Trivelle in Adriatico
Intervento di Augusto De Sanctis
Il mare Adriatico, dalla Puglia all’Emilia-Romagna, si trova al centro di una serie di progetti energetici che riguardano in particolare l’installazione di piattaforme per l’estrazione di idrocarburi e le perforazioni per lo stoccaggio in profondità di biossido di carbonio prodotto dalle emissioni industriali, con tutto il corollario di impianti di gestione e di logistica. Anche senza doversi interrogare su cosa farne dell’energia, di quanta e per quale modello di sviluppo ne dovremmo avere bisogno, è evidente che progetti di questo tipo presentano un significativo impatto inquinante sull’ambiente, tanto più in un mare piccolo e chiuso come l’Adriatico, oltre a fattori di rischio non prevedibili. In gioco ci sono grandi profitti per le multinazionali che fanno girare l’economia del petrolio, agevolati dal decreto Sblocca Italia del governo Renzi che individuando in questi progetti delle attività “di interesse strategico nazionale” li impone dall’alto ai territori e alle comunità che vi abitano.
Dopo il corteo abruzzese del 23 maggio 2015 che ha visto sfilare a Lanciano sessantamila persone, anche nelle Marche sono partite le mobilitazioni per cercare di impedire l’ennesima devastazione ambientale. Per informare su quanto sta accadendo di fronte alle nostre coste e organizzare la resistenza si sono svolte assemblee pubbliche molto partecipate e stimolanti in diverse località marchigiane. Riteniamo importante costruire un’opposizione dal basso a questa grande opera, inutile per le nostre vite e dannosa per il territorio, ma allo stesso non dimenticare la pluralità delle lotte per l’ambiente e la salute che, benché su scala minore, necessitano del nostro impegno e della nostra azione.
Non riponiamo fiducia nelle battaglie condotte a suon di ricorsi amministrativi e carte bollate e nessuno riuscirà a convincerci che le istituzioni locali possano essere nostre alleate, così come non ci interessa porci su un piano prettamente tecnico-scientifico per confutare le affermazioni degli specialisti del petrolio e dimostrare la nocività dei loro progetti. Ci ostiniamo però a voler ostacolare con ogni mezzo i disegni di dominio del capitalismo, tanto più nella sua forma industriale, e per questo siamo interessati ad approfondirne la conoscenza. Su questo numero di Malamente pubblichiamo la trascrizione dell’intervento di Augusto De Sanctis, attivista del coordinamento “No Ombrina”, registrato durante l’assemblea del 1° luglio al Parco del campo d’aviazione di Fano.
Buonasera a tutti, questa è già la quarta volta che vengo nelle Marche e sono molto contento del movimento che si sta sviluppando attorno a questi temi. Io vorrei questa sera illustrare, anche da un punto di vista un po’ tecnico, la problematica della deriva petrolifera che i governi da Monti in poi, fino a Renzi, stanno cercando di implementare e imporre sui territori. Vi invito intanto a visitare i nostri siti e le nostre pagine (https://stopombrina.wordpress.com). Per la manifestazione di maggio a Lanciano ci siamo inventati anche un photo contest e ovunque le persone andavano, dall’Argentina a Cuba, dalla Malesia all’Islanda, ci mandavano foto con cartelli con scritto “No ombrina”; addirittura una persona si è portata dietro la bandiera “No ombrina” e si è fatta un percorso in bicicletta, passando peraltro anche da qui, per arrivare fino in Croazia.
In generale, per noi è importante studiare e approfondire, poi però andiamo sempre nelle piazze. Durante la conversione in legge del decreto Sblocca – io lo chiamo Sporca – Italia siamo stati in sit-in davanti a Montecitorio. Io rivendico questo passaggio, credo sia un passaggio fondamentale per i prossimi anni del movimento ambientalista in Italia, perché in quella mobilitazione ci siamo incontrati con diverse centinaia di persone provenienti da tutta Italia per farci sentire non solo rispetto alle trivellazioni ma anche su tanti altri temi, dal momento che il decreto parla non solo di petrolio, ma anche di gasdotti, di stoccaggio gas, di bonifiche, di privatizzazione dell’acqua e chi più ne ha più ne metta.
