Ho pianto e ho riso. Dal Piemonte in fiamme (#9)

Ho pianto e ho riso.
Dal Piemonte in fiamme
Di Francesco Richetto, Bussoleno, Val di Susa

Provo a chiudere in poche righe alcuni tratti salienti di un’esperienza gran­de e dolorosa, gli incendi boschivi in Piemonte, in particolare in Val di Susa.

Riduco il mio racconto alla valle che molti conoscono per la lotta al pro­getto Tav Torino-Lione. Stringo sul territorio perché gli incendi piemonte­si erano di una tale ampiezza, intensità e pericolosità che le persone impe­gnate nello spegnimento forse neanche a oggi hanno avuto la possibilità, se non con le immagini satellitari, di vedere l’intero territorio colpito. Espe­rienze che si sono dunque intrecciate da valle a valle lungo buona parte dell’arco alpino occidentale.

Da noi si inizia a Bussoleno il 22 ottobre e si chiude a Mompantero lunedì 30. Vento forte e pioggia che manca da oltre 90 giorni generano condizio­ni ottimali per un incendio senza eguali dal lontano 2003. Partono così i roghi da un primo piccolo focolaio, che in soli 30 minuti diviene ingover­nabile da terra e inattaccabile dall’aria. Con gli elicotteri impossibilitati ad alzarsi, arrivano subito da Genova i canadair ma neanche per loro la sorte non è migliore. I lanci vengono nebulizzati e a terra non arriva pressoché nulla. La storia non cambia dal resto degli incendi piemontesi e italiani post riforma Madia. Vigili del fuoco incaricati dello spegnimento che per la prima volta provano le loro capacità con il livello più difficile possibile. Forestali spediti a fare le indagini che buttano mezzo secolo di cultura dello spegnimento boschivo nel cesso. Unica vera risposta l’azione territoriale, organizzata dalle forze AIB (volontari Antincendio Boschivo) e dai movi­menti.

Provo dunque a lanciare due focus unici che forse hanno contraddistinto le esperienze del nord o meglio del Piemonte, per non essere banale e ripetere concetti ormai chiari a chi è andato a cercarsi un paio di notizie e spiega­zioni in più, oltre i media scandal nazionali.

L'incendio in Val di Susa, foto di Luca Perino.
L’incendio in Val di Susa, foto di Luca Perino.

 

Gli antincendi boschivi AIB unici in Italia sono delle associazioni di volon­tariato di protezione civile. Nate alla fine degli anni Settanta come squadre comunali, poi regionali, oggi sono un fiore all’occhiello della macchina di protezione civile nazionale. La squadra di Bussoleno, paese in cui sono nato e in cui vivo, ha partecipato a tutte le più grandi missioni di soccorso dalla fine degli anni Novanta in Jugoslavia, passando per il dramma di

Haiti, ai terremoti dell’Aquila e di Amatrice o alle ricerche di Rigopiano. In ogni paese, anche il più piccolino, c’è una squadra con almeno un paio di pick up con motopompe ad alta pressione e un piccolo serbatoio per l’acqua.

Associazioni con un coordinamento di valle, provinciale e regionale, tanta passione per la montagna, rispetto per l’autonomia e la libertà di interven­to, poca gerarchia e cultura militaresca, giusta risolutezza e organizzazione nel momento del pericolo. In soli 15 minuti dalla chiamata di un’amica che abita in montagna una squadra è attiva sul fronte delle fiamme, ma nulla può date le condizioni. In poche ore, alle 12 del 22 ottobre in tutto il Piemonte si sono attivate oltre 250 sezioni con circa 3000 volontari. A coordinare lo spegnimento i Vigili del fuoco che sapientemente colgono l’esperienza e la macchina “civile” ascoltando e muovendo con invidia i loro mezzi a seguire l’eccellente mobilitazione.

