“Fellini è vivo e lotta insieme a noi”

8 settembre 2018

L’immensa ruota luminosa sul lungomare di Rimini improvvisamente si accende al rosso dei fumogeni nella notte del sabato sera. I lounge bar regalano, senza accorgersi, aperitivi ai dimostranti, mentre un pianista nel dehors di una piadineria intona Bella Ciao. E un corteo improvvisato alza i pugni e le bandiere, stretto a panino tra polizia e caramba. Questo il finale della giornata di sabato a Rimini.
Oggi siamo contenti, ma anche incazzati e vi spieghiamo perché.
Siamo contenti perché il presidio antifascista in piazza Fellini è stato una giusta intuizione tattica: l’antifascismo militante è anzitutto l’abilità di ridurre fino a eliminare la capacità operativa dei fascisti. Dunque, anche dimezzare il percorso della loro oscena sfilata con la nostra presenza fisica ha avuto un senso.
Siamo contenti anche perché abbiamo scoperto che i lacci di solidarietà e collaborazione tra generazioni e collettivi di diversa provenienza geografica funzionano. La quantità è purtroppo scarsa ma non la qualità.
Siamo contenti, infine, perché la determinazione paga sempre, anche se per una volta non si prendono le botte che ti regalano la copertina, ma si dimostra lo stesso coraggio.
Siamo però incazzati perché i fascisti di Forza Nuova hanno fatto comunque una mezza sfilata a Rimini cercando di ritagliarsi una fetta di spazio alla corte del sovranismo di governo. Il miliardario compare degli stragisti Fiore, in crisi di consensi, deve perfino scagliarsi sugli scudi degli amici sbirri per ravvivare la sua immagine di capo. Peccato che i suoi sappiano picchiare, possibilmente in gruppo, soltanto persone indifese: la sceneggiata degli “scontri” risulta patetica.
Siamo incazzati perché alla città di Rimini, tutta concentrata sul rituale preserale di un sabato di fine estate, non glien’è fregato nulla né degli uni né degli altri, tanto che il giorno dopo qualche giornalista di bassa lega è riuscito a fare notizia per due scritte sui muri, senza accorgersi dei quasi duecento fascisti che hanno tentato di fare la passerella in città.
Il finale è comunque una risata felliniana. La nostra fiducia nella spontanea passione del popolo è alla base dell’arte della rivolta.
Viviamo tempi difficili. Il peggio, forse, verrà. Ma gli antifascisti e le antifasciste saranno ancora in piazza con Fellini.

E alla faccia di chi ci vuole male, per sdrammatizzare, vi regaliamo anche il Pagellone Antifascista.

I fasci in fondo al viale: 0. Togliete le bandiere che non vi vediamo.
Elicottero della polizia in volo radente: 2. Ottimo bersaglio per i bengala; apriamo il crowdfunding per un RPG.
Le torce nautiche: 3. Come cazzo s’accendono?!
Cani poliziotto: 4. Nostalgia dei punkabbestia.
Quello dei petardi tra i piedi: 5. Non dategli mai una boccia in mano.
Il pianista di Bella Ciao: 6. Compagno bella vita.
L’umarello di Belluno in bicicletta: 7. Abbandona la comitiva di pensionati salviniani e finalmente trova i compagni, “che io ho fatto il Sessantotto!”.
Compagno con elmetto e maschera antigas: 8. Anche l’occhio vuole la sua parte.
La chiatta sul Rubicone: 9. Traghetta di soppiatto compagni e compagne su piazzale Fellini in barba alla digos.

Squadristi a Rimini (#8)

Di Chiara Fanelli e Eugenio Salvatori [QUI IL PDF]




Estratti dalla tesi di laurea “Il biennio rosso nel riminese”, A. A. 2014/15
Di Eugenio Salvatori

La sera del 19 maggio accade il fatto più grave e tragico per la cittadinanza riminese, 65
da cui presto conseguirà una sempre maggiore stretta repressiva dello squadrismo fascista:
il già famigerato Platania, ex anarchico interventista, poi nazionalista fra i fondatori del
Fascio riminese, viene ucciso nell’atrio della stazione di Rimini.
Vengono immediatamente arrestati un gruppo di ferrovieri, comunisti e anarchici, che
negli attigui locali della stazione stavano festeggiando il trasferimento di un loro compagno,
colpevoli solo di essere usciti, come tanti, nel piazzale antistante la stazione dopo
aver sentito gli spari provenire dalle sale interne. Alcuni resteranno in carcere per lungo
tempo con l’accusa di aver ordito un complotto sovversivo in seguito al ferimento, di
qualche giorno precedente, dell’anarchico Bracconi, a cui erano seguite delle minacce
rivolte al Platania.

