Intervista collettiva di Luigi agli scout e alle scout del CNGEI Sezione di Fermignano (PU)
Da Rivista Malamente #23 (novembre 2021)
Può una rivista che si chiama “Malamente”, scritta e letta da dei poco di buono, parlare di scautismo? Forse qualcuno/a storcerà il naso, convinto che gli scout siano giovani soldatini di Cristo e di Baden-Powell o, al limite, bravi/e ragazzi/e in grado di accendere un fuoco e stringere nodi, ben disciplinati in un’organizzazione gerarchica.
Con questa intervista collettiva al Grufe – la Sezione scout di Fermignano (PU) –, vogliamo smontare alcuni pregiudizi consolidati ma fuorvianti.
Lo scautismo laico del CNGEI (Corpo nazionale giovani esploratori ed esploratrici italiani) non è infatti riducibile alla macchietta del ragazzo di buon cuore che fa buone azioni, con i pantaloni corti anche d’inverno e quello strano fazzoletto al collo. Quando si ha modo di frequentare e conoscere un gruppo come quello di Fermignano, le idee preconcette cadono una dopo l’altra, demolite da un progetto educativo di genuina autogestione e da una visione critica e un agire propositivo nella realtà sociale. Il gruppo è nato nel 2013 collegato alla sezione CNGEI di Pesaro ed è diventato sezione autonoma nel 2016; quest’estate ha avviato il progetto di autocostruzione della sua nuova sede a basso impatto ambientale, in bioedilizia con paglia e legno.
In Francia, intanto, è nato da poco un giornale scout di ispirazione libertaria, intitolato “L’Allume-feu”. Il giornale non è espressione di una determinata associazione scautistica tra le tante, è invece interessato a discutere le basi comuni della metodologia scout e l’intima coerenza tra queste e le idee anarchiche e libertarie. In entrambi i campi – scautismo e anarchismo – i redattori del giornale trovano «l’aspirazione a una società fondata sulla libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, la cooperazione e l’autogestione. Ciò significa anche lotta contro lo sfruttamento, l’indottrinamento, le pratiche autoritarie e ogni forma di dominazione come il patriarcato, il capitalismo e il razzismo. Significa infine pensare che non c’è soluzione alla crisi ecologica senza un cambiamento sociale globale». Non vogliamo far credere che lo scautismo sia un movimento sovversivo. Siamo lontani anni luce dalla lotta di classe, eppure nel suo metodo troviamo non poche assonanze con i principi della pedagogia libertaria.
Cambiare il mondo, o anche solo migliorare la comunità in cui si vive, passa attraverso l’educazione delle giovani generazioni al pensiero critico, all’agire collettivo e all’impegno sociale, al rispetto dell’altro e dell’ambiente, al mutuo appoggio e alla solidarietà. Lo scautismo laico fa tutto questo dando inoltre importanza alla formazione in ambiente naturale, semplice ed essenziale, allo sviluppo delle abilità manuali e del carattere individuale, alla capacità di autogestire le condizioni della propria vita materiale senza dimenticare il richiamo alla dimensione spirituale. Prima di lasciare spazio all’intervista, chiudiamo con le parole di Goffredo Fofi, tratte dalla sua prefazione a un’antologia di scritti di Baden-Powell, fondatore dello scautismo: «lo scautismo libera i ragazzi dalla chiusura delle famiglie e dalle rigidità della scuola, dalla pubblicità dei mercati e dall’inquinamento delle città, li riporta nella natura e li aiuta a orientarvisi e a goderne rispettandola, li affida ai fratelli maggiori, permette loro di mettere alla prova il loro corpo rafforzandolo, li stimola al confronto nel lavoro di gruppo dei maschi con le femmine, dei piccoli con i più grandi, e lo stesso fa per le varie etnie e fedi, dà loro il sentimento di una appartenenza bensì aperta, da “cittadini del mondo” solidali con il prossimo e con il creato. Li educa alla pace e alla democrazia che, come diceva Maria Montessori, non sono cose innate nell’umanità, ma cose che si apprendono, che si può aiutare altri ad apprendere e praticare» (R. Baden-Powell, Il metodo scout. Antologia per gli educatori, a cura di Giulio Vannucci, Roma, Edizioni dell’Asino, 2015).