Il territorio tutto, sindaci, cittadini e movimento No tav diventa in poche ore bagaglio di relazioni e conoscenze unico. Posate le bandiere sui balconi si imbracciano le pale o le tute o le fasce da primo cittadino. Caso sim­patico quello di Caprie, paese della bassa valle devastato dalle fiamme in cui Paolo è un sindaco No tav e allo stesso tempo capo squadra AIB della protezione civile. Apre il comune, apre il COC (Centro operativo comu­nale), coordina i Vigili del fuoco e i volontari e come in una marcia verso il cantiere del Tav si impegna per una settimana senza sonno per lo spegni­mento. Causa le ferree leggi e i regolamenti, le squadre “ufficiali” rientrano col buio insieme agli aerei, ma tolte le tute “ufficiali” le persone continuano

di notte. Vietato il controfuoco (tecnica rischiosa che consiste nell’appicca­re roghi controllati circondando l’incendio), viene in modo non pubblico usato la notte. Inizia così una battaglia campale, libera dai vincoli della macchina istituzionale, la quale si piega e ascolta assecondando e aiutando il movimento antincendio territoriale.

Sono, penso, due cose uniche che non vedevo in opera e, per fortuna, da tempo. Segnali che ci dicono come questo piccolo territorio sia cambiato e abbia saputo andare oltre la mera protesta, proponendo e costruendo una comunità nuova. Si dice che gli amici si vedono nelle difficoltà, abbiamo sperimentato anche durante l’incendio che queste non sono parole vuote.

Mompantero, foto di Luca Perino.
Mompantero, foto di Luca Perino.

 

Per me sono stati momenti unici, forse intensi come quelli del 2011 nel­la libera repubblica della Maddalena. Come in quei giorni ho vissuto in modo pieno la vita, libero dalla frustrazione di un presente difficile, colti­vando e intrecciando relazioni uniche e vere. Ancora una volta avevamo un nemico più grande di noi, abbiamo combattuto, abbiamo perso il bosco, migliaia di ettari di natura, ma abbiamo salvato oltre 600 persone e tutte, ripeto tutte le loro abitazioni. Abbiamo perso un paio di borgate con se­conde case, un danno immenso ma sono sicuro che sapremo ricostruirle. Non ci siamo fermati mai e mai abbiamo perso coraggio. Ho pianto e ho riso. Una mattina, dopo due giorni infiniti di fiamme, ricevo via radio: “AIB colonna Vercelli per regionale in partenza Valsusa”, sono scoppiato in lacrime. Decine di mezzi in arrivo. Non ci siamo mai sentiti soli e di questo dobbiamo veramente ringraziare tutti. Quando poi la situazione diventava drammatica, ad esempio nei corridoi pieni di fumo della casa di riposo di Susa con oltre 200 anziani da sgomberare, ecco arrivare il sorriso. In puro idioma locale “siete contenti? oggi andiamo a fare una bella gita! Guardate che bei pullman che ha mandato il sindaco”. E avanti a ridere spingendo carrozzine e radunando i pochi oggetti utili nella fuga. Anche qui niente danni, tutti a casa il giorno dopo con le fiamme spente a poche decine di metri dall’edificio.

Dai ministeri invece poco o nulla. Non ci siamo lamentati neanche per un minuto, cosa potevamo aspettarci da chi ogni giorno vuole farci diventare un corridoio bucando le nostre montagne?

Servirà ragionare a fondo e costruire dei percorsi unitari per mettere in sicurezza il territorio italiano, ottenere lo spostamento delle risorse dagli investimenti inutili. Portare con queste esperienze esempi concreti da cui ripartire. Pensare che il futuro è in mano nostra, nelle emergenze e nella vita quotidiana. Costruire percorsi conflittuali forti, radicali che sappiano essere però utili sempre e modifichino la nostra vita e il mondo che ci cir­conda dal primo giorno.

Allego alcune righe di ringraziamento al movimento No tav ricevute dopo la “battaglia” di Mompantero.

