Jean Giono: la campagna, la pace, la rivoluzione

da Rivista Malamente n. 26 (set. 2022) QUI IL PDF

Nei nostri manuali di letteratura francese Jean Giono (1895-1970) è ricordato in poche pagine come il cantore dell’idillio contadino, il romanziere di una felicità bucolica immersa in gioia di vivere e assenza di conflitti. Il pensiero di Giono non è in realtà così ingenuo e infatti la sua opera è stata rivalutata dai critici più attenti che ne hanno colto la tensione di base nell’interrogativo sulla condizione umana: nei suoi scritti, la presunta armonia uomo-natura e l’esaltazione della frugalità servono, di riflesso, a condannare l’invivibilità della società contemporanea, urbana e capitalistica, perennemente votata al progresso industriale e alla ricerca del profitto. Approfondiamo la figura di questo romanziere con un suo profilo biografico e alcuni estratti dei suoi libri (non tutti disponibili in traduzione italiana).

Giono precursore della decrescita

Serge Latouche inserisce Giono nel suo pantheon dei precursori del pensiero della decrescita: «il rifiuto della società industriale da parte di Giono non era un semplice atto di reazione nei confronti di un mondo moderno in rapida trasformazione. Se Giono promuoveva ostinatamente l’ideale di una ruralità autonoma e autarchica non era soltanto per la nostalgia di un mondo che probabilmente non è mai esistito, ma perché era convinto che soltanto una ripresa di contatto dell’uomo con il suo ambiente naturale, grazie a un modo di vita al riparo dai misfatti dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, potesse consentire di resistere efficacemente al totalitarismo economico e sociale instaurato da una tecnica onnipotente».[1]

Per Giono i contadini, quando sanno sottrarsi agli imperativi della produzione per il mercato agricolo, diventano motore della rivoluzione anticapitalista, antindustriale e antistatale. È infatti nel mondo rurale che è ancora possibile ritrovare sobrietà, lentezza e convivialità da opporre a una società che nella sua perpetua rincorsa allo sviluppo finisce per produrre disastri ecologici su vasta scala e per rendere individui e comunità sempre più dipendenti da un’organizzazione socio-economica a loro esterna ed estranea. È la campagna che ridona tanto senso all’esistenza collettiva sul pianeta quanto la condizione urbana gliene sottrae, perché il ritmo della natura è proprio dell’uomo in quanto essere sensibile, mentre il ritmo industriale è una violenza che lo riduce a ingranaggio della macchina.

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Vita selvatica e anticonsumista di un contadino poeta

Intervista di Luigi a Felice (Rosario Colaci) [QUI IL PDF]

da Rivista Malamente #26 (set. 2022)

Felice abita nelle campagne maceratesi. La sua vita all’insegna della sobrietà ci indica come sentirsi appagati rinunciando al superfluo, come ricercare l’autosussistenza e l’indipendenza all’interno di una rete di relazioni genuine e di scambio reciproco. Felice ci ha accolto in casa per lavorare alle bozze di una sua raccolta di poesie – “Quando non zappo, a volte scrivo” – che abbiamo da poco pubblicato nella collana Voci delle Edizioni Malamente. Il testo che segue è frutto di quella chiacchierata primaverile, sulla base di un’intervista uscita nel 2009 sulla rivista “Lato selvatico”.

Raccontaci un po’ di te, di come sei arrivato a stabilirti in questa casa nelle colline marchigiane, al confine tra la campagna e il bosco…

La mia storia potrebbe forse cominciare da quando avevo sedici anni (adesso ho passato i sessanta) e vivevo in un paese del Salento vicino a Lecce. Allora frequentavo l’istituto tecnico commerciale, una scuola che non avevo scelto e che era proprio incompatibile con le mie capacità e i miei talenti: odiavo la matematica e mi piaceva l’arte. In quel periodo ci fu un primo cambiamento radicale nella mia vita, dovuto a delle riflessioni profonde sul suo senso e sulla piccolezza di noi esseri umani. Questi pensieri m’imponevano una presa di posizione. Non potevo, allo stesso tempo, rendermi conto di quanto ero minuscolo e di quanto l’esistenza umana fosse impermanente e, insieme, prepararmi a una vita di competizione, ostentazione, finzione e superficialità.

No, per me non valeva la pena, volevo una vita che fosse degna di questo nome, piena, sensata, per cui anche morire avesse un senso. Intuivo che le prospettive che mi si offrivano inserendomi nell’attuale società non potevano darmi tutto questo e tutt’al più sarebbero state un diversivo per evitare di affrontare questi pensieri. Mi si offrivano quindi due prospettive: fare finta di niente, evitare di pensare a queste cose, oppure cambiare e cercare quella “vera vita” che doveva pur esistere da qualche parte. Ho scelto la ricerca, l’inseguire il sogno impossibile, valeva la pena almeno provare. E così tre giorni prima di compiere diciassette anni sono andato via di casa.

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Justice!

di Redazione [QUI IL PDF]

Marche Pride, Pesaro, giugno 2022

L’ultima volta che quella piazza ha visto delle grida così arrabbiate era un’altra epoca, prima della pandemia, prima della nuova guerra, prima che l’incubo dei fascisti al governo diventasse una triste possibilità. Era il 2019 e la piazza di Civitanova Marche si era accesa contro Pillon e il suo ridicolo papillon con una frizzante manifestazione senza chiedere permessi.

