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Eneas, ucciso dal carcere (#2)

Eneas, ucciso dal carcere
Di Gianluca

La storia di Eneas non è finita. Dopo la sua tragica morte nel carcere di Villa Fastiggi il 25 settembre 2015, sua madre e sua sorella, i suoi amici e tanti compagni solidali hanno iniziato a promuovere azioni per denunciare le responsabilità del carcere di Pesaro in quanto accaduto. Un presidio si è svolto sotto le mura dell’istituto e un gruppo di solidali ha continuato a farsi sentire con volantinaggi durante gli orari dei colloqui e organizzando un gruppo di persone che vogliono seguire questo caso; un’inchiesta giudiziaria per “istigazione al suicidio” è in corso. Ad inizio dicembre è arrivata la notizia che la direttrice del carcere verrà trasferita. Noi vogliamo ricordare questa dolorosa storia perché anche nella nostra regione il carcere è un meccanismo di oppressione sociale spesso rimosso fino a quando qualche evento tragico non ci riporta alla realtà.

Sotto il carcere di Villa Fastiggi (Pesaro), 22 novembre 2015

Sotto il carcere di Villa Fastiggi (Pesaro), 22 novembre 2015

 

La storia che raccontiamo ha il suo epilogo nel carcere di Villa Fastiggi a Pesaro, ma potrebbe essersi svolta ovunque, in una delle tante prigioni sparse per il paese, ad una delle troppe persone che entrano in carcere, spesso per reati di lieve entità, e finiscono per non uscirne più.

Anas Zanzami, detto Eneas, di ventinove anni, è un uomo marocchino che ha vissuto in Italia dall’età di sei anni. Viene arrestato ad aprile 2015 con l’accusa di false generalità e resistenza a pubblico ufficiale, reato commesso nel 2011 e per il quale subisce una spropositata condanna ad un anno di detenzione. Proprio il giorno in cui viene denunciato, per ironia della sorte, era riuscito faticosamente a ottenere la cittadinanza italiana. In base al nostro ordinamento giuridico il periodo di condanna inflitto ad Eneas non giustifica una detenzione ma andrebbe scontato con misure alternative al carcere. Infatti, dopo cinque mesi di reclusione Eneas potrebbe ottenere, in teoria, gli arresti domiciliari. L’udienza, che non avrà mai luogo, è fissata per il 21 ottobre 2015. Il carcere di Pesaro, è bene chiarirlo, ha visto negli ultimi anni intensificarsi i problemi di sovraffollamento e le tensioni tra sorveglianti e detenuti, compreso il numero dei suicidi e conseguenti proteste, anche dure, come quella del 2013 seguita al suicidio in cella di un uomo di trentatré anni. Altrettanto nota è la direttrice, Armanda Rossi, conosciuta per i suoi metodi autoritari e discrezionali nella gestione dell’attuale struttura e di quella del suo passato incarico, ovvero il carcere di Campobasso.

Per Eneas l’impatto con la vita carceraria sembra essere stato complicato e tortuoso. Un litigio con il concellino, detenuto con cui divide la cella, e il successivo rapporto degli agenti di custodia contro cui fa ricorso al magistrato di sorveglianza, lo escludono dall’accesso al lavoro e dalla possibilità di un’uscita anticipata. Si inaspriscono i rapporti con i sorveglianti e tra provocazioni e intimidazioni il ragazzo non esce all’aria per parecchio tempo. Decide di farlo dopo più di quattro mesi, ma appena esce viene aggredito da altri due detenuti. La pressione comincia a farsi sentire, la situazione si esaspera. Aumentano i controlli e le minacce, la posta gli viene bloccata e consegnata con criteri arbitrari, una pressione psicologica continua: Eneas capisce e non ci sta, decide di difendersi, reagire, chiedere aiuto a chi gli è vicino. Entra in sciopero della fame, perde parecchi chili, incide sulla propria pelle la rabbia per l’ingiustizia che sta subendo. Viene successivamente trasferito al carcere di Ascoli Piceno sotto osservazione, etichettato come problematico e tossicodipendente.

Sotto il carcere di Villa Fastiggi (Pesaro), 22 novembre 2015

Sotto il carcere di Villa Fastiggi (Pesaro), 22 novembre 2015

 

Dopo circa un mese viene ricondotto a Pesaro, anche se lui non ha nessuna voglia di tornare a Villa Fastiggi. Riesce ad incontrare la madre a colloquio ma verrà trovato morto poche ore dopo, impiccato. Le autorità parlano di sucidio addebitandone tempestivamente le cause alla fragilità psico-fisica di Eneas e al suo carattere “problematico”. La storia suscita da subito sospetti e rabbia nella famiglia e tra gli amici del ragazzo. Troppe cose non tornano. Dall’esigenza di una carcerazione per simili reati al trattamento subito in carcere, fino alla pessima scelta del suo ultimo trasferimento a Villa Fastiggi. I suoi amici e compagni si mobilitano, si diffonde la solidarietà, si arriva a volantinare davanti al carcere durante le visite. Il 22 novembre 2015 si svolge infine un numeroso presidio sotto le mura della struttura. I solidali si fanno sentire, i detenuti rispondono dalle finestre con piccoli fuochi improvvisati e grida che raccontano altre ingiustizie subite. Sono i primi passi, di certo non gli ultimi, per ricordare Eneas perseverando nella lotta contro il carcere e ciò che rappresenta: l’annullamento delle persone attraverso l’isolamento dal mondo e dai loro affetti, il controllo totale della vita quotidiana, il mantenimento della disciplina attraverso una degradante logica di premi e punizioni.

Di carcere si muore e benché sia importante capire come, non dovremmo mai dimenticare che un suicidio o un omicidio da parte di qualche sorvegliante troppo zelante o una lunga malattia consumata nell’umido della cella, sono comunque il prodotto di una situazione, quella carceraria, che in quanto tale determina sofferenza, morte e vite mutilate. In fondo in carcere non dovrebbe morire nessuno, in carcere non ci si dovrebbe neanche vivere. La prigione va superata. Questa convinzione è il filo che prolunga questa storia al di fuori del carcere, nella lotta che potrà nascere e nei legami che saprà costruire.

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