (che sia per “errore umano” o per altre cause) è dietro l’angolo. La ricerca biotecnologica sta trasformando il mondo intero in un laboratorio e tutti noi in cavie, a vantaggio del profitto e del controllo sul vivente da parte di pochi, ci vorrebbe far vivere in un’epoca di emergenza permanente abituandoci a un mondo in cui non esiste confine tra applicazioni civili e militari degli agenti patogeni, tra il loro studio per difendersi da minacce esterne e la loro produzione come minaccia in quanto tale.
Ancora una volta, saremo tra quelli e quelle che resistono.

Scripta Manent. L’esperienza del carcere in regime di Alta Sorveglianza nel racconto di due anarchici.
Su Rivista Malamente, a fine 2019 (n.15), abbiamo pubblicato una intervista Danilo e Valentina, due compagni anarchici che hanno vissuto un lungo periodo di detenzione preventiva, in regime di Alta Sorveglianza, nell’ambito del processo Scripta Manent (assolti in primo grado e in appello). Il processo, per il quale Alfredo Cospito rischia ora l’ergastolo ostativo in regime di 41bis, fa riferimento a una serie di attacchi firmati da diverse sigle collegate alla Federazione Anarchica Informale. Ci siamo fatti raccontare alcune impressioni sulla loro esperienza di carcerazione, anche perché spesso chi è “fuori” non si rende conto fino in fondo cosa voglia dire stare “dentro”, soprattutto in sezioni ad Alta Sorveglianza come quelle dove il potere rinchiude gli anarchici e le anarchiche.

Voi siete stati reclusi in sezioni AS2, cioè sezioni ad alta sorveglianza destinate unicamente agli arrestati per terrorismo ed eversione dell’ordine democratico. Una distinzione che viene storicamente fatta nelle carceri è quella tra detenuti “comuni” e detenuti “politici”: quanto è profonda questa separazione e come l’avete vissuta nella vostra esperienza?
Danilo: La differenziazione nasce proprio con l’intento di non creare un contatto tra detenuti cosiddetti “comuni” e prigionieri politici della guerra sociale, della lotta di classe.
Io posso fare un ragionamento anche in rapporto alla precedente esperienza carceraria che abbiamo avuto, nel 2005. Allora non esistevano le sezioni AS2 ma c’erano le EIV (elevato indice di vigilanza), che in teoria comportavano lo stare separati dai “comuni”, ma in Italia le sezioni EIV erano solo un paio quindi si finiva solitamente in una sezione AS; all’epoca l’alta sorveglianza era unica, non differenziata come adesso in AS1 (per gli appartenenti alla criminalità organizzata declassificati dal 41 bis), AS2 (per i “politici”) e AS3 (per le organizzazioni criminali comuni legate allo spaccio). Questo significa che essendo sottoposti a regime a elevato indice di vigilanza, ma all’interno di una sezione AS, si finiva insieme a prigionieri legati alle associazioni a delinquere organizzate, a spacciatori internazionali, etc., non era proprio un rapporto col grosso dei prigionieri “comuni”, ma c’era comunque un minimo di interazione con altri detenuti che non fossero politici. Ora non è più così, nelle sezioni AS2 ci si ritrova in un numero esiguo, in cinque, sei, sette compagni per sezione, senza nessun contatto con i “comuni” e con tutta una serie di restrizioni pratiche. La sezione AS2 è organizzata e gestita proprio per questa tipologia di prigionieri, per anarchici e comunisti.
Continue readingDobbiamo continuare la ricerca scientifica?
Di Alexander Grothendieck, da Rivista Malamente, n. 15, set. 2019 (QUI IL PDF)
Alexander Grothendieck è riconosciuto come uno dei più grandi e brillanti matematici del Novecento. Nel pieno della sua carriera ha però aperto gli occhi sul mondo della ricerca scientifica, sulle sue implicazioni, sui legami con il mondo militare e si è interrogato su quale ruolo sociale avessero lui stesso e i suoi colleghi. Il loro lavoro migliorava la condizione umana o, piuttosto, serviva a sostenere il sistema di dominio esistente? Nel settembre 1970, a quarantadue anni, Grothendieckabbandona il suo posto presso l’Institut des hautes études scientifiques (IHES), all’epoca centro nevralgico per la matematica e la fisica teorica e, allo stesso tempo, fonda il gruppo ecologista radicale Survivre et Vivre.

NOTA BIOGRAFICA
Alexander Grothendieck nasce a Berlino nel 1928 da Alexander “Sascha” Schapiro, ebreo russo rivoluzionario espulso dal suo paese e Hanka Grothendieck. I genitori, che si erano conosciuti negli ambienti del movimento anarchico tedesco, nel 1936 vanno a sostenere la rivoluzione sociale e combattere la guerra civile spagnola per poi stabilirsi in Francia, dove li raggiunge Alexander rimasto nel frattempo affidato a una famiglia di Amburgo.
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