Lo Sblocca Italia è nato ad agosto dell’anno scorso. Il 3 agosto Renzi aveva detto più o meno così: “farò un decreto che sbloccherà l’Italia, solo che purtroppo non posso farlo subito, l’avrei voluto fare oggi, ma prima devo sentire le persone” e quindi apre alla partecipazione. Allora, io che voglio essere un buon cittadino che partecipa, sono andato sul sito del governo e ho cercato il materiale su cui esprimermi. Sul sito, su questo decreto, c’era solamente una pagina scarsa con elencati dieci punti: “Sblocca porti”, “Sblocca autostrade” e giusto due righe di spiegazione; anzi lo “Sblocca porti” non aveva neanche due righe di spiegazione, c’era scritto “Sblocca porti” e basta. Al che io ho mandato un’email per richiedere il materiale. L’indirizzo a cui mandarlo era, non sto scherzando: rivoluzione@governo.it. Nessuno ha risposto alla mia richiesta e il materiale non me l’hanno mandato. È interessante notare che a quanto pare nessuno della stampa abbia fatto il mio stesso percorso, avrebbero potuto far fare una figura meschina a questo governo.
Perché il decreto Sblocca Italia costituisce un punto focale della politica aggressiva del governo sui territori? Ora non ve lo leggo tutto, ma soffermiamoci sull’articolo 38, “Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali”: “al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”. In questo articolo si dice che qualunque giacimento del paese di idrocarburi, quindi metano e olio, è di interesse strategico nazionale, è di pubblica utilità e anche tutto quello che si trova intorno diventa di pubblica utilità. E quindi si deve fare. Noi abbiamo subito commentato questo passaggio dicendo che è paradossale che il paese del sole, il paese dei beni artistici, delle bellezze paesaggistiche, veda come strategico il petrolio e non i nostri ulivi, le nostre vigne, il nostro paesaggio, che invece vengono tutti dopo lo sviluppo petrolifero.
L’articolo precedente, il 37, dice una cosa che è passata sotto silenzio. Voi nelle Marche avete il parco dei Sibillini e penserete che quello è un posto intoccabile, ebbene in questo decreto c’è scritto che se qualcuno volesse fare un gasdotto enorme, sbancando tutto, verrebbe meno il piano del parco. Automaticamente. Io vengo dall’Abruzzo, nel parco nazionale d’Abruzzo abbiamo la “camosciara” che è famosa in tutto il mondo, protetta da cento anni, ma anche qui, se la Snam decidesse di far passare un gasdotto, ci andrebbero le ruspe e verrebbe meno il piano del parco. Lo dice espressamente l’articolo 37, andatelo a leggere, è una cosa terrificante.
Lo Sblocca Italia pone quindi degli obiettivi molto chiari: privilegio totale delle fonti fossili rispetto a tutto il resto, come se fossimo in un deserto. Su questo noi eravamo già mobilitati. Nel 2008, con migliaia di persone in piazza, abbiamo vinto la battaglia contro il Centro Oli di Ortona che volevano costruire in mezzo alle vigne. Peraltro hanno sbagliato proprio il posto perché a Tollo c’è la più grande cantina sociale abruzzese… e quindi è successo un finimondo! L’abbiamo battuto. Da lì è partita tutta questa lotta che ci ha portato in piazza a Lanciano lo scorso maggio; per sottolineare l’unitarietà, davanti al corteo non c’era nessuna bandiera che non fosse quella “No Ombrina” che ci siamo dati tutti assieme.
