Pesaro in movimento: dal Centro sociale allo Spazio popolare

Intervista di Luigi al Collettivo Anna Campbell di Pesaro

Se volete trovate la nostra rivista a Pesaro potete andare allo Spazio popolare Anna Campbell, dove puntualmente, ogni tre mesi, portiamo le copie fresche di stampa. Con questo nome e nell’attuale sede, lo Spazio ha aperto da pochi anni – libero da bieche logiche di “area” politica – raccogliendo l’eredità di quasi quarant’anni di autogestione nella città di Pesaro. Quattro decenni di conflittualità sociale, di battaglie culturali e politiche, di solidarietà attiva, di musica senza prezzo e di antidoti alla rassegnazione. Con questa intervista ad alcuni membri del nuovo Collettivo di gestione (intervista che abbiamo raccolto a luglio, in occasione di un pranzo a sostegno della rivista) raccontiamo che cos’è oggi lo Spazio popolare, come si inserisce e confronta con la città e quali sono i suoi progetti, in corso e futuri.

Pesaro spazio popolare Anna Campbell

Partiamo dalla storia di questo posto, che oggi è lo Spazio popolare Anna Campbell, ma che raccoglie l’eredità storica del centro sociale di Pesaro. Quale percorso vi ha portato fino a questa sede e alla formazione dell’attuale Collettivo?

Giuseppe: L’attuale esperienza nasce da quella che era la realtà del centro sociale Oltrefrontiera di Pesaro, portata avanti nella sua ultima fase dal Collettivo Malarlevèt (“male allevati”, in dialetto). Lo sgombero dalla sede storica, nel gennaio 2017, è stato uno spartiacque enorme. Noi veniamo da lì, anche se per età, interessi, trasferimenti ecc., diversi compagni non sono più nel Collettivo; quella di oggi è quindi una nuova fase, ripartita con quelli che sono rimasti.

Lo sgombero avvenne perché le azioni del Collettivo Malarlevèt si erano spesso scontrate con le forze politiche che amministravano la città. Ad esempio: la battaglia contro il jobs act e contro lo “Sblocca Italia” che favoriva le trivellazioni in mare (a Pesaro, la nuova piattaforma Bianca-Luisella), il sostegno al popolo palestinese (il comune abbandonò il gemellaggio con Rafah nella striscia di Gaza), ecc. Nel periodo antecedente allo sgombero, tra l’altro, avevamo preso una posizione netta per il No al referendum costituzionale del 2016, creando il comitato “per il No sociale” e organizzando iniziative anche colorite, come il funerale della democrazia, con tanto di bara e candele che avevamo esposto di fronte al centro sociale mentre era di passaggio il sindaco, che stava andando lì vicino, a un comizio pro Sì al referendum.

Giuseppina: Circa un mese dopo quell’episodio, un venerdì notte, hanno cambiato la serratura del posto. La mattina successiva, quando siamo arrivati, abbiamo appunto trovato la serratura cambiata e attaccato sulla porta c’era un cartello scritto a penna che avvertiva che quella era una proprietà comunale e se qualcuno entrava sarebbe stato sanzionato. Il posto infatti non era uno spazio occupato, ma era dato in comodato d’uso gratuito, da oltre trent’anni.

Quella mattina c’erano già pronte le macchine della digos, che stavano a vedere se avessimo forzato la porta. Noi però non siamo rientrati in quel momento, ma abbiamo deciso di porre il problema pubblicamente. La scusa accampata dall’amministrazione comunale è stata che avevano chiuso il posto perché pericolante, quando in realtà nello stesso edificio c’era uno spazio per gli anziani del quartiere, che noi stessi avevamo costruito tirando su un cartongesso, e quello è rimasto – ed è ancora – tranquillamente lì. Quando abbiamo sollevato la questione che avevano sequestrato all’interno cose nostre, compresi mobili, computer e una piccola biblioteca, ci hanno fissato un appuntamento per poter rientrare a riprenderle: quando siamo arrivati avevano già buttato tutto fuori, in mezzo al fango perché aveva piovuto. Tutto buttato così.

centro sociale Oltrefrontiera Pesaro 2017
C.S.A Oltrefrontiera Pesaro, via Leoncavallo (2017)

Giuseppe. Per completare il racconto va anche detto che, la settimana prima dello sgombero, un ragazzo che frequentava assiduamente lo spazio con difficoltà economiche e legali (rinnovo del permesso di soggiorno) venne chiamato in questura e dopo due giorni si presentò “spontaneamente” in Comune per consegnare copia delle chiavi del centro sociale. Con quel gesto gli uffici comunali costruirono un ridicolo atto di rinuncia del nostro Collettivo alla concessione dello spazio (in essere dal 1985), riuscendo loro – dopo vari tentavi fatti nel corso degli anni – a entrare nella struttura e quindi a sgomberarci. Da quel momento è iniziato il nostro viaggio per riprenderci lo spazio sociale della città di Pesaro. Dopo inutili tentavi di dialogo con gli uffici comunali e i politici locali, abbiamo convocato un’assemblea cittadina molto partecipata: non bastò a cambiare la situazione, ma servì a organizzare la lotta.

Passati pochi giorni abbiamo organizzato una manifestazione/sit-in di fronte al municipio, che aggirando la polizia si è trasformata nell’occupazione di alcuni uffici comunali per mezza giornata. Questo bastò a scuotere l’amministrazione che decise di incaricare un nuovo referente politico, l’allora assessore Bartolucci, per gestire e risolvere il pasticcio. Bartolucci trasformò l’atto di sgombero in una proposta di “trasferimento” in una nuova sede (lo spazio dove siamo ora).

Discutemmo nell’assemblea cittadina della proposta. Avevamo due scelte: rientrare nel posto da cui eravamo stati sgomberati, con un’occupazione e una successiva resistenza, oppure accettare la trattativa con l’amministrazione comunale per il trasferimento. Scelta difficile, alla luce di tanti casi come il nostro, finiti male. Alla fine l’assemblea fu costretta a votare e, con poco scarto, fu presa la decisione di accettare la proposta di trasloco. Ci sono poi volute tante riunioni in Comune e tante lettere protocollate ed è passato più di un anno prima di poter entrare effettivamente nel nuovo spazio, ma alla fine ci siamo riusciti e ora dobbiamo lottare per mantenerlo, perché se è vero che abbiamo risolto i problemi tecnico/burocratici quelli politici sono ancora tutti lì.

sgombero oltrefrontiera pesaro gennaio 2017
In piazza dopo lo sgombero, sotto la sede del Comune di Pesaro, gennaio 2017

Quindi siamo arrivati ad oggi. In questa nuova fase avete anche cambiato il nome del Collettivo, come lo avete scelto?

Giuseppe. Dopo tutto il percorso fatto, appena preso possesso del nuovo spazio il Collettivo ha scelto di darsi un nuovo nome. Sono state fatte diverse proposte, ma il nome di Anna Campbell, che due ragazze del Collettivo avevano conosciuto, è piaciuto ed è stato accettato da tutti e tutte. Anna Campbell è stata una martire per la liberà e i diritti civili: una delle tante combattenti straniere andate a difendere il popolo curdo del Rojava, unitasi alle YPJ (Unità di difesa delle donne). Si trovava ad Afrin il 15 marzo 2017 per impedire l’ingresso dell’ISIS ed è rimasta uccisa a ventisei anni a causa di un missile turco. La scelta è stata unanime, anche perché il nostro Collettivo ha sempre sostenuto l’esperienza politica e sociale del confederalismo democratico del Rojava. Tra l’altro nel 2015 abbiamo anche partecipato alla raccolta di aiuti denominata Carovana per Kobane.

Quali sono le prime iniziative che avete messo in piedi?

