L’aria è cominciata a diventare pesante
Di Gegè
È noto come quei presupposti sui quali le cooperative sono nate, mutualità, solidarietà e controllo democratico, ormai da tempo siano stati smarriti e soppiantati dalla meschina cultura imprenditoriale che le rende in tutto simili a una qualunque impresa privata. Sempre più spesso i soci lavoratori devono lottare se vogliono strappare anche i più elementari diritti. Uno stimolante dibattito su “Cooperative vere e false: nuova frontiera dello sfruttamento e dei diritti negati” si è svolto in occasione della festa nazionale USI-AIT che quest’anno si è tenuta a Fano dal 4 al 6 settembre 2015, organizzata da compagni e compagne dell’USI Marche e ospitata dallo Spazio sociale autogestito Grizzly. Riportiamo qui la testimonianza diretta, una volta tanto relativa ad una lotta vincente, di un compagno socio lavoratore di una cooperativa sociale del fermano.
“La situazione economica di chi lavora nelle cooperative non si differenzia in alcun modo dai lavoratori impiegati nelle imprese private dove, però, l’operaio può ricorrere alla lotta e allo sciopero per reclamare più salario o rivendicare più diritti per le condizioni di lavoro. Ben altro stato di fatto nelle cooperative, dove gli operai debbono subire la mercede fissata, anche se infima, senza poter reclamare ed ottenere un trattamento migliore poiché la cooperativa non avrebbe la possibilità di soddisfare alle richieste dei propri soci, operai-padroni. Si credeva che la cooperazione avrebbe soppresso lo sfruttamento dell’appaltatore, ma questo riappare sotto altre spoglie. I grossi direttori di cooperative, che intascano le quindici, le venti, le trenta lire giornaliere (un operaio percepisce tre lire, due e cinquanta e non di rado anche una lira e cinquanta al giorno) fra stipendi, indennità, percentuali, diarie, ecc., non guadagnano meno di certi imprenditori contro i quali spesso si sono appuntati gli strali dei lavoratori sfruttati”.
Alibrando Giovannetti, sindacalista USI, 1915
Voglio raccontare l’esperienza portata avanti nella cooperativa sociale in cui lavoro e di cui sono socio, per dimostrare che le lotte si possono anche vincere. La cooperativa, attiva in provincia di Fermo, con circa 250 soci lavoratori gestisce servizi socio educativi e socio sanitari, oltre che formazione e progettazione.
Circa due anni fa a causa della crisi economica e delle speculazioni che nel nome di questa hanno preso vigore, la mia cooperativa ha iniziato a corrispondere le retribuzioni mensili con consistenti ritardi. Svariate sono state le lettere di richiamo e le riunioni con la dirigenza ma il problema era ed è quello di molte realtà: la mancanza di liquidità e i ritardi da parte della committenza nel pagamento delle fatture. Il CDA ha così deciso di affidarsi a un esperto che ha avuto la brillante (e fallimentare) intuizione di progettare un piano di ricapitalizzazione per innalzare il valore del patrimonio della cooperativa, da mettere a garanzia con le banche per l’anticipo di denaro contante con cui pagare gli stipendi. Ovviamente a pagare sono sempre i soliti noti e così molti di noi hanno sottoscritto un finanziamento tra i 1.200 e i 2.000 euro da pagare in “comodissime detrazioni dalla busta”. Peccato che nel piano di rientro avessero previsto di raccogliere 180.000 euro e invece ne hanno incassati solo 60.000: quota che non ha nessun valore ai fini del tentativo di innalzare il patrimonio a garanzia. Il risultato è che i lavoratori non solo hanno continuato a prendere gli stipendi in ritardo, ma tutt’ora si vedono detrarre mensilmente la somma per il pagamento del finanziamento.
L’aria è cominciata a diventare pesante e, per timore di azioni sindacali, l’amministrazione ha ben pensato di inserire all’ordine del giorno dell’assemblea dei soci ordinaria dello scorso ottobre l’approvazione di un regolamento interno (ai sensi dell’articolo 6 della legge 3 aprile 2001 n. 142) dal contenuto a dir poco scandaloso. Il regolamento comprendeva articoli contrari al contratto nazionale, come ad esempio l’ipotesi per cui la corresponsione dello stipendio mensile era “vincolato alla disponibilità economica della cooperativa” e che la stessa avrebbe potuto pagare acconti di stipendio anche con ritardi di tre mesi, stabilendo una graduatoria tra i soci a seconda dei crediti da questi maturati. Ulteriori questioni non secondarie riguardavano l’utilizzo di lavoro gratuito volontario obbligatorio, la gratuità delle ore di formazione e tanto altro.
