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Fascisti al Furlo (#2)

Fascisti al Furlo
Di Luigi

Il profilo di Mussolini sul monte Pietralata in una vecchia cartolina

La gola del Furlo è un luogo di straordinaria bellezza naturalistica. Le pareti a strapiombo dei monti Pietralata e Paganuccio, scavate dalla forza del fiume Candigliano, si aprono inaspettate nel paesaggio dolcemente collinare dell’entroterra pesarese, proteggendo un piccolo ecosistema dal fascino unico, suggestivo e selvaggio (se non fosse violentato da un’orribile diga dell’Enel). Sul lato destro per chi proviene dal mare si snoda il percorso dell’antica via Flaminia che attraversa il “forulus” da cui la gola prende il nome, cioè le due antiche gallerie scavate in uno sperone di roccia, scheggia dopo scheggia, dagli scalpelli degli schiavi romani un paio di millenni fa.

Eppure questo scenario nasconde qualcosa di strano, come un’oscura presenza incombente. Se ci si ferma nel bar proprio sopra al parco fluviale, l’occhio cade sulla bacheca esterna dove tra immagini di fossili e inni al tartufo locale campeggia una vecchia foto, anni trenta, di un’autoblu antelitteram parcheggiata lì davanti. Il passeggero è sceso e sta guadagnando la porta, sopra la foto si legge: “entrata di Mussolini nella saletta”. Ah, ecco, è proprio Lui!

Dentro, il bar ha quell’aura vecchio stile come tanti altri, fatta di legno e penombra, con l’angolo tabacchi, la fila di amari e ammazzacaffè, i tavoli del tresette. Chiedendo notizie di questa “saletta” vi verrà gentilmente indicata una stanza sul retro, di fronte ai bagni. E qui l’atmosfera si fa quella del set di una fiction storica di seconda serata. Da un momento all’altro ci si aspetterebbe di vedere entrare attori vestiti da gerarchi a prendere posto attorno al grande tavolo centrale, apparecchiato con cura, con piatti e bicchieri rigorosamente neri. In bella vista una collezione di foto d’epoca dov’è sfoggio di braccia tese, mentre sulle pareti affiora un mosaico di scritte lasciate dai turisti nel corso degli anni, del tipo “Fini traditore bastardo” e amenità del genere. E allora realizzi che la vetrinetta con i souvenir del Furlo griffati “dux”, intravista di fianco alla cassa, non era lì per caso.

Qui, una volta, Mussolini era di casa. Quando percorreva la strada del Furlo per spostarsi tra Roma e la Romagna la locanda era diventata una tappa fissa, chi dice per la bellezza dei luoghi, chi per la compagnia di una giovane amante (leggenda vuole che da questi parti sia nato e cresciuto anche un piccolo benito). Per cinquantasei volte pernottò in quello che oggi è l’Antico Albergo del Furlo, adiacente al bar, dove tra una camera “Rossini” e una camera “Raffaello” si trova appunto la camera “Mussolini”, quella in cui il duce andava a digerire le proverbiali frittatone che s’ingollava.

Una camera speciale, arredata con mobili trasportati appositamente da palazzo Venezia, rimasta intatta così come la saletta da pranzo. Oggi pare che sia la stanza più richiesta dell’albergo. Sul sito internet si è invitati a telefonare per conoscere tariffe e disponibilità. L’abbiamo fatto, per scoprire che il costo è quasi doppio rispetto allo standard, ma vuoi mettere l’esperienza? E già ci immaginiamo la tachicardia, i capogiri, la sensazione di vertigine e confusione che coglie tanti moderni fascistelli in preda a sindrome di Stendhal, esaltati nel respirare l’aria in quella stessa stanza dove Lui scoreggiava qualche decennio fa.