Giuseppina. Siamo partiti con il Festival delle cucine popolari autogestite. Nel 2018 abbiamo ospitato la terza edizione, tutte le assemblee sono state fatte qui allo Spazio e l’evento pubblico al parco Miralfiore. L’idea è che anche la cucina, a partire dalla materialità del cibo e da tutto quello che gli ruota attorno, può essere un terreno di lotta, di costruzione dell’autonomia, di rivendicazione politica. Queste cucine – come la nostra “cucina resistente” – sono anche cucine “in movimento”, perché disponibili a spostarsi in caso di necessità, ad esempio si è andati a far da mangiare per i migranti bloccati sul confine a Ventimiglia; noi ci siamo spostati spesso, anche per dare sostegno a Bologna a XM dopo il primo tentativo di sgombero.

festival delle cucine in movimento Roma

La Boutique di Anna che cos’è e come è nata?

Giuseppe: Quella che abbiamo chiamato la Boutique di Anna è una stanza piena di vestiti e altri generi, tutti suddivisi e ordinati, che sono liberamente a disposizione di chiunque ne abbia bisogno, secondo le sue necessità. Sono vestiti raccolti in occasione del terremoto del 2016 da parte delle Brigate di solidarietà attiva, di cui facciamo parte. In quell’occasione c’eravamo offerti come centro di raccolta per il Centro-Nord. I beni venivano smistati e mandati nei vari campi di terremotati ma, come spesso accade per le emergenze derivate da calamità naturali, le risposte solidali delle persone sono state molto più abbondanti delle esigenze reali. Avendo raccolto più del necessario, per un certo periodo, durante la fase dello sgombero, abbiamo organizzato lo “scambio solidale”: ogni sabato mattina ci mettevamo in piazza, proprio sotto al municipio, per scambiare prodotti che nel cratere non servivano più, come dentifrici e prodotti per l’igiene, in cambio di cose più strettamente necessarie.

Giuseppina: Finché a un certo punto si è posto il problema di cosa fare di tutto quello che era avanzato, in particolare avevamo ancora scatoloni e scatoloni di abbigliamento. Abbiamo pensato di continuare a dar loro una destinazione di solidarietà e così in questa nuova sede abbiamo organizzato la Boutique di Anna. Qui non facciamo una selezione tra chi può venire a prendere e chi no, non chiediamo credenziali né documenti perché siamo fuori dalla logica di certe istituzioni, dove chi si presenta in stato di necessità deve anche dimostrare di essere povero, cosa che ci sembra perfino umiliante, o dove non si può scegliere quello che si vuole ma solo prendere quello che è stato assegnato. E comunque molte persone che vengono più o meno frequentemente a prendere spesso portano anche altre cose, dando vita a un circuito solidale di scambio.

boutique di anna pesaro spazio sociale
La Boutique di Anna, Pesaro

Giuseppe: È infatti nata una rete di relazioni attorno alla Boutique, possiamo chiamarla una “comunità resistente”, che si organizza e collabora per sostenersi: chi ha di più, dà di più, chi ha bisogno prende. Nelle nostre iniziative cerchiamo sempre di ampliare la comunità e i campi d’azione, e così arriviamo a parlare anche dell’ultimo passo, la creazione dello Spaccio popolare, che è un modo diverso di procurarsi il cibo, più vicino al nostro sentire, fuori dalla grande distribuzione, genuino e solidale. È un passo molto impegnativo ma fondamentale, perché il cibo è un bene primario da sottrarre al capitalismo. Come abbiamo già detto, grazie alla nostra cucina popolare abbiamo negli anni creato delle relazioni che, ora, ci hanno permesso di dare vita a questo Spaccio popolare al quale partecipa una rete di produttori locali ed etici, che non sfruttano il territorio, le persone, gli animali (il nostro obiettivo è di dirigerci verso uno Spaccio prevalentemente vegetariano).

Quali sono altre iniziative e attività che ruotano attorno allo Spazio popolare?

Giuseppe: Il nostro spazio vuole essere aperto alla città, ovviamente a quella parte di città con cui condividiamo dei principi e dei valori di base (antifascismo, antirazzismo, antisessismo, antispecismo). Il Collettivo Anna Campbell ha attivato pratiche di mutualismo, azioni anticapitaliste e ambientaliste, lotte alle discriminazioni, riuscendo così a tessere una serie di legami con le associazioni del territorio e ad avviare collaborazioni che prima il centro sociale non aveva. Adesso diverse associazioni vengono qui o comunque sono in contatto con noi – come l’ONG La Palla rotonda, l’ODV Stay Human, l’APS Arcigay Agora, il Collettivo studentesco Iskra, l’APS Giovani profughi e altre – e con loro organizziamo diverse attività. Detto questo, non ci facciamo però mancare altri tipi di attività come il presidio antifascista ogni volta che Casa Pound si presenta, il sostegno alla comunità LGBTQI (l’anno scorso abbiamo partecipato all’organizzazione del primo Pride Marche), il boicottaggio dei prodotti israeliani per cui facciamo parte della rete BDS (movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro l’occupazione e l’apartheid israeliane), l’attenzione al mondo del lavoro con il supporto ai sindacati di base, ecc.

biliardino spazio popolare anna campbell
Biliardino in terrazza, Spazio popolare Anna Campbell

Giuseppina. Ad esempio La Palla rotonda è un’associazione che tenta di fare integrazione e aggregazione attraverso sport e cultura. Con loro abbiamo fatto diverse serate dal titolo “Conosci il mio paese”: ogni volta, chi è originario di un paese lo presenta, racconta cosa succede politicamente e non solo, insomma cerca di farcelo conoscere e dopo la presentazione c’è sempre una cena collettiva in cui proviamo a cucinare alcuni piatti tipici di quel paese. Facciamo una ricerca e cerchiamo di riprodurli, anche se non è facile per via degli ingredienti che possiamo reperire qui (in particolare le spezie sono di solito molto importanti). A fine serata c’è una cosa simpatica, un quiz a squadre, che mette alla prova la conoscenza su quel determinato paese; in palio non c’è niente, ma è una piccola cosa che coinvolge molto e sprona alla conoscenza reciproca: conoscenza che è la base del vivere insieme. Di queste serate a tema ne abbiamo fatte su tanti paesi, come Bosnia ed Erzegovina, Burkina Faso, Gambia, Guinea, Mali, Slovenia…

Un’altra iniziativa che è appena partita è la Ciclofficina. Vogliamo organizzare una piccola officina di attrezzi, così chi vuole ripararsi la bici può venire qui e con l’aiuto di qualcuno di noi, o da solo se è capace, può farlo, oppure se ne ha bisogno può prendere una delle bici che abbiamo già rimesso a posto; quelle che abbiamo adesso sono biciclette abbandonate che il comune (di Gabicce, non di Pesaro) ha recuperato e, passato un certo tempo in cui nessuno le ha reclamate, ce le ha donate.

foto di gruppo cena spazio sociale anna campbell pesaro
Foto di gruppo alla cena Conosci il mio paese [Iraq e Pakistan], dicembre 2019

Tra le associazioni con cui collaborate hai citato Giovani profughi. Tu, Adama, che ne sei formalmente il presidente, ci racconti chi siete e che cosa fate?

Adama: Il nome della nostra associazione – Giovani profughi – l’abbiamo scelto per far capire subito chi siamo veramente: siamo i profughi che la gente ha visto sbarcare e che ancora sbarcano qui. Siamo venuti tutti via mare, alcuni già sette anni fa. Prima dell’associazione, che è nata ufficialmente il 30 gennaio 2020, ci vedevamo come gruppo di amici, ci siamo infatti conosciuti nelle strutture di accoglienza che ci hanno accompagnato per un periodo, fino a quando due anni fa la legge le ha chiuse e molti ragazzi si sono trovati in difficoltà. Così abbiamo iniziato ad aiutarci tra di noi: chi aveva un lavoro o una casa non poteva lasciare un fratello fuori. E poi vogliamo condividere la nostra esperienza con chi è arrivato da poco e con quelli che arriveranno. Aiutarli a capire cosa serve per integrarsi, per imparare la lingua, per vivere qui scegliendo una buona strada.

