Resistenza e attualità eretiche.
Gherardo Segarelli, Fra Dolcino e i Fraticelli marchigiani
Di Cristiano Ceccucci
Quando vedrete i frati procurare le cose temporali, al di là del quotidiano bisogno del loro corpo, e cercare pecunia o denaro per sé o per costruire i loro luoghi e le loro chiese, oppure ricevere da voi testamenti e legati, sotto qualsiasi specie o maniera, sappiate che allora sono ingannati e sedotti, perché i frati minori sono stati mandati da Cristo, per mostrare, più con le opere che con le parole, la somma umiltà e povertà.
Angelo Clareno
Dalla Valsesia…
La storia che mi accingo a riportare (per sommi capi, perché vasta è la vicenda) parla di due eretici, da hairesis, eresia, cioè “scelta”: Gherardino Segarelli e Fra Dolcino. Il primo fu il fondatore, nell’anno 1260, del movimento dei Fratelli Apostolici e fu arso sul rogo il 18 luglio dell’anno del Signore 1300 in quel di Parma, per volere di papa Bonifacio VIII. Il movimento da lui fondato si definì dei Pauperis Christi, dei Poveri in Cristo, rifacendosi alla vita di Gesù e dei primi apostoli che nulla avevano posseduto e, in definitiva, a una chiesa povera, estranea alle ricchezze e alle pastoie del potere. Il secondo, Fra Dolcino, originario probabilmente di Prato Sesia nel novarese, fu il suo successore. Fu “capo” spirituale e militare del movimento durante la guerriglia che coinvolse le masse contadine della Valsesia e che si protrasse dal 1305 al 1307 quando, il 1 giugno, sotto papa Clemente V, anche lui fu arso sul rogo a Vercelli. Stessa sorte toccò alla sua compagna Margherita da Trento che fu arsa a Biella (o a Vercelli) e al suo luogotenente Longino da Bergamo, in quel di Biella.
Tra la seconda metà del XIII secolo e la prima metà del XIV si sviluppa in Italia (anche nelle Marche con le figure di Pietro da Macerata che cambiò nome in Fra Liberato e Pietro da Fossombrone, conosciuto come Angelo del Chiarino o Clareno, fondatori della congregazione dei Poveri eremiti di Celestino) un vasto movimento ereticale che mina alle radici il potere costituito, non solo quello religioso esercitato da una Chiesa e un clero corrotti, ma anche quello sociale e politico espresso dai vari signori e potentati locali. Nel “mare magnum” dello scenario politico, religioso e sociale del loro tempo, gli Apostolici interpretano in maniera pubblica e consapevole i principi di un egualitarismo comunistico e di una rivoluzionaria militanza che sconfessa la legittimità di ogni ordine religioso e politico costituito.
Spiritualismo, misticismo, nomadismo, egualitarismo, libertà sessuale furono i tratti salienti di questo movimento, che si tradussero nella scelta di assoluta povertà e nel rifiuto di qualsiasi gerarchia o compromesso con le autorità religiose e istituzionali. La sua critica radicale verso l’ordine costituito si salderà infine con le rivolte armate delle masse contadine e montanare dell’alta Valsesia, spinte dalla speranza nell’avvento di una nuova giustizia, una nuova Chiesa e una nuova società. L’epilogo sarà cruento. Le rivolte sedate, i Fratelli Apostolici massacrati e dispersi, Fra Dolcino arso al rogo assieme ai suoi compagni.
Che cosa è rimasto, nel secolo appena trascorso e in quello da poco iniziato di questa esperienza radicale? Qual è l’attualità della loro Resistenza? Quale il loro messaggio? È rimasto molto, direi, se si vanno a vedere i richiami e gli accostamenti a questa vicenda nei secoli successivi.