Ci dite in pochi tratti essenziali cos’è e come intendete lo scautismo?
Manuela. Lo scautismo è un movimento educativo che si rivolge a ragazzi e ragazze dagli otto ai diciannove anni. È un movimento volontario, perché tutti quelli che ne fanno parte lo fanno in maniera volontaria, apartitico, aperto a tutti. La sua finalità principale è contribuire alla costruzione di un mondo migliore attraverso l’educazione dei giovani. Tutto quello che noi facciamo ruota intorno a questo scopo. La nostra utopia, il nostro sogno, è costruire un mondo migliore.
Il modo in cui vogliamo educare i giovani è valorizzando gli aspetti e le specificità individuali. Quindi il percorso di bambini e bambine, ragazzi e ragazze non si basa su un disegno nostro, ma sulla valorizzazione di loro stessi; noi semplicemente li accompagniamo attraverso scelte fatte in autonomia e responsabilità. Questo aspetto è molto importante. Abbiamo la presunzione di pensare che i ragazzi e le ragazze che prendono la “partenza”, cioè che concludono il loro percorso, a diciannove anni, siano capaci di scelte autonome e di assumersi responsabilità per migliorare questo mondo. Vogliamo inoltre condurli alla ricerca del senso della propria vita. L’educazione scout punta ad attivare una tensione nella vita dei giovani, a far loro assumere degli impegni e anche questo aspetto pensiamo che sia fondamentale per poter cambiare il mondo.
Ci piace dire che lo scautismo è un pretesto. È un’occasione che viene offerta ai ragazzi per sviluppare le loro capacità critiche, per educare alle scelte, aumentare l’autostima, avere rispetto di sé e del proprio progetto di vita, rispetto dell’altro e delle sue specificità. Tutto questo si trasforma nelle attività che andiamo materialmente a fare con i ragazzi, settimana dopo settimana.
Come è nata la sezione scout CNGEI di Fermignano?
Gregorio. La nascita del gruppo viene dall’incontro di due situazioni. La mia, che nel 2010 mi sono trasferito da queste parti, e quella di alcune famiglie con figli, dell’età di mio fratello più grande. Queste persone, questi amici, erano alla ricerca di qualcosa per i loro figli, volevano una proposta educativa che non ricadesse nei soliti sport e attività simili. Io venivo da un percorso scout iniziato fin da bambino e all’epoca ero capo scout a Pesaro, mi è venuto quindi naturale proporre loro lo scautismo laico CNGEI. Non è stato semplice perché loro erano, quasi tutti, assolutamente scettici sullo scautismo, erano proprio distanti da questo mondo. Però la risposta non è stata un “no” secco. E allora, visto che uno spiraglio era rimasto aperto, con l’aiuto di Manuela, anche lei con esperienza scout pregressa, abbiamo cominciato un percorso di confronto e conoscenza sviscerando tutti gli aspetti dello scautismo. Il percorso è durato un anno abbondante, in questo periodo i nostri primi futuri capi, Giada e Angela, hanno potuto fare esperienza con la vicina sezione di Pesaro; nel frattempo questi amici hanno avuto modo di valutare se lo scautismo potesse essere quella cosa che cercavano e di prendere una decisione ponderata. Insomma, dal forte scetticismo iniziale, un gruppo di una decina di persone ha deciso di provarci e si è messa in gioco in prima persona. Poi si sono avvicinati altri, forse con meno scetticismo dei primi perché nel frattempo avevano visto qualcosa che già esisteva, stava funzionando e non era poi così male…!