In particolare sul lavoro è molto importante essere informati, perché se non conosci i tuoi diritti non puoi neanche chiederli e allora ci facciamo aiutare da chi è più esperto, dai sindacalisti ad esempio. All’inizio ci siamo incontrati proprio per problemi di lavoro di alcuni ragazzi che erano sottopagati, abbiamo invitato qui, in questo Spazio di Pesaro, un sindacalista dell’USB che poteva darci una mano; quel giorno abbiamo scoperto anche tanti altri problemi che aveva la nostra gente e così è nata l’idea dell’associazione. Da poco abbiamo aperto una nostra sede a Mercatale di Sassocorvaro, ma rimane un legame speciale con lo Spazio di Pesaro che è sempre stato aperto e disponibile con noi.

Ultimamente, durante il lockdown, abbiamo aiutato nella preparazione e distribuzione dei pacchi viveri per le famiglie in difficoltà.

Cosa vedi nel vostro futuro?

Adama: La prima cosa che vorrei vedere è l’integrazione: una società senza discriminazione, senza razzismo, senza tutte queste difficoltà che abbiamo per ottenere una casa e un lavoro, perché ci sono persone che guardano solo il colore della pelle o da dove vieni. Noi siamo qui perché non potevamo stare dove eravamo e adesso cerchiamo di integrarci. Penso che l’integrazione tra i popoli sarà inevitabile nel tempo. Trovare chi ci lascia sempre indietro e ci tratta male rende solo le cose più difficili e lascerà segni di dolore nelle menti e nei cuori che saranno difficili da cancellare. Se tu mi aiuti a integrarmi non avremo nessun problema e vivremo in pace, ma se tu adesso mi respingi, quando sarò integrato avrò sempre una brutta immagine di te. Nel nostro futuro vogliamo avere bei ricordi, non brutti ricordi.

Nei prossimi giorni ospiterete qui allo Spazio popolare una serata informativa sulle lotte per i diritti degli animali, con cena vegan, da cosa nasce questa iniziativa?

Paolo: Io sono attivista per i diritti degli animali da circa cinque anni, sono stato in vari gruppi; ultimamente, parlando con altri attivisti, abbiamo pensato di organizzare una cena, sia per conoscerci meglio tra di noi, sia per invitare altri e condividere informazioni sulle lotte per i diritti degli animali. Valentina ci ha proposto di farla qui allo Spazio popolare, ci è sembrata una buona idea e così è nato questo incontro. Personalmente mi sto concentrando sul filone della comunicazione efficace per attivisti perché mi rendo conto che è molto difficile parlare con altre persone di argomenti come veganismo, diritti degli animali e loro liberazione – immediata! Alcuni attivisti arrivano addirittura ad accusare una sindrome da stress. Ci sono persone che ci si dedicano full time, che vanno ad esempio a fare i rescue (liberazioni) degli animali negli allevamenti intensivi, ma la condizione di un attivista, o anche solo di una persona vegana, è quella di far parte di una piccola minoranza costantemente sotto pressione e quasi sotto attacco da parte di altre persone che magari non hanno affinato il ragionamento su certi argomenti. Non solo non vieni compreso, ma spesso vieni marginalizzato e quasi umiliato per la tua scelta, che in fondo non è che la ricerca del benessere per i viventi. Un libro cardine su questo discorso è “Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche”, di Melanie Joy: lei si occupa proprio di fare formazione per gli attivisti proponendo diverse strategie di comunicazione efficace. Credo sia bene iniziare a discutere di questo, la serata che faremo qui sarà l’inizio di questo confronto.

Concerto del Trio Kaos Pesaro 2019
Concerto del Trio Kaos, 3 agosto 2019

Fermo restando la verità oggettiva sintetizzata nello slogan ACAB (All cops are bastards), voi avete seguito e ora vi state legando alla rete ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa). Ci raccontate qualcosa di questa rete e di come sta nascendo qui allo Spazio popolare di Pesaro un suo nodo territoriale?

Giuseppina: ACAD è rete eterogenea di persone, di diversa provenienza, che si è associata a partire dai casi di Federico Aldrovandi (2005), Uva, Cucchi e tanti altri, tutti morti nelle mani delle forze dell’ordine. Il percorso prima informale ha poi portato alla nascita dell’associazione, con un coordinamento nazionale e vari nodi territoriali. ACAD è diverse cose: un osservatorio per monitorare e contrastare gli abusi compiuti dalle forze dell’ordine, un pronto intervento che grazie a un numero verde si attiva immediatamente in caso di segnalazione di abusi, un mutuo soccorso solidale per le vittime e le loro famiglie, un centro di controinformazione per smontare le versioni dei verbali di polizia.

Noi, a Pesaro, stiamo diventando uno dei nodi territoriali di ACAD, anche se in questo momento il Covid ha un po’ bloccato la situazione. Vogliamo dare appoggio a chi ne ha bisogno, anche perché abbiamo riscontrato che a Pesaro gli abusi sono evidenti, i più comuni riguardano il mancato rinnovo dei permessi di soggiorno, il continuo approfittare di chi ha documenti in scadenza, perquisizioni assurde e così via.

Giuseppe: In realtà questa non è un’attività nuova per noi, nel senso che un sostegno di questo tipo lo abbiamo sempre dato, anche con il supporto del nostro avvocato che ci segue da anni e degli avvocati di strada di Pesaro. Il nostro arrivo in ACAD è stato quindi naturale, la cosa positiva è che ci dà una struttura di riferimento, una rete.

Il vostro spazio sociale si trova nella zona pesarese di Villa Fastiggi, pochi chilometri più avanti lungo la strada c’è un carcere dove – come purtroppo in moltissimi altri istituti penitenziari – le condizioni dei detenuti sono pessime, c’è sovraffollamento, ci sono problemi sanitari, sono avvenuti maltrattamenti e anche episodi molto più gravi, come ad esempio la morte di Eneas (Anas Zamzami) nel 2015. Vi siete fatti un’idea di cosa succede in questo carcere?

Giuseppina. Eneas era un giovane che stava scontando una lieve condanna nel carcere di Villa Fastiggi e si è tolto la vita. Su come sia arrivato a questo gesto sappiamo che ci sono fondate responsabilità da parte dell’amministrazione penitenziaria. Il caso di Eneas lo abbiamo seguito e siamo tuttora in contatto con il gruppo di amici e amiche che sta cercando di far luce sulla sua morte.

Verità per Eneas, morto di carcere, dicembre 2018

Giuseppe. Il carcere è un luogo di raccolta di “poveracci” e di disperati, il sunto della repressione di tutti coloro che sono emarginati, i cui problemi si potrebbero affrontare con ben altri strumenti; con il welfare, la solidarietà, le politiche sanitarie… Le storie di abusi, violenze, atti di autolesionismo e purtroppo di suicidi escono dal carcere di Villa Fastiggi e ci riempiono di rabbia e sconforto. Purtroppo, oltre la condanna del tribunale, la volontà punitiva verso i detenuti che si vive nell’ambiente del carcere è una cosa che abbiamo percepito e che ci è stata ampiamente raccontata. Per quanto possiamo, cerchiamo di attivarci a ogni sollecitazione, come nel caso di Eneas o collaborando con l’associazione Antigone. Vorremmo andare anche oltre, per questo abbiamo incontrato due volontari di Pesaro che tramite il rugby sono riusciti a organizzare attività sportiva nel carcere, dopo tre anni di richieste e di ostacoli. Ci aspetta un lavoro lungo e difficile.

