Il deserto della critica
Di Nikos Fountas
Chi non si è mai trovato o trovata, nel corso delle proprie diverse esperienze con gli ambiti di “movimento”, a provare la sensazione che non si stesse andando da nessuna parte? L’essere “autoreferenziali”, “escludenti”, poco comprensibili, “per militanti”, sono ormai concetti autocritici che sono entrati comunemente nei discorsi di chi vive le realtà politiche oggi in Italia; ma, ciò nonostante, pare che non si riesca a fare dei passi verso una via d’uscita.
Una risposta prova a darla Renaud Garcia nel suo libro Il deserto della critica (Elèuthera, 2016). Insegnante di filosofia in un liceo e redattore della rivista «Réfractions», autore di numerosi libri sui temi della critica sociale e della decrescita ecologica, parte da una messa in discussione della “decostruzione” foucaultiana, filo conduttore di tutto il libro, per arrivare a fare “un’analisi dell’influenza delle teorie della decostruzione sulle sinistre ‘radicali’ contemporanee e della maniera in cui hanno neutralizzato tutta la critica sociale”[1]. Garcia teorizza inoltre che, “occupate a decostruire e decostruirsi all’infinito, le sinistre ‘radicali’ abbiano trascurato il campo sociale, mentre l’estrema destra vi ha investito opportunisticamente, sfruttando l’angoscia degli sconfitti della storia”. Cerca quindi il perché del “deserto” intellettuale e militante in cui ci troviamo ora, provando a seguire una traccia lasciata dagli autori e dai concetti maggiormente in voga oggi, provando a trovare non solo delle cause, ma anche dei rimedi.
Il libro si compone di un’introduzione e cinque capitoli, in cui l’autore affronta tematiche specifiche su cui si sono concentrate le opere degli autori e dalle autrici della decostruzione, per andare così a riflettere sulle tesi da loro avanzate e sulle conseguenze politiche e sociali delle stesse.
Se fin dalle prime pagine il punto di partenza è la figura stessa di Foucault e le trasformazioni negli ambiti militanti che vi vengono fatte discendere, rilette attraverso le posizioni di Orwell sul rapporto per nulla scontato fra classi popolari e idee di emancipazione sociale, nel primo capitolo l’opera si immerge nel confronto fra gli eredi “anarchici” della decostruzione (Tomas Ibañez, Hakim Bey, Saul Newman) e i sostenitori di una critica sociale che si accompagni alla proposta di alternative globali (Murray
Bookchin, John Zerzan, David Graeber), mostrando infine uno spaccato “demografico-sociologico” della composizione attuale del movimento antiautoritario, ponendo così la spinosa questione della composizione di classe.
Nel secondo capitolo, sono invece l’Illuminismo e il Romanticismo con le loro eredità, cestinate senza possibilità di ricorso da parte degli autori post-modernisti, ad essere alla base di un ragionamento più ampio, che Garcia compie attraverso i testi di Bertrand Russel, Kant e soprattutto di Horkheimer e Adorno, sulle conseguenze della cancellazione del concetto di Verità per mano delle filosofie della “destrutturazione”.
Da lì, si dispiegano una serie di confronti, quali quello fra il particolarismo intransigente delle lotte “diffuse” e il ruolo del concetto di “comune” e di temi “universali” quali “Libertà” e “Uguaglianza”, il ripiegamento nel personale e la teoria del potere diffuso rispetto alla questione dell’alienazione, la dis-identificazione (specificatamente quelle queer e post-umana) con la sua ricerca del superamento di sé rispetto alle problematiche dell’umanesimo e del naturale.
Infine la conclusione riprende gli spunti delle parti precedenti, per andare a rileggerli alla luce di una questione lapidaria, quella del concetto di “limite” inteso come dato politico, sociale e ambientale con cui tutti si devono, volenti o nolenti, confrontare.
Il libro di Garcia presenta sicuramente due problematiche principali: la prima è quella di essere incentrato sull’analisi degli autori e delle fonti, motivo per cui molte delle critiche poste potrebbero suonare scontate a chi è più aduso all’agire concreto e agli schiaffi di verità che ciò comporta, mentre la seconda è quella di affrontare di petto tematiche spesso delicate; infatti, se nel senso comune l’onestà di prendere apertamente una posizione è considerata positiva, negli ambiti dell’elaborazione teorica politica, questo porterà molto probabilmente più ad alzate di scudi a priori che a un reale confronto.
In questo senso l’autore, militante convinto della decrescita, pone limpidamente le proprie convinzioni, ribadendo come sappia benissimo che il suo lavoro sia parziale, incompleto e, soprattutto, purtroppo uno dei pochissimi a porre una critica organica dei paradigmi attuali delle sinistre radicali.
D’altra parte, accantonando un momento i passaggi più inficiati da un’eccessiva nettezza (quelli sulla tecnologia e sul pensiero queer), Garcia ha il merito indiscutibile di proporre un retroterra teorico e filosofico finalmente organico e attuale a quelle tendenze anarchiche e libertarie sociali troppo spesso rimaste prigioniere della logica della “testimonianza”, andando a riscoprire autori meno comuni quali Russell, Orwell e Illich, riordinandoli e organicizzandoli al fianco dei teorici più attuali dell’antiautoritarismo come Bookchin e Graeber.
Insomma, per riprendere le invocazioni dell’autore stesso: c’è da sperare che su questa scia siano molti i testi a venir proposti in futuro, e che si intreccino in un confronto dialettico positivo con quelli maggiormente legati alle correnti post-moderne e alle loro propositività.
[1] «Réfraction. Recherches et expressions anarchistes», https://refractions.plusloin.org/spip.php?article909.