Mompantero, 29/10/2017
Salve, mi chiamo Riccardo, sono un caposquadra dei Vigili del fuoco, nella mia quasi trentennale carriera pensavo di aver visto di tutto di più, ma una simile devastazione del patrimonio boschivo per me è la prima volta.
Giunto a Mompantero da Torino mi venne affidato il compito di presidia­re la frazione di Marzano, in quanto gli incendi boschivi avrebbero potuto interessare anche le abitazioni. Da subito mi attivavo per capire quali forze e mezzi avevamo, e venni preso dallo sconforto. I tagli voluti dalla politica si fanno sentire, pochi uomini, pochi mezzi e purtroppo alcuni solo par­zialmente funzionanti, fra tutti avevamo solo due motoseghe.
Con due sole motoseghe era una partita già persa prima ancora di comin­ciare, ma la fortuna volle che a S. Giuseppe in mattinata incontrai Daniele, un mio amico d’infanzia, il quale mi disse che si stava adoperando con tanti amici No tav per ripulire le zone boschive vicino alle borgate. Non poteva offrire un aiuto migliore, un colpo di telefono e tempo meno di un’ora mi sono arrivati gli amici di Daniele. Così fra le nostre due motoseghe e i 14 colleghi, una squadra di operai forestali, qualche AIB e tanti ragazzi No tav volenterosi è stata fatta una pulizia di tutte le zone circostanti l’abitato fino a pochi minuti prima dell’arrivo delle fiamme, quando ormai era troppo pericoloso e vennero invitati ad abbandonare la zona.
Non saranno mai abbastanza i ringraziamenti per questi ragazzi e ragazze, che invece di perdere tempo a scattare foto col cellulare, si sono rimboccati le maniche e hanno fornito un aiuto indispensabile senza il quale molto probabilmente la frazione di Marzano non esisterebbe più.
Grazie da parte mia a tutti i colleghi permanenti e volontari e a tutti quanti hanno partecipato a qualsiasi titolo; anche solo portandoci qualcosa da bere hanno fatto un gran bel gesto di altruismo.
In 27 anni non mi sono mai tirato in­dietro davanti alle fiamme e non vole­vo farlo di certo og­gi, grazie per aver­mi aiutato, e ricor­date che l’unione fa la forza, loro ci vogliono divisi.

Riccardo

Territori in subbuglio. Storie di ZAD e No Tav (#11)

Da Malamente #11 (giugno 2018)
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Presentazione di “Contrade. Storie di ZAD e No Tav”
Intervento di Mauvaise Troupe

Cartina della ZAD

A febbraio 2018 abbiamo ospitato alcuni membri del collettivo Mauvaise Troupe e delle edizioni Tabor per le due tappe marchigiane del tour di presentazione del libro “Contrade”, a Urbino (in collaborazione con la Libera Biblioteca De Carlo) e Senigallia (presso lo Spazio sociale Arvultura). Nel libro ci si interroga su concetti complessi: territorio, popolo, autonomia, in relazione alle esperienze di lotta e di vita della Valle NoTav e della ZAD, la “Zone à défendre” sorta nei pressi di Nantes per impedire la costruzione di un contestato aeroporto.
La ZAD ha visto nascere una comunità umana in secessione dal capitalismo, una comunità aperta, fatta di abitanti originari e di nuovi arrivati che, nonostante percorsi e metodi differenti, si cercano gli uni con gli altri per progettare insieme il proprio futuro, facendo a meno dell’aeroporto “e di tutto il suo mondo”.  La dimensione di una lotta radicata e di lungo corso ha permesso al movimento di aprire uno spazio e un tempo dai quali estromettere le dinamiche del denaro e delle merci, per sperimentare nuove forme di convivenza.
Ma l’aver dimostrato che si può ben vivere senza banchieri e poliziotti è un esempio troppo pericoloso per il potere. Un pubblico ministero torinese sosteneva che il progetto Tav andasse portato fino in fondo non tanto per la sua utilità, ma per riaffermare l’autorità dello Stato (chiamata “democrazia”) di fronte a una valle ribelle. Sulla stessa logica, il governo francese ha ritirato definitivamente il progetto di aeroporto a gennaio 2018, ma non potendo permettersi di lasciare la vittoria agli zadisti, appena arrivata la primavera ha inviato le truppe per sgomberare l’area. Mentre scriviamo queste righe, la violenza dell’operazione di polizia ha distrutto molti luoghi di vita della ZAD e ferito, anche gravemente, diversi occupanti, ma zadisti e zadiste hanno saputo resistere e si stanno riorganizzando. A loro tutta la nostra complicità e solidarietà.