A Pesaro, come in tutta la riviera, conoscete bene che cos’è lo “sfruttamento stagionale”, cioè quel lavoro in alberghi, ristoranti, stabilimenti, che dura qualche mese ed è fatto orari di lavoro interminabili, paghe ridicole, contratti non rispettati, assenza di turni di riposo eccetera. So che siete attivi/e anche su questo fronte, vero?

Giuseppina. Abbiamo aderito fin da subito alla campagna “Mai più sfruttamento stagionale” e al coordinamento nazionale, nato principalmente da attivisti dell’USB di Bologna, poi diffuso a Rimini, qui a Pesaro, in Toscana, in Sardegna. Si sta estendendo lungo tutte le zone costiere, dove lo sfruttamento stagionale si sente di più (certo, esiste anche in montagna, ma per ora il coordinamento è più presente sul mare). La campagna “Mai più sfruttamento stagionale” è una piattaforma di rivendicazioni, la prima cosa che chiede è, almeno, come minimo, il rispetto del contratto Collettivo nazionale, che è pessimo e pieno di criticità, ma è meglio di niente.

Io posso parlare per esperienza personale, ho iniziato a fare le stagioni quando avevo quattordici anni e ti posso assicurare che è vero che anche allora si lavoravano 15 ore al giorno, ma con tre o quattro mesi di lavoro mi pagavo gli studi e le vacanze, d’inverno non gravavo sulla famiglia. Gli stagionali di allora sapevano che per quei mesi avrebbero praticamente vissuto dentro l’albergo o il ristorante, però poi avevano tutto l’anno a disposizione. Oggi è molto diverso, si lavora sempre per tantissime ore, senza giorno libero, ma le paghe sono ben diverse e non c’è mai un vero contratto in regola. Io adesso ho un contratto a chiamata: spesso la sera mi dicono se la mattina dopo devo andare a lavorare oppure no. Non esiste nessuna garanzia, nessun diritto. Anzi, oggi più che mai con la pandemia in corso, molti datori di lavoro ti fanno sentire fortunato ad essere sfruttato, in confronto a tanti altri che con il Covid sono rimasti disoccupati.

Giuseppe. Bisognerebbe puntare a un vero e proprio sciopero degli stagionali, ma è difficile. Per ora ci sono riusciti i bagnini di salvataggio della Versilia, che come categoria hanno una certa forza perché se non si presentano lo stabilimento non può aprire, e quindi hanno ottenuto qualcosa. La campagna “Mai più sfruttamento stagionale” è stata accompagnata anche da un’indagine, sotto forma di questionario, dove tra l’altro è emersa una delle cose più tristi del lavoro stagionale cioè gli abusi, le molestie, con parole e atteggiamenti: per le donne la situazione è ancora più pesante.

Rivolta!

Riceviamo e pubblichiamo

Corona è il virus, il capitalismo la pandemia. Berlino, 30/12/2020

La riproposizione senza termine di decreti normativi repressivi, ubiquitari a livello globale e motivati da “superiori interessi di salute pubblica” domina la sfera personale e l’agire politico degli esseri umani di questa particolare epoca: diventa perciò chiaro che l’unica via di fuga dalle passioni tristi, l’unica strada che gli individui e le collettività possono percorrere per affermare e riscattare la propria esistenza è quella della rivolta.

Necessità del singolo che immediatamente si trasforma in dispositivo politico di tante e tanti; da bisogno fisiologico dell’individuo la rivolta coinvolge e travolge settori eterogenei della popolazione fino a diventare “proprietà” comune.

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Considerazioni sparse e semiserie sulle agende di movimento

Sul tour di Matteo Salvini nelle Marche del 14 settembre 2020

Riceviamo e pubblichiamo da un nostro lettore dell’Alta Vallesina

Ieri è tornato Salvini nelle Marche, il politico più odiato da quando Berlusconi è diventato un avatar, ed ecco che oltre alle necessarie contestazioni sono fiorite inutili polemiche nella galassia dei cosiddetti movimenti. Si è parlato di “agende”, sarà che era anche il primo giorno di scuola e le vendite di diari si erano impennate vertiginosamente. Così a forza di sentire parlare di agende un po’ di curiosità mi è venuta e sono andato in cartoleria a chiedere una “agenda per il movimento”… niente, non l’ho trovata, anzi la commessa ventenne a dire il vero non capiva proprio la parola “movimento” e, visto che non avevo tanta voglia di dilungarmi in una lunga spiegazione che parte dalla Rivoluzione francese, ne ho approfittato per ricomprare la solita moleskine nera che da vent’anni uso come feticcio.

La scena è quasi sempre la stessa da parecchio tempo a questa parte, ma con delle varianti provinciali molto gustose che vale la pena raccontare.

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Salviniana: tre anni di contestazioni a Salvini (#7, maggio 2017)

Salviniana: tre anni di contestazioni a Salvini [2014-2017]
Di Valentina

SALVINATA (Salvinata) s. f. (iron.) Trovata, uscita tipica del politico Matteo Sal­vini. Derivato dal nome proprio (Matteo) Salvini con l’aggiunta del suffisso -ata. «Lui [Matteo Salvini, ndr] se la ride, ha già calcolato l’effetto mediatico della visita ed è certo che anche grazie a queste “salvinate” la Lega salirà ancora di più nei sondaggi» (Pierluigi Sala, Repubblica, 8 novembre 2014, p. 10). «Salvini sta affossando il centrodestra, di certo non gli correremo dietro – hanno sottolineato Alfano e Lupi -. Le sue Salvinate, come quella di uscire dall’Europa, non producono risultati, sono fatte solo per ottenere una manciata di voti» (ilmessaggero.it, 21 febbraio 2015).
[Fonte: http://www.treccani.it/vocabolario/salvinata_(Neologismi)]

Livorno. Una "salvinata"
Livorno. Una “salvinata”

 

Potrebbe essere divertente, se non fosse terribilmente vero: Salvini è diventato un sostantivo e la sua definizione è entrata a far parte dei neologismi, secondo Treccani. L’etimologia è presto spiegata: nel linguaggio giornalistico le “gesta” di Salvini hanno assunto una dimen­sione emblematica, in un certo senso si possono considerare qualcosa di unico nel loro genere.

Forse non possiamo ritenere la selezione di neologismi di Treccani un’istituzione nel cam­po linguistico, e il dubbio lo sollevano termini legati più alle trovate giornalistiche che a un reale cambiamento della lingua parlata e scritta (qualche esempio: “accalappiazingari”, “bankabbestia”, “euro-furbetto”); eppure anche se si trattasse di una strategia di marketing del sito Treccani per un pugno di click in più (unità di misura della visibilità e quindi del guadagno in rete), non sarebbe comunque divertente.

Se non linguisticamente autorevole, quello di Treccani è tuttavia un termometro di un pro­cesso in atto difficilmente reversibile: linguaggio, mezzi di comunicazione e Salvini – inteso non solo come personaggio politico, ma come figura culturale – hanno fatto cortocircuito. Per usare un altro termine che pure si può trovare tra le pagine del dizionario, la “salviniz­zazione” è compiuta.

Per capire che non si tratta solo di un gioco linguistico, sebbene venga presentato come tale anche grazie alla nota “ironico” presente nella definizione, ha senso partire proprio da questo fenomeno. Le “salvinate” non esistevano prima di Salvini e a renderle tali ci han­no pensato soprattutto i media, stampa, radio, televisione e definitivamente il web, in un tempo piuttosto breve. Forse il termine fa solo qualche comparsa sulle testate giornalistiche più inclini al sensazionalismo della notizia, ma è evidente a tutti che, dalla sua nomina a segretario della Lega (dicembre 2013) a oggi, il volume della sua voce è stato amplificato e i media mainstream si sono prestati a diventare il suo megafono principale. Andando a memoria e scusandoci per la fonte, c’è un passaggio interessante in un’intervista televisiva del 2014 [cfr. Le Invasioni Barbariche, 24/01/2014] in cui a un acerbo e ancora impaccia­to neo-segretario viene chiesto come mai, in un momento di rinnovamento del partito, il linguaggio della Lega rimanesse fedele a un registro becero e aggressivo o, come preferisce definirlo Salvini, “ruspante”.

