Riceviamo e pubblichiamo
La riproposizione senza termine di decreti normativi repressivi, ubiquitari a livello globale e motivati da “superiori interessi di salute pubblica” domina la sfera personale e l’agire politico degli esseri umani di questa particolare epoca: diventa perciò chiaro che l’unica via di fuga dalle passioni tristi, l’unica strada che gli individui e le collettività possono percorrere per affermare e riscattare la propria esistenza è quella della rivolta.
Necessità del singolo che immediatamente si trasforma in dispositivo politico di tante e tanti; da bisogno fisiologico dell’individuo la rivolta coinvolge e travolge settori eterogenei della popolazione fino a diventare “proprietà” comune.
Nell’universo pandemico ancora di più il potere cela la propria identità nella sua dimensione oscura, manifestando solamente il volto bieco del controllo fisico e della sorveglianza immateriale; immancabilmente l’essere vivente mette in atto dei meccanismi di difesa che cercano di sottrarlo a questa egemonia pervasiva. Non recependo le coordinate spazio-temporali che lo opprimono e quindi non riuscendo a dispiegare una conseguente reazione di attacco frontale al nemico, l’individuo attiva dei dispositivi che tacitano la frustrazione, la solitudine ed il senso d’impotenza e spingono il soggetto a quell’agire particolare, a quel bisogno di aggregazione che si esprime nell’insubordinazione alle regole, norme, divieti ed impianti giuridici dell’ordine costituito.
Il labile nesso tra vita e politica è ormai consumato: la rivolta è innanzitutto risposta esistenziale all’astrazione di una politica ridotta a procedura burocratica di adattamento al corso degli eventi, che persegue un mero calcolo consensuale esclusivamente per fini propri. Per le strade e nelle piazze, reali e virtuali, dove esplodono il malessere, le inquietudini e l’angoscia, le dimostrazioni non si limitano ad essere semplice manifestazione degli effetti nefasti che il potere produce sul corpo e sulla psiche, ma si spingono, oltrepassando la semplice rivendicazione vertenziale, a diventare un modo per affermare l’esistenza e reclamare dignità.
Il soggetto che prova l’inebriante sensazione di diventare protagonista del proprio destino e di essere finalmente in presenza della storia, agendo in una dimensione collettiva, apre un varco, una fenditura nella cappa irrespirabile del capitalismo. La rivolta è vissuta come un oltre, un presente intensificato in cui si apre l’orizzonte del futuro. Vertigine d’intensità la rivolta è risveglio nervoso, vibrazione emotiva, esposizione al limite, estensione che rompe la monotonia e la grigia continuità… è quindi sensazione di una vita piena.
Sbarazzandosi di sè stesso, dissimulando il singolo nel molteplice, l’individuo nella rivolta non vuole manifestarsi ma si unisce agli altri per costituire uno stesso corpo opaco capace al contempo di esprimersi in maniera chiara e decisa.
Solo la tensione politica che muove dai bordi dell’individualità, che infrange le barriere dell’isolamento, esprime il potenziale conflittuale: dove esplodono le sommosse, dove sorgono le lotte, dove si mette in comune il torto si esprime la rivolta, quell’interruzione ribelle che, rinnegando la logica del governo, risponde all’appello dell’uguaglianza e si riproduce in un movimento incessante ritmato dall’essere-insieme della comunità.
Si deve infine sottolineare che la rivolta necessita di una politica della rabbia: ciò implica una composizione nello spazio-tempo della collera dei singoli che detoni trattenendone la tensione comune, se non per scompaginare la storia, almeno per incidere a chiare lettere la proposta di un domani richiesto e desiderato.
… la rivolta è il respiro, il soffio salubre della vita liberata.
sembra che manchi ” l’inebriante sensazione di diventare protagonista del proprio destino e di essere finalmente in presenza della storia, agendo in una dimensione collettiva, aprendo un varco, una fenditura nella cappa irrespirabile del capitalismo. ” Manca la coscienza, una visione lucida, manca volontà