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numero-19

Le Marche intensive. Tutta (ma proprio tutta) la storia del Covid Hospital di Civitanova Marche

Di Mario Di Vito [QUI IL PDF]

A un certo punto sembravamo spacciati. Il numero di contagiati saliva ogni giorno insieme al numero delle vittime, decine di milioni di italiani si erano chiusi in casa a tempo indeterminato, il presidente del consiglio Giuseppe Conte appariva in televisione ogni due o tre giorni per emanare nuove regole. Le terapie intensive sembravano sul punto di scoppiare, in televisione virologi e opinionisti più eventuali che vari continuavano ad accapigliarsi su questioni difficilmente comprensibili ai più, su Facebook i post degli infermieri e delle infermiere con il volto sempre segnato dalla fatica si moltiplicavano, così come le foto inquietantissime dei cadaveri portati via dai mezzi militari nella notte. Quattro o cinque generazioni, in vita loro, non avevano mai visto il baratro così tanto da vicino.

Marzo 2020, l’Italia è un paese in ginocchio. Terrorizzato dal Covid-19, acronimo inglese di Coronavirus Disease 19, ovvero infezione da Sars-CoV-2, una malattia respiratoria difficile da identificare. Non solo l’Italia, che comunque è stata tra i primi paesi a chiudere tutto, l’intero pianeta Terra è sconvolto e reagisce nelle maniere più disparate: chi ignora il problema, chi utilizza l’esercito, chi si colloca a metà tra queste due cose.

Qui e seguenti: “Pandemia” – Opera di Blu, Campobasso 2019

Il contesto

Nelle Marche, all’estrema periferia dell’impero, già alla fine di febbraio il governatore Luca Ceriscioli si era lanciato in una personalissima guerra al governo centrale per imporre la chiusura delle scuole della sua regione per cercare di contenere i contagi. Una vicenda in qualche modo paradigmatica del caos italiano di quei giorni: lunedì 24 febbraio Ceriscioli convoca i giornalisti per annunciare la serrata degli edifici scolastici. Nel bel mezzo della conferenza stampa, però, il presidente marchigiano riceve una telefonata dal presidente Conte, che lo obbliga a desistere dal suo proposito. Smentita in diretta, dunque, e gran brutta figura per Ceriscioli. Martedì 25 febbraio, al mattino, il governo incontra in videoconferenza i rappresentanti di tutte le regioni italiane e, senza obiezioni, si trova un accordo sul fatto che qualsiasi decisione dovrà essere presa tutti insieme. Le fughe in avanti della Lombardia e del Veneto, che nella settimana precedente avevano cominciato a produrre ordinanze, sembravano arginate. Ma il pomeriggio dello stesso giorno, a sorpresa, Ceriscioli con un atto d’imperio chiude le scuole, questa volta per davvero. Il governo si innervosisce e decide di impugnare davanti al Tar il provvedimento della Regione Marche.

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Il marchingegno si è rotto. RetroMarch(e): cambiare direzione

Intervista di Sergio Sinigaglia a Carlo Carboni e Michele Serafini [QUI IL PDF]

A metà marzo ad Ancona, presso la Facoltà di Economia, si doveva tenere un incontro pubblico promosso dalla nostra rivista insieme al mensile Gli Asini e al Circolo Laboratorio Sociale. Alla vigilia di una tornata elettorale in cui si prefigurava un successo della destra, l’intento era quello di ragionare sulle trasformazioni avvenute nelle Marche, sui mutamenti sociali, economici, culturali e antropologici, specchio del contesto più generale. Tra i relatori era previsto Carlo Carboni, docente di sociologia presso la stessa facoltà, autore di numerosi saggi tra cui “Il marchingegno”, edito nel 2005 da Affinità elettive, che analizzava il defunto modello marchigiano incentrato sul “piccolo è bello” e cercava di ragionare sulle possibili alternative.

L’incontro di Ancona è saltato a causa delle restrizioni imposte dall’epidemia di Covid-19; abbiamo però ritenuto opportuno intervistare Carboni sulle tematiche di cui avremmo dovuto discutere a marzo. L’intervista contiene alcuni riferimenti alla “classe dirigente” che ovviamente non ci appartengono visto che le nostre idee guida sono, piuttosto, i concetti di autonomia sociale, autogestione, autogoverno. In ogni caso ci sembra un contributo importante e qualificato per riflettere sui cambiamenti in atto, con l’auspicio che nella prossima primavera si possano ricreare le condizioni per riproporre l’iniziativa annullata.

Per ampliare il quadro sulla situazione regionale abbiamo intervistato anche Michele Serafini che, ritornato nelle Marche dopo due anni da ricercatore in antropologia a Londra, ha contribuito alla formazione del gruppo di ricerca interdisciplinare “Emidio di Treviri” formato da antropologi, sociologi e urbanisti, seguendo fin dalle primissime fasi le vicende del terremoto e post-terremoto 2016. Michele ci ha parlato delle dinamiche dell’entroterra, in particolare delle conseguenze determinate dall’ultimo sisma in territori già gravemente alle prese con fenomeni sociali ed economici che ne hanno fortemente indebolito il tessuto civico.

Andrea Pazienza, “Vignette”

Intervista a Carlo Carboni

Nel 2005 hai scritto “Il marchingegno” dove riflettevi sul modello di sviluppo tradizionale della nostra regione e di come ormai mostrasse la corda, quindi sottolineando la necessità di un suo superamento e di un cambio di paradigma. A quindici anni di distanza sembra che siamo ancora al palo…

Non è cambiato nulla, anzi il contesto è peggiorato. Già due anni fa Ilvo Diamanti a un convegno all’Istao (Istituto Adriano Olivetti, ndr.) ad Ancona aveva osservato come le Marche fossero scivolate nella “media mediocritas” italiana. Devo dire che dopo la vicenda del terremoto di quattro anni fa, a cui dobbiamo aggiungere lo scossone della crisi del 2008, con tutte le conseguenze avute sia nell’apparato produttivo che nel sociale, molti di quelli che hanno fatto i cantori di questo modello di sviluppo diversi anni fa – mi riferisco al nostro ambito accademico – abbiano peccato di un eccesso di entusiasmo rispetto a una realtà che ha invece mostrato tutti i suoi limiti strutturali.

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