Personalmente posso ben capire lo scetticismo iniziale. I preconcetti sugli scout sono una barriera molto forte. Spesso chi non è mai entrato in contatto con questa realtà la vede come una specie di setta chiusa in se stessa, fortemente gerarchica, quasi paramilitare per via delle uniformi e per giunta amica dei preti. Per quanto mi riguarda, devo dire che conoscendovi ho capito che questi sono solo pregiudizi che non vi rispecchiano, anche se alcuni aspetti ancora mi lasciano perplesso, come ad esempio la formula della promessa che richiama ai doveri verso la nefasta triade Dio, patria e famiglia…
Gregorio. Lo scetticismo si basa principalmente su due o tre fattori. Il primo, in effetti molto radicato, è che normalmente si associa lo scautismo alla religione, e questo è anche vero perché la stragrande maggioranza degli scout italiani sono cattolici. Numericamente il CNGEI, cioè noi scout laici, siamo solo la terza associazione in Italia, superata di gran lunga dall’AGESCI (Associazione guide e scouts cattolici italiani) che raccoglie oltre l’80% dello scautismo in Italia, ma anche dagli Scout d’Europa che sono legati a un modo di fare scoutismo più “integralista”. Quest’ultimi non fanno però parte della FIS (Federazione italiana dello scautismo) che è l’unica “entità” scout riconosciuta dalle organizzazioni mondiali dello scoutismo (WOSM e WAGGGS).
Eppure, già la Conferenza mondiale dello scoutismo di Parigi del 1924 aveva decretato che lo scautismo dovesse necessariamente essere aperto a qualunque orientamento religioso (o non religioso); il problema era che lo scautismo cattolico era già nato e questa regola non è stata applicata retroattivamente, quindi le associazioni cattoliche già esistenti hanno continuato a esistere, pur con l’obbligo di accettare qualunque iscritto giovane, ma limitando la partecipazione adulta ai soli cattolici. Oggi come oggi se dovesse nascere un’associazione scout confessionale non sarebbe riconosciuta a livello internazionale. Quindi anche l’AGESCI è aperta a tutti, anche a non cattolici, ma nel loro metodo è previsto il catechismo e tutti gli adulti, i capi scout, devono fare la scelta di fede cattolica.
L’altro pregiudizio è l’aspetto che possiamo definire “militarista e patriottico”. Il problema deriva dalla storia dello scautismo, che ha attraversato diverse fasi. Il fondatore, Baden-Powell, era in effetti un militare e ha portato nello scautismo il suo bagaglio. Lo scautismo delle origini era pensato con la finalità di fornire alla patria cittadini sani e volenterosi, capaci di assumersi delle responsabilità civili, ma questo orientamento cambia drasticamente con la prima guerra mondiale. Tra la prima e la seconda guerra mondiale, lo stesso fondatore inizia a considerare lo scautismo come una forza internazionalista, non solo a servizio delle patrie, ma come un movimento al servizio della fratellanza mondiale e della pace. Lo scautismo si dà come primo obiettivo proprio la pace, quindi dalla visione dello scout che cresce e si forma al servizio della patria si è passati a quella dello scout che cresce e si forma per servire l’umanità in un’ottica di fratellanza internazionale. Successivamente, durante gli anni Settanta, gli scossoni sociali hanno influenzato anche la vita dello scautismo portando a ulteriori grossi cambiamenti nelle associazioni storiche (ad esempio con la fine della separazione tra associazioni maschili e femminili).
Questa evoluzione, frutto anche di una evoluzione politica interna, ha determinato una scissione in AGESCI, con la frangia più conservatrice che ha dato vita agli Scout d’Europa, mentre il CNGEI è rimasto unito, mantenendo al suo interno una pluralità di vedute. Poi, negli ultimi trent’anni, il CNGEI ha preso sempre più una direzione chiara su dei principi e dei valori che richiamano al fondatore e sono stati discussi e riconosciuti da tutta l’associazione e sono ora per noi fondanti e definiti nella nostra Carta d’identità associativa.
La finalità di educare i giovani per migliorare il mondo contiene in sé una critica sociale dell’esistente?
