La lotta contro le discriminazioni e per l’autonomia delle persone con disabilità nelle Marche e in Italia
Intervista di Vittorio a Elena e Maria Chiara Paolini (Rivista Malamente #12)
Le sorelle Elena e Maria Chiara Paolini sono formatrici e blogger (http://wittywheels.it), si occupano di giustizia sociale applicata alla disabilità e di disabilità in chiave femminista. Hanno da poco pubblicato il libro “Mezze Persone. Riconoscere e comprendere l’abilismo” (Aut Aut, 2022), di cui vi consigliamo la lettura. Riproponiamo qui una loro intervista per Rivista Malamente di ottobre 2018.
Incontro Elena e Chiara in un caldo pomeriggio estivo, nel centro di Senigallia; c’è movimento, tanti turisti e ragazzi in vacanza che passeggiano. Guardano con stupore e un po’ di imbarazzo le due ragazze che sto intervistando. Mi chiedo, cosa che ammetto di non fare quasi mai, di che tipo siano gli sguardi che ci accompagnano se ci spostiamo su una brandina elettrica o su una sedia a rotelle. La nostra identità sociale si costruisce sugli sguardi degli altri? Per queste ragazze non può essere così, ed è proprio la loro autonomia dalle idee e dai modelli dominanti a colpirmi come una doccia fredda. Per sederci sotto l’ombrellone del bar è necessario spostare tavoli e sedie ma soprattutto mettere da parte preconcetti e pregiudizi sulla disabilità. Mi ricordo in quel momento che Senigallia ha avuto in passato un validissimo attivista politico che aveva lottato contro la discriminazione verso la disabilità e contro il fascismo allo stesso tempo: l’anarchico Ottorino Manni, e sento un soffio di vento che rinfresca improvvisamente i pensieri e la voce. Abbiamo passato un’ora a parlare di molte cose, alcune di queste sono riportate in questa intervista che ci insegna, tra l’altro, come lottare per la propria libertà e autonomia sia prima di tutto una scelta interiore che, se è sincera, ci mette su un piano di affinità con altri e altre che vanno nella stessa direzione da biografie e storie molto diverse.
Come volete presentarvi? Quanti anni avete?
Chiara: Io ho 27 anni e lei (Elena) 22. Tutto quello che sappiamo sulla disabilità, sui movimenti per i diritti civili, l’abbiamo imparato autonomamente, ma abbiamo studiato tre anni a Londra dove io ho fatto un corso di arabo intensivo di un anno e mezzo e poi ho fatto ripetizioni, mentre Elena ha ottenuto la laura triennale in relazioni internazionali.
Cosa è e come è nato il movimento “liberi di fare”? Qual è la situazione a livello nazionale e regionale delle persone con disabilità grave? E quali sono le relazioni con gli altri movimenti e gli altri gruppi che organizzano rivendicazioni dei disabili o per i disabili?
Chiara: Il tutto è nato dalla lettera aperta sul diritto all’assistenza personale per le persone disabili che abbiamo pubblicato su Facebook nell’ottobre del 2017. Di solito si parla di questo argomento con dati e cifre, senza parlare dell’impatto che può avere sulla vita delle persone. La lettera partiva dalla situazione concreta di non avere assistenza o non tutta quella che servirebbe.
Elena: Abbiamo visto che il problema è che non c’è informazione sul tema e chi non è toccato in prima persona non ha idea di come sono messe le cose, del fatto che l’assistenza manca nella maggior parte delle regioni, perché la situazione cambia da regione in regione. Abbiamo invece visto che c’è stata una buona partecipazione quando le persone hanno conosciuto il problema.
Perché nel 2017 avete deciso di metterci la faccia?
Chiara: Abbiamo iniziato da qualche anno a vivere con l’aiuto di assistenti, perché non è che l’assistenza la possono fare solo i genitori e i familiari; abbiamo deciso di fare attivismo sul tema quando abbiamo sentito di avere abbastanza conoscenza sul tema stesso.
Elena: Confrontandoci con altre persone disabili abbiamo visto, da regione a regione, che non c’è in Italia abbastanza assistenza e le soluzioni attuali sono spesso dipendere dai propri familiari, partner o amici per tutta la vita oppure andare dritti in una casa di cura o un istituto. L’assistenza personale intesa come autogestione dei fondi per assumere direttamente personale non è un’opzione presente in Italia in tutte le regioni e in modo sufficiente.
Quando voi chiedete autonomia cosa chiedete?
