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Il Parco nazionale del Catria, Nerone e Alpe della Luna: tutelare l’ambiente e sopravvivere allo sviluppo (#2)

Il Parco nazionale del Catria, Nerone e Alpe della Luna: tutelare l’ambiente e sopravvivere allo sviluppo
Intervista redazionale al collettivo Squola di Pergola

Raduno sul Monte Catria per 'Il Parco che non c'è', settembre 2014
Raduno sul Monte Catria per ‘Il Parco che non c’è’, settembre 2014

 

Da oltre dieci anni diversi soggetti hanno avviato una campagna di sensibilizzazione e si stanno battendo per la costituzione del Parco nazionale del Catria, Nerone e Alpe della Luna: una vasta area protetta a cavallo di Marche, Toscana e Umbria che racchiude gran parte dei massicci montuosi della provincia di Pesaro e Urbino. Si tratta di zone riconosciute come altamente significative dal punto di vista geologico, ambientale e della biodiversità. L’iniziativa è nata dal basso, grazie alla spinta generosa di tanti soggetti che hanno interesse a tutelare e valorizzare questo comprensorio montano e che in tutti questi anni hanno cercato di stimolare le comunità locali, di informarle, di far sì che la mobilitazione sia il più possibile partecipata e condivisa. Abbiamo deciso di intervistare i compagni e le compagne dello spazio autogestito Squola di Pergola che seguono questa campagna partecipandovi in prima persona e in prima fila, per farci raccontare la loro esperienza, le motivazioni che li hanno portati su questa strada, le loro aspettative, i passi in avanti fatti in questi anni, le difficoltà e le resistenze che il progetto incontra, ma anche per esporre e discutere con loro alcune nostre perplessità su progetti di questo tipo, riguardanti in particolare i risvolti gestionali, politici, burocratici ed economici che l’istituzionalizzazione di un Parco porta con sé.

In un mondo ideale sarebbe la comunità che vive un determinato territorio ad autorganizzarsi e autogestirlo, sarebbe la determinazione degli abitanti a proteggere la natura montana, mentre l’ente Parco è qualcosa di imposto dall’esterno e che si configura come governo di quel territorio, con i suoi regolamenti, le sue poltrone e le sue guardie forestali. Il rischio è che il Parco diventi soltanto un’impresa economica dalla quale trarre profitti, in primo luogo tramite la messa a valore commerciale del territorio per il turismo. Come “sviluppo turistico” non pensiamo tanto al gruppetto di escursionisti che percorre i sentieri senza lasciare tracce del proprio passaggio, temiamo piuttosto uno sviluppo di tipo consumistico che farebbe del Parco una mera appendice delle aree urbane, con tutte le comodità che il turismo di massa esige, quindi necessità di strade asfaltate, di antenne per i cellulari, di bar dove vendere Coca-Cola, magari a fianco del prodotto tipico confezionato.

Logo del futuro Parco
Logo del futuro Parco

 

Tante sono le domande che insieme agli “squolari” e alle “squolare” ci siamo posti. Perché la difesa del territorio deve passare per la sua regolamentazione di legge? Recuperare la piccola agricoltura, i mestieri artigiani, un turismo non massificato, stimolare il ripopolamento e contrastare l’esodo: la soluzione a tutto questo è il Parco nazionale? D’altra parte, oggi, questa mitica comunità dov’è? Perché si è perso quel rapporto diretto tra gli individui, le comunità e la terra su cui abitano? La questione di come tutelare, di come difendere la vita del pianeta su cui viviamo non è una cosa semplice. Tanto più in un momento in cui la retorica dell’emergenza porta a giustificare l’aumento del potere e del controllo verticale. Se prendiamo come esempio il cambiamento climatico, l’asse del dibattito con l’ingresso in campo dei governi si è spostato da una critica al modello di sviluppo e di gestione politica a un discorso che richiede sempre più tecnologia, controllo, autorità per far sì che tutto giri nella direzione giusta. Se preoccuparsi della salvaguardia di un ambiente naturale vuol dire cercare di risolvere un problema immediato, questo non deve però far dimenticare quali cause economiche e politiche hanno prodotto il degrado attuale.