La Route des Chicanes. Foto di ValK
La Route des Chicanes. Foto di ValK

Di come un movimento ha fermato una “grande opera”

Il libro che presentiamo è costruito sulle parole di chi ha preso parte alla lotta No Tav e alla lotta contro l’aeroporto a Notre-Dame-des-Landes; per fare una giusta presentazione avremmo dovuto portare qui e far parlare tutte le persone che hanno lottato. Ma le edizioni Tabor sono una piccola casa editrice e non hanno i mezzi per affittare dei pullman… allora cercheremo noi di fare del nostro meglio.
Parleremo soprattutto della ZAD perché pensiamo che la lotta No Tav sia da voi già abbastanza conosciuta e, soprattutto, perché dopo cinquanta anni di lotta contro questo progetto di aeroporto finalmente il mese scorso siamo arrivati a vincere. Vittorie come queste non sono vittorie che capitano tutti i giorni. È vero che avevamo già avuto in Francia delle vittorie contro altri progetti di questo tipo, ma spesso erano conseguenti all’elezione di un candidato che aveva nel suo programma l’abbandono del tale progetto. Al contrario, alla ZAD di Notre-Dame-des-Landes abbiamo vinto contro tutti i governi. Ed è per questo che è così importante raccontare questa vittoria, è per questo che abbiamo fatto questo libro e stiamo facendo questi incontri.

Il progetto di aeroporto è nato negli anni Settanta e i primi a opporsi, quella che possiamo chiamare la prima componente della lotta, sono stati i contadini. Ma non sono contadini qualunque, nella regione della Loira atlantica esiste da molto tempo una tradizione di sindacalismo rivoluzionario. La loro azione all’interno della lotta ha avuto due caratteristiche principali: sono molto numerosi ed estremamente determinati. Partecipano alle manifestazioni con i loro trattori, che hanno sempre messo in prima linea di fronte alla polizia e per difendere le occupazioni dagli sgomberi. Grazie ai loro trattori siamo riusciti a fare le più belle barricate dal Sessantotto a oggi!
Di fronte a questa iniziale opposizione dei contadini il governo ha messo il progetto sotto il tappeto per circa trent’anni, fino agli anni Duemila. Quando è stato ritirato fuori è apparsa una nuova componente della lotta, quella dell’associazionismo “civico”, la cui principale azione è stata di portare avanti un sacco di ricorsi giuridici contro il progetto e questo ha permesso al movimento di guadagnare tempo per organizzarsi. Un’altra conseguenza dell’azione di questa componente è stata di dividere il fronte nemico, nello specifico il partito socialista dai movimenti ecologisti.
Passano gli anni e arriviamo al 2008, quando gli abitanti della zona si rendono conto che molte case all’interno del perimetro previsto per l’aeroporto sono ormai vuote, alcuni proprietari sono infatti morti, altri sono andati via e lo Stato ha comprato queste case.
Un piccolo gruppo chiamato “Gli abitanti che resistono” ha riflettuto su come sarebbe stato impossibile difendere un territorio vuoto e ha quindi lanciato un grande appello a venire ad occupare queste case, che è stato subito raccolto da molte persone, specialmente giovani che dalle città sono andati lì a occupare. Si è formata così la terza componente del movimento, cioè gli occupanti. Questa componente ha contribuito a costruire anche lo stile della ZAD, con l’occupazione delle case, la costruzione di case sugli alberi e ai bordi delle strade, portando inoltre nel movimento delle pratiche radicali come il sabotaggio e l’azione diretta.

Sulla Route des Chicanes, 2013. Foto di Valk.
Sulla Route des Chicanes, 2013. Foto di Valk.

Nel 2012 il governo ha avuto un’idea geniale. Ha pensato bene di sgomberare proprio questa componente di giovani occupanti, pensando che gli altri abitanti della zona non li avrebbero difesi, che non avrebbero solidarizzato. Poi ha avuto una seconda idea geniale: nel paese di Asterix e Obelix, ha chiamato l’operazione di sgombero ed espulsione “operazione Cesare”. Non possiamo garantire che il responsabile della comunicazione del governo abbia ancora il suo posto di lavoro oggi…!
Sono arrivati sul posto 1.200 poliziotti per distruggere le case, ma la resistenza è stata molto forte, con lanci di pietre, barricate e con tutto quello che il movimento di occupazione è riuscito a mettere in campo. Sui media, ovviamente, c’è stata una criminalizzazione parlando di “selvaggi” e “terroristi”, ma se in altre circostanze questo mostro mediatico fa paura e crea divisioni, nel nostro caso è stato esattamente l’opposto. Immediatamente, in tutta la Francia, si sono creati oltre duecento comitati di sostegno e, soprattutto, le altre due componenti della lotta, i contadini e le associazioni civiche, hanno assolutamente solidarizzato con gli occupanti.

