Di Luigi [QUI IL PDF]
Sorella povertà
Alla morte di Francesco (1226), la scelta tra povertà o non povertà divide l’ordine da lui fondato in due correnti: gli Spirituali, fedeli allo spirito della Regola e al suo Testamento, praticanti la povertà assoluta, e i Conventuali, più propensi ad accomodarsi con il mondo, ovvero ad accettare donazioni, godere di rendite e fissare in conventi la propria stabile dimora.
Per la Chiesa in quanto istituzione e sistema di potere, la concezione della povertà volontaria è qualcosa di destabilizzante ed è infatti una delle principali leve con cui viene attaccato il suo dominio nel basso medioevo. In fondo la povertà non sarebbe che un mezzo per raggiungere la perfezione e quindi l’eterna salvezza dell’anima, ma affermarla e praticarla finiva con il mettere in discussione l’intero apparato di potere ecclesiastico che non avrebbe potuto reggersi con i forzieri vuoti. Quindi, se da una parte non sembra opportuno rinnegare in toto la povertà come valore cristiano, dall’altro la Chiesa è ben attenta a contenerla entro precisi limiti, circoscritti dalla catena dell’obbedienza che legava gli Ordini mendicanti alla casa madre di Roma.
Le Marche sono una delle aree di maggior radicamento della corrente spirituale-pauperistica, che si raccoglie attorno a Pietro da Macerata detto Fra Liberato e Pietro da Fossombrone detto Angelo Clareno. Insieme a loro, le fonti registrano altri predicatori marchigiani di sorella povertà, come Corrado da Offida, Tommaso e Trasmondo da Tolentino, Francesco da Falerone, Giovanni da Bolognola, Vincenzo da Camerino, Francesco da Mondavio, Bonaventura da Cagli. Ulteriori zone di influenza spirituale sono la Toscana con Ubertino da Casale e la Francia meridionale con Pietro di Giovanni Olivi; quest’ultimo aveva indossato l’abito francescano intorno al 1260 a Béziers, cittadina dove ancora aleggiava il ricordo del genocidio di uomini, donne e bambini perpetrato appena qualche decennio prima, per estirpare l’eresia catara, dal rappresentante pontificio Arnaud Amaury al grido: «Uccideteli tutti! Dio saprà riconoscere i suoi»[1].
Con il Concilio di Lione del 1274 papa Gregorio X, oltre a invocare una nuova crociata per la liberazione della Terra santa, colpisce duramente gli ordini mendicanti togliendo loro il voto di povertà e proibendo il formarne di nuovi. Gli Spirituali sono chiamati a rientrare nei ranghi dell’ordine francescano egemonizzato dall’altra e più potente fazione. Ma non tutti sono disposti ad accettare di buon grado quella che ritengono un’indebita imposizione. Può il Papa contestare la Regola della povertà, ispirata divinamente a Francesco?
Il rifiuto parte proprio dalle Marche, scatenando l’inizio della persecuzione nei confronti dei frati dissidenti. Tra loro Angelo Clareno, nato con il nome di Pietro intorno al 1255 a Chiarino, tra Loreto e Recanati, ed entrato a quindici anni nei francescani di Fossombrone (o, forse, di Cingoli). Insieme ad altri viene segregato in convento, privato di confessione e sacramenti, inibito a colloqui con soggetti esterni, fino a quando oltre dieci anni dopo, nel 1289, il nuovo ministro generale dell’ordine Raimondo Gaufridi lo spedisce missionario in Armenia, insieme a Pietro da Macerata e qualche altro confratello ritenuto d’intralcio nella penisola.
Le «tribolazioni» francescane
Nel 1294 l’elezione a pontefice di Celestino V, l’ex eremita Pietro da Morrone, sembra ribaltare le carte in tavola. I più ferventi fautori della povertà evangelica ottengono infatti l’autorizzazione a staccarsi dall’ordine sempre ben presidiato dai gaudenti Conventuali, formando un’apposita congregazione di Pauperes eremite domini Celestini. Clareno, intravedendo finalmente un auspicato futuro di povertà e ascesi, fa rientro in Italia. Ma, come si sa, Celestino V è il papa del gran rifiuto; dopo neanche un anno di pontificato, messo sotto pressione dai maneggi di potere, capisce che guidare la Santa sede non è cosa per lui e si dimette. Chiusa parentesi. La prima decisione del nuovo papa Bonifacio VIII (1294-1303) è annullare tutte le concessioni e i privilegi concessi dal suo predecessore: per gli Spirituali rincomincia a tirare una brutta aria. Gli altri, i Conventuali, covano vendetta contro quei miserabili frati che vorrebbero ridurre la comunità a campare senza conventi, senza soldi, dispersa fuori dalle città: ai loro occhi sono tutti quanti “dolciniani”, cioè eretici della peggior specie, senza sfumature né eccezioni, da liquidare con ogni mezzo necessario.