Vogliamo vedere al più presto la nascita del Parco nazionale del Catria, Nerone e Alpe della Luna. Ma sappiamo anche bene da che parte sta la legge. Possiamo raggiungere attraverso di essa una forma di salvaguardia per l’ambiente, ma la legge rimarrà sempre espressione dei rapporti di forza presenti nella società e la natura sarà sempre a rischio di devastazione e saccheggio da parte di interessi economici legati al potere (come le trivellazioni petrolifere o i gasdotti in progetto sugli stessi territori). Per questo è necessario essere consapevoli, così come lo sono i compagni e le compagne che abbiamo intervistato, che una volta istituito il Parco si dovrà continuare a lottare, con chi vorrà essere dalla nostra parte, per difendere il territorio dalle speculazioni e dalla sete di profitto del capitalismo.

Mega scritta 'Si al Parco' in stoffa rossa sul Monte Acuto, giro d'Italia 13 maggio 2006
Mega scritta ‘Si al Parco’ in stoffa rossa sul Monte Acuto, giro d’Italia 13 maggio 2006

Ci potete presentare questo progetto di Parco nazionale, spiegandoci intanto in cosa consiste e come è nata la mobilitazione che vede anche voi protagonisti?

Cristiano: L’area del futuro Parco nazionale del Catria, Nerone e Alpe della Luna interessa una superficie di circa 35-40.000 ettari, localizzata nell’Appennino centrale a cavallo di tre regioni: Marche, Umbria e una piccola porzione in Toscana. In questo territorio le emergenze faunistiche sono davvero notevoli, tra le altre specie sono presenti l’aquila reale, il falco pellegrino, il gatto selvatico, la martora, il lupo e la salamandrina dagli occhiali che è stata rappresentata nel simbolo del Parco. La zona è importante anche dal punto di vista paesaggistico, geologico e geomorfologico, comprende vasti boschi, faggete, altopiani, vette e crinali, oltre ad essere uno scrigno di storia e memoria, con rocche, borghi e antichi monasteri. Chi ha iniziato a portare avanti questo progetto di creazione del Parco sono state le associazioni ambientaliste, in particolare la Lupus in Fabula di Fano che è capofila del comitato. Strada facendo si sono messe in movimento molte altre realtà che non sono esclusivamente ambientaliste, perché il coinvolgimento si è esteso ai singoli cittadini, alle associazioni ad esempio di agriturismi che portano i loro interessi e ad altri soggetti che vivono con il lavoro nella montagna, dal pascolo ad altre attività. La mobilitazione è partita nel 2003, ma in realtà già da anni prima c’era l’idea di un’area protetta da istituire su questi territori dell’Appennino centrale umbro-marchigiano.

Io comunque parlo da ambientalista, dal mio punto di vista personale, parlo di quello che rappresenta per me la natura e di come la vivo. Sono convinto che il ruolo principale di un parco sia primo di tutto quello di fare conservazione. Conservazione della natura in tutte le sue sfaccettature: i paesaggi, i panorami, l’ambiente, la biodiversità. Un parco che non fa conservazione secondo me non ha ragione di essere, non ricoprirebbe il suo proprio ruolo. Poi certamente ci sono anche altri aspetti come il fare turismo e il favorire un modello di sviluppo diverso da quello che ci viene imposto.