La saletta da pranzo di Mussolini al Furlo

Ma il Furlo riserva anche un’altra sorpresa. Percorrendo la strada che s’inerpica sul monte si arriva alla cima del Pietralata dove è scolpito sulla roccia un monumentale profilo di Mussolini, lungo oltre un centinaio di metri, ben visibile anche da grande distanza. La balorda idea di immortalare nella pietra il faccione del capo del fascismo era nell’aria già dai primi anni trenta. Scorrendo i giornali dell’epoca si sprecano le lodi alla virile iniziativa: “fra non molto sorgerà, modellata sul granito della roccia, una grande effige di Benito Mussolini – scrive uno dei tanti adulatori – la quale si ergerà fra queste rocce, come segno incancellabile di fede che questi buoni ed operosi marchigiani nutrono per il Duce rinnovatore di ogni energia”[i]. In ballo c’erano i progetti di diversi scultori marchigiani, come Coriolano Campitelli di Senigallia, Oddo Aliventi (che si fa addirittura raccomandare dalla madre con una lettera all’attenzione di donna Rachele) e un certo Marco Vio, che scrive alla Federazione provinciale fascista di Pesaro e direttamente allo stesso Duce, esponendo la sua geniale pensata di infierire su entrambi i lati della gola: da un parte con il testone, dall’altra con un fascio, “in maniera che quel punto della gola montana sovrastato dalla radiosa grandezza del Vostro volto e dalla sublime possanza del Fascio Littorio, possa trasmettere ai secoli futuri il simbolo altissimo della rinascita d’Italia”[ii]. Il segretario federale di Pesaro Cortiglioni, da parte sua, si premurava di precisare che il progetto avrebbe dovuto avere “proporzioni veramente grandiose”, allo scopo di testimoniare “in modo imperituro a quanti passeranno sull’antica via romana, l’amore della Provincia di Pesaro per il Duce”. “Se sacrifici saranno necessari – aggiungeva il segretario – e se molto tempo dovrà essere impiegato, affronteremo tutti gli ostacoli con ponderazione, ma con spirito e con volontà fascista”[iii]. Alè.

Poi, per qualche anno, il progetto pare venire accantonato fino a quando, nel 1936, l’incontenibile gratitudine verso il Duce che, a parte guidare un regime dittatoriale, guerresco e razzista, aveva niente meno che migliorato la strada che portava alle locali cave e perfino fatto arrivare la linea telefonica, doveva pur essere esternata in qualche modo. E allora la Milizia nazionale forestale, in collaborazione con gli scalpellini del luogo diretti dall’ingegnere Mainardi, si mise all’opera scavando e costruendo muretti a secco, per provvedere finalmente alla costruzione del profilo. Tanto imponente da essere visibile da Acqualagna e da Fossombrone; la prevista illuminazione notturna, invece, non fu mai realizzata.

Alla fine della guerra i partigiani decisero di eliminare quella bruttura dalla montagna. Ci provarono Bruno Bocchio e la Brigata Majella con un po’ di dinamite e qualche colpo di cannone che però non riuscirono a completare l’opera. Lasciarono poi perdere, tanto il tipo l’avevano già appeso all’ingiù a piazzale Loreto e c’era di meglio da fare che intestardirsi a smozzicarne l’effige. Più tardi il Ministero dei lavori pubblici stanziò dei soldi per portare a termine l’abbattimento, ma Adele Bei, senatrice comunista originaria di Cantiano, intervenne e fece sì che il finanziamento fosse dirottato sui più urgenti lavori di ricostruzione.

