Appunti di storia popolare del fermano dopo l’Unità
Di Joyce Lussu
Da Rivista Malamente n. 32, mar. 2024 (QUI IL PDF)
Dopo l’unificazione italiana, il biglietto da visita del nuovo Stato nelle regioni del centro-sud sono i carabinieri, le tasse e la leva obbligatoria. Di far parte di una nuova “patria” a ben pochi importava qualcosa. Nei paesi e nelle campagne marchigiane, come altrove, la popolazione non risponde sventolando bandiere tricolori, ma con la diserzione e il conflitto sociale. Quello che segue è un estratto dalla “Storia del fermano”, di Joyce Lussu (1970).
I renitenti di leva
Mentre nel mezzogiorno il rifiuto di arruolarsi nell’esercito italiano si trasforma in aperta rivolta collettiva, nelle Marche è molto diffuso il fenomeno dei renitenti di leva, arrestati a migliaia tra il ’60 e il ’65. Dopo il settembre 1860, quando l’esercito piemontese attraversa la regione, si comincia subito a parlare di coscrizione obbligatoria, e il terrore dilaga per le campagne: i vecchi ricordano le guerre napoleoniche, i giovani hanno sentito l’eco delle feroci repressioni contro i «briganti», con i quali genericamente s’identificano. È il discorso del giorno: se ne parla nelle stalle, in mezzo alle fatiche dei campi, nelle veglie, nelle osterie, quando si è sicuri che non ci sia in giro nessuna spia del governo. Alcuni vanno dai parroci, che alzano le braccia al cielo senza commenti; dai farmacisti, chiedendo se non vi sia qualche droga, che senza togliere la salute per sempre, li renda momentaneamente inabili o deformi; più spesso dalle fattucchiere o dai flebotomi, con la stessa domanda. Altri si fanno coraggio e vanno dal medico supplicandolo di far loro un certificato d’invalidità. Ma nonostante i molti doni di uova, pollame e formaggi, trovano sempre una riposta negativa. Allora i più stoici si mutilano le dita delle mani o dei piedi, o si fanno addirittura strappare tutti i denti; qualcuno si precipita dall’alto di un albero, lussandosi o fratturandosi.
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