Elena: L’autonomia consiste nel ricevere dei fondi che ti vengono dati in base ai tuoi bisogni: se hai bisogno di assistenza come nel nostro caso per ventiquattro ore, hai bisogno di persone che si turnano, al momento l’assistenza che viene passata è spesso mediata dalle cooperative e si tratta di poche ore a settimana. Quello che chiedono in molti è di poter assumere direttamente delle persone, facendo dei contratti, ed è una cosa che oggi si fa attraverso una progettualità chiamata “progetti di vita indipendente”. Però i soldi non sono mai abbastanza. Adesso nelle Marche la normalità è che vengano dati i fondi per cinque ore di assistenza in tutta la settimana.
Voi avete cominciato a organizzarvi nel 2017, in che modo? Eravate già parte di qualche associazione o movimento?
Chiara: Abbiamo cercato di coinvolgere le altre associazioni ed eravamo già in contatto con altre persone. L’idea era quella di fare delle manifestazioni sincronizzate.
Elena: Tramite il passaparola su Facebook abbiamo coinvolto delle persone nei vari territori e si sono formati dei gruppetti che hanno realizzato varie azioni nel luogo di residenza.
Quindi abbiamo manifestato nell’ottobre novembre 2017 contemporaneamente in una ventina di città, per tre giorni, e abbiamo fatto la stessa cosa lo scorso giugno, ma questa volta in meno città. I coordinatori delle varie regioni sono una ventina in tutto e ognuno ha coinvolto le persone del proprio territorio per allargare la rete. L’idea è continuare a fare più tipologie di manifestazioni per raggiungere l’attenzione dei media, anche se non è facile raggiungere i media nazionali, mentre quelli locali riusciamo a coinvolgerli maggiormente.
Infatti non è così semplice fare parlare i media sul tema, non è un argomento che prende molta attenzione perché di disabilità se ne parla soltanto in toni pietistici e di storie individuali. Ancora non si sente spesso parlare di disabilità in un’ottica di giustizia sociale o come un movimento per i diritti civili. Se vogliamo andare avanti, se vediamo come le persone disabili hanno ottenuto delle vittorie, dei diritti, in America o Svezia, non è con la carità o con il volontariato ma con la politica. Il volontariato, per quanto sia uno strumento valido e importante per sopperire a certe mancanze, spesso è messo come tampone per le situazioni che lo Stato dovrebbe tutelare. Specialmente con la disabilità si tende a utilizzare il volontariato come tappabuchi ma in questo modo non si va da nessuna parte, anzi è una visione dannosa perché il più delle volte ci porta a pensare alle persone disabili come degli oggetti piuttosto che dei soggetti, qualcuno da aiutare per pietà e spirito cristiano.
Che risposte avete avuto alla vostra lettera aperta?
Chiara: Alla lettera aperta che abbiamo mandato anche con posta certificata al governo non abbiamo avuto delle risposte. A livello di Regione Marche c’è stato invece un aumento dei fondi per la vita indipendente, ma qui era già presente il lavoro fatto non da noi ma dal tavolo tecnico per la vita indipendente delle Marche, noi facciamo parte del comitato che lo sostiene. Poi non so dirti se “Liberi di fare” abbia dato una spinta anche per aumentare i fondi. In ogni caso, l’aumento è sicuramente positivo ma ancora non sono minimamente sufficienti.
Elena: E poi è un problema che venga aumentato il fondo solo a livello regionale. Prima di tutto perché continua a esserci questa disparità di assistenza a livello nazionale: non è giusto che se uno vive in Piemonte ha un’assistenza mentre se vive in Calabria non ha quasi niente. Anche se i fondi sono stati aumentati dalla Regione Marche manca un’analisi completa sui bisogni reali, sui bisogni concreti. Quindi, comunque, rispetto alle necessità totali di una persona disabile il cambiamento è minimo.
Quali sono i livelli di necessità per l’autonomia delle persone disabili? Quali sono i livelli di spesa?
Chiara: Dipende dai bisogni delle persone. In alcuni casi le spese per le strutture, coinvolgendo varie figure professionali, sono molto alte, e secondo me ci sono anche degli sprechi. Nell’assistere una persona a casa a volte c’è un risparmio, ma in realtà non ha senso parlare di risparmio se una persona ha tantissime necessità mediche e assistenziali.
Elena: Non è questo il punto, non si può parlare di economia quando si parla delle vite delle persone, quando si parla di diritti basilari come mangiare, bere, fare la doccia, uscire di casa… non si può centrare la questione sul risparmio che pure ci sarebbe. Secondo noi non si dovrebbe dire: bisogna che ci sia assistenza personale autogestita perché fa risparmiare, ma perché è un diritto umano.
La vostra sensibilità si sta allargando? Siete una minoranza tra altre organizzazioni?