Gregorio. Certo. Ma anche questo va sempre visto in una prospettiva storica. Oggi, per il CNGEI, educare nella prospettiva di migliorare il mondo richiama quello che c’è scritto nella nostra Carta d’identità, che a sua volta fa eco ai principi dello scautismo internazionale, cioè: pace, diritti, accettazione della diversità, esclusione di ogni discriminazione, solidarietà, etc. Questi valori hanno sicuramente più aspetti in comune con la visione politica che viene comunemente associata alla sinistra ma questo non è rilevante nella nostra azione, perché lo scautismo si fonda su principi indipendenti dalle parti politiche. I valori condivisi e il lavoro di educazione dei ragazzi a vivere nella società ci mettono nella condizione di svolgere un’analisi e avere una posizione “politica”, ma non partitica, cioè di impegno sociale e civile.
Tra i nostri principi è richiamato anche il dovere verso Dio, è vero, ma non è il Dio dei cristiani a cui ci si riferisce, è il God, in inglese, che ha un’accezione più ampia di divino e che noi intendiamo come spiritualità, non come religione rivelata. In altre parole, è la ricerca di un senso della vita, è interrogarsi continuamente sui temi dell’esistenza umana. Questo è un punto importante per lo scautismo, che insegna a rifuggire il cinismo, il non credere in nulla, il vivere per abitudine e spinge invece a far sì che le persone abbiano alti valori nella vita, poi ognuno ci mette quello che vuole, per qualcuno può essere una ricerca religiosa, per altri un ideale politico, o ancora altre cose, che però vanno al di là del solo mangio, consumo, dormo.
Tornando ai pregiudizi, un altro luogo comune è quello di considerare gli scout come un gruppo chiuso e impermeabile verso l’esterno; c’è invece un tentativo di creare una rete almeno a livello territoriale?
Gregorio. In effetti già la vita del gruppo richiede tante energie e non è semplice investirle anche in rapporti strutturati con l’esterno. Però la ricerca di contatto con altre realtà del territorio è proprio nei principi e nei valori dello scautismo. In particolare la Compagnia (i ragazzi dai 16 ai 19 anni) cerca continuamente di aprirsi in questo senso, mentre i più piccoli (il Branco e il Reparto) sono più ripiegati al loro interno. Negli anni, come Sezione di Fermignano, abbiamo cercato di tessere una rete di relazioni e abbiamo sempre collaborato a iniziative volte alla valorizzazione del confronto e del progettare insieme con le associazioni locali (Giornata delle associazioni, Festa dei popoli, Spesa sospesa, etc.). Uno dei problemi di fondo è il fatto che lo scautismo, per funzionare, ha bisogno di mettere in pratica il proprio metodo educativo e talvolta la relazione con realtà diverse se da una parte ci arricchisce, dall’altra rischia di squilibrare quelle poche cose che sono la sostanza vincente del metodo scout. Insomma, bisogna essere capaci di mantenersi in equilibrio, aprendosi all’esterno ma senza lasciare indietro la propria specificità.
Possiamo approfondire un po’ questo discorso sul metodo scout? Quali sono i suoi elementi caratteristici?
Gregorio. Il metodo scout proviene da lontano. Per quanto si sia evoluto, nella struttura di base rimane il metodo pensato dal fondatore, perché tutto sommato si è rivelato efficace e in grado di oltrepassare oltre cento anni di storia in un secolo tutt’altro che facile. Sostanzialmente si può racchiudere in cinque aree di intervento e sette strumenti base che vengono modulati a seconda delle caratteristiche delle diverse fasce di età, pur restando un metodo unitario. C’è un tavolo nazionale educativo che è in continua discussione e sviluppa il metodo in base all’osservazione dei bisogni, e poi, a livello locale, tutto si declina nelle competenze e nella formazione dei capi unità e del consiglio di gruppo che conoscono individualmente le specificità di ogni bambino e ragazzo.
Le cinque aree che dicevo riguardano: la creatività (cioè le abilità manuali, artistiche, etc.), la corporeità (il fisico), l’impegno civile (qui sta il rivolgersi verso l’esterno, verso la società), il carattere (come formazione del carattere individuale) e la dimensione spirituale (cioè la ricerca dei valori più alti, a cui si possono dare vari nomi).