Fra Liberato e Angelo Clareno emigrano di nuovo in cerca di un po’ di pace, questa volta in Grecia, ma anche lì li raggiunge la condanna del nuovo papa che li bolla come ribelli a ogni religione approvata e, lo si può immaginare, in quell’epoca ricevere una tale condanna, tanto più per un frate, erano dolori assicurati. Fra Liberato si fa coraggio e decide di tornare in patria per incontrare Bonifacio VIII e provare a farlo ragionare: l’Inquisizione non aspettava altro e solo per un soffio il frate riesce a sottrarsi alle grinfie del segugio domenicano Tomaso d’Aversa, per chiudersi fino alla fine dei suoi giorni nell’eremo di S. Angelo della Vena. Clareno capisce che è il caso di restare ancora un po’ in Grecia e solo dopo la morte di Bonifacio VIII rimette piede in Italia. Trascorre quindi alcuni anni ad Avignone dove, sotto l’ala protettrice del cardinale Giacomo Colonna, spera vanamente di ottenere qualcosa da papa Clemente V (1305-1314) o, almeno, di scongiurare un doloroso strappo tra i poveri eremiti e madre Chiesa.
Niente da fare, anzi la situazione peggiora ancora con papa Giovanni XXII (1316-1334), acerrimo nemico degli Spirituali che, da parte loro, nella reciproca accusa di eresia, lo considerano nientemeno che il precursore dell’Anticristo: «perversus, maleficus, blasphemus, maledictus, a Deo maledictus»[2]. Con la bolla Sancta Romana Ecclesia (1317), dalla cattività avignonese il papa prende di mira proprio i Francescani insubordinati, ricordando loro che l’obbedienza al successore di Pietro è una virtù superiore alla povertà e, per ben imprimerlo nelle loro teste, nel 1318 a Marsiglia fa bruciare sul rogo quattro Spirituali irriducibili. La condanna papale è aggravata nel 1323 con la bolla Cum inter nunnullos che intende chiudere la questione dichiarando una volta per tutte eretica la tesi della povertà di Cristo e degli apostoli. In sostanza, i frati potevano essere poveri quanto volevano, ma non era loro concesso di mettere in discussione la gerarchia ecclesiastica e l’autorità del pontefice. Complessivamente, nell’arco di un secolo e mezzo, si contano almeno una cinquantina di bolle pontificie inerenti la repressione dei Francescani dissidenti[3].
Clareno, scomunicato, si autodifende con passione e convinzione con una Epistola excusatoria e inizia a peregrinare tra vari monasteri raccogliendo attorno a sé i cocci del francescanesismo spirituale. Con chi è ancora disposto a seguirlo nonostante minacce, ritorsioni e repressione fonda il gruppo dei fratres de paupere vita, i Fratelli della vita povera, o Fraticelli, organizzati come ordine francescano indipendente che ormai non riconosceva più l’autorità della meretrix magna, ovvero di quella Chiesa romana traditrice del Vangelo di Cristo.
Per confortare compagni e discepoli condannati dalla Chiesa e braccati dall’Inquisizione, mostrando loro le ragioni provvidenziali di tanto soffrire, Clareno scrive un Liber chronicarum contenente la storia delle «sette tribolazioni» subite dal piccolo nucleo di francescani di cui egli stesso è parte ad opera di chi ha abbandonato la via spirituale per quella materiale. Le tribolazioni erano state all’origine profetizzate da Cristo a Francesco, in questi termini:
«si daranno ad accumulare denaro, testamenti e legati; di conseguenza senza alcun pudore si abbandoneranno a litigi, allontanandosi dall’amore alla santa povertà, umiltà e orazione, e perseguiteranno con astio e maltrattamento quelli che nella Religione gli si opporranno. […] Crederanno cosa sacroscanta confonderli e opprimerli con frode; e riterranno giusto suscitare contro di loro una guerra. […] Correranno dietro la dignità ecclesiale e gareggeranno tra loro per apparire superiori agli altri. Chi cercherà di essere umile e zelare la pura osservanza della promessa, procurando di elevarsi alle cose celesti, sarà disprezzato come pazzo e schernito come inutile e buono a nulla. Quindi ogni cattivo soggetto riverserà il puzzo della sua condotta contro i frati e cercherà di scusare e sminuire le proprie scelleratezze»[4].
