Di Giada e Riccardo di AltreMenti Valle Peligna
Sulle pagine di Malamente (#8) abbiamo già parlato del gasdotto Snam Rete Adriatica, ennesima “grande opera” che dovrà attraversare il Paese dalla Puglia all’Emilia Romagna, devastando i territori appenninici per permettere il flusso di quel combustibile così necessario ad alimentare nuove distruzioni dell’economia industriale. Nell’attesa delle ruspe, che purtroppo avanzano a grandi passi con il benestare delle istituzioni nazionali, c’è chi si sta dando da fare per organizzare la resistenza, la protesta, l’intralcio ai lavori, ognuno con le proprie modalità. Su questo numero abbiamo raccolto un contributo proveniente dal collettivo AltreMenti della Valle Peligna che ci parla, in particolare, di un nodo strategico del gasdotto: la centrale di compressione e spinta prevista a Sulmona. Ancora una volta dobbiamo fare i conti con un modello di sviluppo inaccettabile e insostenibile, che piace agli ingegneri della Snam solo perché riempie le loro tasche (e le loro vuote esistenze), spazza via l’aria pulita e ci lascia un’altra ferita da curare. Mettiamoci di traverso!
Lo scorso 3 febbraio a Sulmona (AQ) si è svolta una partecipatissima assemblea che ha dato vita al Coordinamento No Hub del Gas Abruzzo: sotto questo nome si sono riunite le tante vertenze nate intorno alle questioni riguardanti l’estrazione, il trasporto, il trattamento e lo stoccaggio del gas naturale che vedono nella regione Abruzzo lo snodo strategico della rete nazionale di distribuzione del gas, dai paesi esportatori a quelli importatori. Dal gasdotto Larino-Chieti, al progetto di estrazione a Bomba, dallo stoccaggio di Fiume Treste a Cupello, a quello proposto a San Martino sulla Marrucina, la scelta di Sulmona come luogo di incontro per i vari comitati non diviene affatto casuale, anzi. Sulmona risulta cruciale all’interno di uno dei progetti più ambiziosi nello scenario delle grandi opere dannose inutili e imposte (GODII): il gasdotto della Snam “Rete Adriatica”, continuazione italiana di Tap, per cui la Valle Peligna non solo sarà suolo di passaggio del megagasdotto fino a Minerbio, ma anche sede di una centrale di compressione e spinta del gas. Il 22 dicembre 2017, il Consiglio dei ministri ha portato in dono ai sulmonesi per il santo Natale l’autorizzazione della suddetta centrale in zona Case Pente.
Il progetto Rete Adriatica, proposto da Snam rete gas nel 2004, consiste in un gasdotto di trasporto, atto al potenziamento della rete nazionale, che per 687 km percorre la dorsale appenninica da sud a nord, precisamente da Massafra (TA) a Minerbio (BO), per un totale di dieci regioni attraversate, più una centrale di compressione e spinta, situata per l’appunto a Sulmona. Il nome Rete Adriatica lascia trasparire l’iniziale collocazione geografica dell’opera, ovvero la costa adriatica. La scelta di spostare il tracciato lungo l’Appennino è riconducibile a fattori di tipo economico: Snam dichiara infatti che l’eccessivo grado di urbanizzazione delle zone costiere avrebbe portato a un alto numero di deviazioni; inoltre ci sono ragioni di tipo sociale, quali la possibilità di evitare eventuali resistenze popolari sfruttando il fenomeno dello spopolamento delle aree interne. Il processo autorizzativo dell’opera è stato snellito oltre che dalla dichiarazione di “strategicità”, sia nei Progetti di interesse comunitario nel 2013 della Commissione europea che nello Sblocca Italia del 2014 del governo Renzi, anche dalla suddivisione in cinque tronconi con altrettante differenti Valutazioni di impatto ambientale. I lotti funzionali sono Massafra-Biccari (194 Km), Biccari-Campochiaro (70 Km), Sulmona-Foligno (167 Km), Foligno-Sestino (114 Km), Sestino-Minerbio (142 Km); nel tratto Campochiaro-Sulmona, Snam sceglie di collegarsi a un gasdotto preesistente, il Transemed, potenziandolo e conformandolo agli altri tratti. La centrale sorgerà su un terreno di dodici ettari a pochi chilometri dal centro abitato, in zona Case Pente: le tre turbine da 30MW di potenza termica ognuna lavoreranno bruciando gas ed emettendo ossidi di azoto, monossido di carbonio e nanoparticelle, oltre che inquinamento acustico per permettere al gas di continuare il percorso di risalita fino allo stoccaggio di Minerbio. La Valle Peligna è una valle interessata dal fenomeno dell’inversione termica, ovvero il ricambio d’aria è ridotto: questo significa che la maggior parte delle emissioni resteranno in ricircolo nell’aria respirata dai cittadini.