I primi scontri sono durati qualche settimana. Il movimento non era ancora molto strutturato e organizzato ma aveva un piano: a un mese dall’intervento di sgombero avrebbe organizzato una grande manifestazione per la rioccupazione. All’epoca non si sapeva bene cosa volesse dire una “manifestazione per la rioccupazione”, ma poi le cose hanno preso forma e ampiezza e a questo appuntamento sono arrivate 40.000 persone, che in una radura nella foresta al centro della ZAD hanno costruito una sorta di villaggio di capanne. Le strutture erano state prefabbricate e messe sui trattori per raggiungere la radura, ma c’era talmente tanto fango che per i trattori era impossibile raggiungere il centro della foresta e così tutti i materiali sono passati attraverso una catena umana lunga centinaia di metri, mano dopo mano, ed è stato costruito questo superbo villaggio.
Dopo questo dispiegamento di forze da parte del movimento, la polizia ha ancora cercato di attaccarci, ma invano. Anzi, a partire da quel momento e almeno fino a oggi, la polizia non è mai più riuscita a entrare nella ZAD. Questa vittoria è l’inizio di quello che è un po’ diventato il mito della ZAD come zona di non-diritto, di libertà.

Trattori verso Nantes, 2016. Foto di Valk
Trattori verso Nantes, 2016. Foto di Valk

Dal 2012 in poi ci sono stati molti episodi, non possiamo raccontarli tutti ma ne citiamo giusto un paio. Nel 2014, in risposta a una nuova minaccia di sgombero, è stata organizzata una manifestazione al centro di Nantes: 60.000 persone, 500 trattori e scontri di un’intensità che raramente si è vista in Francia. Dopo la manifestazione il governo ha fatto decadere la minaccia di sgombero, non sappiamo se perché c’erano così tante persone o per l’intensità degli scontri.
Le varie componenti del movimento hanno però prodotto delle analisi molto diverse tra loro. Per i giovani un po’ agitati quello è stato il momento più bello della loro vita, mentre chi doveva spiegare ai propri vicini perché era stato saccheggiato il centro di Nantes ha avuto qualche difficoltà… Dopo questa manifestazione è stato impossibile andare di nuovo tutti insieme al centro di Nantes.
Ma la bellezza del movimento è che invece di dividersi e fare ognuno le proprie azioni, si è cercato di trovare altre modalità per stare tutti insieme. E così nel 2016, di fronte a una nuova minaccia di sgombero, sono state occupate la tangenziale e l’autostrada che porta a Nantes, in particolare il ponte di passaggio sulla Loira. La resistenza è durata fino all’intervento della polizia, ma anche in quel caso il governo si è infine ritirato.

Poi il governo ha messo in campo la sua ultima arma, far “parlare il popolo”. Ha organizzato un referendum, limitato alla sola dimensione territoriale in cui era sicuro che avrebbe vinto, e infatti il Sì all’aeroporto ha vinto al 55%, ma la sera di questa cosiddetta vittoria del Sì c’è stata una scena formidabile: i giornalisti sono andati al quartiere generale del movimento aspettandosi di trovare gente triste e in lacrime, in realtà hanno trovato centinaia e centinaia di persone che urlavano “Resistenza! Resistenza!”.
Dopo il referendum sono arrivate dal governo nuove minacce di espulsione, per tutta risposta ancora 40.000 persone sono tornate a manifestare sulla ZAD facendo un gesto allo stesso tempo poetico e guerriero. Tutti hanno piantato un bastone sul terreno come in una sorta di giuramento: oggi lo piantiamo, se ci sarà uno sgombero torneremo a riprenderlo.