Mimmo: Vorrei ricordare anche come è nata l’idea geografica del Parco. In sostanza esiste già tutta una serie di aree tutelate a diverso livello, di zone più o meno protette, un po’ a macchia di leopardo con riserve statali, regionali, foreste demaniali ecc. L’idea è stata quindi quella di dare una continuità territoriale a queste aree, costruendo una situazione geografica più ampia che le tenesse insieme. Inoltre da ormai molti anni si parla di APE, Appennino parco d’Europa, il cui progetto ha preso il via con un incontro che si svolse qui vicino, a Fonte Avellana. Si tratta di collegare fisicamente le zone appenniniche tutelate, ma se oggi si prende una cartina d’Italia si vede come proprio dove siamo noi, nell’Appennino umbro-marchigiano, manca uno spazio integrale di tutela. Mentre abbiamo a nord il parco del Casentino, a sud il Monte Cucco che è un parco regionale e poi i Sibillini, a est e ovest il parco di Frasassi e la riserva statale del Furlo.

 Quali sono le principali caratteristiche di questa mobilitazione?

Cristiano: Un parco può nascere con due modalità, molto diverse tra loro, dal basso o dall’alto. O sono le comunità che vivono sul territorio a richiederlo e promuoverlo, perché sono consapevoli del suo valore ambientale ma anche turistico e di tutte le potenzialità che potrebbe avere, oppure si innesca un’azione di lobbying in cui una serie di soggetti portatori di interessi e un comitato tecnico mandano avanti l’azione e presentano l’istanza al parlamento. In questo modo il parco viene calato dall’alto ed è in questi casi che di solito si incontrano le resistenze maggiori da parte di chi poi su quel parco ci vive; si creano problemi perché magari la gente da un giorno all’altro non può più andare a tagliare la legna dove l’aveva sempre fatto e non ne comprende neanche il motivo. Noi, al contrario, vogliamo che il parco nasca dal basso.

Mimmo: Il progetto è nato dalle associazioni, da individui che hanno interessi di vita e di lavoro su questi territori e noi stiamo cercando di portare avanti, non senza difficoltà, la costruzione di un sentire comune e condiviso all’interno delle nostre comunità. Questa è la cosa più interessante dal punto di vista politico. Poi è vero che le deputate Ricciatti, Terzoni e compagnia hanno presentato una proposta di legge, che probabilmente andrà a finire in un enorme armadio e verrà fuori chissà quando, se le tarme non se la mangiano prima! Qui quello che conta davvero è l’iniziativa locale che riusciamo a sviluppare. Questo tipo di impostazione era un’idea presente fin dagli inizi negli ambienti della Lupus in Fabula e dei primi promotori del progetto, il nostro contributo è stato forse quello di introdurre un discorso più politico, sulla necessità di democrazia partecipata. 

Striscione al Fosso dell'Eremita (Monte Nerone), novembre 2004
Striscione al Fosso dell’Eremita (Monte Nerone), novembre 2004

Come e quando vi siete inseriti voi, come collettivo Squola, in questa mobilitazione per il Parco? Quanto l’intervento dei compagni ha spostato l’asse di questa lotta, quanto ha determinato la sua specificità?

Mimmo: Il discorso viene da lontano. Noi ci siamo avvicinati all’idea del Parco quasi subito, già nel 2003-2004, perché come collettivo che vive in quest’area di montagna fin dall’inizio ci siamo trovati dentro le emergenze ambientali. All’epoca stavamo a Bellisio, dove avevamo occupato una ex-scuola. Era il periodo in cui tutte le settimane andavamo a fare qualcosa contro la guerra, coprivamo la statua del soldato con gli striscioni e cose così, cominciavamo insomma a organizzarci in termini di collettivo quando è venuto fuori che in quell’area si stava predisponendo il piano per un enorme polo estrattivo da undici milioni di metri cubi. Tra l’altro i nostri rapporti con gli abitanti del posto non erano semplici, abbiamo avuto qualche problema, ma di fronte a questo scempio che incombeva su tutti abbiamo aperto i nostri locali per una serata informativa e il posto si è subito riempito di gente interessata.

