di Vittorio
Sabato 8 luglio sono stato al parco Miralfiore di Pesaro per vedere che aria tirava alla manifestazione contro l’obbligo vaccinale. Era un evento che si annunciava molto partecipato e che stava suscitando l’interesse di amiche, amici e compagni/e che per varie ragioni hanno scelto di non vaccinare i figli. Anche se personalmente non ho mai fatto grande resistenza ai vaccini, non sopporto le imposizioni e questa storia dell’obbligo vaccinale così massiccio e coatto non mi va giù, dunque ho preso il treno insieme a una comitiva con magliette arancioni – che aumentava di numero a ogni fermata da Ancona in avanti – e sono partito, praticamente senza sapere cosa avrei trovato.
La manifestazione, per chi non fosse informato, è stata organizzata da associazioni quali Comilva (Coordinamento italiano per la libertà delle vaccinazioni), Comitato salute e diritti di Pesaro, Vaccinare Informati e tante altre, per esprimere contrarietà al Decreto Lorenzin approvato a maggio di quest’anno (il Parlamento ha 60 giorni per convertirlo in legge) ed entrato immediatamente in vigore. Questo decreto oggi prevede l’obbligatorietà di 10 vaccini per bambine e bambini per avere accesso ad asili nido, scuole materne e scuole dell’obbligo e introduce sanzioni per i genitori che non intendono vaccinare i propri figli. Pertanto chi vuole continuare a non vaccinarli potrà farlo dietro pagamento di un dazio allo Stato. La decisione, per riprendere le parole del governo, è stata presa per evitare un’emergenza sanitaria, visto che la copertura vaccinale nel nostro Paese è al limite della soglia di sicurezza.
Quella di sabato 8 luglio non è la prima manifestazione contro il decreto, ma sicuramente quella con maggiore partecipazione ed è stata organizzata a Pesaro perché il Comilva oggi ha base a Rimini e raccoglie molti sostenitori tra Romagna e nord delle Marche. A Pesaro inoltre si è svolto un processo civile significativo per le associazioni “free vax” poiché nel luglio 2013 il Tribunale di Pesaro ha disposto l’indennizzo da parte del Ministero della Salute a carico della famiglia di una bambina morta nel 2003, riconoscendo una correlazione tra la vaccinazione e la morte della piccola.
L’entrata del parco, sotto un sole cocente, era presidiata da coppie di carabinieri sonnolenti e altre divise barocche di guardie provinciali, finanzieri e simili. In ossequio alle nuove norme dettate dal ministro Minniti sulle manifestazioni pubbliche, migliaia di persone entravano praticamente in fila indiana, silenziosamente. Gli organizzatori ripetevano dal palco che avevano rinunciato al corteo, che la Questura e la Prefettura avevano cercato di restringere il loro diritto a manifestare e loro lo avevano accettato pacificamente. Neanche a dirlo erano proibite le birrette, così ho dovuto scovare un varco nella selva del parco per poter contrabbandare una busta di Corona tiepide per non disidratarmi completamente.

In questa atmosfera rovente ho trovato effettivamente migliaia di persone provenienti da tutta Italia. Non è facile stimare a occhio i numeri, però lo scontro tra i media mainstream e gli attivisti che si definiscono “free vax” in rete è stato da subito forte e con l’evento ancora in corso. Sulle reti sociali rimbalzavano immagini dall’alto riprese dal drone di ordinanza, perplessità per aver accettato di svolgere la manifestazione in un parco recintato e generici insulti.
Erano 40.000? Questione poco interessante, sicuramente un numero importante e significativo per la piccola città di Pesaro e, secondo molte persone che avevano partecipato a iniziative precedenti, un numero in crescita.
Il caldo unito all’abuso del colore arancione ovunque poteva dare delle allucinazioni, ma ho cercato di restare lucido anche quando ho sentito parlare il cantante Povia dal palco (sì, quello che dice che l’omosessualità è una malattia che si può curare). Dopo il primo stupore: “ma dai me l’avevano detto ma pensavo mi prendessero per il culo” ho realizzato che tutto il programma culturale della manifestazione era pesantemente inclinato verso la destra più irrazionale e reazionaria. Finito lo strazio canoro un sorriso me l’ha regalato il filosofo più alla moda tra i neofascisti nostrani: Diego Fusaro. All’inizio le sue scemenze si sentivano appena, sovrastate dal pianto e dal chiasso di centinaia di bambini accaldati e scorrazzanti. Il giovane luminare infatti, in preda all’infervoro, parlava a macchinetta fuori dal microfono. Quando le pettorine della associazione Comilva l’hanno portato davanti all’apparecchio, ecco apparire i due concetti chiave: “la resistenza parte da due principi: famiglia e interesse nazionale”. Inizialmente ho dato la colpa alle birre ormai calde e alla farcitura delle sigarette, ma poi mi è balzata agli occhi l’evidenza: la maggior parte delle persone applaudivano convinte un mucchio di concetti fascisti e falsificati oppure, peggio, applaudivano ma erano totalmente indifferenti a quanto veniva detto, semplicemente applaudivano il fatto di essere lì insieme.

Gironzolando per il parco tra un intervento dal palco imbarazzante e l’altro ho incontrato amici, militanti di centri sociali e associazioni di base che hanno scelto di non vaccinare i figli o che nutrono legittimi dubbi sulle vaccinazioni: tutti erano piuttosto turbati. Non eravamo a casa nostra, anzi più passava il tempo e più l’effetto straniante, complice anche il caldo torrido, cresceva. L’arrivo sul palco di un fascistone dall’accento romanesco con tanto di maglietta nera “prima gli italiani” ha chiarito definitivamente le idee a tutti. Poi è stato il turno di Gianluigi Paragone, ex vicedirettore di Libero e giornalista della Padania, già conduttore della trasmissione “La gabbia” su La7. Il tenore generale degli interventi era populista e di destra, l’informazione scientifica e legale comunicata dagli interventi molto ridotta e poco utile.

La giornata è finita verso le 21, un sacco di passeggini che tornavano lentamente verso la stazione, madri con magliette che ringraziavano il governatore leghista del Veneto Zaia, striscioni che scomodavano Mengele associandolo ai medici che difendono le vaccinazioni e altro folclore. La sensazione che mi ha lasciato questa piazza è che gli spazi per i compagni e le compagne dentro quel movimento arancione siano inesistenti. Quella piazza poteva forse essere attraversata in modo intelligente da chi vuole criticare l’autoritarismo del governo associato alla scienza egemonica soltanto boicottando quel clima populista insopportabile e facendo emergere posizioni culturalmente diverse. Nessuno ha voluto e potuto farlo.
Ma quindi chi c’era in piazza? Come dice un amico sociologo che lavora a Bergamo, venuto a Pesaro mosso da buone intenzioni: siamo in compagnia della classe media che non c’è più e vive tra paura e risentimento cercando una guida e un nemico. Un mondo a cavallo tra i grillini e i libertarians americani tutti proprietà privata e famiglia.
Significa che la critica alla tecno-scienza e al rapporto tra poteri e saperi medici sia un campo da lasciare alle destre? No di certo, ma sicuramente la manifestazione dell’8 luglio a Pesaro ci restituisce l’immagine della debolezza e dell’invisibilità nello spazio pubblico di una critica anti-capitalista e anti-fascista del rapporto tra scienze e poteri a cui sarà necessario rimediare nell’immediato futuro.