I bastoni della rivolta, 2016. Foto di Valk
I bastoni della rivolta, 2016. Foto di Valk

In seguito c’è stata l’elezione di Macron, il quale ha annunciato che il 17 gennaio 2018 avrebbe dichiarato se il progetto di aeroporto era ancora valido o meno. Per noi il solo fatto di dire che si sarebbe pronunciato era già una vittoria, visto che c’era stato il referendum. Il 17 gennaio abbiamo atteso queste dichiarazioni tutti insieme alla biblioteca della ZAD, con decine di giornalisti da Francia e mezza Europa, alla fine la decisione del governo è stata l’abbandono del progetto. Per raccontare un po’ lo stile e l’impertinenza del movimento, quando è arrivata la notizia, dal faro che sovrasta la biblioteca è stato aperto uno striscione con semplicemente cinque lettere: “Et Toc!” [“Tiè!”]. La cosa più divertente è stata al telegiornale della sera il giornalista che domandava al primo ministro che cosa volesse rispondere a questi zadisti che vi dicono “tiè!”? E, soprattutto, la sua faccia…

C’è vita alla ZAD

Dopo aver ripercorso a grandi linee la storia della lotta, io cercherò di spiegare cos’è e cosa facciamo alla ZAD. Il territorio è lungo dieci chilometri e largo due, sono quasi duemila ettari, con una sessantina di luoghi di vita, case e costruzioni di vario tipo dove abitano sia nuovi occupanti sia i contadini che sono rimasti. Siamo circa in duecento, in realtà oggi sono molti di più gli occupanti rispetto ai contadini. Quella che si vive lì è una dimensione inedita, cioè un territorio in secessione, una zona di non diritto dove gli sbirri non entrano dal 2013. Quando lo Stato o i giornalisti parlano di ZAD è proprio per denunciare lo scandalo di una zona che per loro costituisce un buco nella mappa francese, un buco nella mappa del potere, a pochi chilometri da una città di 400 mila abitanti come Nantes. Dal nostro punto di vista, al contrario, non è un buco ma un pieno. È una concentrazione di legami, densi, perché la battaglia del 2012, che è durata un mese, ha creato legami molto forti tra occupanti, contadini e gente dei comitati, legami che sono rimasti nella vita comune e quotidiana, molto diversi da quelli che si vedono “normalmente” altrove. E poi una zona di non diritto vuol dire la possibilità di accogliere persone che hanno problemi con la giustizia, così come i migranti, e permette di fare costruzioni senza chiedere permessi e autorizzazioni.
In Francia si dice spesso che il territorio è di chi l’abita, in realtà alla ZAD questo non è vero, il territorio appartiene infatti a un intero movimento e non solamente a noi occupanti. Abbiamo due principali assemblee mensili, l’assemblea di lotta e l’assemblea degli usi in cui parliamo dell’utilizzo del territorio, cioè di cosa fare di un campo o di una casa rimasta vuota, di come organizzare i cantieri comuni ecc.: a queste assemblee partecipa tutta la gente del movimento che può quindi decidere insieme a noi abitanti che cosa fare di questo territorio. Ovviamente non difendiamo solo un “uso” del territorio, ma un tipo di condivisione, Ad alcuni parlare di “comune”, nel senso della Comune di Parigi, o almeno ci proviamo…

La torre-barricata Bison Futé, 2016. Foto di Valk
La torre-barricata Bison Futé, 2016. Foto di Valk

La ZAD è una zona agricola, coltiviamo e condividiamo il cibo. Su alcuni prodotti possiamo dire di essere autosufficienti, come sulle patate, cipolle, cereali, grano saraceno e anche sul latte, abbiamo un gregge di mucche del movimento. Dal 2013 si è formato un gruppo che si chiama “Semina la tua ZAD”, composto di occupanti e di contadini vicini, che si occupa della rotazione delle colture, dei lavori comuni sui campi, di produrre la farina al mulino comune. Alla ZAD abbiamo due forni e produciamo il pane cinque volte alla settimana, oltre alle galettes bretonnes, che sono una specialità locale a base di grano saraceno, la base tradizionale dell’alimentazione tradizionale della zona.
Il pane è a prezzo libero. La cosa significativa, però, non è tanto il prezzo libero, ma l’uso del denaro che si fa ZAD. Sarebbe un’ipocrisia dire che rifiutiamo il denaro, nel senso che alla ZAD non circolano soldi, in realtà i soldi ci sono ma è il loro uso che cambia rispetto al solito: per noi il denaro non deve essere mezzo per deresponsabilizzarsi dalla vita comune, non è che pagando si è a posto rispetto al lavoro comune. Pago, se posso e voglio, ma ci vuole anche il mio aiuto per far funzionare tutto. E tutto quanto si basa sulla fiducia reciproca, non si fa un conto aritmetico dei servizi che si danno e che si ricevono, ma complessivamente si riesce a trovare un certo equilibrio (e quando non si trova, le cose non funzionano).