Così abbiamo incominciato a far vedere il nostro modo di agire, interrompendo i consigli comunali, presentandoci in commissione edilizia con i sacchi di breccia [“ghiaia” in dialetto marchigiano], calando striscioni ovunque. Contemporaneamente a questa lotta contro la cava abbiamo iniziato a tirare fuori il discorso sul Parco e abbiamo visto che si aprivano spazi politici su temi che a noi sono cari, come il modello di sviluppo, la tutela dell’ambiente, la gestione della montagna. Abbiamo capito che il nostro “no” era molto più forte nel momento in cui lo affiancavamo ad un “sì”, cioè nel momento in cui proponevamo un progetto di sviluppo alternativo a quello che volevano imporci. Altro che NIMBY, noi abbiamo voluto stare dentro un percorso propositivo, consapevoli che avrebbe avuto dei limiti e che su alcune cose ci saremmo scontrati.

Quali sono stati in questi anni i momenti più significativi, le forme di lotta, le iniziative che avete messo in campo?

Cristiano: Già nel lontano 2005 avevamo organizzato una giornata intitolata “Perché Parco?”; l’anno successivo abbiamo colto l’occasione del passaggio del Giro d’Italia sul monte Catria e insieme al comitato abbiamo esposto un’enorme scritta “Sì al Parco” fatta con dei teli rossi; di nuovo nel 2009 per il Giro d’Italia un grande striscione è stato teso a trenta metri di altezza sui relitti delle pale eoliche sul Catria. In tempi più recenti le iniziative principali sono state un incontro fatto qui a Squola con Andrea Pellegrini, fondatore della Lupus in Fabula, guida ambientale ed escursionistica, e poi due raduni sulla montagna: il primo a settembre 2014 sul monte Catria con 500 persone, il secondo a settembre 2015 sul monte Nerone, che però ci ha detto male perché era una giornata terribile di pioggia, freddo e vento, anche se comunque ci sono stati circa 300 partecipanti. Questo serve anche per un discorso di tipo mediatico, abbiamo necessità di far vedere quanti siamo e se c’è bisogno lo facciamo anche in questa maniera spettacolare. Quest’anno abbiamo anche ospitato la rassegna video “filmiAMO il Parco”, poi c’è una raccolta di firme…

Mimmo: Come diceva Malcolm X: con ogni mezzo necessario. Pure noi non disdegniamo nessuno strumento, guardiamo quello che ci serve per lo scopo e se lo riteniamo coerente ed efficace lo utilizziamo.

Raduno sul Monte Nerone per 'Il Parco che non c'è', settembre 2015
Raduno sul Monte Nerone per ‘Il Parco che non c’è’, settembre 2015

La cosa interessante è vedere come le varie forme di difesa e di tutela dell’ambiente nei vari contesti sociali e politici assumano forme diverse. In Chiapas, per fare un esempio classico, i compagni zapatisti si oppongono al fatto che il governo voglia portare le cascate di Misol-Ha dentro una dinamica di tutela statale, ma questo perché loro hanno già in mano l’amministrazione autonoma di quei territori.

Mimmo: Certo c’è una bella differenza, che riguarda la presa che si ha su un determinato territorio. Se la nostra posizione deve diventare una posizione di impotenza totale rispetto a processi che ci passano sopra la testa, come le devastazioni ambientali, forse possiamo anche andare a vedere quali strumenti all’interno di questo sistema possiamo utilizzare a nostro vantaggio. Se invece sei forte al punto che non hai bisogno della tutela statale per garantire una difesa di un dato territorio, allora è chiaro che sarebbe un tradimento accodarsi allo Stato. Ma qui, in questa fase, noi da soli non siamo in grado di difende integralmente questo territorio.