La risposta è abbastanza banale ma in qualche modo premonitrice: «In Italia se non alzi la voce nessuno ti ascolta, anche se hai ragione». Ci verrebbe da aggiungere: anche se non hai ragione.

E questo è proprio ciò che è accaduto: negli ultimi tre anni Salvini ha alzato la voce e nei luoghi in cui ha parlato e parla nessuno si è realmente preoccupato di abbassare o togliere il volume. Così non solo i suoi contenuti, le sue “salvinate”, sono diventati una possibilità tra le varie scelte politiche, ma Salvini stesso è stato consacrato come interlocutore privilegiato del circo mediatico, qualcuno insom­ma adatto a presidiare tutte le reti televisive e a presenziare in una marea di trasmissioni senza contraddittorio e senza risultare se non inaccettabile, almeno fuori luogo.

Rimini, 9 aprile 2016, la piazza divisa.
Rimini, 9 aprile 2016, la piazza divisa.

 

«Vorrei che i conigli dei centri sociali fossero scesi in piazza contro la camorra ma forse hanno paura perché qualche mamma o papà con la camorra ci campa.»
[La Stampa, dichiarazione di Salvini sui fatti di Napoli, 11/03/2017]

«Questi di Bologna sono zecche per i quali ci vuole l’insetticida, come per i topi ci vuole il topi­cida. Bisogna liberare piazza Verdi a suon di manganellate. Io piazza Verdi la ripulirei con gli idranti. Va ripulita con gli idranti, serve acqua. È già presidiata, ma non basta, serve di più.»
[Ansa, dichiarazione di Salvini sui fatti di Bologna, 15/02/2017]

«Palme e banani in piazza Duomo? Follia. Mancano sabbia e cammelli, e i clandestini si senti­ranno a casa. #motosega #starbucksgohome.»
[Pagina Facebook, Salvini sull’installazione di palme in piazza Duomo a Milano, 15/02/2017]

«Continue scosse di #terremoto in Centro Italia, neve e gelo. Altro che “migranti”, che il governo aiuti subito questi italiani!»
[Twitter, Salvini su terremoto in centro Italia, 18/01/2017]

Sono solo alcune delle dichiarazioni che quotidianamente Salvini rilascia a mezzo social o stampa e che alimentano il dibattito politico e culturale senza filtri. Ma non si tratta di eccezioni: la caratteristica comunicativa e di contenuto del “leader della ruspa” è un linguag­gio provocatorio, xenofobo e razzista senza mezzi termini. Questa modalità truce non solo viene tollerata, ma accettata e normalizzata, diventando una vera e propria opzione politica ammissibile.

Eppure c’è qualcuno che il volume ha cercato di abbassarlo e ha provato a staccare la spina all’amplificatore a senso unico che trasmette il continuo e fastidioso rumore leghista, por­tando in piazza contenuti diversi, contestazioni e una sana voglia di mandare a casa l’unica persona non gradita nelle città: Salvini.

Si tratta della campagna nazionale “Mai con Salvini”, che tuttora rimbalza da una piazza all’altra e che negli ultimi tre anni ha prodotto presidi e manifestazioni di migliaia di perso­ne, da nord a sud, ovunque il padano si presentasse con i suoi discorsi fatti di “siamo italiani e dobbiamo unirci contro i clandestini che stanno impoverendo l’Italia”.

Anche il territorio tra Marche e Romagna è stato attraversato dal becero ruspista a caccia di voti, ma in ogni città in cui ha messo piede ha sempre trovato un degno comitato di non-accoglienza: Ancona, Macerata, Senigallia, Pesaro, Porto Recanati, Jesi hanno risposto alle vuote parole d’ordine di Salvini e della Lega con contestazioni diffuse e dalle forme variegate. Allo stesso modo il leitmotiv “Mai con Salvini” ha movimentato le piazze di Bologna e Rimini, passando per Ravenna, Forlì e altre cittadine roma­gnole dove i leghisti hanno provato ad affacciarsi.

E proprio della giornata di Rimini vorremmo raccontare qualcosa di più, perché nel momento in cui scriviamo mancano pochi giorni all’inizio dell’udienza per i due arresti avvenuti il 9 aprile 2016, quando la Rimini antirazzista è scesa in piazza per opporsi all’en­nesimo comizio elettorale.

La dinamica dei fatti ricalca un copione visto tante volte: da un lato una piazza fortemente militarizzata a difesa di Salvini e della sua claque – talmente tanto da risultare più la celere schierata degli stessi leghisti e simpatizzanti –; dall’altro numerose persone di tutte le età decise a respingere chi, per qualche misero voto, fomenta quotidianamente una guerra tra poveri tifando per un’italianità tanto ipocrita quanto opportunista, contro la presunta inva­sione migrante responsabile di tutte le nostre infelicità e miserie.

Nel corso della giornata si sono svolte diverse iniziative di contestazione, con una partecipa­zione spontanea ed eterogenea. Tra queste, un presidio pubblico indetto da realtà e associa­zioni cittadine proprio nella piazza in cui si sarebbe svolto il comizio.

Così, mentre alcuni manifestanti si trovavano già sul posto, altri che tentavano di raggiun­gere la piazza per srotolare uno striscione sono stati attaccati a freddo con violente cariche e manganellate. In quel momento due ragazzi sono stati pestati, tratti in arresto e sottoposti a diverse violenze psicologiche, compreso il fatto di essere portati in questura senza la possibi­lità di contattare i propri legali e ricevendo in ritardo le necessarie cure mediche. Una situa­zione surreale in cui solo molte ore dopo, grazie anche alla determinazione di un presidio solidale sotto la questura, i due attivisti sono stati condotti agli arresti domiciliari, in attesa del primo processo avvenuto per direttissima il successivo 11 aprile, che ha trasformato i domiciliari in obbligo di firma settimanale. I capi di imputazione addossati ai due, da parte di un ufficio politico in cerca di capri espiatori, sono stati resistenza e aggressione a pubblico ufficiale. A oggi, un anno dopo i fatti, le misure cautelari sono ancora in vigore in attesa del processo.

Poche le parole spese in solidarietà: le testate locali, così come lo schieramento partitico istituzionale, si sono affrettate a prendere una posizione equidistante da fascisti e antifascisti, quando non di condanna, secondo l’orwelliana rappresentazione del “fascismo degli antifascisti” e di coloro che non accettano che i proclami fascioleghisti riempiano una piazza, oltretutto dedicata a tre giovani partigiani giustiziati dai nazisti proprio in quel luogo.

Questo è il contesto riminese, una città dove sempre di più i fascisti godono di agibili­tà politica e legittimità, in nome di un’ipocrita libertà di espressione in difesa dell’ordine democratico. Una città dove questo episodio è solo un tassello di un’operazione repressi­va volta a criminalizzare le esperienze di socialità e solidarietà autorganizzate e dal basso, costruite giorno dopo giorno negli spazi sociali, nelle palestre popolari, nelle curve degli stadi. Sempre a Rimini, infatti, due compagni accoltellati dai fascisti nel 2014 si ritrovano coinvolti, insieme ad altr* compagn*, amici e solidali, in un castello giudiziario decisamente kafkiano, fatto di processi, arresti domiciliari e altre misure preventive, mentre i fascisti e leghisti continuano indisturbati a seminare intolleranza, razzismo e xenofobia.