Nonostante la guida di Clareno, che comunque non ebbe successori della sua tempra, i dissidenti restano frammentati in mille rivoli diversi, come testimoniano i tanti nomi non esattamente sovrapponibili l’uno all’altro: Fraticelli, Fraticelli de paupere vita, pauperes Fraticelli, Fraticelli de opinione, pauperes Fratres, humiles Christi pauperes e altri[5]. Va anche detto che il termine Fraticelli non ricorre quasi mai negli scritti dello stesso Clareno e quando compare è sempre sulla bocca degli avversari, che raccolgono sotto tale nome un po’ tutto quel mondo francescano ai confini tra ortodossia ed eresia[6].
Un’eresia moderata
Comincia quindi a prendere forma una rete di contatti tra eremi e monasteri dell’Italia centrale, con al centro il monastero del Sacro Speco di Subiaco, dove Clareno si era trasferito. I Fraticelli conducono un’esistenza da eremiti, privi di ogni bene materiale, vivono in luoghi appartati o ospitati in piccoli conventi, predicano agli incolti villani e ai vagabondi, mendicano di che mangiare, aiutati per quanto possibile dalla popolazione locale. Applicando alla lettera la Regola francescana, potevano possedere solo una o al massimo due tuniche di vile panno, senza mai sostituirle per tutta la vita: probabilmente non è solo figurata la definizione di pauperculos pediculosos (poveretti pidocchiosi) con cui venivano spesso chiamati.
A detta dei loro avversari, aderivano ai Fraticelli e ai loro amici laici, detti Bizzocchi o Beghini, «quanti erano di costumi guasti e corrotti, ed inoltre contadini stanchi di faticare ed artigiani scioperati»[7]. Gente poco raccomandabile, insomma, la cui condotta era un campionario di «errori» e «nefandezze» che turbavano la vita religiosa, sociale e politica[8]. Peggio ancora se si trattava di donne seguaci della «turba mendicante», che «col pretesto di chiedere l’elemosina vagano per ville e castelli», cosa ritenuta quanto mai sconveniente. Infine, per qualche storico cattolico di tempi a noi più vicini, l’eresia dei Fraticelli era malvagità assoluta, ovvero comunismo bello e buono:
«adunque i Fraticelli d’opinione furono i seguaci degli eretici Apostolici, dei Manichei, poi degli Albigesi e per conseguenza ancora i padri e gli antesignani del comunismo, del radicalismo e socialismo presente, propugnato da Proudhon, da Owen, da Hegel, da Fourier. Questi dissero: la proprietà è un furto; e i Fraticelli: i beni sono comuni. Ecco il comunismo. Il peggior male del mondo sono i governi; ogni potestà di principe è un avanzo di superstizione pagana. Ecco il radicalismo. La donna è libera, gridava Sansimon [Saint-Simon]; la donna è una preda comune, gridarono questi eretici. Ecco il socialismo misto e sensuale»[9].