Cos’è Ombrina? E perché tutto questo macello in Abruzzo? Davanti alla costa teatina, a sud di Pescara, dovrà arrivare una piattaforma da quattro a sei pozzi, molto vicina alla costa, a sole tre miglia e mezzo, ma la cosa più grave è che questa piattaforma sarà agganciata ad una meganave raffineria lunga 330 metri, tre volte un campo da calcio. Il nome tecnico è FPSO: Floating Production Storage and Offloading. Il nostro petrolio è infatti di scarsa qualità e quindi deve essere desolforato subito, non può essere trasferito a lunga distanza perché la presenza di zolfo andrebbe a rovinare gli oleodotti e le navi per il trasporto. Quindi ci dovrebbero piazzare per venticinque anni un aggeggio del genere davanti alle nostre coste. Quattro mesi fa, a febbraio, una nave simile è scoppiata di fronte alle coste del Brasile, per fortuna stava a duecento chilometri di distanza, ma purtroppo sono morte nove persone se ricordo bene; quattro anni fa di fronte alla Nigeria una FPSO della Shell, quindi di una grossa società, ha perso 40mila tonnellate di petrolio in mare, immaginate cosa vorrebbe dire perderle in Adriatico: mezzo Adriatico verrebbe precluso alle attività umane.
Molto spesso noi ci accorgiamo di questi progetti quando vengono messi a “valutazione di impatto ambientale”. La procedura è pubblica; l’azienda proponente deve fare uno studio di impatto ambientale e mandarlo al Ministero dell’ambiente (perché i progetti, anche in terraferma, adesso sono stati accentrati tutti a Roma, mentre prima se qualcuno voleva fare un pozzo di petrolio doveva mandarlo alla Regione). Sul sito del Ministero dell’ambiente compare quindi l’annuncio e voi avete sessanta giorni di tempo per fare delle osservazioni, poi va tutto a una commissione nazionale, sempre presso il ministero. In questa commissione per l’impatto ambientale le nostre tasse diventano progetti. Qui ogni anno vengono decisi progetti da miliardi di euro di valore, fra cui il TAV, le autostrade, la Quadrilatero qui nella vostra zona.
Si potrebbe pensare che della commissione facciano parte dei grandi nomi. Ebbene, recentemente la stampa nazionale ha evidenziato che alla commissione nazionale ci sono personaggi che come minimo hanno qualche “ombra” sopra, per cui, tra l’altro, sono in corso interrogazioni parlamentari ed esposti a varie procure della Repubblica. Vado a memoria: c’è un personaggio che da dieci anni siede in questa commissione, Vincenzo Ruggiero. Vi invito a fare una prova, cercate il suo nome su internet e troverete la relazione dello scioglimento del consiglio comunale di Gioia Tauro nel 2008 per infiltrazioni mafiose. Il paragrafo su questa persona inizia così: “Ruggiero Vincenzo, commercialista”, un commercialista nella commissione di valutazione impatto ambientale è già un po’ particolare…, “è fortemente sospettato di essere asservito alla cosca dei Piromalli”[1]. Questa persona decide per voi, per noi, se si devono fare questi megaprogetti, compreso Ombrina. Ma non è il solo, su almeno una ventina di questi commissari ci sono ombre da chiarire, soprattutto sul lato del conflitto di interessi.
La questione non riguarda solo l’Abruzzo, o la Basilicata. Questa è la mappa delle concessioni dei titoli minerari in Italia [fig. 3]. Come vedete parte dal Piemonte, dalla zona di Novara, poi scende sulla pianura padana, va in mare davanti alle coste emiliane, riscende sulle Marche dove prende sia la costa che l’entroterra, l’Abruzzo, poi va verso l’interno, la Basilicata, una zona del Salento e il canale di Sicilia: questi sono titoli minerari già concessi.