Nei mesi seguenti Carlo “il Monco” Ciavatti, anarchico individualista già carcerato, si
auto accuserà dell’omicidio e faticherà non poco a provare la propria colpevolezza, avendo
egli agito in solitaria e affermando che si era trattato di un regolamento di conti con l’ex
anarchico, facendo quindi decadere la tesi del complotto assai cara al fascismo di regime,
che aveva legittimato la violenza contro i sovversivi con quel delitto e chiuso in prigione
per anni i presunti colpevoli.
La notte del giorno seguente, il 20 maggio, l’orda fascista proveniente dalle città emiliane
di Bologna e Ferrara colpisce senza pietà la città di Rimini. Una cinquantina di camice
nere si scatenano per le vie del centro cantando i loro inni e spaventando la cittadinanza.
Questo il racconto de «L’Ausa»:

“Alle 20.30 incominciarono in piazza Cavour i primi incidenti fra fascisti e alcuni cittadini
ritenuti per comunisti, ma fortunatamente senza tristi conseguenze. Alle 21.30 circa i fascisti
spararono qualche colpo di rivoltella per intimidazione e infatti riuscirono nello scopo perché
la città si spopolò in un attimo e, mentre i carabinieri usciti dalla limitrofa caserma stavano
perquisendo innocenti passanti, i fascisti [guidati dal riminese Odella] si recarono nel sobborgo di San Giuliano e qui giunti, dopo aver imposto con spari di rivoltella e petardi la chiusura di tutte le finestre e le porte di casa, cosa che ottennero senz’altro, si recarono al Circolo ricreativo 13 Ottobre, i cui soci hanno fama di essere in gran parte anarchici e comunisti. In breve i mobili e quant’altro si trovava nei locali fu distrutto, quindi vi fu appiccato fuoco.”

A nulla valgono gli sforzi dei pompieri, che vengono bloccati dalle rivoltelle dei
fascisti all’altezza della chiesa dei Servi, prima del ponte di Tiberio, e costretti con
la forza a ritirarsi.

I fascisti – prosegue la cronaca de «L’Ausa» – indisturbati proseguirono nella loro opera punitiva. Recatisi in via Clodia appiccarono il fuoco al Circolo dei ferrovieri. Pianciti, biliardo, biblioteca, tavoli, abitazione del custode, tutto andò distrutto.

Alla devastazione del Circolo Primo Maggio segue quella della Cooperativa dei pittori. I pompieri accorrono questa volta scortati dalle guardie regie e, nono­stante il sabotaggio dei fascisti che tagliano le gomme dell’autopompa, riescono a domare l’incendio. I fascisti, non contenti, si recano poi sotto casa di Arturo Clari in via Castelfidardo:

e qui, dopo aver sparato vari colpi alle finestre, andati fortunatamente a vuoto, gettarono anche un petardo che scoppiò con gran rumore ma senza procurare danni.

Il giorno del funerale del Platania viene fissato per il 22 maggio, giornata che segna l’apice delle violenze prodotte a Rimini dal fascismo d’importazione. Si af­fermerà, da questo momento in poi, la presenza in pianta stabile dello squadrismo emiliano, armato e organizzato, considerato necessario dallo stesso Mussolini per abbattere la resistenza riminese al fascismo, nei luoghi tipici di quel sovversivi­smo diffuso, finora impermeabile al nuovo partito nazionalista. I pochi cittadini incappati sul percorso della cerimonia vengono fascisticamente educati a schiaffi. Evidentemente questa lezione non trova diffusione, se l’onorevole fascista Silvio Gai di Ancona, in una lettera ai giornali scriverà:

“Vergogna! Rimini non è città italiana.”

Ma questi episodi sono solo il preambolo del peggio: di ritorno dalla cerimonia funebre condita di tali violenze, i due camion fascisti condotti da Italo Balbo percorrono la via Emilia in direzione Ferrara, dopo aver ricevuto il cambio dagli squadristi bolognesi della Disperata di Arpinati. Sopraggiunti nel piccolo borgo rurale di Santa Giustina,

“fermarono i camion, percorrendo a piedi la borgata sparando all’impazzata”.

I fascisti non volevano solo fare paura e, forse delusi dalla scarsa presenza della cittadinanza al funerale, sparano per uccidere. Sotto i loro colpi cadono tre co­loni, cattolici e padri di numerosi figli non iscritti a nessun partito politico. La colonna di fuoco proseguirà verso nord, assalendo la redazione di «Lotta di classe» a Cesenatico. Le devastazioni di quei giorni e il tragico eccidio di Santa Giustina gettano Rimini e il circondario nello sgomento.