Ma pur nella sua specificità, Rimini trova una comunanza con tutte le altre città dove la visita di Salvini non è stata gradita. E proprio per ridare spessore a un percorso che non trova megafoni e amplificatori nei contesti dell’informazione di massa, vogliamo ripercorrere la cronologia della campagna “Mai con Salvini” e delle varie contestazioni che hanno toccato tutta l’Italia negli ultimi tre anni, insieme a qualche momento salviniano necessario alla ricostruzione.

Rimini, 9 aprile 2016, il commento di Salvini ai fatti del giorno.
Rimini, 9 aprile 2016, il commento di Salvini ai fatti del giorno.

 

Cronologia

7/12/2013. Salvini eletto segretario federale della Lega Nord, vince contro Umberto Bossi con l’82% delle preferenze.

25/4/2014 – REGGIO EMILIA. 25 aprile, convegno anti-euro presso un hotel. Contestazione con alcuni momenti di tensione. Provvedimenti cautelari per 15 persone incensurate: 2 arresti domicilia­ri e 13 obblighi di firma giornalieri.

5/5/2014 – LAMEZIA TERME. Contestazione a Salvini, ospite per il tour elettorale al sud dei fascisti del Movimento Territorio e Lavoro, alleati con la Lega Nord alle elezioni europee.

6/5/2014 – NAPOLI. Insulti e proteste contro Salvini che rinuncia al suo intervento in piazza Carlo III. « Sei tu la vera carogna». Salta il Lega tour: «Ma tornerò».

8/11/2014 – BOLOGNA. Visita al campo nomadi di via Erbosa. Durante la contestazione, l’autista accelera per scappare e investe due manifestanti. Il lunotto dell’auto privata di Salvini ha la peggio. Un anno dopo 20 persone indagate per violenza aggravata, lesioni e danneggiamento.

10/11/02014 – IMOLA. Visita a un centro dove sono ospitati profughi del Bangladesh. Salvini in­tona provocatoriamente “Bella ciao” dietro lo striscione “Stop invasione”. Un gruppo di manifestanti blocca gli accessi alla struttura, Salvini scortato riesce a entrare dal retro.

11/11/2014 – PARMA. Comparsata di pochi minuti, protetto da un grande dispositivo poliziesco. Gran parte della piazza presidiata dagli antirazzisti, raccolti dietro lo striscione “Fuori i razzisti da Parma”.

16/11/2014 – REGGIO EMILIA. Giornata di contestazioni in diversi luoghi e forme: a Montec­chio Emilia, a Reggio davanti alle ex Officine Reggiane e a Scandiano.

21/11/2014 – MODENA. Comizio in piazza e contropresidio antifascista.

19/12/2014. Nasce “Noi con Salvini”, lista leghista per il Centro e Sud Italia.

20/12/2014 – TORINO. Presidio leghista in quartiere Lingotto, a pochi metri dalle palazzine ex- Moi occupate dai rifugiati da aprile 2013. Contropresidio antirazzista di migranti e solidali in una piazza blindata da decine di camionette e celerini.

5/2/2015 – L’ AQUILA. Contestazione per la visita sui luoghi del terremoto: «Qui non ti vogliamo tornatene con Borghezio». Ad attendere Salvini anche militanti di Noi con Salvini e CasaPound.

8/2/2015 – PALERMO. Salvini sceglie Palermo per presentare la lista Noi con Salvini: «Chiedo scu­sa ai meridionali se li ho offesi». Contestato: «Lega ladrona Palermo non perdona. Orgoglio terrone».

27/2/2015 – ROMA. A meno di 24 ore dalla manifestazione della Lega, mobilitazione dei movi­menti per il diritto all’abitare, a piazzale Flaminio. Forte contestazione e cariche, nessun fermo. Il 5 novembre 2015 vengono notificati 3 obblighi di firma due volte al giorno e decine di denunce con multe per corteo non autorizzato e blocco del traffico. Durante la mattinata occupazione simbolica anche di alcune chiese a Piazza del Popolo, sgomberate.

28/2/2015 – ROMA. Mobilitazione nazionale della campagna “Mai con Salvini”, grande corteo in risposta al comizio in Piazza del Popolo che mette insieme Lega Nord, CasaPound, Fratelli d’Italia.

7/3/2015 – GENOVA. Manifestazione per contestare il comizio di Salvini.

7/3/2015 – VENEZIA. Manifestazione organizzata da Fratelli d’Italia e Lega Nord. Salvi­ni diserta perché a Genova, presente solo Meloni. In risposta, giornata di festa antirazzista “Venezia non si Lega”.

12/3/2015 – CAGLIARI. Rovesciato banchetto di raccolta firme Noi con Salvini, fermato e arresta­to un compagno poi processato il giorno dopo per direttissima.

28/3/2015 – TORINO. Corteo cittadino per respingere i fascioleghisti. Violente cariche poco dopo la partenza quando il corteo cerca di raggiungere il luogo del comizio. 8 persone fermate e poi rila­sciate in serata con una denuncia a piede libero. Un giovane studente antifascista torinese trattenuto in carcere e poi trasferito agli arresti domiciliari per alcuni mesi. A 5 mesi di distanza arrivano altri 6 arresti: 2 condotti presso il carcere delle Vallette, 4 ai domiciliari con restrizioni.

22/4/2015 – LIVORNO. Contestazione con lancio di uova e pomodori. Salvini protetto fa il dito medio ai manifestanti e si filma con l’Ipad. Successivamente in seguito a un momento di confronto con dei leghisti, 4 ragazzi vengono denunciati per lesioni aggravate e porto d’arma impropria. A questi viene notificato anche il Daspo perché, secondo la questura, noti frequentatori dello stadio.

27/4/2015 – ANCONA. Presidio antirazzista, con lancio di uova e fumogeni, impedisce il comizio di Salvini che diventa una conferenza stampa di pochi minuti. Tre cariche della polizia tentano di disperdere i manifestanti. Subito dopo il presidio si sposta nel quartiere Piano, zona con il maggior numero di migranti dove era prevista una visita di Salvini; qui la determinazione della piazza ne impedisce il passaggio.

27/4/2015 – PORTO RECANATI. Comizio davanti all’Hotel House, atteso da una numerosa delegazione antirazzista e meticcia. Il palazzone dell’hotel è famoso per essere un ghetto verticale, in cui sono confinate più di 3 mila persone (in un paese di 12 mila) di molte nazionalità differenti, in condizioni precarie. I migranti residenti e i solidali hanno impedito l’ingresso incordo­nandosi nel viale di accesso, al grido di “fuori i razzisti dalle città”.

27/4/2015 – MACERATA. Dopo il flop di Porto Recanati, Salvini si muove alla volta di Macerata, dove lo attende una piazza antirazzista. Poche decine di leghisti, bersagliati da uova e da slogan. Cariche violente della polizia, due i feriti, di cui uno colpito alla testa e numerosi i contusi.

1/5/2015 – LUCCA. Salvini ospite in un locale viene contestato all’esterno con un presidio.

5/5/2015 – BOLZANO. Presidio pacifico di contestazione. CasaPound fa da servizio d’ordine, pro­voca e aggredisce i manifestanti, causando l’intervento della polizia.

6/5/2015 – TRENTO. Presidio antirazzista e due cortei bloccano l’accesso alla piazza militarizzata a difesa di Salvini, che fa il suo comizio in una piazza vuota.

9/5/2015 – LECCE. Distrutte le vetrate del comitato elettorale “Noi con Salvini”, in vista della visita del segretario.

10/5/2015 – LECCE. Lancio di uova e forti contestazioni davanti all’hotel in cui si svolge il comizio di Salvini, entrato da un ingresso sul retro.

11/5/2015 – FOGGIA. Presidio antifascista davanti a un hotel con fumogeni, uova, pomodori, banane e lo striscione: “Salvini: odio senza confini”. Cariche e manganellate colpiscono una com­pagna in modo non grave. La protesta costringe Salvini a lasciare in fretta la città scortato anche da CasaPound.