Veniamo alle Marche. Noi abbiamo realizzato un dossier che si chiama Tutti i numeri degli idrocarburi nelle Marche, può essere scaricato in pdf[2]. Nella figura vedete i titoli già concessi [fig. 4]: nelle Marche circa il 22% del territorio è già stato dato alle compagnie petrolifere in concessione, alcune sono già produttive, nella terraferma ci sono una trentina di pozzi, tutti a gas. Poi ci sono altre due istanze, una delle quali a Monte Porzio, proprio qui vicino a Fano, dove c’è la richiesta da parte di una società di ottenere in concessione 20mila ettari di terreno. Tutte queste mappe potete trovarle su un sito ufficiale che funziona molto bene e vi invito a consultare, cioè il sito dell’Unmig, l’Ufficio minerario dello Stato (http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it). Apro una parentesi: di solito quando si fa un piano regolatore ci si scanna per qualche metro, poi però piazzano sopra i territori concessioni petrolifere con interi paesi dentro; in Molise le tre più grandi città, Isernia, Termoli e Campobasso sono all’interno di concessioni petrolifere, con tutte le case, tutte le persone. Avete visto che le concessioni petrolifere sono tutte dritte, ricordano i confini dell’Africa: si traccia una riga e cosa c’è sopra non interessa.
Poi abbiamo le concessioni a mare, sono moltissime, circa 400mila ettari di mare sono stati già concessi ai petrolieri. Ci sono diverse piattaforme, venticinque pozzi se ricordo bene, alcuni anche ad olio, non solo a metano. Qui c’è un aspetto particolare che vi riguarda direttamente. In realtà tutte queste concessioni ci riguardano, ma questo è molto particolare perché è un caso unico in Italia e credo uno dei pochi del Mediterraneo. Si tratta di Sibilla. Sibilla non è una concessione per cercare e trovare metano o petrolio, ma è una concessione per verificare se ci sono le condizioni per stoccare in profondità l’anidride carbonica responsabile dell’effetto serra, che andrebbe sottratta dai cicli produttivi industriali e, appunto, stoccata a migliaia di metri in profondità sfruttando delle rocce porose che si trovano sotto il mare e che secondo loro avrebbero caratteristiche idonee per ospitarla. Sibilla ha già avuto la valutazione di impatto ambientale positiva nel 2013, però è ora dormiente o almeno non ci sono attività a nostra conoscenza. A mio avviso, siccome ci sono stati grossi finanziamenti dell’Unione europea qualche anno fa, loro hanno intanto preso l’autorizzazione e per ora il progetto è lì fermo, potrebbe non partire mai come potrebbe partire improvvisamente. Come ho detto si tratta di un’attività sperimentale, perciò gli impatti non sono ben noti. In Norvegia, dove hanno fatto una cosa simile, si è verificato un problema di tenuta di queste rocce porose riempite a pressione di gas, l’anidride carbonica tendeva a scappare da dove volevano confinarla.
Che il governo italiano stia puntando proprio sugli idrocarburi lo dice chiaramente questa immagine [fig. 5]; questa è una mappa ufficiale, noi tendenzialmente usiamo sempre dati ufficiali anche se certe volte sottostimano il problema. Quello segnato è un permesso di ricerca di prospezione, non di perforazione, risalente al 3 giugno. La Regione Abruzzo, così come la Regione Puglia, faranno ricorso al TAR, noi abbiamo già emesso un comunicato stampa chiedendo anche a Ceriscioli (Regione Marche) di far ricorso. L’attività di prospezione prevede l’utilizzo della tecnica Air-Gun: una nave fa su e giù lungo tutto quel tratto trascinando un aggeggio, scusate i termini, che ogni qualche secondo rilascia aria a pressione creando come un’esplosione e producendo un’onda sonora ad altissima intensità che viene immessa in mare migliaia di volte. Queste onde arrivano negli strati geologici, si riflettono e permettono di registrare dati per individuare in profondità gli eventuali giacimenti. Immaginate l’impatto che potrebbe avere, soprattutto sui cetacei. Esistono ricerche scientifiche che provano come i cetacei reagiscano molto male a questa forma di inquinamento acustico, ma c’è anche forte preoccupazione per le attività di pesca. La cosa che a noi preoccupa di più è che se vogliono fare questa ricerca su aree così immense (si tratta di un milione e mezzo di ettari in mare) è chiaro che hanno idea di venirci poi a trivellare.