11 agosto 1907: a seicento anni dal rogo del frate eretico (fratris dulcini heresiarche), su esplicita richiesta del movimento operaio socialista del biellese, richiesta fatta propria dal prof. Emanuele Sella, economista con trascorsi nel movimento socialista, viene eretto un obelisco di dodici metri sul monte Massaro alla presenza di oltre 10.000 persone per la maggior parte operai biellesi e della Valsesia. Nel 1927 l’obelisco viene abbattuto a cannonate dai clerico-fascisti. Più tardi, la vicenda degli Apostolici si lega fortemente anche alla storia della Resistenza partigiana che si svolge in quelle zone di montagna. Basta infatti leggere la “Dichiarazione di Chivasso” dei rappresentanti della Resistenza della Val d’Aosta e delle valli valdesi per ritrovare, nella lotta delle società alpine per salvare la propria identità, la stessa ispirazione delle vicende dolciniane. Nel 1974, a seicento anni dall’ultima condanna degli Apostolici (Sinodo di Narbona, 1374), viene inaugurato il cippo a Fra Dolcino sui ruderi dell’obelisco abbattuto. Partecipano all’iniziativa, tra gli altri, Cino Moscatelli, comandante partigiano, Dario Fo e Franca Rame; nasce in quell’occasione il Centro studi dolciniani. Nel 1988, la sinistra indipendente di Novara propone di erigere una statua a Fra Dolcino nella centralissima piazza Martiri al posto di quella a Vittorio Emanuele II. La proposta vuol essere una provocazione e un modo per contribuire a far conoscere le vicende dolciniane. Ma ancora più attuale è la ribellione valsesiana. Essa infatti ci parla della “sensibilità dei montanari non rassegnati ad accettare una montagna colonizzata, ridotta a squallida periferia per le seconde case di chi, nei grossi centri della pianura, detiene il potere politico ed economico; per questo quella rabbia remota dà voce anche alla nostra, alle soglie del terzo millennio” (Tavo Burat).
Quindi qualcosa del sogno utopico di Gherardino Segarelli e Fra Dolcino è rimasto e non va rigettato, tanto meno dimenticato. L’utopia dolciniana (“utopia” = non luogo) non ci parla di un “luogo che non c’è”, ma di un “luogo che non c’è ancora”. Nessuna disillusione deve indurci a rinunciare a credere che “un mondo migliore è possibile” e alla speranza di cambiare le cose e le regole del gioco. E perciò, nel grande marasma della modernità e di questo secolo, c’è chi pensa come unica possibilità dell’agire politico e sociale che occorra rovesciare la logica dei valori dati. Forse per queste persone, per gli illusi e i sognatori, la dispersione e la repressione degli Apostolici, i roghi di Segarelli e di Dolcino, di Margherita e Longino, avvenuti più di settecento anni fa, hanno ancora un significato e molto da dire.
… alle Marche
Come ho accennato, anche nelle Marche tra la metà dei secoli XIII e XIV fioriscono i movimenti ereticali.
Alla morte di Francesco d’Assisi, l’ordine da lui fondato si divide sulla base di due posizioni estremiste, quella dei “conventuali” e quella degli “spirituali”. Il dualismo che le ispirava si incentrava sulla scelta tra povertà e non povertà. I primi volevano, per così dire, una “revisione” della regola dettata da Francesco per renderla meno severa e improntata a una maggiore apertura come, ad esempio, la possibilità di accettare le donazioni e di avere nel convento la propria dimora stabile. I secondi, rifacendosi a Gioacchino da Fiore, vedono in Francesco l’inizio di una nuova era dello Spirito, vivendo in estrema povertà e senza fissa dimora. Da questa crisi del francescanesimo discenderanno in linea diretta gli Apostolici di Gherardo Segarelli prima, e di Fra Dolcino poi.
Nel 1274 papa Gregorio X si era deciso a togliere il voto di povertà a tutti gli ordini mendicanti, con conseguente dispersione della corrente più radicalmente legata a “sorella povertà” e una riorganizzazione conventuale di tutto il movimento francescano all’interno dei centri urbani. La reazione degli “spirituali” fu inevitabile e scoppiò inizialmente proprio nelle Marche. La Regola dettata da Francesco, alla luce del suo testamento, doveva essere osservata alla lettera. Dal rifiuto della povertà sarebbero infatti nate tutte le insidie e la perdizione dell’anima. Questa concezione non poteva essere ben vista dall’ordine costituito, dal momento che minava alla radice tutto l’apparato gerarchico della Chiesa cattolica: papa, curia, vescovi, preti ecc. Iniziarono così le persecuzioni della frangia spirituale da parte dei papi restauratori del potere temporale della Chiesa: Bonifacio VIII (che farà condannare Segarelli al rogo), Clemente V (che condannerà Dolcino, Margherita e Longino) e Giovanni XXII.
