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Sullo stato dei consultori nelle Marche

di Collettivo transfemminista Ortica

[da Rivista Malamente, n. 34, ottobre 2024. QUI IL PDF]

Tu chiamali se vuoi… consultori

Mi ritrovo con alcune compagne del collettivo transfemminista a spartire volantini per un presidio indetto, il pomeriggio stesso, davanti al consultorio della nostra città. Lo slogan recita: «ci volete in mille pezzi… ci avrete unit3 in mille piazze! Ci riprendiamo i consultori e molto di più».

«Ma cos’è un consultorio?» mi chiede una ragazza a cui ho appena distribuito il volantino. La domanda non era banale: cos’è un consultorio, o meglio, cos’è sulla carta un consultorio e cosa nella realtà?

I consultori nascono nel 1975, con la legge 405, a seguito delle battaglie femministe e della successiva riforma del diritto di famiglia, come spazio libero e di autodeterminazione di ogni soggettività. A dispetto del nome – consultori familiari – vengono istituiti sotto il segno della prevenzione e della cura della persona. Stando alla legislazione in vigore, sono posti gratuiti, laici e liberi da qualsivoglia implicazione religiosa o statale, in cui l’approccio alla salute avviene olisticamente, secondo caratteri di multidisciplinarietà e integrazione con gli altri servizi presenti territorialmente. Ecco perché dentro ai consultori è possibile trovare mediche, ostetriche, ginecologhe, psicologhe, assistenti sociali e figure consulenziali quali sessuologa, sociologa, legale, androloga, neuropsichiatra infantile.

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Appello per l’organizzazione di una seconda linea cristiana-rivoluzionaria in vista delle prossime manifestazioni

da lundi.am

Nelle ultime settimane, il coraggio e la creatività delle proteste francesi hanno generato nel pubblico italiano un misto di vergogna e incredulità. Ma come, noi ci siamo fatti fregare e mazziare per anni senza dire niente e questi fanno il diavolo a quattro per molto meno?

Inutile insistere sulla corruzione dei nostri sindacati confederali, sulla viltà di chi ancora usa lo spauracchio di Genova 2001 per giustificare la sua passività rispetto alla violenza della polizia o su fantasmagoriche ricostruzioni storiche o antropologiche sulla diversità dei francesi rispetto al presunto carattere subalterno dei popoli mediterranei.

“Chi parla male, pensa male, vive male”, diceva bene uno che di vivere male nello stagno della sinistra italiana se ne intende.

Allora è meglio ascoltare direttamente le parole, nate da una pratica arricchita da un dibattito politico e culturale sincero, che sorgono dal fuoco delle lotte.

E provare a imparare qualcosa perché ne abbiamo estremo bisogno.

Dopo l’annuncio del ricorso all’articolo 49.3 – che ha permesso l’approvazione della riforma delle pensioni senza il voto parlamentare – la mobilitazione contro tale riforma si è riaccesa. Scioperi, blocchi, manifestazioni diurne e marce notturne si moltiplicano e si rafforzano. Con una preoccupante fuga in avanti, il governo di Emmanuel Macron ha scelto di intensificare la sua brutalità. Nelle strade le squadre di polizia sono in agguato, intimidiscono, colpiscono, arrestano e feriscono. Ogni giorno i social network diffondono nuove spaventose immagini di abiezione da parte della polizia, e qualcuno si ostina ancora a incolpare le solite “mele marce”. In realtà, il governo lascia al movimento solo due opzioni. La prima, quella che il potere desidera, consiste nel tornare tutti a casa, più o meno terrorizzati ma sicuramente sconfitti. La seconda opzione sta nel rendere più articolata l’azione di piazza, mettendo in campo nuovi metodi e strategie per evitare la violenza e approfondire la solidarietà. Questo testo propone alcune strade in questo senso.

Questioni

Dopo aver fatto una coraggiosa apparizione in diverse città il 7 marzo, prima di eclissarsi parzialmente l’11 e il 15 dello stesso mese, il Cortège de tête [testa del corteo in cui, dal 2016, hanno iniziato a ritrovarsi militanti radicali decisi ad alzare la conflittualità e rispondere alla repressione, insieme ad altre, eterogenee, componenti][1] ha fatto irruzione nelle grandi città il 23 marzo, alimentato, arricchito e rinfocolato da una settimana di continue manifestazioni selvagge, in particolare a Parigi, dove la prospettiva di andare fuori dal percorso stabilito ha galvanizzato i manifestanti. La giornata di giovedì 23 marzo ha smentito la contrapposizione tra modalità selvaggia e modalità de tête, ponendo l’articolazione strategica delle due forme come sfida per la settimana successiva.

L’obiettivo di questo articolo non è quello di passare in rassegna tutte le implicazioni della giornata del 23 – altri probabilmente lo faranno meglio – ma di avanzare una proposta per contribuire all’articolazione di queste due modalità.

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