In sede di assemblea, una volta conosciuto il contenuto di quello che loro descrivevano come una pallosa formalità, io e altri colleghi abbiamo bloccato il voto e abbiamo chiesto di indire un’altra assemblea dei soci in cui noi stessi avremmo presentato una diversa bozza di regolamento e avremmo chiesto di mettere a voto contemporaneamente le due versioni. Intanto faccio pubblicamente presente ai soci i motivi per cui andava fermato il regolamento proposto dal CDA. Il primo è il rifiuto totale per l’ipotesi di una contrattazione di secondo livello in deroga ai più elementari diritti sindacali, che dimostra anche l’irresponsabilità del CDA in quanto un accordo del genere sarebbe di certo stato impugnato generando ciò che loro tentavano di scongiurare (le azioni sindacali); il secondo motivo era rappresentato dalla dinamica dirigenza/lavoratori che è qualcosa che dovrebbe essere distante dal concetto di cooperazione. Accuso quindi il CDA di aver adottato scrupolosamente il metodo Marchionne in un contesto dove discorsi di questo tipo non dovrebbero assolutamente trovare spazio e rilancio pretendendo che la situazione venisse affrontata attraverso l’adozione di dinamiche mutualistiche e di solidarietà tra i lavoratori e non con lo schifo che ci stavano somministrando. Infine, propongo di costituire un fondo di solidarietà che supporti i lavoratori in difficoltà e che possa essere usato anche come anticipo stipendi.
Lavoriamo per altri due mesi circa e ci presentiamo alla partecipatissima assemblea straordinaria con un nuovo regolamento in cui non solo vengono cassate tutte le offese ai lavoratori, ma vengono messi al centro gli aspetti peculiari del cooperativismo e dell’azione diretta e partecipativa che esso dovrebbe rappresentare, aggiungendo a integrazione dell’articolo sulla crisi aziendale la prescrizione per cui entro due mesi i lavoratori avrebbero costituito un fondo di solidarietà in cui sarebbero stati convogliati i soldi della mancata ricapitalizzazione fermi ad ammuffire in un conto di Banca Etica.
L’assemblea è stata qualcosa di esaltante: articolo dopo articolo i soci votavano contro la bozza dei padroni, fino all’approvazione totale del nostro regolamento. Il fondo di solidarietà ha quindi un regolamento e, soprattutto, ha come base i 60.000 euro amaramente ceduti dai nostri padroni. Ora toccherà ai soci iscriversi al fondo e donare ore lavoro, ferie, permessi ai lavoratori in difficoltà. Nello specifico, il fondo è costituito da tre diverse misure: il fondo per l’anticipo sugli stipendi in caso di ritardo e per altre necessità; la banca ore lavoro per i lavoratori a cui è stato ridotto l’orario o come cuscinetto in caso di attivazione della cassa integrazione e la banca ferie e permessi donati dai lavoratori ad altri lavoratori che ne abbiano bisogno; il fondo per l’acquisto di libri di testo e cancelleria per i figli dei soci in difficoltà.
Il percorso che abbiamo intrapreso come soci lavoratori è incentrato sul tema del cooperativismo originario e sulla funzione centrale che ha l’assemblea nella scelta delle strategie e delle visioni future: questa secondo me è l’unica strada possibile per resistere alla crisi prendendosi la responsabilità di un bene collettivo. Alla crisi, infatti, si resiste con una propensione al mutuo aiuto e non con tagli e licenziamenti. Un vero cooperativismo dev’essere all’insegna della solidarietà attiva e questo è quello che cerchiamo di fare con l’istituzione di fondi di solidarietà e bloccando in assemblea qualunque deroga sui contratti. Confrontandomi con altri compagni che già avevano affrontato situazioni identiche in giro per l’Italia e che hanno visto realizzato ciò che noi con fatica abbiamo respinto, ho sentito il bisogno di sintetizzare la nostra esperienza positiva, sperando che possa servire ad altri per non arretrare di un passo su ciò che faticosamente in anni e anni di lotte abbiamo conquistato e per rilanciare l’azione diretta all’interno dei nostri posti di lavoro.