Poi cosa è successo? Perché ci siamo svegliati una mattina d’estate con l’inquietante uccisione di Alika Ogorchukwu sul marciapiede della provincia marchigiana? Il commissario regionale della Lega, Marchetti, il giorno dopo l’omicidio si distingue per una dichiarazione da fanta-fascismo: «la Lega vuole lavorare con serietà e concretezza per garantire sicurezza agli italiani […] non permetteremo che gli italiani continuino a vivere nella paura». Forse, nel loro mondo dei sogni, per gli squilibrati come Filippo Ferlazzo, squadrista per caso più che per vocazione, ci sarebbe un bel posto di lavoro come guardia di frontiera.

In tanti si sono accapigliati sul decidere se questo delitto, subito diventato virale sul web, fosse o meno un delitto razzista e se dovesse o meno essere inserito nella serie di cronaca nera aperta dal bullo di CasaPound Mancini a Fermo e continuata dal fallito leghista Traini a Macerata. La manifestazione del 6 agosto ha visto succedersi sulla stessa piazza due anime distinte e distanti. Un primo corteo partito in tutta fretta alle due del pomeriggio di un sabato estivo si è risolto come da copione nell’abbraccio tra sindaco di destra e locale comunità nigeriana, all’insegna della fratellanza universale. Fortunatamente, un paio di ore dopo, un secondo corteo organizzato dal Coordinamento antirazzista italiano ha provato a dare un senso alla giornata portando in strada rabbia e determinazione.

Eppure, cosa rimane nella memoria collettiva? Alcuni fotogrammi: il brutale omicidio di un nero povero da parte di un bianco, la storia di una persona che disturbava, che non valeva molto e che quindi è stata uccisa sotto gli occhi di tutti. Non è necessario che il movente razzista sia dichiarato: le pratiche istituzionali e informali di inferiorizzazione che colpiscono gli uomini e le donne nere, tutti i giorni, le trasformano in bersagli privilegiati della frustrazione e del risentimento che si scaricano sempre verso il basso. Pare che Ferlazzo, il giorno prima di uccidere Alika, abbia avuto un diverbio con il datore di lavoro: perché non è saltato al suo collo? Il razzismo, fomentato per anni da Salvini, Meloni e dai loro cosplayer locali, indica, anche a persone disturbate come Ferlazzo, dove si può colpire. Le linee sono già tracciate, lo spettacolo fa il resto. Già in passato avevamo visto come la consapevolezza degli effetti del razzismo fosse chiara e diffusa tra le giovani generazioni che avevano raccolto anche nelle Marche l’onda lunga di Black Lives Matter. Cosa manca per ribellarsi?

Sono alcuni anni che raccontiamo l’involuzione della nostra regione ma non perdiamo la speranza e l’attenzione verso i segnali di resistenza e di cambiamento, anche se oggi non si può proprio parlare di movimenti sociali né di forte antagonismo, purtroppo.

Il Pride regionale di Pesaro 2022 ha visto tuttavia una crescita nella qualità e nella quantità della partecipazione, mentre a Monte Urano si è svolto a fine luglio il primo festival transfemminista “FemFest”, facendo arrabbiare gli appassionati della trimurti “dio, patria e famiglia”. I temi della differenza e dell’identità di genere sono diventati persino mainstream, nei negozi alla moda delle piccole città marchigiane l’identità queer e il femminismo vendono bene come brand per adolescenti. Se da una par-te la società dello spettacolo digerisce tutto dall’altra, però, qualche elemento positivo di rottura e di innovazione generazionale arriva anche qua e non solo l’estetica ma anche la soggettività inizia forse a cambiare.

Ma non basta. Gli effetti del cambiamento climatico ci stanno prendendo a schiaffi da mesi, siccità, ondate di calore, sono stati il basso continuo di questa estate. Servono risposte urgenti, ovunque, ma intanto l’impianto più inquinante e negativo per il clima della nostra regione, la raffineria Api di Falconara, continua a bullizzare gli attivisti che dicono la verità, come nel caso di Roberto Cenci, onesto e ostinato ambientalista locale, a cui va la nostra solidarietà, portato in tribunale dall’azienda della famiglia Peretti per un paio di servizi usciti in tv. Peccato che poi in tribunale ci sia posto anche per Api: a luglio 2022 sono arrivati gli avvisi di garanzia per disastro ambientale e altre nocività che accompagnano il capitalismo fossile per diciassette indagati dell’azienda e per un ex-controllore dell’Arpam, l’agenzia regionale per l’ambiente.

Il processo è all’inizio ma secondo noi a Falconara non è solo l’aria a puzzare di marcio. Contrastare l’eco-mostro è diventato un obiettivo fondamentale, non più rimandabile e non certo delegabile ai tribunali, come dimostra la triste storia dell’Ilva di Taranto.Infine la guerra in Ucraina, dopo i primi mesi i riflettori si sono abbassati ma le conseguenze sociali, eco-nomiche e politiche del conflitto scavano in profondità. Anche sul nostro territorio sono state accolte tante persone con generosità ma la popolazione rimane divisa sulle cause e sulle ragioni del conflitto in corso e forse la generosità diminuirà quando aumenteranno le bollette del gas. Le Brigate Volontarie per l’Emergenza hanno mandato un loro delegato a Kiev per provare a capirci qualcosa di più e per esplorare la possibilità di sostenere la piccola ma tenace scena anticapitalista e antifascista ucraina. Vi raccontiamo anche questa storia internazionalista e vi lasciamo a questo nuovo numero della Rivista, ricco come sempre di racconti, reportage e interviste, dalle Marche, dall’Italia e dal mondo.