La dottrina dei Fraticelli era molto affine a quella dei temutissimi Apostolici di Gherardo Segarelli e dei Dolciniani di Fra Dolcino e Margherita da Trento. La base comune partiva dall’influenza della filosofia della storia di Gioacchino da Fiore interpretata come susseguirsi di epoche: all’era del Padre e a quella del Figlio sarebbe seguita quella dello Spirito Santo, caratterizzata da pace, amore e solidarietà, in cui la nuova Ecclesia spiritualis, ecumenica e tollerante, avrebbe soppiantato la vecchia gerarchia ecclesiastica romana. Tuttavia, mentre i Fraticelli si ritengono legittimi discendenti dell’ordine fondato da San Francesco, gli Apostolici considerano i Francescani un ordine tra gli altri e non si ritengono soggetti alla Regola. Soprattutto, quello dei Fraticelli è un movimento moderato che cerca di rimanere prudentemente all’interno dell’ortodossia cattolica, seguendo la via del ritiro dal mondo in eremi solitari, la via della resistenza passiva[10]. Un movimento fatto di «santi e ribelli insieme»[11]. Tutt’altro radicalismo è dimostrato invece dagli Apostolici, che sulle montagne della Valsesia, agli inizi del Trecento, resistono in armi alla crociata dell’Inquisizione, unendo la loro lotta alla guerriglia delle popolazioni montanare minacciate dalla prepotenza dei vescovi e ferme custodi dell’autonomia della civiltà alpina. A loro, però, andò decisamente peggio rispetto ai marchigiani che tutto sommato, a parte qualche rogo qua e là, se la cavarono chinando il capo. Gli Apostolici vennero massacrati sulla cima del loro ultimo baluardo, il monte Rubello; le loro guide, Dolcino, Margherita e Longino furono catturate, torturate e bruciate[12].
La vocazione di Clareno al misticismo eremitico lo tiene lontano dallo scontro in campo aperto e perfino contro il malefico Giovanni XXII, che l’avrebbe assai volentieri abbrustolito in piazza, scrive ai suoi seguaci di non ribellarsi, «ma piuttosto di fuggire dal suo cospetto serbando fede, nel silenzio di eremi lontani, all’ideale da lui calpestato»[13]. Non per questo viene lasciato in pace. Nel 1334 l’inquisitore Simone da Spoleto tenta di catturarlo, vivo o morto, ma l’abate di Subiaco colpito dalla rettitudine e dalla levatura morale del suo ospite non lo consegna; Clareno può così fuggire nel Regno di Napoli fino ad approdare nel convento di S. Maria dell’Aspro, in Basilicata, dove sempre aspettando l’Apocalisse prossima ventura, muore nel 1337.
In quello stesso anno 1337 il Fraticello Francesco da Pistoia viene consegnato al braccio secolare e fatto salire sul rogo a Venezia. Altri due compagni sono bruciati a Montpellier nel 1354. Nel 1389 è la volta di Michele Berti da Calci, nella piazza di Firenze[14]. E ancora roghi a Firenze e Fabriano nel 1449-1450. Certo, non tutti si lasciano martirizzare; i processi danno conto di abiure e ritrattazioni, più o meno sincere, con conseguenti condanne al carcere, confische dei beni, espulsioni, penitenze, scomuniche. Sotto processo vanno anche i protettori dei Fraticelli, come accade nel 1336 ai vescovi e alle autorità di Camerino e Fermo e agli ufficiali del comune di Matelica accusati di averli accolti, mentre due anni dopo è la volta della città di San Ginesio[15].
Gli ultimi fuochi
A partire dal pontificato di Bonifacio IX (1389-1404) la dissidenza eremitica francescana inizia progressivamente a rientrare nel seno della Chiesa, in un percorso lungo e irto di ostacoli. Nel frattempo, per non sbagliare, prosegue la persecuzione degli insubordinati. A combattere una volta per tutte l’eresia dei Fraticelli marchigiani viene chiamato nel 1425 Giacomo della Marca, poi fatto santo. Si racconta che mentre i frati bruciavano nella piazza di Fabriano, Giacomo ebbe la prova definitiva che si trattasse realmente di eretici: al suo naso giungeva infatti il puzzo di carni arrostite, mentre se fossero stati santi le loro carni sul fuoco avrebbero senza dubbio emanato buon profumo d’arrosto[16].
Negli anni immediatamente successivi le Marche continuano a essere territorio d’elezione dei poveri eremiti. Nel 1427 la popolazione di San Severino insorge contro il commissario pontificio, Astorgio Agnesi vescovo di Ancona, odiato sia per i suoi modi di governo sia in quanto noto inquisitore dei miti Fraticelli, che si vede costretto a far accorrere in tutta fretta in città le truppe pontificie per soffocare la sommossa. San Severino, scomunicata dal papa Martino V, sarà assolta e riappacificata solo nel 1428. In quello stesso anno, a poca distanza da lì, «ad terrorem et exemplum perpetuum» viene atterrato il castello di Maiolati, nella Vallesina roccaforte dell’eresia. Gli abitanti dispersi trovano scampo nei paesi vicini e solo dopo due anni ottengono la grazia di rientrare, ma con il divieto di ricostruire le mura del paese. Nel frattempo la fine di qualcuno non è ben documentata ma la si intuisce da una coeva nota di spesa degli inquisitori: «oleo et lignis pro comburendo hereticos»[17].