Voi però penserete: se trovano il metano qui, a noi ci arriverà gratis, o quasi. Ebbene, avete visto quante concessioni già ci sono nelle Marche in terraferma, vediamo allora a quanto ammontano le famose royalties date alla Regione Marche negli anni. Il massimo è stato un milione e mezzo di euro nel 2012 a fronte di 183 milioni di metri cubi di metano, estratti l’anno precedente. Il gas si paga sugli 80 centesimi a metro cubo, quindi il valore estratto è di circa di 150 milioni di euro. Vi è convenuto dare ai petrolieri 150 milioni di euro di controvalore a fronte di un milione e mezzo? Cioè l’1%. In pratica noi stiamo regalando i nostri giacimenti alle aziende. Questo perché le royalties in Italia derivano da quando c’era l’ENI, che era pubblico, e quindi era una partita di giro: l’ENI dava soldi allo Stato ma era lei stessa dello Stato. Adesso non è più così in quanto ad agire ora sono spesso aziende private straniere. E poi, in teoria, le royalties in Italia sarebbero dal 7 al 10%, ma nella pratica esiste il regime delle franchigie, in base al quale fino a un tetto di produzione le compagnie non pagano niente. E non è poco: in mare fino a 80 milioni di metri cubi di gas all’anno. Noi veramente lo stiamo regalando. Al di là delle questioni ambientali, noi regaliamo a delle aziende il nostro metano. È una cosa incredibile e ci dovrebbero essere rivolte solo su questo aspetto. L’Italia è un territorio dove le aziende multinazionali del petrolio dicono: andiamo lì perché conviene, ce lo danno gratis!
Un altro punto che pochi immaginano va oltre la questione delle trivelle. Forse ancora più preoccupante è infatti quello che c’è dietro, perché il pozzo da solo non può vivere. Ha bisogno del gasdotto, dell’oleodotto, di posti dove stoccare il materiale. E infatti vogliono fare stoccaggi di gas nel vostro territorio, nelle Marche. E poi ci sono i grandi impianti di rifiuti, solo per perforare un pozzo si fanno 3.500 tonnellate di rifiuti; un pozzo in Basilicata solo di acqua inquinata da trattare tira fuori sessanta autotreni al giorno. Dovete perciò immaginare che se un territorio viene indirizzato verso gli idrocarburi, il problema non è solo il pozzo in sé, ma tutta la logistica che viene costruita attorno.
Faccio un rapido accenno agli stoccaggi perché riguardano due aree del territorio marchigiano, una è San Benedetto del Tronto, l’altro Palazzo Moroni, un po’ più a nord, dove Acea, Gaz de France e altre compagnie vogliono stoccare in profondità il metano estratto dai pozzi. Immaginate come un palloncino che d’estate viene riempito e poi d’inverno, quando c’è la richiesta, il metano viene tirato su e portato coi gasdotti verso il Nord Europa. Quali problemi può comportare? I terremoti. In Italia sulla questione dei terremoti legata agli idrocarburi c’è stata un’omertà micidiale, mentre all’estero, nel mondo della ricerca, gli stessi petrolieri ammettono da decenni che l’estrazione degli idrocarburi può comportare terremoti. L’Italia comunque non poteva far finta di niente per troppo tempo e se prendiamo il decreto di valutazione impatto ambientale dell’anno scorso firmato dal ministro Galletti per lo stoccaggio di San Benedetto troviamo scritto, testuale, che “qualora la micro sismicità riconducibile alle attività di esercizio dello stoccaggio” (ammettono quindi che c’è un legame tra terremoti e un’attività umana), “eguagli o superi la magnitudo locale 3.0” (ma fino a che magnitudo ci possiamo aspettare? 4? 5? L’Aquila era 6), “dovranno essere adottati dal soggetto gestore responsabile tutti gli accorgimenti opportuni atti a riportare la magnitudo massima dei sismi a valori inferiori a 2.0”[3]. Come se ci fosse la manopola con cui il terremoto si regola. Voi, se dovessero fare uno stoccaggio qui sotto, leggendo questa autorizzazione, vi fidereste ad avere una casa qui?
