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Walkiria Terradura e la Resistenza delle donne

Da Rivista Malamente n. 30, set. 2023 (QUI IL PDF)

Di Maria Laura Belloni

Lo scorso 5 luglio ci ha lasciati Walkiria Terradura, alle soglie di un secolo di vita. Una donna che ha attraversato quella lunga e travagliata epoca che fu il Novecento e che lei decise di vivere dalla parte di coloro che combatterono per la libertà. Fu comandante della squadra Settebello (sei uomini), divisione del V battaglione della V brigata Garibaldi “Pesaro”; quest’ultima costituita nel novembre del ’43 e comandata da Ottavio Ricci. A sceglierla come loro comandante, per il suo coraggio e la sua determinazione, furono proprio gli uomini che andarono a comporre le fila della squadra partigiana. Walkiria è stata medaglia d’argento al valore militare. Si era specializzata nel minare e far saltare i ponti: i nazifascisti spiccarono contro di lei otto mandati di cattura e giravano con una sua foto nella speranza, vana, di catturarla.

«Ho combattuto contro i tedeschi e contro i fascisti e sono orgogliosa di quella mia scelta perché so di aver contribuito anch’io a sconfiggere quelle dittature che allora soffocavano il mondo.»

Walkiria nacque a Gubbio il 9 gennaio 1924 dall’avvocato perugino Gustavo Terradura Vagnarelli e da Laura Piccotti, morta prematuramente all’età di ventotto anni. Una famiglia borghese (il nonno Enrico Terradura era un industriale) che coltivò da subito ideali antifascisti, e di questo Walkiria ne era orgogliosa e ne riconosceva l’importanza per la sua formazione politica e culturale. Terza di cinque figli, il primogenito Araldo Libero si arruolò nella Marina e fu rinchiuso in carcere per sette anni in Egitto, Enrico divenne partigiano in Jugoslavia, Lionella seguì il padre e la sorella sui monti e purtroppo Serenella morì ancora infante. I genitori, quasi premonitori, le avevano donato un nome che negli anni della lotta partigiana si presentava da sé e quando le venne chiesto quale nome di battaglia avesse avuto durante la Resistenza, la sua risposta fu: «Non ne avevo bisogno… Me lo avevano già messo i miei genitori alla nascita».

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Dio è morto in laboratorio

Da Rivista Malamente n. 30, set. 2023 (QUI IL PDF)

Riflessioni a partire dal libro “Il futuro della vita” di J. Doudna e S. Sternberg

Di Luigi

Il genoma di Homo sapiens – cioè il patrimonio genetico che definisce l’essere umano moderno – si è plasmato nel corso di circa 200.000 anni in base alle forze della selezione naturale, unite a mutazioni casuali. Oggi, da una decina d’anni a questa parte, il genere umano ha raggiunto la possibilità di progettare la propria evoluzione, sottraendola alle “leggi di natura”. Il fatto che gli scienziati possano controllare l’evoluzione e scriverla a loro piacimento è un cambiamento assoluto e radicale nella storia della specie umana, ed è impossibile prevedere dove condurrà. Ciò che ha reso possibile questa svolta senza precedenti nella storia della vita sulla Terra è la biotecnologia CRISPR-Cas9; una delle protagoniste di questa scoperta (Nobel per la Chimica nel 2020) è Jennifer Doudna, docente dell’Università di Berkeley, che insieme al ricercatore Samuel Sternberg ha recentemente scritto il libro di divulgazione scientifica Il futuro della vita. Come arriveremo a controllare l’evoluzione (Mondadori, 2022).

Il meccanismo CRISPR-Cas9 (che d’ora in poi, per brevità chiameremo solo CRISPR, pronuncia: crisper) è stato identificato studiando i batteri e il loro sistema di protezione nei confronti dei virus. Proviamo in poche righe a descrivere di cosa si tratta: nel momento in cui un batterio entra in contatto con un virus, sintetizza una replica esatta del DNA virale, originando una molecola di RNA che va ad associarsi alla proteina Cas9. Quando, successivamente, questa coppia si imbatte di nuovo nella stessa tipologia di virus, cioè quando il pezzo di RNA incontra nuovamente una sequenza di DNA che riconosce come complementare, interviene la proteina Cas9 che è in grado di tagliare la sequenza genica, distruggendo il virus nemico.