La corrente più rigorista dell’ordine dei Frati Minori, i cosiddetti Fraticelli ribelli alle gerarchie ecclesiastiche e ferventi sostenitori della povertà evangelica, si diffonde nelle Marche ruotando attorno alle figure di Pietro da Macerata, che cambiò il suo nome in Fra Liberato, e Pietro da Fossombrone, meglio conosciuto come Angelo del Chiarino o Clareno. Molti sono i seguaci di quest’ordine che possiamo desumere da fonti agiografiche del Trecento: messer Bolognino da Mercatello sul Metauro, Corrado da Offida, Vincenzo da Camerino, Francesco da Mondavio e altri che completano la geografia della regione.
Tralasciando la vita e le opere di Angelo Clareno (per questo si rimanda ai testi citati in bibliografia e al Dizionario biografico degli italiani, v. 3), vorrei concentrarmi sul movimento degli “spirituali”. Un movimento, come afferma il Clareno stesso, costituito da seguaci poveri, con rituali più individuali che collettivi incentrati su libri piccoli e austeri in contrasto ai codici miniati con immagini e fregi sfavillanti. Il loro misticismo era vissuto in chiese povere e disadorne, frequentate dagli incolti villani del contado e da vagabondi.
La radicalità dei fraticelli marchigiani fu però un fenomeno di resistenza passiva, al contrario di quello che abbiamo visto negli Apostolici del periodo dolciniano. La moderazione fu il tratto che maggiormente caratterizzò questo movimento numericamente non troppo rilevante e piuttosto disperso nel territorio della Marca. Interessanti sono i modi con cui vengono dipinti dal potere della chiesa: pauperculos pediculosos (poveri pidocchiosi), eretici e lussuriosi, depravati, dediti a turpi riti, atti a compiere orge notturne; se nasceva qualche bambino era d’uso l’infanticidio, il corpo bruciato e le ceneri mischiate al vino da far bere ai seguaci.
Le Marche ospitarono quindi un movimento che anche se non contò grandi numeri ebbe molta importanza dal punto di vista spirituale e della radicalità delle scelte (uno dei due codici che ci consegnano alcune lettere del Clareno si trova oggi presso la biblioteca Oliveriana di Pesaro). Sulla base di fonti storiche, anche se molte ricerche devono ancora essere condotte, durante il XV secolo diversi luoghi continuarono a essere denominati con riferimento ai Fraticelli come, ad esempio, San Giovanni de’ Bichignani nei pressi di Casteldurante, l’odierna Urbania, che deve il suo nome ai poveri eremiti chiamati appunto Bichignani, cioè vestiti di pelli di becco. Non tutto quindi andò perduto se, nel XVI secolo e proprio nelle Marche, dalla corrente spirituale dei Fraticelli nascerà il movimento dei Frati Cappuccini, fondati dai fratelli Raffaele e Ludovico Tenaglia originari, guarda caso, proprio di Fossombrone, patria di Pietro, ovvero Angelo del Clareno.
Bibliografia
Dario Fo, Mistero buffo, 1969, spezzone dedicato a Fra Dolcino: https://youtu.be/XmB0KyljHLk (registrazione del 1977).
Luciano Canonici, Fra’ Angelo Clareno: un santo o un eretico?, Catanzaro, Ursini, 1996.
Francesco V. Lombardi, Misticismo e utopia nei “fraticelli” marchigiani alla luce degli scritti di Angelo Clareno, estratto da Il mondo delle passioni nell’immaginario utopico: giornate di studio sull’utopia, Macerata, 26-27 maggio 1995, Milano, Giuffrè, 1997, p. 156-173.
Corrado Mornese, Eresia dolciniana e resistenza montanara, Roma, DeriveApprodi, 2002.
Fra Dolcino e gli Apostolici tra eresia, rivolta e roghi, a cura di Corrado Mornese e Gustavo Buratti, Roma, DeriveApprodi, 2004.
Felice Accrocca, Un ribelle tranquillo. Angelo Clareno e gli spirituali francescani fra due e trecento, Assisi, Porziuncola, 2009.
Grado G. Merlo, Eretici ed eresie medievali, 2. ed., Bologna, Il Mulino, 2011.
Tavo Burat (Gustavo Buratti), Fra Dolcino e Margherita. Tra messianesimo egualitario e resistenza montanara, Tabor, 2013.