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Non ve volemo (#9)

Non ve volemo
Di Redazione

C’erano una volta i quartieri popolari antifascisti e le campagne dove rossi, bianchi e neri si prendeva­no a cazzotti e a volte passavano alla rivoltella, c’era una volta tutta la lita­nia del tempo che fu, nel quale l’attesa di una liberazione magica ha nascosto per troppi la verità di un’oppressione assolutamente concreta. Così il ritor­nello popolare “addavenì baffone” più che una professione di fede nello stali­nismo è stato una tenue speranza nella giustizia a-venire, una preghiera o una bestemmia. Poi è arrivato il benessere, al baffone sono caduti barba e baffi e quasi tutti si sono scordati che le dif­ferenze tra idee non si possono sempre risolvere con un caffè al bar o con una chiacchierata, perché spesso riguarda­no visioni del mondo, forme di vita, interessi concreti.

Siamo arrivati a oggi, l’oppressione ha preso la forma dell’esclusione del de­bole, del diverso, dello straniero e non possiamo evitare di parlare dei toponi di fogna con la tartaruga sulle magliet­te. Casapound e la sua cricca di asso­ciazioni fasciste hanno preso fin trop­po piede, anche nelle Marche. Come rivista abbiamo partecipato allo sforzo collettivo degli antifascisti e antifasci­ste di Ancona per denunciare e boi­cottare la presenza dei fascisti del terzo millennio nel capoluogo. Il 2 dicembre  siamo stati in corteo, convinti che sia il punto di inizio di un percorso in salita. Il presidente dell’Accademia di Babele e i sin­ceri liberali che hanno ospitato i fascisti si sono barricati dietro la poli­zia e dietro qualche citazione farlocca di Voltaire. Non riescono a concepire come si possa negare il diritto di paro­la a qualcuno. Come se parole e azioni fossero due mondi separati. Come se quello che ci oppone ai fascisti fosse una giostra di diverse “opinioni”. Pro­pagandare intolleranza e razzismo so­no solo delle legittime opinioni? Sof­fiare sul fuoco della guerra tra poveri è solo un’opinione? Cancellare dalla me­moria storica la tragedia di un venten­nio di dittatura è un’opinione con cui confrontarsi? Vediamo giorno dopo giorno quello che succede nelle Mar­che, in Italia e altrove: le aggressioni e anche i morti per mano fascista. Chi concede spazi e agibilità a questi soggetti nascondendosi dietro il mantra della democrazia o è uno sciocco o è un complice, spesso entrambe le co­se. Per questo condividiamo le parole che aprivano lo striscione ad Ancona: “Non ve volemo”. È ora di cominciare a ripeterlo più spesso e più forte.

>La nostra anima antisessista e anti­razzista ci spinge inoltre a ricordare i ripetuti episodi di violenza di genere che hanno oltraggiato il nostro territo­rio, e non solo, negli ultimi mesi, stru­mentalizzando per l’ennesima volta il corpo della donna e trasformandolo in una chiave con cui chiudere la porta ai movimenti migratori e alimentare le politiche razziste e securitarie. Sul­la scia delle manifestazioni femmini­ste che al grido di Non una di meno lo scorso 25 novembre hanno dipinto di viola le piazze a livello globale, ribadiamo che la violenza di genere è diretta conseguenza di una cultura patriarcale che globalmente permea tutti gli spazi del vivere quotidiano, quelli pubblici e quelli privati, quelli cultu­rali e quelli politici. Il potere patriar­cale non può essere declinato a secon­da della provenienza geografica di chi viola il corpo di una donna. La violen­za di genere non ha lingua né colore e no ha un unico significato: no.

Venendo alle nostre pagine, l’autunno di quest’anno ci ha regalato per fortu­na due presentazioni della rivista che ci hanno scaldato il cuore. Non i so­liti spazi sociali, librerie o festival, che pur frequentiamo con piacere, ma una barbieria di Senigallia, di quelle dove tra forbici e rasoi regna ancora la di­scussione, e un casolare nelle campa­gne urbinati, uno di quei luoghi spe­ciali dove incontrare bella gente che sa ancora alzare i calici per brindare alla vita. “Malamente” si nutre proprio dei rapporti di complicità che incontra sulla sua strada, speriamo quindi che occasioni di questo tipo si moltiplichi­no nel tempo.

In questo numero abbiamo approfitta­to della disponibilità dell’antropologo Stefano Boni, amico e compagno, per parlare con lui di esperienze di vita in collettività, cioè del mettere le basi per la possibilità di un vivere altro e mi­gliore. Tante sono le ragioni, ma anche non poche le difficoltà, per la costru­zione di piccole comunità di indivi­dui e famiglie che sappiano mettere al primo posto l’interazione umana e solidale e, allo stesso tempo, sappiano pensarsi non come isole felici in una società in rovina, ma come nuclei di resistenza al mondo delle merci e del denaro. L’occasione ci è stata data dall’intervento di Stefano alla giornata inaugurale di un progetto di conviven­za tra le colline e il mare, che promette interessanti sviluppi.

Parliamo poi degli incendi che la scor­sa estate hanno funestato i boschi. Con i roghi del San Bartolo e delle Ce­sane, in provincia di Pesaro e Urbino, abbiamo visto il fumo e le fiamme da molto vicino, ma per raccontare come una comunità può darsi da fare senza aspettare a mani giunte l’acqua sgan­ciata dal cielo siamo andati in Abruz­zo, tra i fusti anneriti del monte Mor­rone, per intervistare chi era in prima linea durante i roghi d’agosto. Sempre sul tema degli incendi ospitiamo an­che un gradito contributo provenien­te dalla Val di Susa, con l’auspicio di continuare a gettare ponti tra i “nostri” Appennini e le Alpi.

Come chi ci segue da tempo ormai sa, cerchiamo di non far mai mancare un racconto storico su fatti che ci appas­sionano e difficilmente si trovano nei libri di scuola. Questa volta partiamo dal piccolo porto di Fano per adden­trarci in un intrigo internazionale dai contorni mai del tutto chiariti, legato alla guerra di liberazione algerina degli anni Cinquanta e Sessanta. Un altro chiodo fisso di qualche nostro redat­tore è la critica antindustriale e anche su questo numero pubblichiamo un denso articolo in traduzione, da legge­re con calma e su cui riflettere. Questa volta non consigliamo un libro “da ru­bare”, ma solo un progetto editoriale “da sostenere”: Cavallino rivista ed editrice, con cui contiamo di avvia­re una collaborazione e già su queste pagine trovate una bella illustrazione realizzata da uno dei loro disegnatori.

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