Il “bello” è che questo meccanismo d’azione è riproducibile in laboratorio e applicabile a tutti gli esseri viventi per scopi ben diversi dall’originale. In estrema sintesi: basta preparare una specifica sequenza di RNA complementare alla sequenza di DNA, nota, che si vuole andare a modificare; inserito il complesso CRISPR nella cellula, l’RNA farà da “guida” per raggiungere il pezzo di DNA bersaglio, portando così la proteina Cas9 nel punto esatto in cui deve intervenire con le sue forbici. A questo punto, sarà possibile eliminare la sequenza di DNA tagliata (e quindi inattivare un gene) oppure sostituirla con un’altra sequenza preparata in laboratorio (cioè sostituire un pezzo di DNA “difettoso” con uno “corretto”). Essendo ormai completamente mappato il genoma umano – cioè la doppia elica formata da circa sei miliardi di basi azotate adenina (A), citosina (C), guanina (G) e timina (T), che formano circa 20.000 geni, che a loro volta compongono le 23 coppie di cromosomi – è possibile intervenire in specifici punti del “codice della vita” per programmare quali caratteristiche e funzionalità dovrà avere un individuo.

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Quando l’immagine uccide l’immaginazione

Da Rivista Malamente n. 30, set. 2023 (QUI IL PDF)

Di Annie Le Brun, a cura di Martina Guerrini

Annie Le Brun (1942) è una poetessa surrealista, scrittrice e critica letteraria francese. Incontra André Breton a ventuno anni e prende parte alle attività del movimento surrealista dal 1963 agli ultimi anni prima dell’autodissoluzione del gruppo. È stata la compagna di vita del poeta surrealista, commediografo e traduttore croato Radovan Ivšić, scomparso nel 2009. Pubblichiamo il suo intervento in occasione del seminario “Le immagini contro l’immaginazione: la mercificazione del sensibile”, tenutosi il 3 maggio 2023 all’Accademia di Belle Arti di Roma; trascrizione e traduzione sono a opera di Martina Guerrini (che di Annie Le Brun ha tradotto e curato il volume “L’eccesso di realtà. La mercificazione del sensibile”, BFS, 2010).

Senza dubbio, come voi, non ho mai smesso di essere affascinata dalle immagini, ed è per questo che sono giunta a preoccuparmi del ruolo riservato loro nel mondo digitale, poiché stanno chiudendo orizzonti che prima aprivano. Tuttavia, se l’origine della mia attività critica non fosse più poetica che politica, non avrei misurato l’importanza vitale della posta in gioco. Vale a dire che il capitale, sempre alla ricerca di nuovi profitti, dopo aver sfruttato la superficie e le profondità del mondo, era in procinto di attaccare la nostra vita interiore.

Sono le tappe di questa mercificazione del sensibile che mi propongo di evocare qui, così come il ruolo crescente dell’immagine in questa oscura storia, da cui dipende la poca libertà che ci resta. Questo mi porterà a riprendere il percorso critico che ho sviluppato attraverso tre saggi successivi, Du trop de réalité, Ce qui n’a pas de prix e Ceci tuera cela, scritto in collaborazione con Juri Armanda.

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Il mio femminismo ha il velo

Da Rivista Malamente n. 30, set. 2023 (QUI IL PDF)

Intervista di Sergio Sinigaglia a Takoua Ben Mohamed

Arrivare bambina in un nuovo Paese, calarsi in una realtà sconosciuta, in un contesto dove spesso trovano spazio diffidenza, pregiudizi, intolleranza e anche razzismo, dove ti senti addosso gli sguardi che osservano con freddezza. Takoua Ben Mohamed (Tunisia, 1991) è giunta in Italia con la famiglia all’età di otto anni. Dopo aver vissuto per poco tempo in una piccola località alle porte di Roma, si è trasferita nella capitale, affrontando l’impatto della grande città. Ha preso presto coscienza della propria situazione maturando in fretta e iniziando il suo impegno sociale, culturale e politico. Grazie al suo talento da fumettista e illustratrice ha pubblicato graphic novel di successo, dove tratta temi come la condizione delle donne musulmane e dei rifugiati, il razzismo, la xenofobia. Tra i suoi libri: “Sotto il velo” (BeccoGiallo, 2016), “La Rivoluzione dei Gelsomini” (BeccoGiallo, 2018), “Il mio migliore amico è fascista” (Rizzoli, 2021). A fine maggio è stata a Senigallia, su invito dell’Associazione Le Rondini, dove ha prima fatto visita ad alcune scuole superiori e ha poi partecipato a un dibattito organizzato presso il Centro sociale Arvultura (alla presenza, tra gli altri, di studenti e studentesse della scuola di italiano per stranieri Penny Wirton). L’abbiamo intervista in questa occasione.