Anche la produzione di cibo per noi è parte della lotta. Non cerchiamo l’autarchia, ma esattamente l’inverso, cioè la circolazione, l’estendere la potenza della ZAD e non separare il vivere e il lottare. Un anno fa abbiamo creato una rete di approvvigionamento con i contadini della regione. Se c’è una manifestazione, un picchetto di sciopero o qualche iniziativa da qualche parte carichiamo il cibo in un furgone che si apre da tutte le parti, con tutto il necessario per cucinare e andiamo lì. Le galettes bretonnes degli zadisti sono ormai diventate famose. Abbiamo potuto mettere in piedi questa rete perché nel 2016 c’è stato in Francia un movimento di protesta molto forte contro la Loi travail che ci ha permesso di conoscere molte persone e soprattutto ci ha fatto incontrare i sindacati, che sono diventati una quarta componente della lotta contro l’aeroporto. Alcuni lavoratori della ditta incaricata della costruzione hanno scritto un testo bellissimo, dicendo “noi non siamo mercenari”, non andiamo a fare l’aeroporto sulle rovine delle vostre vite e hanno lanciato un appello agli altri lavoratori perché nessuno vada a costruire quell’aeroporto.

Cantiere di costruzione, 2017. Foto di Valk

Alla ZAD di attività organizzate ce ne sono molte: abbiamo una biblioteca, una radio (Radio Klaxon) che si prende anche dall’autostrada che passa lì vicino, uno studio di rap, un’officina meccanica, una forgia, un birrificio, una serigrafia, una carpenteria e molte altre cose. La carpenteria è importante perché il lavoro sulla legna è rappresentativo del modo di essere della ZAD. Un gruppo già da tempo ha incominciato a interessarsi ai boschi e ha imparato tutto il lavoro sulla legna, dalla scelta dell’albero fino al taglio e alla produzione delle assi da costruzione. È stato anche organizzato un cantiere scuola di carpenteria tradizionale, dove ottanta carpentieri hanno costruito un grande capannone, senza motoseghe, senza elettricità; l’hanno chiamato Hangar de l’avenir (Hangar del futuro), anche se nessuno poteva sapere il destino di questa costruzione, sarebbe potuta rimanere distrutta da uno sgombero in qualunque momento. Ovviamente gli alberi vengono anche ripiantati. La prima volta che sono andata alla ZAD per me è stata una sorpresa vedere questa gente molto giovane e con l’incombere di minacce quotidiane di sgombero che progettava il territorio a lungo termine, perché dovranno passare almeno due generazioni prima di poter tagliare quel rovere appena piantato. Ma è così, progettandoci il futuro, che si difende un territorio.

Oggi che abbiamo vinto dobbiamo capire come mantenere questa intensità. Ci si può preparare e immaginare la vittoria per molto tempo, ma quando arriva è differente. Sappiamo che la posta in gioco è storica. Sappiamo che possiamo essere una retrovia per altre lotte, per la città di Nantes, ma essere una retrovia, con i mezzi materiali, non è il solo obiettivo della ZAD. Oggi si sta aprendo un nuovo fronte, quello della battaglia sulle terre, perché lo Stato potrebbe vendere i terreni a diversi proprietari spezzettando e spaccando l’unità del territorio che fa la nostra forza. C’è quindi l’idea di dar vita a un’entità comune che possa avere, anche giuridicamente, la gestione delle terre, una sorta di vetrina legale per continuare a fare tutte le attività che abbiamo sempre fatto. Vedremo… di certo per riuscire a strappare questo bisogna per prima cosa mantenere i nostri rapporti di forza con lo Stato e, a oggi, le minacce di sgombero sono sempre presenti.

Zad against the machine
Zad against the machine