Chiara: Manca un po’ la consapevolezza proprio da parte di alcune persone disabili. In Italia i giovani rimangono in famiglia per tanto tempo e per le persone disabili questo fenomeno è ancora più forte. Noi abbiamo avuto l’opportunità grazie alle risorse della famiglia e abbiamo potuto vivere con questa assistenza, molti non hanno le possibilità e non sanno come vivere in modo più autonomo fuori dalla famiglia. Noi cerchiamo di fare questo lavoro di sensibilizzazione anche per l’emancipazione stessa delle persone disabili. Ci sono un po’ tutti i casi: persone già “emancipate” e altre che seguendo la nostra pagina Facebook entrano nel dibattito, alcuni ci ringraziano di parlare di queste cose, di sforzarci per creare cultura sul tema della assistenza.
Elena: Come in tutti i gruppi marginalizzati c’è un po’ di discriminazione interiorizzata. Più sei oppressa e marginalizzata più è possibile sviluppare una concezione di te stessa come di qualcuna che non ha lo stesso valore degli altri, come nel caso dell’omofobia, della misoginia o della discriminazione interiorizzata verso le persone disabili, che si chiama “abilismo”. Ha un nome ma pochi lo conoscono!
Qual è la vostra relazione con gli altri movimenti? Ad esempio con i movimenti delle donne o con l’antirazzismo e l’antifascismo?
Elena: Ovviamente è tutto collegato, non si può parlare di una discriminazione senza tenere in conto tutte le altre, ci deve essere una intersezionalità, devono essere battaglie portate avanti insieme. Il movimento per i diritti delle persone disabili si è sviluppato in America negli anni Sessanta e Settanta sull’onda dei movimenti dei diritti civili. In Italia siamo più indietro, anche se più avanti di altri paesi. Noi abbiamo cercato di coinvolgere le altre associazioni, i vari movimenti per i diritti LGBT, ma ottenendo poco riscontro, speravamo in una partecipazione, in una unione, ma non abbiamo ancora avuto tante risposte. È anche vero che il movimento per i diritti delle persone disabili è considerato il fanalino di coda degli altri movimenti. Di tutte le discriminazioni che ci sono raramente si parla di abilismo ovvero della discriminazione verso le persone disabili. Magari anche i pride LGBT non sono accessibili o alla stessa Women March che c’è stata in America ci sono stati dei dibattiti perché le persone disabili non erano state considerate. Il nostro non è considerato ancora pienamente come un movimento per i diritti umani e civili, forse per la mentalità assistenzialista di cui parlavamo prima.
Prima parlavo dei costi non perché penso che un diritto possa essere quantificato dai soldi, ma perché spesso nel settore sanitario e socio-assistenziale girano grandi interessi economici, la sanità rappresenta il 90% del bilancio delle regioni. Attorno alla sanità si muovono grandi interessi. Voi come giudicate il governo attuale dal punto di vista dell’attenzione verso la disabilità e le discriminazioni?
Chiara: Siamo abbastanza scoraggiate, ovviamente continuiamo con le manifestazioni perché come diceva Elena se non portano avanti i diritti di una categoria come quella dei migranti non vediamo perché dovrebbero portare avanti quelli delle persone con disabilità. Il ministro della famiglia e della disabilità, il cui ministero è stato unito in modo criticabile, è anche contro le persone LGBT. Non ci aspettiamo molto di buono da lui, abbiamo una opinione negativa.
Chiara: A livello regionale qualcosa si è mosso. In tutta Italia, molto lentamente, si inizia a parlare dei progetti di vita indipendente che però un anno ci sono e un altro anno magari no. In teoria l’assistente sociale ti contatta, anche se spesso ne sa un po’ meno della stessa persona disabile, recentemente ci hanno contattato, abbiamo fatto domanda compilando moduli e ci è stata assegnata una cifra. Però ci sono dei problemi perché non sei aiutato nella gestione del contratto con l’assistente, in altri paesi ci sono delle agenzie alla pari che ti aiutano. Ci è stata data una scadenza: quindici giorni per trovare un’assistente, capire se andava bene per noi e farle un contratto a tempo indeterminato. Inoltre, questi sono contratti che offrono poche tutele al datore di lavoro, che però nel nostro caso specifico è la parte che riceve assistenza, quindi la più vulnerabile.
Elena: Adesso il fondo è stato raddoppiato ma devi tenere presente che il comitato marchigiano per la vita indipendente esiste da vent’anni, ma molti che usufruiscono dei progetti hanno attualmente un sostegno economico per solamente venti ore di assistenza settimanale mentre magari hanno bisogno di ventiquattr’ore al giorno, non alla settimana! Ovviamente ci sono anche le persone che non hanno famiglia e che stanno dentro alle strutture. Quello che colpisce è che sono pochissime le persone che possono avere la nostra libertà, in parte grazie ai fondi e in parte ai genitori, per libertà intendiamo uscire quando ci pare all’ora che ci pare…
Conoscete la Lega del filo d’oro? I suoi progetti sono molto visibili e noti a livello nazionale e internazionale sui temi della disabilità.