Cristiano: Uno strumento che ci torna utile è anche la legge 394 del 1991, che è una legge molto avanzata dal punto di vista della tutela e riguarda l’istituzione delle aree protette. È un prodotto di quegli anni ottanta che in Italia sono stati un periodo fondamentale per l’ambientalismo. E guarda caso, se si va a vedere, tutti i governi degli ultimi vent’anni hanno provato a metterci le mani, a modificarne delle parti, a svuotarla e snaturarla. Più in generale, oggi l’attacco all’ambiente è pesante, drammatico e passa sopra alle loro stesse leggi. Di questo ne siamo consapevoli. Lo si vede in quello che stanno portando avanti a livello istituzionale i governi, ma lo si vede anche nelle piccole cose delle nostre province, per esempio adesso è in corso lo smantellamento dei CEA, i Centri di educazione ambientale, che probabilmente non verranno rifinanziati. Sono tutte piccole tessere che vanno a inserirsi all’interno di una più generale offensiva di attacco all’ambiente.

Tornando al progetto del Parco nazionale, quali interessi confluiscono all’interno del comitato, nelle sue varie anime? Come si riescono a far convergere sullo stesso obiettivo? Ci sono derive da tenere sotto controllo, innescate da chi pensa alla valorizzazione di un territorio solo per ricavarne profitti senza altre preoccupazioni di tipo ambientale?

Mimmo: Certamente sono presenti interessi molto diversi: qualcuno cerca il brand e basta, lo sanno tutti che con un marchio del Parco si entra dentro un circuito che macina denaro, è una cosa che funziona, che farebbe comodo all’agriturismo piuttosto che a chi produce il prodotto tipico; ad altri interessa invece in primo luogo il discorso di conservazione dell’ambiente; ad altri ancora, come l’Azienda Speciale del Catria che raccoglie dodici comunanze agrarie, interessa riuscire a capire quanti posti avranno dentro il consiglio di amministrazione dell’ente Parco. È importante sapere quali sono le esigenze e gli obiettivi dei vari attori, ma soprattutto quelle di chi qui ci vive, per costruire insieme un progetto. Il nostro problema, adesso, è proprio garantire il governo democratico di tutta questa situazione, che vada cioè avanti in maniera orizzontale, non gerarchica, partecipata. Ci vuole una sorta di armonia politica e questo è sicuramente il contributo che noi possiamo portare al comitato. I rischi che il Parco diventi un pretesto per profitti e commercializzazione ci sono, ma sono rischi che dobbiamo assumerci la responsabilità di correre.

In fondo, a tenere insieme questi diversi interessi ci riusciamo benissimo perché ancora non gestiamo il potere. Ora c’è solo una potenzialità di potere, che si concretizzerà nel momento in cui si istituirà il Parco. Ma è bene cominciare fin da subito a fare emergere quali sono questi interessi, perché in qualche modo dovranno pur compenetrarsi e questa è la sfida più grande, che a noi piace. Ci piace avere l’opportunità di costruire un momento democratico forte che un domani, quando il parco sarà costituito, dovremo essere capaci di portare dentro quelle strutture burocratiche. Dobbiamo quindi arrivare già pronti a saper governare nel migliore dei modi quelle criticità e quei limiti burocratici che presenterà l’ente Parco che in quanto tale, come soggetto pubblico, sarà un carrozzone burocratico. Ma il vero valore di un Parco non si appiattisce sulle politiche del suo ente gestore.