I sette strumenti sono: Legge e promessa; Imparare facendo; Gruppo di pari; Contesto simbolico; Programmi progressivi e stimolanti; Vita all’aria aperta; Servizio. Provo a descriverli in breve. Legge e promessa sono il contenitore sintetico dei valori dello scautismo; la particolarità della legge è di essere concepita in positivo come una guida per le azioni dei ragazzi e non come una repressione di ciò che non devono fare: non esistono dei “non”, ma solo dei “fai”. La promessa è invece quell’elemento con il quale lo scout sceglie di far parte di questo percorso, rinnovando nel tempo l’impegno preso.
Imparare facendo rimanda al principio dell’autoeducazione progressiva. Noi non insegniamo niente ma creiamo delle occasioni che mettono ragazzi e ragazze nelle condizioni di autoformarsi e autodeterminarsi; è anche per questo che non c’è bisogno di essere un educatore professionista per diventare un capo scout, noi non lo siamo e non pretendiamo di esserlo (anche se ovviamente c’è un percorso interno di formazione per gli adulti). Il Gruppo di pari – siamo al terzo strumento – riguarda la dimensione ottimale del gruppo di ragazzi individuata dal metodo scout in base alle fasce di età.
Il Contesto simbolico indica una serie di strumenti che utilizziamo per comunicare in maniera semplice, rapida e chiara, a partire dall’uniforme che indossiamo con i vari distintivi, passando per le cerimonie che pratichiamo; il massimo utilizzo si ha nel Branco dei più piccoli, in cui addirittura gli educatori non sono loro stessi ma interpretano dei personaggi che veicolano dei messaggi (Akela, Baloo, Baghera, etc…). Poi abbiamo – quinto strumento – i Programmi progressivi e stimolanti, cioè tutto ciò che facciamo insieme ai ragazzi, che può essere organizzato dagli adulti come nel Branco, oppure gestito in completa autonomia come nella Compagnia. Il percorso di crescita personale di ognuno all’interno dello scautismo è scandito da delle tappe, e anche da delle competenze tecniche che si possono imparare e che vengono simbolicamente riconosciute da un distintivo.
Vita all’aria aperta vuol dire applicare il più possibile il contatto con l’ambiente esterno. E, infine, il Servizio è inteso come attenzione e impegno verso l’altro, ma anche verso tutto ciò che sta al di fuori di sé, quindi l’ambiente, la società.
Ci fate conoscere un po’ meglio, sempre sinteticamente, le tre articolazioni del gruppo scout? Cioè quello che succede all’interno del Branco di lupetti, del Reparto di esploratori e della Compagnia di rover?
Uba. Nel Branco si entra in genere a otto anni e si rimane fino ai dodici; ogni Branco ha un nome, quello del nostro gruppo di Fermignano è Branco del Popolo libero. La legge ha solo due articoli: Il Lupetto ascolta il vecchio lupo; Il Lupetto non cede a se stesso. Il motto è “Del nostro meglio”. La promessa è invece più articolata perché esprime i valori dello scautismo in forma completa (c’è l’apertura al mondo, il rispetto per la natura, la ricerca della propria spiritualità, l’impegno a migliorare, etc.): non è affatto un giuramento, ma è un impegno che i lupetti decidono di assumere quando si sentono pronti e infatti la promessa non è fatta subito appena arrivati, ma ogni lupetto, con i suoi tempi, la chiede quando sente di avere consapevolezza del percorso scout.
Nel Branco lo scopo educativo passa soprattutto attraverso il gioco e il contesto simbolico. Il simbolismo pervade davvero ogni attività dei lupetti ma l’importante è che sia sempre spiegato, che sia chiaro, che sia cioè evidente il passaggio dal simbolo al significato. L’ambiente di gioco (o meglio, come diciamo noi, di “caccia”) è la giungla dove gli educatori sono personaggi del Libro della giungla di Kipling, ognuno di loro è portatore di alcuni valori e ha una propria “parola maestra”, cosa molto importante per un’età in cui si è alla ricerca di punti di riferimento. Quindi, come Branco, si cerca di costruire una storia condivisa, in un contesto di serenità e anche di protezione, in cui ogni lupetto sia libero di esprimersi e di tirare fuori le sue abilità.