E così il profilo è rimasto stampato sulla montagna ed è giunto fino a noi, per la gioia dei fascioturisti. In realtà non è più così ben riconoscibile e solo un occhio attento riesce a scorgerne le fattezze, anche per via della vegetazione spontanea che nel tempo si è riappropriata dei suoi spazi. Una decina d’anni fa un politico per nulla sospetto di nostalgia dei tempi andati, Pino Rauti, insieme ad Elisabetta Foschi, al solo scopo – ne siamo certi – di salvaguardia della memoria storica e di promozione del turismo, aveva tentato la costituzione di un comitato per il ripristino del mascellone. Qualche imprenditore disposto a elargire pareva già essersi fatto avanti: “si sono da subito dichiarati concordi ed onorati nel mettere a disposizione fondi propri per la nobile causa”, dichiarava Rauti ai giornali. Nello stesso periodo la Regione Lazio, presieduta dal camerata Storace, aveva stanziato un cospicuo finanziamento per ripristinare sui colli in provincia di Rieti la megascritta DUX disegnata dagli alberi, grande come tre campi da calcio[iv].

L’allora sindaco diessino di Acqualagna col miraggio di un pungo di turisti in più s’era subito accodato al coro mettendo sul piatto l’acutissimo paragone che qualcuno doveva pur fare: se restauriamo le opere degli antichi romani o quelle del duca di Montefeltro, perché non quelle del fascismo? Non sappiamo se qualcuno gli abbia fatto notare che il fascismo, al contrario del duca Federico, è oggi quanto mai vivo e anche quello “del terzo millennio” è sempre legato alla sua eredità storica che, dunque, non è solo merce buona per i dibattiti accademici ma un riferimento politico molto attuale. Mentre si ripetono le aggressioni in camicia nera e in tutta Europa avanzano le destre xenofobe, forse tollerare e alimentare una certa simpatia retrò verso l’ideologia fascista e il suo duce è, se non altro, poco opportuno. Qualche dubbio in più serpeggiava invece nel comune di Fermignano che infine, nel 2007, in un barlume di lucidità approvava una mozione contraria al ripristino del volto mussoliniano[v].

Bar e Albergo-Ristorante Antico Furlo

È comunque preoccupante quanto oggi l’indulgenza verso il passato fascista si accompagni spesso ad una malcelata insofferenza verso i valori dell’antifascismo. A Fossombrone, nel giugno 2015, ci si accorge che Benito Mussolini è ancora “cittadino onorario” di quel comune, un titolo che gli era stato assegnato nel 1924 e che una volta caduto il regime nessuno si era ricordato di revocare. Poco male. Che lo si faccia quindi oggi, come proposto da alcuni cittadini, con un semplice atto amministrativo che dovrebbe essere una pacifica formalità. E invece la minoranza di centro destra ha trovato ragione di opporsi; forse, ci viene da pensare, per dar modo al consigliere Maurizio Mezzanotti di sfoggiare davanti ai giornalisti la propria padronanza di parole difficili, con la condanna della “prosopopea antifascista”, e di locuzioni latine, definendo l’operazione “un esercizio di damnatio memoriae privo di senso”[vi].

Tornando al profilo, in fondo, per salvare tracce di storia che nel bene o nel male appartengono al nostro passato, l’idea di restaurarlo potrebbe anche non essere sbagliata, valorizzando al tempo stesso la distruzione operata dalle cannonate dei partigiani. Si tratterebbe cioè di ribaltarne il significato, per farne un luogo della memoria antifascista. Allestirci attorno una piccola mostra permanente, organizzarci i 25 aprile, piantare dei pannelli esplicativi e altre cose del genere, per divulgare anche ad uso turistico un messaggio che renda chiaro e inequivocabile quanto quel simbolo rappresenti il culto della personalità di un regime dittatoriale, travolto dalla storia. Il problema non è infatti tanto il monumento in sé, ma il significato che gli viene attribuito ed è un problema che investe quello che si chiama uso pubblico della storia, la sua narrazione al di fuori dei canali specialistici, verso il grande pubblico. E quindi, di conseguenza, investe il punto di vista strettamente attuale che tutta la storia, e quella del XX secolo in particolare, si portano addosso.