Se cercate in internet “gas storage earthquake” troverete che in Spagna il progetto Castor da un miliardo e mezzo di euro, di fronte a Valencia, lo hanno dovuto spegnere in tutta fretta dopo due mesi perché aveva prodotto oltre duecento terremoti. E adesso gli spagnoli stanno pagando l’azienda con le proprie tasche, con le bollette, perché avevano un contratto dove la parte pubblica si assumeva i rischi. Oppure fate una ricerca su “Groningen earthquakes”: nel più grande campo a metano d’Europa, in Olanda, si è innescata una sequenza sismica dal 2002-2003 in poi. Dopo che per trent’anni hanno tirato su grandi quantità di metano ora si trovano con cento terremoti all’anno, con 150mila case da ristrutturare, trenta miliardi di euro di danni e non si sa che cosa accadrà. C’è una lettera del ministro dell’economia olandese al Parlamento che afferma: abbiamo dovuto ridurre del 20% l’estrazione, ma non sappiamo se si il fenomeno si bloccherà, non sappiamo neanche se si blocca se non estraiamo più niente, non sappiamo quanto sarà forte la prossima scossa, sostanzialmente non sappiamo nulla se non che questo fenomeno si è innescato a causa dell’estrazione di gas.
Tornando all’Italia, uno dei primi progetti partiti dopo lo Sblocca Italia riguarda proprio le Marche ed è la concessione Santa Maria Goretti (le chiamano con nomi davvero imbarazzanti) a Ripatransone. Lì ha sede una delle più importanti aziende marchigiane di vino biologico. Il titolare, Vagnoni, mentre a ottobre noi facevano il sit-in a Roma stava vincendo i tre calici della guida del Gambero rosso. Immaginiamo che era tutto contento, poi, a gennaio, io sul sito del ministero vedo la notizia di questo pozzo e insieme al comitato di San Benedetto del Tronto facciamo un comunicato stampa. A Ripatransone nessuno sapeva niente, il sindaco non aveva detto niente alla sua popolazione. Insomma quella persona da un giorno all’altro si è trovata con il progetto di un pozzo quasi in mezzo alle sue vigne. A cinquecento metri da uno dei centri storici più belli d’Italia dovrebbe nascere una torre di sicurezza di cinquanta metri con la fiammella accesa in alto. Voi pensate questo imprenditore che esporta tantissimo all’estero, che ha fatto una cantina con le opere d’arte in mezzo alle botti, per dire l’eccellenza del nostro paese, e che ci mette il governo Renzi? Un pozzo.
Nel piano di sicurezza ed emergenza che la società Appennine Energy, inglese, ha previsto per Ripatransone, si trova come primo rischio il blowout, cioè le eruzioni in testa pozzo di cui poi vi dirò qualcosa in più, seguito dall’inquinamento a mare (a mare? Ripatransone sta in mezzo alle colline!), esplosione, incendio, evacuazione sanitaria, mezzi aerei, radioattività, mezzi navali (?!) e operatori subacquei (?!), questo tanto per dirvi come il copia-incolla di questi studi è evidente. Viene presa in considerazione anche l’emergenza maggiore, descritta come “situazione di pericolo già in atto che interessa gran parte o in toto il cantiere e rischia di estendersi all’esterno con conseguenze considerate gravi dal punto di vista umano”, e voi già pensate all’esplosione nel cantiere, a Ripatransone in fiamme… “che potrebbero influenzare negativamente l’immagine della società e dell’attività presso l’opinione pubblica”[4]. Cioè, il problema per loro è chiamare un esperto di marketing che sappia vendere il problema alla popolazione!