Sei arrivata in Italia che eri una bambina, che impatto hai avuto con il nuovo contesto?

Era il 1999, quindi un’altra Italia. Inoltre la mia prima residenza è stata in un piccolo paese vicino a Roma dove si conoscevano tutti quanti, dunque un ambiente piuttosto familiare, tenendo presente che un bambino ha una capacità di ambientamento più facile rispetto a un adulto, il quale ha già una sua identità, una sua cultura. Per me è stato un cambiamento abbastanza normale.

I problemi sono iniziati quando nel 2001 ci siamo trasferiti a Roma, il primo anno all’Eur poi nella zona Est, per cui sono passata da un ambiente dove tutti si aiutavano, dove le relazioni erano facili anche se eravamo l’unica famiglia di immigrati, a una situazione completamente diversa dove uscivi la mattina e tornavi la sera senza avere tempo neanche di conoscere i vicini di casa.

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Una storia, mille storie

Da Rivista Malamente n. 30, set. 2023 (QUI IL PDF)

Di Nicoletta Grammatico

Questo racconto è stato ricostruito sulla base delle interviste concessemi da Scilla e Anna, che ringrazio moltissimo. La testimonianza in prima persona è funzionale a restituire una storia intima, che da personale si fa collettiva, per trasportare lettori e lettrici nel vivo di una narrazione vissuta sulla propria pelle e sui propri corpi da molte donne. Dai racconti raccolti emerge come, nello specifico della regione Marche ma non solo, sebbene l’interruzione volontaria di gravidanza sia sulla carta un diritto, nella realtà viene sempre più spesso ostacolata e negata. Oggi abortire nelle Marche è diventato molto complicato: con il personale medico obiettore che invade i reparti ospedalieri e la promozione di associazioni pro-vita, la legge 194 ha subito un duro colpo e con essa anche la libertà di scelta individuale. Queste storie ne sono una testimonianza diretta.

¶ Non ho mai pensato di voler diventare mamma. No, non l’ho mai voluto. Nemmeno da piccola quando le altre bambine del quartiere giocavano a mamma e figli. Non volevo essere mamma nemmeno per gioco. Così fu per me facile decidere di abortire quando scoprii di essere incinta, meno facile fu invece trovare chi mi facesse abortire. Tante volte mi sono chiesta dove finisca la linea dell’aspettativa sociale e inizi quella della volontà soggettiva, dell’autodeterminazione. Nelle varie storie di aborto che ho ascoltato, e nella mia esperienza, la percezione che ne ricavavo era che la prima trainasse inesorabile la seconda, la scelta non era assecondata se contrastava il modello sociale imposto. A chiunque mi domandi: «ma non hai avuto paura?», rispondo sempre allo stesso modo: «ho veramente avuto paura, paura di non riuscire ad abortire».

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COVID e anarchia necessaria

Di Antonio Scardino, medico

da Rivista Malamente, n. 31, dic. 2023 [anticipazione online]

Sono un medico di medicina generale che ha fatto ricerca in immunologia e si ritrova, suo malgrado, in uno stile di vita anarchico. Ho lavorato in diversi paesi oltre che in Italia: negli USA, in Francia; e in quel territorio martoriato che dovrebbe chiamarsi Kurdistan ma che sulle carte non esiste: facevo il medico volontario nella martoriata Kobanê, quando i corridoi umanitari aperti dai turchi lo permettevano, prima di essere stato espulso dalla Turchia come persona non grata.

Nel marzo del 2020 facevo il medico di medicina generale in Francia; quel pomeriggio mi trovavo in un ristorante di Montlhéry con Boris e Abdel. Arrivavano dall’Italia le prime notizie della epidemia da SARS-Cov2 e la sindrome COVID faceva purtroppo già molte vittime, specialmente fra gli anziani del bergamasco. Avevamo dato alla notizia il peso che oramai meritano le informazioni che provengono dalla televisione: attendavamo che la cosa si sgonfiasse da sé. Invece, a fine marzo 2020 il presidente della Repubblica Francese, Macron ci disse a reti unificate, per sei volte di seguito, che oramai eravamo in guerra. Dalla mattina successiva le strade erano deserte, le scuole chiuse, e tutti noi ci trovammo confinati nelle nostre case. Unica finestra aperta sul mondo: la televisione. Avevamo paura persino di respirare.

