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Un normale disastro di provincia

Di Vittorio

Fin dalla notte di giovedì 15 settembre in molti avevamo percepito la gravità della situazione. Insieme ai compagni e alle compagne delle Brigate volontarie per l’emergenza (BVE) che vivono a Senigallia avevamo discusso molte volte dell’eventualità di una nuova alluvione e di cosa fare per rispondere ad essa, ma a causa della scarsa preparazione tecnica e della mancanza di una relazione con il sistema comunale di Protezione civile poco abbiamo potuto fare se non allertare amici e vicini e tirare fuori gli stivali di gomma.

Nella notte il fiume Misa è esondato a più riprese. Alla mattina lo scenario era peggiore di quello dell’alluvione del 2014. La città era allagata in più punti, dal centro alle periferie. I paesi a monte vicini al fiume erano pesantemente colpiti, Arcevia e Barbara avevano molti ponti inagibili e grandi frane. I morti davvero troppi.

Il piccolo gruppo di volontari delle BVE si è attivato subito per cercare di aiutare. Grazie a Enrico, il consigliere comunale di Città Futura e alla nostra compagna Paola abbiamo equipaggiato un pick up e ci siamo recati a Pianello di Ostra, una delle zone più disastrate, mentre Carmine e un gruppo di ragazzi più giovani hanno iniziato a dare una mano in via Capanna e nella zona delle case popolari.

Già dal secondo giorno ci siamo coordinati con lo Spazio sociale Arvùltura e abbiamo ricevuto la chiamata delle Brigate di solidarietà attiva (BSA) che ci offrivano il loro aiuto dal sud delle Marche e dall’Abruzzo. Abbiamo deciso da subito di formare un coordinamento autonomo e autogestito dei volontari presso lo spazio del centro sociale, unica struttura disponibile per tutti noi. Il primo giorno abbiamo organizzato duecento volontari, i successivi circa cinquanta al giorno.

Allo stesso tempo, in parallelo, si sono attivate la Caritas e poi altre piccole iniziative spontanee. L’impressione diffusa è che la risposta istituzionale sia stata lenta, goffa e insufficiente. Con il passare dei giorni l’entità dei danni si è resa evidente e con essa l’enorme generosità della città e dei volontari e delle volontarie di ogni tipologia e credo. Ovviamente sono comparsi anche personaggi discutibili: la chiesa di Scientology, qualche fascista ma non in forma organizzata e sparuti mitomani survival…

Il coordinamento autonomo di volontari è andato migliorando le sue capacità giorno per giorno e ha iniziato a ricevere molte donazioni da vari gruppi, soprattutto di Ancona come Priorità alla scuola – Marche, Casa delle culture, Altra idea di Città e tanti gesti di generosità di singole persone.

Per le strade e nelle case si respirava e si respira ancora oggi un’aria di grande attivismo, con grupponi di giovani volontari che girano nel fango con il sorriso in volto. Il sentimento principale è la voglia di reagire e ripartire mista a una sorda incazzatura che però non prende forma e non colpisce ancora nessun bersaglio.

Dopo i lavori pesanti di pulizia e svuotamento dall’acqua di questi primi giorni sono adesso necessari interventi di pulizia leggeri ma lunghi, sostegno alle famiglie sfollate, aiuto ad alcune imprese “socialmente responsabili” ed è necessario cominciare a riflettere su come affrontare i rischi e le difficoltà che si annunciano per i giorni futuri.

Volontari e volontarie si sforzano di costruire una mappatura delle necessità e delle fragilità in modo da indirizzare l’aiuto dove serve di più, rispetto al grado di precarietà sociale ed economica degli alluvionati: questa è una particolarità del coordinamento autonomo che cerca di non dimenticare che esistevano disuguaglianze e povertà prima dell’alluvione e che questa le farà crescere se non interveniamo con forza e passione.

Mercoledì 21 settembre è stato attaccato uno striscione sul ponte della ferrovia a Senigallia mentre il capo della Protezione civile Curcio era in città. Ha avuto un buon impatto sui social ma nulla di più.

Nel coordinamento autonomo dei volontari è ragionato sul tentativo di coinvolgere gli altri volontari e le associazioni cittadine a partire dalla giornata dello sciopero climatico del 23 settembre, per farla diventare un primo momento pubblico di protesta e critica rispetto alla gestione dei fiumi e rispetto all’inazione della classe politica (di sinistra e di destra con diverse e comunque gravi responsabilità) sul cambiamento climatico e sulla difesa del territorio.

L’azione di protesta del lancio del fango contro la Regione Marche ha avuto un ottimo impatto mediatico e ha visto un buon coinvolgimento spontaneo degli studenti presenti al corteo, che appena vedono una possibilità di partecipare con un gesto più radicale del solito lo fanno con generosità.

Le scuole sono rimaste chiuse fino a oggi e lo saranno almeno fino a lunedì, dopo le elezioni. Come risposta l’ufficio scolastico e i sindaci hanno spinto a riattivare la DAD, per fortuna molti insegnanti e famiglie si sono indignati spingendoli a una mezza ritirata, ma comunque il problema rimane: invece di rimboccarsi le maniche per risolvere le cose in modo creativo, smaterializzano la scuola dietro a uno schermo e la questione secondo loro è risolta.

Della dinamica istituzionale e dei problemi strutturali è stato scritto e detto tantissimo, le analisi e le proposte tecniche sono già disponibili, il problema è capire quali sono le cause dell’inazione, della passività con cui i nostri territori stanno affrontando la crisi climatica e capire come invertire questa tendenza. Ho la sensazione che questi disastri si ripeteranno in questa zona, che ci siamo ri-scoperti molto fragili e che questo è un momento nel quale se avessimo le forze militanti dovremmo impiegarle per costruire una base materiale di mutuo appoggio ancora più forte.

Per il resto ieri è stato ritrovato finalmente il corpo del bambino che era disperso, c’è il sole ma per domani è prevista di nuovo tanta pioggia che non ci farà dormire tranquilli.

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