Gregorio. Il nostro Reparto, i Centauri, comprende ragazzi e ragazze dai dodici ai sedici anni circa ed è suddiviso in più pattuglie, di ognuna delle quali fanno parte esploratori di diversa età. La pattuglia è l’unico contesto in cui c’è una separazione tra maschi e femmine, questo sia perché in età di preadolescenza ragazzi e ragazze, nel loro intimo, cercano il confronto con pari dello stesso genere, sia per evitare di riprodurre una divisione di ruoli: in un campo bisogna ad esempio montare le tende, cucinare e pulire ed è bene che tutti i componenti della pattuglia facciano tutto.
In Reparto l’imparare facendo è portato agli estremi. Ci sono cose per cui noi trasmettiamo le competenze ma poi gli esploratori fanno in totale autonomia, come spostarsi con una cartina in mano e molto altro. È un’età in cui si avverte il bisogno di sperimentarsi in prima persona, ma in cui è anche necessario trovare il proprio limite. L’adulto capo scout interviene in caso di problemi, difficoltà, bisogni, ma più la pattuglia è autonoma meglio è; in tutto questo, un ruolo importante lo ha il capo pattuglia, cioè l’esploratore con più anni di esperienza che guida gli altri e condivide con loro le conoscenze che ha acquisito.
Imparare a fare le legature sui pali, ad esempio, è una conoscenza che probabilmente non gli servirà più nella vita, la legatura è solo uno strumento, un’occasione, ciò che davvero ci interessa è che l’esploratore impari a raggiungere un risultato coordinandosi e collaborando con gli altri, migliorando la propria autostima e scoprendo i propri limiti: questo sicuramente gli tornerà utile anche in futuro. Il motto del Reparto è “Sii preparato”, cioè acquisisci quelle competenze, non solo tecniche, che ti porteranno a saper agire in autonomia in ogni situazione.
Betta. Della Compagnia fanno parte ragazzi e ragazze dai sedici ai diciannove anni; la nostra Compagnia di Fermignano si chiama Bantaba. Non cambiano i valori di fondo dello scautismo, ma cambia lo stile. Si perde cioè quella struttura un po’ rigida del Reparto, perché ormai, in questa fascia di età, i rover guidano da soli la propria canoa. Si ritorna a comporre il cerchio; il capo scout sta in cerchio esattamente come i ragazzi, ma questo non significa che sia l’amico, resta sempre e comunque l’adulto di riferimento, e deve avere una grande versatilità per essere almeno un po’ leader di questi ragazzi che, di solito, attraversano una fase in cui non ne possono più della famiglia, dei genitori, della scuola, e cercano altri riferimenti.
Il motto della Compagnia è “Prepararsi a servire”, che nel nostro ideale significa contribuire al benessere della comunità. In genere i rover hanno alti ideali (l’ambientalismo, la rivoluzione) e il percorso scout li aiuta a fare una riflessione su come calarli nella loro quotidianità, e chiedersi: “che cosa faccio io per me stesso e per gli altri?”. Il rapporto con la società esterna diventa molto importante. Siamo orgogliosi del fatto che molti rover sono stati rappresentanti di istituto a scuola, hanno assunto ruoli attivi nelle manifestazioni, ad esempio quelle per il rispetto ambientale; la Compagnia di Fermignano è inoltre partner di Libera contro le mafie (lo è anche il CNGEI a livello nazionale) e su questo ha fatto un percorso dedicato. Il nostro simbolo è la forcola, un bastone con la punta che si biforca, che sta a significare come ogni strada implichi una decisione, una consapevolezza responsabile rispetto alla direzione si vuole prendere, per se stessi, per la Compagnia e in dialogo continuo con l’esterno.
La riflessione che viene portata avanti si concretizza nella scrittura della Carta della Compagnia, un testo attraverso il quale la legge e la promessa vengono attualizzate e soprattutto rese concrete, perché a parole sono buoni tutti a enunciare i grandi principi. La nostra Carta, la cui scrittura ha richiesto tre anni, specifica tra l’altro l’adesione ai valori dell’antifascismo, che è una cosa che sì, appartiene al CNGEI nazionale, ma non è ancora contenuta esplicitamente nella nostra legge.