A Montlhéry era rimasta aperta solamente la boulangerie, per qualche ora del mattino, e il mio ambulatorio medico. I pronto soccorso degli ospedali della zona, a Longjumeau e ad Arpajon, erano già saturi. Una gran parte dei colleghi s’era data malata, qualcuno era partito all’estero prima della chiusura delle frontiere. Mi aggiravo fra i quartieri immersi nell’atmosfera post apocalittica, surreale, che ritroviamo nella peste di Camus. Con mio grande stupore, dagli ospedali tornavano a casa i neri, gli arabi e gli stranieri che erano positivi alla SARS-Cov2 e, sebbene sintomatici, non erano ammessi ai posti limitati nelle rianimazioni. Erano affidati a se stessi e a noi, ai medici di base; e noi li curavamo a casa in modo empirico: antibiotici, anti-infiammatori, vitamine e ossigeno. Qualcuno moriva. Avevo organizzato fuori dell’ambulatorio, dove regnava il silenzio e il deserto, una fila di sedie, distanziate di sei metri l’una dall’altra. La coda era impressionante e surreale: gente seduta in strada che tossiva fino a diventare paonazza. Facevo il triage che si faceva forse a Omaha Beach durante lo sbarco: ricovero immediato con qualunque mezzo… ricovero a domicilio con farmaci e ossigeno… codice rosso: iniezione di corticosteroidi e broncodilatatori e attesa dell’ambulanza medicalizzata… semplice gastro enterite con annesso attacco di panico o psicotico…

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Lo scioglimento di Soulèvements de la Terre. Cosa succede ora?

Da lundi.am, 27 giugno 2023

A nostro parere la notizia dello scioglimento del movimento Souèvements de la Terre in Francia indica due importanti linee di tendenza anche per le lotte ecologiste nel nostro paese:

  • è possibile aumentare il livello di efficacia e l’impatto delle azioni contro le industrie ecocide e contro le grandi opere inutili a patto di dotarsi di un’alchimia organizzativa intelligente, generosa e coraggiosa, di cui abbiamo estremo bisogno anche in Italia. La tendenza è globale ed è necessario aprire maggiormente il dibattito nel nostro paese verso ciò che sta accadendo altrove.
  • gli stati democratici sono in difficoltà di fronte all’enorme contraddizione generata dalla crisi ecologica e fanno ricorso agli strumenti dell’antiterrorismo, alzando così il livello dello scontro in una direzione che era già prevista da numerose analisi e ricerche sul tema e che non deve sorprenderci.

Per questo abbiamo deciso di tradurre e documentare quello che sta succedendo in Francia, anche perché pensiamo che nonostante la generosità estrema di tanti/e attivisti/e ecologisti/e che si impegnano quotidianamente nel nostro paese sia necessario uno scatto di creatività e di determinazione all’altezza della situazione drammatica che stiamo vivendo.

Qui e seguenti: sabotaggio del cementificio Lafargue, Marsiglia, dic. 2022

Dopo diversi mesi di esitazione e tentennamenti, il governo ha finalmente deciso di mettere in atto le sue minacce. Durante il Consiglio dei ministri di mercoledì 21 giugno, il presidente della Repubblica, il primo ministro e il ministro dell’Interno hanno firmato il decreto di scioglimento del “raggruppamento di fatto” Soulèvements de la Terre. All’alba del giorno prima, diciassette persone erano state arrestate e le loro case perquisite nell’ambito di due distinte inchieste: una sullo smantellamento dell’impianto Lafarge[1] a Bouc-Bel-Air il 20 dicembre scorso, l’altra sulle manifestazioni a Sainte-Soline.

Poiché molto è già stato detto e scritto su questo scioglimento, sia dai nostri colleghi e colleghe della stampa che dagli stessi Soulèvements de la Terre, ci concentreremo qui su ciò che ci sembra essenziale.

SCIOGLIMENTO E STATO DI EMERGENZA

Dal punto di vista del governo, questa decisione di sciogliere i Soulèvements de la Terre è allo stesso tempo una misura forte e un’ammissione di fallimento.

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Ciò che cresce ovunque non può essere dissolto

Il governo francese ha appena avviato la procedura di “scioglimento” per il movimento Soulèvements de la Terre.

Ma ciò che cresce ovunque non può essere dissolto.

Soulèvements de la Terre ha rilanciato.

La rete è più viva che mai. Nuovi sollevamenti crescono ovunque, in difesa dei territori e del nostro futuro.