Il 21 aprile 2018 proprio a Sulmona ci sarà una manifestazione nazionale convocata dal neonato Coordinamento, ma questa è solo il culmine di anni di dissenso al progetto: i Comitati cittadini per l’ambiente, a cui si sono aggiunti negli anni il Collettivo AltreMenti Valle Peligna e il Collettivo studentesco Sulmona, sono stati i primi a evidenziare le criticità e le controversie relative all’opera. Bisogna innanzitutto parlare di rischio sismico: il gasdotto attraversa per gran parte del suo percorso zone a rischio sismico 1, oltre che comuni già interessati dagli ultimi grandi sismi della penisola: L’Aquila, Paganica, Preci, Visso, Norcia, Montereale, per citare nomi già tristemente noti alla cronaca. La centrale di compressione e spinta sorgerà a circa cinque chilometri dalla faglia del Monte Morrone, che – secondo studi di geologi e sismologi – ha un potenziale di magnitudo tra 6 e 7 gradi della scala Richter. Se da un lato Snam assicura l’assenza di pericolo in caso di sisma, dall’altro la Commissione VIA per il tratto Sulmona-Foligno, in un suo documento ufficiale del 2010 parlava di “ridurre la vulnerabilità della condotta in caso di sisma”. La necessità di suolo ha dato vita all’espropriazione di massa di terreni destinati all’agricoltura, principalmente nella zona di Case Pente in cui avviene la produzione dell’aglio rosso, prodotto locale e risorsa di un territorio che fa dei prodotti tipici il punto di forza dell’economia agroalimentare.
L’imposizione di un’opera che ha sul territorio risvolti economici pressoché nulli (si parla di sette addetti alla sorveglianza della centrale e di ditte altamente specializzate per la costruzione del gasdotto, assenti a livello locale) è sintomatologia di un assetto capitalista basato su quella che viene definita l’impresa hit and run: nello scenario attuale risulta molto più facile sfruttare grandi opere speculative per avere un profitto nel breve periodo, senza curarsi delle conseguenze a medio-lungo termine. Il sistema in cui le grandi opere riescono a risultare profittevoli per le multinazionali è quello di un capitalismo incompatibile con la preservazione del territorio e il progressivo esaurimento delle risorse: la stessa esistenza del cantiere è fonte di profitto poiché gli interessi privati delle multinazionali del gas vengono in questo caso finanziati anche con soldi pubblici.
Certamente devastazione del territorio, lesione dell’economia locale, minaccia a fauna e flora sono aspetti della scelleratezza del progetto, ma allo stesso tempo parlare solo e unicamente di queste contraddittorietà manifeste rende facilmente catalogabile il dissenso come un ennesimo fenomeno di “Not In My Back Yard”. Ciò che la minaccia del tubo ha in realtà portato nella piccola e anestetizzata Sulmona è lo sviluppo di massa critica collettiva, che ha fatto dell’informazione diretta e dell’assemblearismo i suoi pilastri fondanti. Il grande scoglio resta la percezione delle battaglie ambientali come antiprogressiste, elitarie, portate avanti da chi nulla ha di meglio da fare nella vita che lamentarsi: entrare nelle scuole, volantinare al mercato e cercare il sostegno della comunità (la vertenza è entrata nei bar con campagne di coinvolgimento ad hoc, negli stadi, è stata protagonista del Carnevale 2018 con un carro No Snam) sono stati passi cruciali per la diffusione della lotta negli ultimi anni e il rilancio nelle ultime settimane successive alla deliberazione del Cdm. Siamo partiti facendo capire il rischio concreto dell’opera, per la vita e la salute di tutti, e ora stiamo sensibilizzando e informando la popolazione sul contesto economico e socio-politico che legittima l’esistenza delle grandi opere, rilanciando sulle nostre richieste di sviluppo sostenibile del territorio e recupero delle vecchie tradizioni come nucleo di una nuova strategia di sviluppo locale. A Sulmona, la firma favorevole alla centrale da parte del Governo ha generato una nuova ondata di proteste, che ha fatto nascere un presidio permanente: ci si incontra per discutere di come portare avanti la lotta, sia economicamente che a livello organizzativo, aspettando che finisca l’inverno per trasferire il presidio a ridosso dei terreni dove Snam vuole realizzare la centrale.
La lotta contro il progetto di costruzione della centrale di compressione di Sulmona è simbolo di democrazia: il Governo non può non ascoltare le popolazioni interessate dall’opera e non prendere in considerazione tutte le deliberazioni contrarie prodotte negli ultimi dieci anni da tutte le istituzioni locali. Regione Abruzzo, Provincia dell’Aquila, Comune di Sulmona e tutti gli altri della Valle Peligna hanno deliberato il proprio parere contrario all’opera. Perfino la Commissione ambiente della Camera dei deputati, nel 2011, ha espresso la propria contrarietà al passaggio del megagasdotto in area sismica e alla costruzione della centrale.
Ci si chiede spesso cosa accadrà quando arriveranno le ruspe. Intanto ci prepariamo al 21 aprile, quando arriveranno a Sulmona tante persone provenienti da tutta l’Italia centrale e in tanti diremo “No” alla trasformazione della nostra Regione in hub italiano del gas al servizio delle multinazionali energetiche e “Sì” alla difesa della nostra terra e a un modello economico che ripensi le scelte di produzione e consumo del quotidiano e sia altamente ecologico.