Una cosa significativa è ad esempio il fatto che l’ultima riunione del comitato l’abbiamo tenuta al rifugio della funivia del Catria. Noi avevamo combattuto contro la funivia, per non farla riaprire. Ma ora loro si stanno convertendo da un discorso di tipo esclusivamente sciistico, dal luna park della montagna, verso una frequentazione della montagna più compatibile con il rispetto per l’ambiente, avvicinandosi a una prospettiva in sintonia con la nostra. Anche perché non sono stupidi e capiscono bene che non si campa con quei tre mesi di neve invernale. E quindi quelli che erano i nostri “nemici” ci hanno ospitato, hanno saputo cogliere questa opportunità perché evidentemente l’idea stessa di questo Parco sta diventando attrattiva per tutta una serie di soggetti, non solo per le associazioni ambientaliste che comunque sono state e sono ancora il vero motore e il fulcro della campagna. All’epoca della lotta contro le cave erano arrivate a Bellisio perfino alcune associazioni di cacciatori a dirci che volevano il Parco, la prima volta che le abbiamo viste alla riunione del comitato abbiamo pensato ad un agguato…! Il fatto è che anche loro possono trovarci la propria convenienza, visto che anche se la caccia sarà vietata in molte aree, in altre sarà possibile per i soli residenti e così toglierebbero di mezzo la concorrenza dei cacciatori che vengono da fuori.

Striscione gigante "Si al Parco"
Striscione gigante “Si al Parco”

Per quanto riguarda le comunanze agrarie a cui hai fatto cenno, nello scorso numero della rivista abbiamo pubblicato un articolo sulle loro origini e su quello che hanno storicamente rappresentato, potete raccontarci meglio la loro posizione attuale nei confronti del Parco?

Mimmo: Le comunanze rappresentano forme di proprietà collettiva delle terre, chi ne fa parte ha il forno comune, diritti di utilizzo della sorgente, del pezzo di bosco dove far legna e altre cose di questo tipo. In realtà sono poteri locali e la loro posizione va vista in termini molto pragmatici. Da queste parti hanno storicamente tutelato la montagna perché in sostanza era un loro feudo di potere: erano isole democristiane all’interno di un territorio rosso. Sulla questione del Parco il punto più alto a livello di discussione istituzionale politica è stato raggiunto proprio con Piero Cavallini, uomo del PD, ex democristiano, presidente dell’Azienda Speciale del Catria che rappresenta dodici comunanze, il quale a un certo punto ci ha invitato a metterci seduti con loro per vedere come potevamo riuscire a portare avanti questo progetto.

L’Azienda Speciale del Catria è un’entità politica forte. La nostra sensazione è che abbiano preso atto di che aria tirava, convincendosi che è meglio governare il cambiamento piuttosto che opporsi. Perché se tutti sono d’accordo su un certo percorso e loro rimangono fuori rischiano di rimetterci politicamente. Di certo non viene da loro la proposta di fare il Parco, perché loro hanno già quei privilegi sulla montagna e anzi hanno paura che possano venire meno, ma se proprio il Parco si deve fare allora sono pronti ad accodarsi. Di sicuro vorranno dire la loro nel futuro consiglio di amministrazione dell’ente di gestione, per cui una volta fatto il Parco, è li che comincia il “bello”, che ci dovremo veramente mobilitare contro politici e speculatori vari.

Non c’è il rischio che una delle attrattive principali del Parco sia il turismo di massa, cioè che non verranno più i cacciatori da fuori ma frotte di turisti dove trovi l’escursionista consapevole ma anche quello che perfino dentro una foresta di querce pretende tutte le comodità a cui è abituato?

Giovanni: I turisti potranno arrivare fino a un certo punto. Certo, nella prima fascia del parco arriveranno con le macchine, ci sarà il parco giochi per bambini, il ristorantino e tutte queste cose, ma in altre aree le macchine non entreranno, si potrà andare solo a piedi e fare solo certe attività. Per me ben venga il turismo, purché sia compatibile con la montagna.

Mimmo: Il problema è che io devo produrre ricchezza. Nel senso che voglio in qualche maniera generare benessere per la gente che abita qui, non voglio generare povertà. Per produrre ricchezza devo passare anche attraverso la promozione del Parco e il richiamo dei turisti. Il fatto determinante è però che io voglio scegliere come produrre questo benessere, perché ho un’idea ben precisa di quale modello di sviluppo voglio e vorrei poterlo governare questo sviluppo, in maniera democratica, insieme alle altre persone che abitano questi territori. Ovviamente il modello di sviluppo a cui penso non può prescindere dalla compatibilità ambientale: io credo che oggi, politicamente, questo sia uno dei vincoli fondamentali, il primo vincolo di cui va tenuto conto.