L’ultimo processo inquisitoriale di cui si ha notizia si svolge a Roma nel 1466 contro alcuni Fraticelli laziali e di Maiolati, guidati da un certo Fra Niccolò di Cupramontana, sorpresi e catturati durante un pellegrinaggio verso Assisi. Proprio Maiolati, Cupramontana e territori limitrofi sono una delle ultime oasi dell’eresia. Stando alle poco affidabili confessioni del processo, estorte come da prassi con le peggiori torture, i fratres di Maiolati sarebbero stati soliti abbandonarsi nottetempo a orge dionisiache,
«e peggio ancora non avrebbero dubitato di dare la morte appena nato al frutto dei loro mostruosi congiungimenti, passandoselo di mano in mano in una ridda bacchica intorno a un fuoco infernale. Né infine avrebbero rifuggito dal ridurre in polvere quelle ossa innocenti per immergerle nel vino, che conservato in un barilotto sorbivano poi di volta in volta ad imitazione del mistero eucaristico»[18].
Da questa storia, di cui si trovano fantasiose varianti distribuite nei paesi della Vallesina, trae origine l’ingiuria popolare un tempo tipica di queste zone: «sei nato nel barilotto».
Le ultime battute della storia dei Fraticelli, che nel corso del XV secolo avevano fondato la cosiddetta Congregazione dei Clareni, si intrecciano alla storia degli Osservanti, altra corrente francescana che apprezzava la povertà ma con molto meno radicalismo rispetto ai precedenti Spirituali. Figure come Giovanni da Capestrano o Giacomo dalla Marca, dopo essere stati accaniti persecutori dei Fraticelli, recuperano dal movimento l’ideale di semplicità evangelica e, come Osservanti, dimostrano che il saio sbrindellato si può indossare anche all’interno di madre Chiesa. Il loro esempio, unito alla mutata situazione culturale ed ecclesiale, toglie terreno sotto ai piedi dei Fraticelli dando loro quel colpo di grazia che l’Inquisizione non era riuscita a infliggere. Gli eremi di montagna vengono abbandonati in un lento processo che si conclude solo intorno a metà XVI secolo, quando anche gli ultimi sedici insediamenti marchigiani vengono svuotati e i loro occupanti trasferiti nei conventi in prossimità o dentro i centri urbani.
Bibliografia
Luigi Fumi, Eretici e ribelli nell’Umbria: studio storico d’un decennio (1320-1330), Todi, Atanor, [1916].
Ciro da Pesaro, Il Clareno (studio polemico), Macerata, 1921.
Lorenzo Berardini, Frate Angelo da Chiarino alla luce della storia, Osimo, Pax et bonum, 1964.
“Picenum Seraphicum”, 1974, n. 11: Spirituali e fraticelli nell’Italia centro-orientale.
S. Iacobus de Marchia, Dialogus contra fraticellos: addita versione Itala saeculi 15°, recensuit Dionysius Lasic, Falconara Marittima, Biblioteca francescana, 1975.
Angeli Clareni Opera, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, v. 1: Epistole, a cura di Lydia von Auw, 1980; v. 2: Historia septem tribulationum Ordinis Minorum, edizione critica a cura di Orietta Rossini, introduzione e commento di Hanno Helbling, 1999.
Gian Luca Potestà, Angelo Clareno: dai Poveri Eremiti ai Fraticelli, Roma, Istituto storico italiano per il Medioevo, 1990.
I Fraticelli: santi o eretici? Atti del convegno, Cupra Montana, 3 ottobre 1997, a cura di Riccardo Ceccarelli, Cupra Montana, [s.n.], 1998.
Società internazionale di studi francescani, Centro interuniversitario di studi francescani, Angelo Clareno francescano. Atti del 34° convegno internazionale, Assisi, 5-7 ottobre 2006, Spoleto, Fondazione Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 2007.
Felice Accrocca, Un ribelle tranquillo. Angelo Clareno e gli Spirituali francescani tra Due e Trecento, Assisi, Porziuncola, 2009.