A un certo punto abbiamo visto che si parla di radioattività. Questo è un altro problema poco conosciuto. Durante le operazioni dei pozzi si possono produrre, a seconda del contesto geologico, materiali radioattivi, per due motivi. Il primo è un aspetto naturale: quando si scava un pozzo a tremila metri di profondità e si iniziano a tirare fuori idrocarburi, per una questione chimica si concentrano radionuclidi. Non è tantissima ma una certa radioattività è presente ed è vero che è naturale, ma prima stava sotto a tremila metri di profondità, una volta fatta affiorare va gestita, con tutta la filiera legata al corretto trattamento di questi materiali. La seconda ragione è invece legata all’attività di ricerca. Nel pozzo, per studiare il giacimento, vengono mandate ogni tanto delle sonde, dei bussolotti con una sorgente radioattiva. Col piccolo particolare che ogni tanto le perdono nei pozzi e le lasciano andare perché recuperarle sarebbe troppo problematico. In Italia non si sa quante se ne sono perse, una sicuramente in Basilicata l’anno scorso in base alle notizie apparse sulla stampa. Un gruppo di ricercatori nigeriani ha pubblicato un report su quante sonde sono state perse nel mondo: solo negli U.S.A. centoquattro in diciannove anni, che non è un numero piccolo. Negli Stati Uniti, nel 2002, si è verificato un incidente nucleare con irraggiamento di una trentina di persone, in pratica si sono dimenticati la sonda aperta vicino al pozzo per due giorni.
Avevo fatto cenno al blowout, l’eruzione in testa pozzo, che è un fenomeno fortunatamente raro consistente in una risalita incontrollata di idrocarburi nel pozzo a fortissima pressione che, esplodendo, forma una vera e propria eruzione. In Italia è successo a Trecate nel 1994. Per Ripatransone e Ombrina ci hanno detto che non può accadere perché metteranno sopra la testa del pozzo il BOP, il blowout preventer. Cioè un sistema di valvole e ganasce che dovrebbe impedire in caso di risalita la fuoriuscita incontrollata dal pozzo. Io che non sono ingegnere ma mi informo molto, come spero che anche voi farete, ho cercato in rete “accident blowout preventer” e ho trovato il sito della Commissione d’inchiesta del governo degli Stati Uniti (http://www.csb.gov), quindi un sito ufficiale, non ambientalista o altro, in cui si parla del più grave incidente mai accaduto nella storia degli idrocarburi, nel 2010 nel Golfo del Messico. Ricordate? Bene, sul sito trovate anche un bel video, il problema è stato proprio il BOP che non ha funzionato e il suo malfunzionamento ha moltiplicato l’impatto. Quindi, quando i petrolieri dicono che è tutto sicuro, non credeteci, non è vero.
Un’altra cosa poco nota l’hanno scoperta due ricercatrici di Princeton. Di solito ci si preoccupa sempre dei nuovi pozzi, ma quelli abbandonati? In Italia sapete quanti pozzi sono stati scavati in terraferma e in gran parte abbandonati, anche nelle campagne marchigiane? 7.220 (circa 200 sono ancora attivi). Che fine hanno fatto? Li hanno tappati, si chiama “chiusura mineraria del pozzo”, cioè un bel tappo di cemento. Queste due ricercatrici hanno trovato che questi pozzi perdono in atmosfera quantità di metano non da poco, si stima che solo in Pennsylvania, che è uno Stato industriale, dal 4 al 7% delle emissioni di metano sia legato ai pozzi abbandonati[5]. Questo in atmosfera, poi però dobbiamo pensare anche alle nostre falde acquifere, noi non ce ne accorgiamo ma sotto abbiamo quantità di acqua molto più grandi dei fiumi che vediamo in superficie. Se noi ci piazziamo sopra un pozzo che succede?