Lo sviluppo lo intendo anche come un’opportunità per molti di non dover andare via. Qui c’è gente che ha voglia di impegnarsi, anche per riprendere ad esempio a fare il carbone, che è un nostro mestiere tradizionale che rischia di scomparire. Ma un sacco di carbone prodotto in maniera artigianale qui e un sacco di carbone industriale argentino non costano uguale e allora forse se ho un marchio che me lo valorizza posso sperare di sopravvivere producendo carbone. Sono d’accordo che questo non sovverte il sistema, ma io devo pensare anche a muovermi adesso nella situazione che abbiamo.

Il Bosco di Tecchie, nei pressi di Cantiano
Il Bosco di Tecchie, nei pressi di Cantiano

Recentemente sulla rivista Nunatak abbiamo letto un articolo critico rispetto al Parco del Monviso. Lì c’è una forte contrapposizione storica e che si ripropone anche oggi tra gli abitanti della montagna e gli abitanti della città, tra le valli e la zona metropolitana, che poi si ripercuote anche in termini politici. Loro affermano che l’egemonia politica agisce sempre contro la montagna, qual è la sensazione qui? La gente che abita questa parte di Appennino vive la situazione della montagna solo con un senso di marginalità, di deprivazione, di isolamento o la vive anche con l’orgoglio di un’identità locale che si contrappone ai poteri forti della città?

Giovanni: Io non sono originario di queste zone anche se vivo qui da molti anni, ma purtroppo non vedo intorno a me un grande orgoglio di essere montanari, quanto invece una sensazione di essere marginalizzati, che però non si è trasformata in volontà positiva di riscatto. La resistenza non viene tanto dal vivere in montagna, spesso nella miseria nera, quanto dallo sviluppare una consapevolezza politica; questo comunque è un discorso che sarebbe interessante approfondire.

Mimmo: Qui da noi la contrapposizione è semmai tra la costa e la montagna. Io sono convinto che esista una sorta di neocolonialismo in questa direzione. C’è innanzitutto un problema concreto di demografia di quest’area, che è poi un problema di tutta la regione Marche, dove la popolazione per l’85% abita nei primi dieci kilometri dalla costa. Lì vanno tutti i finanziamenti, lì ci sono tutti i servizi. Quando vanno fatti i tagli alla spesa pubblica, da un punto di vista politico è meno doloroso farli sull’entroterra.

Sulla mobilitazione per il Parco il fattore determinante è la “spinta” che riusciamo a imprimere. E questa spinta non può venire solo dalle bellissime persone che abitano sulla costa e a cui piacerebbe venire a passeggiare nel Parco, perché la spinta deve venire da qui, da noi brutte persone che abitiamo qui. È facile convincere la gente sulla costa che vive tutta la settimana tra gli scarichi della città, ma dobbiamo fare attenzione perché politiche di tipo speculativo potrebbero far diventare queste zone il divertimentificio a uso e consumo della costa. A noi quello che ci serve realmente è far crescere una consapevolezza diffusa tra gli abitanti dell’Appennino. Nelle ultime elezioni amministrative tutte le forze politiche erano d’accordo sul non volere le cave, sul non volere i mostri dell’eolico, perché abbiamo fatto un tale lavoro sociale per cui nessun politico con un minimo di intelligenza può permettersi di andare contro la volontà di un’intera comunità. Dobbiamo quindi proseguire nella campagna di sensibilizzazione anche rispetto al progetto del Parco, che è un discorso più complesso perché non è solo il “no” ad opere devastanti per l’ambiente ma è il “sì” ad un progetto da costruire e come tale incontra anche delle resistenze da superare.