Tutta la nostra solidarietà.

Qui sotto il loro più recente comunicato.

Il 21 giugno, in consiglio dei ministri, il governo ha avviato la procedura di scioglimento di Soulèvements de la Terre. Dopo averci tirato in faccia le sue granate, ora sostiene che non abbiamo più il diritto di esistere insieme e di organizzarci. Il governo sta cercando di dissolvere un sollevamento con tutti i mezzi che ha a disposizione – anche arrestando gli/le attivisti/e nelle loro case, come è successo il 20 giugno.

Dai sinistri uffici di piazza Beauvau, questo scioglimento si prefigurava come una mannaia. Doveva essere la fine della storia. Eppure le voci che si diffondono nel Paese, dove le speranze ancora germogliano, raccontano una storia diversa. Sussurri contagiosi e innumerevoli slanci di solidarietà ci ricordano che i peggiori attacchi a volte producono rovesci inaspettati.

E se questo scioglimento fosse in realtà un invito ministeriale a unirsi in un grande movimento di resistenza? Una rete che vanta già 110.000 membri, 180 comitati locali e tante persone impegnate nella vita pubblica, nei collettivi e nei sindacati. Un movimento che si pretende di vietare ma che è collettivamente inarrestabile, preso di mira dalle autorità ma radicato nei territori, presente nei luoghi di lavoro e nelle scuole, nei fienili e negli scantinati, fino al cuore delle amministrazioni. Il governo sosteneva che saremmo scomparsi, in realtà diventiamo ogni giorno più visibili.

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Piazze

  • di

Di Redazione

Redazione, Rivista Malamente n. 29 (giugno 2023)


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Rivista Malamente 29 – Edizioni Malamente

Il 1° maggio, in attesa di salutari sommosse e scioperi generali per fare “come in Francia”, qualcuno di noi ha partecipato alla manifestazione nazionale di Pesaro contro la costruzione di un biolaboratorio di “alta sicurezza” (ovvero di “alta pericolosità”) dell’Istituto zooprofilattico sperimentale Umbria-Marche, che è solo un tassello nella rete di nuovi biolaboratori previsti in Italia. Circa 8.000 le presenze, in larga parte provenienti dai movimenti contro il green pass; qualche influencer del dissenso sul palco ad arringare follower dall’età media decisamente alta, un crescendo di condivisioni social di immagini e video e un corteo silenzioso sfilato nel deserto della periferia. Eppure, nella ridondante e a tratti fumosa accozzaglia di discorsi (rivolti al popolo che – anche giustamente – non si fida dei poteri forti) c’è un nucleo di argomentazioni che nutrono la critica sociale e che hanno portato diversi anarchici ed ecologisti radicali a manifestare a Pesaro.

È necessario mantenere lucidità di analisi e capacità di adattare i propri paradigmi di pensiero alla veloce evoluzione del contesto contemporaneo, se vogliamo decifrare una società assediata dalle nocività e dai danni del suo stesso sviluppo, che tenta di difendersi accelerando la corsa senza limite delle biotecnologie, medicalizzando ogni aspetto della sua misera esistenza, puntando non solo a controllare ma a manipolare le basi della vita. Dietro a tutto questo non c’è la promozione della “salute”, ma le logiche di potere e di profitto, la lunga mano della ricerca militare, la visione di un’umanità sempre più dipendente dalle tecnologie, sempre meno in equilibrio con il pianeta che la ospita, sempre meno capace di autonomia nel suo stare al mondo, confinata a una vita controllata e sicura, a misura di stabulario.

Pochi giorni dopo, il 6 maggio, mentre stavamo chiudendo il numero, l’iniziativa del movimento femminista e transfemminista Non una di meno ha portato in piazza ad Ancona più di 2.000 persone per denunciare lo schifo del “modello Marche” di applicazione delle politiche anti-abortiste e bigotte della destra di governo. Dai soliti noti della sinistra di palazzo, fino ai Centri sociali delle Marche, c’erano proprio tutti/e, ma mentre il corteo colorato e giovane arrivava sotto la statua dell’imperturbabile conte Cavour, poche centinaia di metri più in là i padroni della città gongolavano protetti da tutto l’arsenale della questura anconetana. E, due giorni dopo, il centro cittadino ha ospitato festante il comizio di Meloni, Salvini e Tajani a sostegno del candidato del centro-destra. Una città forse troppo al passo con i tempi, quelli cupi.

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