Angelo Clareno, Libro delle cronache o delle tribolazioni dell’ordine dei Frati Minori, in Fonti Francescane, 3. ed., Padova, Editrici francescane, 2011, p. 1381-1440.
Arnaldo Sancricca, I “Fratres” di Angelo Clareno: da poveri
eremiti di papa Celestino a Frati Minori della Provincia di S. Girolamo de Urbe
attraverso la genesi del Terz’ordine regolare di S. Francesco in Italia,
Macerata, Simple, 2015.
[1] Secondo la storiografia più recente questa notissima frase non sarebbe autentica, certamente reale è invece il massacro di Béziers; cfr. Marco Meschini, L’eretica. Storia della crociata contro gli Albigesi, Roma, Bari, Laterza, 2010.
[2] Da una lettera di alcuni Fraticelli al comune di Narni, cit. in Mariano D’Alatri, Fraticellismo e Inquisizione nell’Italia centrale, “Picenum Seraphicum”, a. 11, 1974, p. 306.
[3] Cfr. ivi, p. 298.
[4] Angelo Clareno, Libro delle cronache o delle tribolazioni dell’ordine dei Frati Minori, in Fonti Francescane, 3. ed., Padova, Editrici francescane, 2011, p. 1397-1398.
[5] Cfr. Clemente Schmitt, Introduzione allo studio degli Spirituali e dei Fraticelli, “Picenum Seraphicum”, a. 11, 1974, p. 18.
[6] Cfr. Roberto Lambertini, “Non so che fraticelli…”: identità e tensioni minoritiche nella Marchia di Angelo Clareno, in Società internazionale di studi francescani, Centro interuniversitario di studi francescani, Angelo Clareno francescano. Atti del 34° Convegno internazionale, Assisi, 5-7 ottobre 2006, Spoleto, Fondazione Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 2007, p. 232.
[7] Giacinto Nicolai, Vita storica di San Giacomo della Marca dei minori protettore della città e diocesi di Napoli, Bologna, Mareggiani, 1876, p. 95
[8] Cfr. Mario Natalucci, Lotte di parte e manifestazioni ereticali nella Marca agli inizi del secolo XIV, “Studia Picena”, a. 24, 1956, p. 141.
[9] G. Nicolai, Vita storica di San Giacomo della Marca dei minori protettore della città e diocesi di Napoli, cit., p. 90.
[10] Cfr. Francesco Lombardi, Misticismo e utopia nei Fraticelli marchigiani, in Il mondo delle passioni nell’immaginario utopico. Giornate di studio sull’utopia, Macerata, 26-27 maggio 1995, a cura di Bruna Consarelli e Nicola Di Penta, Milano, Giuffrè, 1997, p. 155-173.
[11] Felice Tocco, I Fraticelli, “Archivio storico italiano”, a. 35, n. 238, 1905, p. 331.
[12] Cfr.: Corrado Mornese, Eresia dolciniana e resistenza montanara, Roma, DeriveApprodi, 2002; Tavo Burat, Fra Dolcino e Margherita: tra messianesimo egualitario e resistenza montanara, [S.l.], Tabor, 2013.
[13] La lettera di Clareno è riportata in F. Tocco, I Fraticelli, cit., p. 342.
[14] Cfr. Anonimo fiorentino, Storia di fra’ Michele minorita, a cura di Emanuele Trevi, Roma, Salerno, 1991.
[15] Cfr.: Arnaldo Sancricca, I “Fratres” di Angelo Clareno, Macerata, Simple, 2015, p. 93-120; Mariano D’Alatri, L’inquisizione francescana nell’Italia centrale del Duecento, con il testo del Liber inquisitionis di Orvieto trascritto da Egidio Bonanno, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1996.
[16] Cfr. Umberto Picciafuoco, I Fraticelli nel centro Marche e in particolare a Cupra Montana, in I Fraticelli: santi o eretici? Atti del convegno, Cupra Montana, 3 ottobre 1997, a cura di Riccardo Ceccarelli, Cupra Montana, [s.n.], 1998, p. 57.
[17] Cfr. Giovanni Annibaldi, L’azione repressiva di Martino V contro i ribelli di Jesi ed i Fraticelli di Maiolati, Massaccio e Mergo, “Picenum Seraphicum”, a. 11, 1974, p. 410-411.
[18] F. Tocco, I Fraticelli, cit., p. 366.