12/5/2015 – GELA. Inizio del tour in Sicilia, trova più contestatori che simpatizzanti.

12/5/2015 – MARSALA. Comizio annullato grazie alla contestazione molto partecipata. In tarda serata, Salvini si reca di nascosto in un ristorante della zona. Un piccolo gruppo di contestatori lo raggiunge, ma viene allontanato dalle fdo.

13/5/2015 – VILLABATE (PA). Rovinata la passerella elettorale anche nel piccolo comune con un presidio di contestazione e lancio di uova.

14/5/2015 – SENIGALLIA. Comizio di Salvini in una piazza chiusa da blindati e agenti antisom­mossa. Tutti i lati assediati dai manifestanti con lancio di uova, pomodori, torce e petardi che lo interrompono ripetutamente fino a fermarlo. I manifestanti attraversano in corteo il centro storico cercando di raggiungere la piazza e vengono caricati. Alla fine prendono il palco e il corteo si scioglie al grido di: “Salvini t’hai da’ tuffa’ su i scoj!”.

15/5/2015 – PORTO SAN GIORGIO (FERMO). Il comizio dura appena cinque minuti, a con­testarlo un centinaio di persone. Salvini chiama i manifestanti “fascisti”, proprio mentre sotto al suo palco si trovano una decina di soggetti di CasaPound, circondati dalla celere. Tra questi Diego Tor­resi, responsabile Blocco Studentesco Marche, e Amedeo Mancini: il nome non ci è nuovo, Mancini è infatti la persona che sarà accusata dell’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi, ucciso per motivi razziali il 5 luglio 2016 a Fermo.

15/5/2015 – PERUGIA. Presidio rumoroso e partecipato interrompe il comizio e si riappropria della piazza nonostante ripetute provocazioni di leghisti e polizia. Cariche violente e a freddo. Un manifestante fermato e rilasciato e diversi feriti.

15/5/2015 – MARSCIANO. Sede della Lega Nord locale imbrattata di vernice rossa. Un corteo segue Salvini per tutta la durata della visita, contestato con urla e sputi.

16/5/2015 – VIAREGGIO. Salvini rinuncia a incontrare i suoi sostenitori al mercato centrale a causa delle contestazioni. Lascia il luogo in auto che viene presa a pugni. Raggiunge la piazza dove tiene un comizio di appena 10 minuti, disturbato da lancio di uova e slogan per poi scappare nuo­vamente in auto.

16/5/2015 – TORRE DEL LAGO. Annullata la tappa per timore di contestazioni.

16/5/2015 – MASSA. Cariche contro i manifestanti che tentano di sfondare i picchetti della polizia a protezione dell’area del comizio: le manganellate feriscono due persone (padre e figlio), diversi contusi.

16/5/2015 – PISA. Corteo per le vie della città. Salvini non pervenuto.

21/5/2015 – SEGRATE. Contestato con lancio di uova e vernice.

23/5/2015 – PADOVA. Presidio e corteo mentre Salvini presenta il libro “Allarmi siam leghisti”. Provocazioni poliziesche, spintoni e blocchi.

24/5/2015 – MESTRE. Manifestazione antirazzista cerca di forzare il cordone di fdo. Cariche e manganellate, alcuni feriti. Il presidio non si scioglie fino al termine del comizio.

27/5/2015 – SAN GIOVANNI LA PUNTA (CT). Annullato comizio a Milazzo, viene accolto nel paese catanese con un presidio determinato che cerca di sfondare transenne e cordone di polizia, caricato e manganellato.

28/5/2015 – SIENA. Il presidio viene fatto arretrare e allontanare dalla piazza. Nonostante ciò le fdo caricano e manganellano i manifestanti. Un giovane liceale gravemente ferito. Un fermo per resisten­za, rilasciato dopo un’ora. Il presidio al termine del comizio attraversa la città in un corteo spontaneo.

26/6/2015 – SAVONA. Presidio di contestazione con alcuni momenti di tensione.

26/6/2015 – GENOVA. Corteo antifascista e antirazzista con sanzionamento a Confesercenti, ca­serma dei carabinieri e comando dell’esercito. Un secondo corteo raggiunge alla spicciolata il retro del palco di Salvini, tensioni e cariche. Il corteo improvvisa un contro-comizio in una vicina piazza. Pestaggio da parte dei leghisti e conseguente trasporto in ospedale per un signore che si era recato sotto il palco del leghista per contestarlo.

2/7/2015 – CATANZARO. I manifestanti vengono presi d’assalto e caricati mentre Salvini partecipa a un convegno sulla sicurezza organizzato dal Sap.

2/7/2015 – LAMEZIA TERME E ISOLA DI CAPO RIZZUTO. Contestazioni al grido di “i terroni non dimenticano”.

7/7/2015 – FILAGO (BG). Salvini invoca ruspe per sgomberare i profughi ospitati nella palestra della località, accolto da un presidio di solidali e migranti che impedisce lo svol­gimento del comizio.

15/7/2015 – NAPOLI. Presidio caricato, resiste e diventa un corteo spontaneo.

05/11/2015 – PADOVA. Presidio all’ex caserma Prandina che accoglie rifugiati e profughi. Salvini rinuncia alla visita.

08/11/2015 – BOLOGNA. Diversi cortei mattutini per contestare la presenza leghista in piazza Maggiore. Migliaia di manifestanti attraversano la città, tafferugli e cariche sul ponte di via Stalingra­do. In un centinaio raggiungono la piazza, lancio di oggetti e insulti.

14/11/2015 – PISA. Corteo determinato, ripetutamente caricato. Diversi feriti tra i manifestanti, un digos ferito.

26/1/2016 – TRIESTE. Diverse contestazioni: performance, striscioni, azioni di disturbo. Tre cari­che a freddo, le fdo rincorrono e manganellano indistintamente manifestanti, passanti e giornalisti.

28-29/1/2016 – MILANO. Carico di letame per accogliere Salvini e Marine Le Pen. Corteo di pro­testa durante lo svolgimento del convegno con alcuni rappresentanti delle destre europee.

11/2/2016 – CAGLIARI. Presidio diventato corteo, in occasione dell’inaugurazione di una sede di Noi con Salvini. Cariche e lanci di lacrimogeni anche ad altezza d’uomo. Tre fermi, uno immediata­mente rilasciato, gli altri due dopo alcune ore. Contestazioni anche a Olbia e Alghero.

26/2/2016 – ROMA, PRENESTINO. Assaltato un gazebo elettorale leghista in piazza Malatesta. Nel pomeriggio lancio di uova al gazebo all’Appio Claudio. Per i fatti in piazza, 4 mesi dopo effet­tuate perquisizioni in casa di 10 attivisti e notificati altrettanti obblighi di firma due volte al giorno.

3/3/2016 ROMA, PRENESTINO. Dopo l’assalto al banchetto, Salvini si presenta al gazebo in una piazza blindata dalle fdo. Dalla parte opposta presidio di contestazione.

5/3/2016 – ROMA, GARBATELLA. Azione di contestazione al banchetto di Noi con Salvini. Fumogeni, cori e insulti. Il banchetto chiude in anticipo.

14/03/2016 – JESI. Attivisti respingono una fiaccolata organizzata dalla neocostituita Lega Nord Jesi. Una decina i leghisti partecipanti, colpiti da gavettoni.

9/4/2016 – RIMINI. Presidio durante il comizio di Salvini. Cariche a un gruppo di manifestanti e due arresti.

11/4/2016 – L’AQUILA. Contestazione a Salvini in visita in città.

4/5/2016 – ROMA, MONTAGNOLA. Salvini in visita al quartiere contestato dalla maggioranza dei presenti, che gli impediscono di entrare al mercato.

5/5/2016 – BOLOGNA. Presidio in zona universitaria per la visita di Salvini. Previsto un incontro con il rettore dell’Università e la candidata sindaca Borgonzoni. La polizia carica gli universitari che provano a raggiungere Ingegneria, in zona periferica di Bologna, dove è spostato il suo incontro con il rettore.