Chiara: Non li conosciamo nel dettaglio, ma non credo che parlino di assistenza personale. Oltre alla rete per la vita indipendente pochi parlano di assistenza personale. Hanno fatto parecchio le persone con la SLA che sono andate a Roma e hanno ottenuto molte cose, inizialmente solo per lo specifico delle persone con la SLA ma adesso stanno allargando il discorso alla disabilità in generale. Sono molto battaglieri ma non sempre ne condivido i toni che a volte sono un po’ pietistici, però almeno hanno ottenuto qualcosa.
Max Fanelli lo conoscevate?
Chiara: Sì, lo conoscevamo, non di persona ma conosciamo il suo attivismo. Ci sono ancora pochi attivisti disabili, ci sono ancora più che altro delle iniziative di raccolta fondi, spesso in toni pietistici. È importante cambiare la comunicazione sulla disabilità, in modo che non sia più una comunicazione fatta solo da genitori volonterosi e da professionisti, come medici, che parlano di disabilità. Ci sono ancora pochi attivisti disabili. È un po’ come andare a una conferenza sulla violenza sulle donne dove parlano solo uomini. Se magari parlasse qualche persona disabile non sarebbe male.
Voi, quindi, chiedete alle persone disabili di attivarsi?
Elena: Noi cerchiamo di coinvolgere con i passaparola le persone a scendere in piazza direttamente, ma se qualcuno ha poche ore di assistenza è difficile anche uscire per un pomeriggio. È anche per questa ragione che abbiamo deciso di non organizzare una manifestazione nazionale a Roma ma tante manifestazioni locali, così dovrebbe essere più semplice organizzarsi per partecipare anche per chi ha poche ore di assistenza.
Avete pensato ad andare nelle scuole? In spazi dove ci sono persone giovani?
Elena: Sicuramente è importante parlare, portare da loro questa nostra prospettiva. Sarebbe bello parlare nelle scuole perché là manca il discorso della giustizia sociale, si fanno soprattutto materie teoriche. Magari anche negli stessi circoli femministi non si parla di disabilità. Vogliamo slegarci dall’aspetto più triste di certe manifestazioni e vorremmo fare qualcosa di più allegro, come i pride, e farlo in più città contemporaneamente.
Chiara: Sul matrimonio tra persone dello stesso sesso l’opinione pubblica e la politica erano più preparate, mentre sulla disabilità siamo allo stato embrionale e dobbiamo scontrarci anche con gli interessi economici delle case di cura e delle cooperative di assistenza, perché alcune di loro sono contro l’assistenza personale autogestita.
Ho letto che una cooperativa parlava contro l’assistenza autogestita dicendo che sarebbe stata troppo gravosa da gestire e poi magari queste cooperative sono le stesse che sottopagano i propri lavoratori. C’è una rete ad Ancona di operatori sociali che parlano di queste cose: alcune cooperative si prendono il grosso dei fondi per la disabilità, gli operatori sono sfruttati e gli stessi utenti hanno poche ore di assistenza. A parità di fondi, se non ci fosse la cooperativa le persone avrebbero più ore di assistenza potendo assumere direttamente i propri assistenti. Ci dovrebbe per lo meno essere la scelta, se qualcuno non vuole affrontare la fatica dei contratti, oppure per le sostituzioni, è bene avere le cooperative ma adesso questo è il modello dominante. Molte cooperative danno assistenza solo di giorno, fino alle 20.00, e la sera stai a casa (tanto sei disabile!). Oppure gli assistenti per una questione di assicurazione non possono guidare la tua macchina e quindi non puoi muoverti, siccome spesso le auto sono attrezzate in modo particolare è essenziale che l’assistente guidi la tua macchina.
In generale, gli operatori che lavorano con la disabilità sono molto bistrattati, ne conosciamo molti che hanno avuto esperienze come lavoratori e sono gli ultimi, o quasi, non hanno il pieno controllo sulle proprie ferie, se la persona disabile sta male loro non lavorano e non vengono retribuiti.
Su quali iniziative state lavorando per l’autunno di quest’anno?
Elena: Noi vorremmo fare ogni tot mesi una manifestazione sincronizzata e cambiare un po’ ogni volta delle cose che colpiscano i media. Non vogliamo fare le solite manifestazioni sempre uguali ma anche qualche azione dimostrativa, su cui stiamo ragionando. Sicuramente vogliamo fare delle cose che colpiscano di più l’opinione pubblica, perché da parte dei media, come dicevamo, c’è molto disinteresse. L’idea è fare delle manifestazioni vivaci, con la musica, un po’ sull’esempio dei gay pride.