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Il regime carcerario 41-bis: tortura di Stato

L’anarchico Alfredo Cospito è da due mesi in sciopero della fame contro il regime di detenzione speciale 41-bis a cui è sottoposto. Anche altri/e anarchici/e detenuti stanno protestando con la stessa determinazione.

Il regime 41-bis è annientamento psicologico, è tortura di Stato e deve immediatamente cessare, per Alfredo e per tutti/e i detenuti che vi sono sottoposti/e, ad oggi oltre 700 (numero in costante incremento, anno dopo anno).

Qui di seguito un breve approfondimento sulle origini del 41-bis e su cosa prevede concretamente

Da dove arriva l’art. 41-bis?

Art. 41-bis dell’Ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354; modificata dalla legge 23 dicembre 2002, n. 279).

Introdotto dalla Legge Gozzini di riforma penitenziaria (663/1986), si componeva inizialmente di un solo comma che consentiva di sospendere le regole ordinarie di trattamento dei detenuti per fronteggiare situazioni di emergenza e ripristinare l’ordine e la sicurezza all’interno delle carceri.

Ha il suo antecedente nell’art. 90, applicato tra 1977 e 1985, prima nelle cosiddette “carceri speciali” poi anche altrove, in un periodo di forti movimenti sociali e di rivolte nelle carceri.

Subito dopo la strage mafiosa di Capaci (uccisione del giudice Falcone) il decreto legge 306/1992 (convertito in legge 356/1992) introduce il comma 2 dell’art. 41-bis, che colpisce il singolo detenuto per reati di mafia o terrorismo, aggravando le condizioni della pena e la sua sofferenza psicologica qualora vengano ravvisati “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva”.

La norma è dettata dalla necessità di interrompere le comunicazioni tra interno ed esterno del carcere, per far in modo che i capi delle organizzazioni mafiose e simili, a gestione gerarchica e verticistica, non potessero continuare a emanare i propri ordini anche da dietro le sbarre.

Nel 1992, il regime 41bis era stato introdotto in via temporanea, per tre anni, ma nel 1995 è stato rinnovato e così di nuovo nel 1999 e nel 2002, finché il Parlamento, su proposta della Commissione antimafia lo ha stabilizzato in maniera permanente. Come succede spesso, restrizioni introdotte in periodo di “emergenza” vengono socialmente assorbite e fatte accettare, fino a diventare ordinaria amministrazione.

Dal 1998 è introdotta la celebrazione dei processi in videoconferenza per evitare spostamenti di detenuti in regime 41bis, e quindi quel minimo di contatto sociale dovuto alla permanenza in altre carceri o nelle gabbie delle udienze.

Cosa prevede?

“I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria”.

Viene concesso un solo colloquio al mese, solo con familiari e convivente (in “casi eccezionali” con altri soggetti), senza contatti e con vetro divisorio “a tutta altezza” per impedire il passaggio di oggetti, sottoposto a “controllo auditivo ed a registrazione”; per chi non ne usufruisce è concesso “un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione”.

Viene applicata una limitazione “delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno”.

La corrispondenza in arrivo e in partenza è sottoposta a controllo e censura.

La permanenza all’aperto (da intendersi come: al di fuori della cella), “non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone”, con una durata non superiore a due ore al giorno. “Saranno inoltre adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità e scambiare oggetti”.

Sono vietate tutte quelle attività in comune che comportano una socializzazione tra detenuti.

Diverse circolari hanno introdotto restrizioni anche nella ricezione dall’esterno e nel possesso di libri, giornali e riviste, che vanno acquistate solamente attraverso la direzione penitenziaria; quasi impossibile ricevere la stampa quotidiana; il limite massimo di libri che si possono tenere in cella è cinque.

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