27/5/2016 – SAN GIOVANNI LA PUNTA (CT). Presidio di contestazione “Leghista fa rima con fascista”, “Salvini, Catania ti schifa”, “Leghisti complici degli scafisti”. Momenti di tensione con la polizia.

1/6/2016 – TORINO. Militarizzata l’intera zona del mercato di porta Palazzo, presidio antirazzista. La protesta si sposta al comizio in via Garibaldi in centro, dove viene interrotto l’intervento di Salvi­ni. Il presidio diventa un corteo che si muove fino a piazza Castello.

2/6/2016 – BOLOGNA. Salvini torna in città. Il corteo di contestazione viene caricato in zona universitaria, 5 fermati, subito rilasciati. In piazza Verdi erette barricate con balle di paglia. Caricati anche attivisti che avevano realizzato la scritta sulla sede locale del Pd: “Contro i due Matteo legittima difesa” e fatto un lancio di verdure al comizio in piazza Maggiore.

23/7/2016 – CAGLIARI. Aggredito esponente di Noi con Salvini Cagliari. I leghisti avevano richiesto, senza ottenerlo, il permesso per una manifestazione in piazza contro i migranti che vi stazionavano da giorni. Organizzato un pranzo antirazzista, durante il quale alcuni hanno notato l’esponente leghista e l’hanno spedito in ospedale. Il personaggio dopo qualche tempo è stato espulso dalla lista leghista perché con posizioni estremiste/fasciste.

1/10/2016 – PADOVA. Presentazione del libro di Salvini presso libreria Mondadori. Il presidio di contestazione diventa un corteo determinato a raggiungere la piazza della libreria. Dopo un lancio di uova e fumogeni, la polizia cerca di caricare la testa del corteo. Respinte le cariche, azioni di disturbo.

12/11/2016 – FIRENZE. Manifestazione nazionale “Io voto no” in piazza Santa Croce. Corteo di contestazione “Salvini e Lega Nord, a Firenze un vi si vole!”.

25/11/2016 – LUCCA. Studenti universitari e medi cercano di avvicinarsi al bar dove Salvini incon­tra i suoi “fan” per srotolare uno striscione; un ingente dispiegamento di forze dell’ordine confina la contestazione lontano dal luogo.

17/12/2016 – PALERMO. La popolazione contesta l’arrivo del leghista in città: “La Sicilia è dei siciliani, itivinni in Padania”. La protesta dura per tutto il tempo della permanenza di Salvini in città, alcuni manifestanti tentano di occupare l’interno della Cattedrale e vengono allontanati con la forza.

8/3/2017 – NAPOLI. Salvini atteso presso la sede de Il Mattino di Napoli per un’intervista lampo. La polizia sgombera il primo sit-in improvvisato, ma già in tarda mattinata due nutriti gruppi di ma­nifestanti bloccano nuovamente le vie di accesso alla sede del giornale. La polizia carica il corteo mol­to partecipato da donne, emblematico proprio l’8 marzo, sciopero globale delle donne. Nella carica una ragazza subisce una lesione al naso e un’altra persona viene colpita al viso da una manganellata.

11/3/2017 – NAPOLI. Un grande corteo partecipato e determinato per dire No alla presenza di Salvini a Napoli. Scontri con le forze dell’ordine, uso di lacrimogeni e idranti. Il corteo risponde con lanci di petardi, sassi e barricate. Numerose cariche, 4 fermi. È importante ricordare che la presenza di Salvini è stata possibile solo grazie all’intervento del ministro Minniti che la sera prima ha dato “disposizioni” alla Prefettura di consentire al leader leghista di parlare alla Mostra d’Oltremare, nono­stante il diniego del sindaco De Magistris e dell’amministratore delegato della Mostra stessa.

Roma, 28 febbraio 2015, manifestazione nazionale “Mai con Salvini” - Foto di Laura Mormi.
Roma, 28 febbraio 2015, manifestazione nazionale “Mai con Salvini” – Foto di Laura Mormi.

 

Ripercorrendo tutte queste tappe e l’accoglienza riservata a Salvini in ogni città, possia­mo affermare che lo scenario reale in cui le sue “salvinate” vengono messe in pratica è molto diverso da quello che ci raccontano media e pagine Facebook. Se a questo aggiungiamo l’evidente flop elettorale, ci rendiamo conto di quanto Salvini sia un fenomeno soprattutto mediatico che, senza la visibilità indiscussa di cui gode su tv e giornali, sarebbe solo un urlatore da quattro soldi.

Il suo però è un ruolo funzionale: se da un lato infatti chi governa impone le politiche ne­oliberali tanto care all’Unione Europea, dall’altro Salvini fomenta l’humus reazionario di malcontento e guerra tra poveri necessario ad attuarle.

Il suo linguaggio becero, semplicistico e “popolare” punta infatti ad arrivare alla pancia della gente che queste politiche le subisce a tutti i livelli sociali. Per fare questo il suo arsenale comunicativo straripa di falsità e luoghi comuni, creando un clima di odio e xenofobia generale. Ma le sue “salvinate” sono un contenitore vuoto dove il discorso politico non ha sostanza e gioca solo su formulette buone a mettere insieme i vari populismi “anti-sistema” così come i segmenti della destra che vanno dai moderati Fratelli d’Italia ai cani da guardia di CasaPound, ai populismi europei modello Le Pen, Orbán, Wilders e Afd.

Così, se ieri il vessillo leghista poteva essere l’odio contro il meridionale e Roma ladrona, oggi in un’ottica (anti)europeista che cerca di dare respiro nazionale alla Lega, lo sono i vari “no euro”, “no immigrazione” e un generico anti-comunismo che piace sempre alla destra post e neofascista.

A fare da collante a questi spot reazionari ci pensa il nemico condiviso da nord a sud, contro cui aizzare le ruspe: ovvero l’immaginario popolo dei barconi invasori. Se immaginario non è il dramma dei migranti, lo è sicuramente la rappresentazione che ne fa la Lega, che propone soluzioni razziste e omicide: dalle ruspe per i rom (e i “centri a-sociali”), alle barchette di “clandestini” da lasciare in mezzo al mare.

Un intreccio di antisistema e razzismo in cui fioriscono letture rovesciate della realtà e diventano accettabili posizioni come “se difendere la propria terra è razzismo, allora sono razzista”, analisi che parlano di “sostituzione etnica del popolo italiano attuata da governi e immigrati” e provocazioni come quella di Verona il 25 aprile, proposta come festa di libera­zione degli “italiani perbene da tutti i delinquenti, per la legittima difesa”.

In questo guazzabuglio di idee che vanno dalle nuove destre xenofobe europee a segmenti di vecchi e nuovi fascismi italiani, ben vengano dunque le contestazioni perché tolgono voce e forza a certa retorica a senso unico e fanno assaggiare a personaggi come Salvini il sapore del paese reale, delle uova, dei pomodori, degli sputi e in alcuni casi anche di qualche legnata, perché chi semina odio è giusto che raccolga tempesta.

Ma ciò che ci auguriamo soprattutto è che nelle tante città da cui Salvini ha battuto la ritirata si ritorni e si continui a lavorare giorno dopo giorno per creare percorsi antifascisti, antisessisti, antirazzisti e per ricostruire quella opposizione sociale in grado di affrontare le contraddizioni che si ritrovano in tutti i territori, togliendo terreno alla vulgata razzista da guerra fra poveri e riconoscendo chiaramente chi sono davvero i nostri nemici.

Roma, 28 febbraio 2015, manifestazione nazionale “Mai con Salvini” - Foto di Laura Mormi.
Roma, 28 febbraio 2015, manifestazione nazionale “Mai con Salvini” – Foto di Laura Mormi.