Lo strumento principe della Compagnia si chiama autoprogrammazione. I rover programmano da soli le loro attività, con cadenza trimestrale. All’interno si possono creare diversi gruppi più piccoli, chiamati Ronde: una è la ronda esecutiva che si preoccupa degli aspetti più pratici, altre sono ronde di interesse, ad esempio ne abbiamo avuta una che si è occupata della tematica dei migranti. Il cuore dell’autoprogrammazione è questo: i rover decidono su che cosa vogliono camminare.
Emanuele, tu sei l’attuale capo della Compagnia, vuoi aggiungere qualcosa sui rover?
Emanuele. Ritrovandomi quest’anno nel ruolo di capo Compagnia, ho cercato di partire proprio dalle radici, dal significato stesso della parola rover. Il rover è il ramingo, la persona che non ha sosta, il viandante: è colui che cerca. Mentre nel Reparto sei un “esploratore” e anche dal punto di vista metaforico il tuo ambiente è l’avventura e sei spinto a misurarti in una serie di contesti, nella Compagnia di rover c’è proprio l’idea della ricerca. A me piace intenderla come una ricerca che va sì verso l’esterno ma anche verso l’interno, diventando quindi un interrogarsi su se stessi nella relazione con gli altri. Certamente non è facile perché tra questi ragazzi e ragazze si incontrano esperienze, interessi, passioni assolutamente diverse, che però possono vivere insieme, conciliandosi.
Per me il concetto base del rover è di restare in continuo cammino, perché non si finisce mai di scoprire, di conoscere se stessi e il mondo, ed è questa la cosa che vorrei trasmettere loro: essere sempre rover, andare costantemente in là.
Come è stato già detto, il motto dei rover richiama l’impegno all’interno della società, che però non solo non dev’essere imposto, ma nemmeno calato dall’alto; deve invece crescere piano piano all’interno del singolo individuo, perché gli possa restituire in pieno la dimensione di “essere nel mondo”. Questa è la cosa che mi tiene personalmente agganciato allo scautismo, perché lo vedo anche e soprattutto come il mio impegno per poter incidere e cambiare la società, forse marginalmente, forse minimamente, ma è un modo di poter dare il mio contributo in questo senso.
Infine vorrei chiedere a Enza, che oltre a essere la coordinatrice degli adulti della sezione scout (i senior) è anche una maestra di scuola d’infanzia particolarmente attenta alle migliori riflessioni pedagogiche, se si possono delineare delle relazioni tra scautismo e pedagogia montessoriana?
Enza. Intanto parliamo di due metodi e due riflessioni pedagogiche che da più di un secolo animano le pratiche di moltissimi docenti ed educatori in tutto il mondo. Viene da chiedersi come mai molte famiglie e molti docenti che in ambito scolastico hanno a che fare con il metodo Montessori si ritrovino ad andare incontro anche alle pratiche educative legate al mondo dello scautismo, in particolare a quello laico CNGEI.
Secondo me la cosa che lega questi due pensieri è innanzitutto la fortissima fiducia nei confronti di bambini e ragazzi in crescita. Questa fiducia da una parte è scientifica, legata alle osservazioni di medico della Montessori, che ha colto come l’intelligenza dei bambini sia già programmata di per sé e come abbiano quindi delle capacità innate pronte a spiccare il volo e a emergere nel mondo, con il contatto di adulti in grado di osservarli e di organizzare un ambiente di apprendimento utile. Dall’altra parte abbiamo lo scautismo e altrettanta fiducia nei ragazzi che, come dice Baden-Powell, hanno le capacità per condurre da sé la propria canoa dopo averla costruita. Si tratta quindi di mettere bambini e ragazzi nelle giuste condizioni perché possano crescere e incidere dal vivo, sin da piccoli, nel mondo che li circonda, cercando di renderlo migliore di quanto non l’abbiano trovato.
Ottimo!