Ma per la saletta da pranzo e la camera da letto nell’albergo, al di là delle atmosfere inquietanti e cupe, tra il grottesco e l’horror, non è davvero immaginabile alcuna onesta storicizzazione: qui il ribaltamento necessario non è solo di prospettiva ma nel senso concreto della parola. Rimangono infatti degli indecenti sacrari del duce che auspichiamo vengano tolti di mezzo quanto prima. Altrimenti non si fa che alimentare il “turismo fascista”, quella piaga che ha sfigurato una città come Predappio, invasa da un circo di vecchi nostalgici, fedelissimi, scimmioni dalla testa rasata e dementi con faccetta nera per suoneria e il cotone nel pacco, tutti in gita a stendere il braccio là dove sono sepolte le spoglie di Mussolini e poi ad acquistare il busto fermacarte, la tazza da caffè, il grembiule, il manganello, ma pure lo sciampo del duce e ogni altra cazzata che il genio dei commercianti riesce ad inventare, loro sì veri alfieri della memoria fascista, fintanto che si traduce in merce buona da vendere. Ma anche facendosi un giro lungo la riviera romagnola, nelle vetrine di tabaccherie e tanti altri negozi si nota ormai un proliferare di accendini, spillette, bottiglie di vino e tutto un fiorire di celtiche e fasci littori come se il fascismo e i suoi simboli si fossero trasfigurati in icone del folklore nazionale (in qualche caso, per par condicio, di fianco agli stessi oggetti con sopra Che Guevara o Bob Marley).

Cerchiamo quindi di salvare il Furlo da questa deriva e di far in modo che chi passi da queste parti si possa godere lo spettacolo della gola senza dover fare i conti con gli opprimenti fantasmi del passato e i loro moderni cultori.

NOTE

[i] Umberto Soriti, Il passo del Furlo, ritaglio di giornale non identificabile, in Archivio di Stato di Pesaro, Prefettura di Pesaro, Gabinetto, 1933, b. 117, fasc. 86.

[ii] Lettera di Marco Vio al Duce, 2 dic. 1933, ivi.

[iii] Lettera di Vittorio Cortiglioni ad Alessandro Chiavolini, 5 giu. 1933, ivi.

[iv] Cfr. Sul monte torni il volto del duce. Così riconquisteremo i turisti, «Corriere della sera», 1 febbraio 2004; Se nel cielo risplende la mascella del Duce, «L’Unità», 2 febbraio 2004; Rauti: ricostruire il profilo del duce, «la Repubblica», 7 novembre 2006; Davide Eusebi, Tra memoria e nostalgia. “Restaurate il profilo del Duce sulla roccia del Furlo”, «Il Resto del carlino», 11 novembre 2006.

[v] Comune di Fermignano, delibera n. 30 del 29 marzo 2007, “Approvazione mozione relativa al ripristino del profilo di Benito Mussolini in cima al Monte Pietralata”.

[vi] Adriano Biagioli, Fossombrone: revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, «Il Resto del carlino», consultato il 9 dicembre 2015.

4 commenti su “Fascisti al Furlo (#2)”

  1. Sarà una coincidenza che anche il sindaco PD di Predappio voglia creare un museo del Fascismo e che l’Anpi consideri il progetto celebrativo dei valori fascisti e che proponga invece un centro di documentazione storica sulle dittature del Novecento?

  2. Fantastico articolo, spassoso e sagace al punto giusto; per fortuna che qualcuno riesca ad esprimere bene questi concetti senza cadere nella protesta lamentosa. Dopo aver scoperto per caso questo luogo e soprattutto la saletta del duce, rincuora leggere questo articolo, per potersi fare una pacca e andar via con lo spirito un po’ meno appesantito da tutti questi testoni.

  3. A me che venga conservata intatta la stanza da pranzo o la camera da letto del duce (d minuscola ovviamente) va anche bene. Quello che invece proprio non accetto è la vendita di memorabilia fascista (come al baretto del Furlo). Pensa se in Germania facessero lo stesso con Hitler (PS: non lo fanno, nessuno si sognerebbe).

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