Cristiano: Aggiungo che noi siamo particolarmente legati alla montagna anche per una questione di memoria storica. Qui nel centro sociale ha sede una sezione ANPI che si muove con grande autonomia. ANPI Valcesano è una sezione viva e combattiva che cerca di preservare i legami storici con questi che sono stati terreni di battaglia. Per molta gente che abita qui, queste montagne rappresentano anche un sentimento particolare: sono il luogo della memoria antifascista.

Su questa dinamica del Parco a volte sembra che ci sia un’unanimità carica di ambiguità, quali sono invece queste resistenze di cui parlate?

Cristiano: Le resistenze più forti vengono proprio da molte persone che abitano l’entroterra, che magari hanno la loro piccola attività o piccola convenienza e pensano che nel Parco non potranno continuare a fare quello che hanno sempre fatto, non potranno andare più a funghi, a fare legna, a portare animali al pascolo. Cosa non vera perché il Parco sarà diviso in diverse zone di rispetto. Ci sarà una zona a riserva integrale in cui l’ambiente dovrà essere lasciato alla sua naturale evoluzione, poi una zona immediatamente limitrofa a questa, chiamata riserva generale orientata, dove non si potranno fare nuove opere edilizie né ampliare costruzioni esistenti, saranno vietate opere di trasformazione impattanti sul territorio ma verranno consentite le utilizzazioni produttive locali (pascolo, legname, ecc.), logicamente con delle regole che servono a garantire la preservazione del Parco. Qui a caccia non ci si andrà, così come non si potrà andare sul monte con le moto da trial o con i quad. Infine, in altre zone le attività saranno più libere, sempre però in sintonia con la tutela ambientale, che è la finalità del Parco. Il Parco è questo: è un insieme di regole, anche se a noi la parola “regole” non ci piace più di tanto.

Giovanni: Dipende da come le regole vengono costruite, l’importante è che non siano imposte. Una regola che è discussa, stabilita da tutti, non è una legge ma una modalità del vivere comune. Anche il nostro spazio sociale è un luogo pieno di regole, ma questo non è un problema perché le abbiamo decise noi. Quindi per salvaguardare questo territorio ci diamo delle regole ed è importante che siano condivise da tutti coloro che lo abitano.

Carta del Parco
Carta del Parco

Viene da pensare che questa dinamica di creazione dei parchi risponda a delle logiche locali, con le resistenze e spinte che voi avete descritto, ma anche a un’ottica nazionale e sicuramente a livello nazionale la tendenza è sì tutelare alcune aree ma spingere l’acceleratore sulla devastazione ambientale nella maggior parte dei territori. Sappiamo che ci sono in ballo interessi strategici forti, come il progetto del mega gasdotto Brindisi-Minerbio che dovrebbe passare proprio da queste parti. Forse il rischio è che alle resistenze dal basso si aggiungano quelle dall’alto, cioè che in una strategia nazionale di amministrazione del territorio queste aree possano non essere prioritarie, se non già escluse da un’idea di tutela. Che ne pensate?

Mimmo: Il gasdotto di cui parli, il “tubo”, fermo restando che non c’è alcun bisogno di infrastrutture di questo genere, non hanno pensato di farlo passare dove di solito si fanno queste cose, dove ci sono già le grandi linee di comunicazione, ma proprio qui in mezzo alle montagne dell’Appennino. La ragione principale sono i costi degli espropri dei terreni: sulla costa hanno un valore, mentre qui tra i monti è quasi tutto demaniale. In ogni caso, con la storia dell’interesse strategico nazionale, purtroppo una cosa non esclude l’altra, nel senso che non hanno bisogno di bloccare il progetto del Parco per far passare il gasdotto, visto che hanno gli strumenti di legge per cui se vogliono il gasdotto o le trivelle ce lo vengono a mettere pure se il Parco c’è. In questi casi, come sempre, indubbiamente il conflitto aiuta, nun c’è un cazzo da fa…!

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