Avete mai sentito parlare di fracking? Si pensava che l’inquinamento negli Stati Uniti dei pozzi di acqua potabile fosse legato al fracking, una tecnica molto aggressiva di stimolazione dei giacimenti attraverso l’iniezione a pressione di fluidi che rompono le rocce e fanno sì che gli idrocarburi scorrano in maggior quantità verso il pozzo. In Italia il fracking è vietato, ma comunque non siamo al sicuro perché una ricerca pubblicata in una rivista scientifica tra le più importanti al mondo, gli atti dell’Accademia di scienze degli Stati Uniti, aggrava il problema. I ricercatori hanno infatti dimostrato che non è tanto il fracking a far andare gli idrocarburi nelle fratture per poi arrivare all’acqua, ma in realtà è molto più semplice e può accadere in qualsiasi pozzo, e cioè i pozzi perdono. La contaminazione dell’acqua avviene attraverso le rotture della camicia di cemento attorno al pozzo[6]. E noi stiamo già perdendo la nostra acqua; le Marche hanno perso un quarto della loro acqua di falda, non solo per gli idrocarburi.
Dobbiamo pensare che questa lotta contro il petrolio non è solo perché non vogliamo il pozzo dietro casa, ma è parte di un problema più generale che riguarda il nostro modello di sviluppo e l’impatto dei cambiamenti climatici. Bastano pochi gradi di aumento della temperatura media causata dalle emissioni in atmosfera derivanti dal consumo di fossili, carbone, petrolio, metano e avremo grossi problemi con l’acqua. Perciò noi dobbiamo combattere assolutamente le emissioni in atmosfera, lo dice anche l’enciclica di papa Francesco. Che, devo dire, la cita pure Renzi e questo mi limita molto, ma evidentemente lui non l’ha capita. Io me la sono letta e dice delle cose quasi millenaristiche, visionarie, sulla gravità di quanto sta accadendo sul nostro pianeta. Io sono ateo ma penso che il papa sia un’autorità morale sicuramente importante. I vescovi abruzzesi sono venuti con noi a manifestare, le diocesi abruzzesi hanno scritto secondo me il più bel documento contro lo Sblocca Italia, sostenendo che è necessaria una “biociviltà” con una “democrazia ad alta intensità”. Qualcosa si sta muovendo nelle coscienze, qualche volta ci viene voglia di rispondere in maniera più energica ma noi siamo nonviolenti, però ci ribelliamo e contestiamo, dobbiamo assolutamente combattere quello che sta accadendo, cercando di formare un movimento con l’idea di bloccare lo Sblocca Italia. Già da stasera e nei prossimi mesi ci daremo da fare per organizzare un movimento “Trivelle Zero – Salviamo l’Adriatico”, in tutta la riviera dal Friuli fino al Salento.
[1] Prefettura di Reggio Calabria, Accesso al comune di Gioia Tauro […] eseguito dal 18 dicembre 2007 al 18 aprile 2008. Relazione, <http://www.genovaweb.org/GIOIA-TAURO-Relazione-Comm-Accesso.pdf>.
[2] Tutti i numeri degli idrocarburi nelle Marche, a cura di Augusto De Sanctis, <http://www.globalproject.info/public/resources/pdf/Tutti_i_numeri_idrocarburi_Marche_2015_10_06_2015.pdf>.
[3] DM-0000166 del 19/06/2014, Stoccaggio gas naturale in strato denominato San Benedetto Stoccaggio, <http://www.va.minambiente.it/File/Documento/108572>.
[4] Appennine Energy Spa, Permesso “Santa Maria Goretti” – Studio di impatto ambientale, <http://www.va.minambiente.it/File/Documento/125264>.
[5] Mary Kang [et al.], Direct measurements of methane emissions from abandoned oil and gas wells in Pennsylvania, Proc Natl Acad Sci USA, 2014; 111(51): 18173-18177. doi:10.1073/pnas.1408315111.
[6] Thomas Darrah [et al.], Noble gases identify the mechanisms of fugitive gas contamination in drinking-water wells overlying the Marcellus and Barnett Shales, Proc Natl Acad Sci USA, 2014; 111(39): 14076-14081. doi: 10.1073/pnas.1322107111.