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Recensione a Carlo Cuppini, “Logout”, Marcos y Marcos, 2024

Di Luigi

«La libertà non è incoscienza. La libertà è dentro casa». Vi ricorda qualcosa?

Nella città di Sbafo, dove abita Luca – protagonista dodicenne di questo romanzo di Carlo Cuppini – non c’è nulla fuori posto. Anzi, non c’è proprio nulla fuori, perché i suoi abitanti non hanno né motivo né intenzione di uscire di casa. Troppe le insidie in agguato all’esterno. Le mura domestiche sono il Sesamo, che offre «serenità, salute, sicurezza, soluzioni», là fuori c’è il Baratro, costituito da «pericoli, incidenti, malattie, terroristi e imprevisti». E poi, dentro la casa ipertecnologica non manca davvero nulla. Le deserte strade di Sbafo, perfettamente allineate, sono percorse avanti e indietro da droni e furgoni robotici, che consegnano a domicilio tutto ciò di cui si può aver bisogno: la mega-azienda TuttoPer ha a cuore i suoi consumatori e può soddisfare in tempi rapidissimi qualsiasi necessità, basta un clic. Ancora: vi ricorda qualcosa?

Scorrendo le pagine di Logout tutto appare a prima vista così spiazzante, eppure è stato (è?, sarà?) realmente. Siamo passati in qualcosa di simile, non troppo tempo fa, anche se abbiamo la curiosa tendenza a scordarcelo.

La scuola di Luca, ad esempio, è sempre “didattica a distanza”. Anche se in Malsazia (lo stato di cui Sbafo è la capitale) non si chiama così ma è semplicemente la scuola tout court, perché essendo l’unica possibile modalità di didattica non ha più bisogno di ulteriori qualificazioni. È, insomma, la famigerata DAD che abbiamo conosciuto nel mondo reale, gestita dall’ente benefico Google, con i compagni di classe ridotti a quadratini incorniciati sullo schermo. Le materie in Malsazia, però, sono geniali: Statistica dei pericoli, Cautele per tutte le stagioni, Precetti generali di prevenzione.

Le attività sportive, manco a dirlo, si fanno da casa. Così come le gite sono viaggi in un altrove virtuale. Le fa Luca, con la sua famiglia, e le hanno disgraziatamente fatte molte classi scolastiche negli anni 2020 e 2021. Ci ricordiamo anche questo – vero? – anche se forse sarebbe più comodo rimuovere tale oscenità dalla memoria collettiva. Tra i principali promotori di quella nuova esperienza sensoriale si era distinta un’azienda con sede nella stessa città di origine dell’autore di Logout: la DIGIT srl di Urbino. Lo spin-off universitario non era nuovo allo sviluppo di soluzioni tecnologiche volte ad asservire la complessità umana alla fredda logica degli algoritmi (ce ne eravamo già occupati sulle pagine di questa Rivista parlando del loro progetto di credito sociale de noialtri: i WOM). La trovata gentilmente offerta alle scuole per organizzare gite in tutta sicurezza si chiamava CodyTrip e consisteva nel piazzare gli studenti davanti a un proiettore interattivo per simulare con loro ogni aspetto della giornata: dal viaggio in autobus, alla visita museale, al pernottamento in albergo. Non dimentichiamo, ma passiamo oltre.

Dicevamo del credito sociale: altra distopia contemporanea che Cuppini non manca di trasporre nel romanzo. È il Classifica Show, ovvero un giocoso sistema di disciplinamento che assegna o sottrae punti nella classifica della vita. Hai aiutato il tuo domobot a pulire le finestre? Più sette punti. Ti sei lavato male i denti? Meno tre punti. Fai acquisti in abbondanza scegliendo le merci giuste? Il tuo punteggio aumenta, guadagni reputazione e puoi scalare la classifica sociale. Alla fine dei conti, ci penserà l’Intelligenza artificiale ad assegnare a ciascuno il posto che merita nella società.

Nel mondo rovesciato non c’è bisogno di coercizione, non ci sono vigilanti che pattugliano le strade, perché tutto è stato introiettato così bene e così profondamente da aver azzerato anche l’immaginazione di possibili alternative e, pertanto, non resta che arrendersi felicemente allo stato di cose: difensori e vittime, allo stesso tempo, dell’organizzazione sociale.

Comfort potrebbe essere la parola chiave che caratterizza la popolazione di Sbafo, ma fuori dalla fiction è anche uno dei tratti peculiari della moderna umanità, perlomeno di quella del privilegio occidentale. Comodità, tranquillità ed esasperante sicurezza al prezzo della completa dipendenza dal macchinario e sia quel che sia se l’agio di pochi è insostenibile per il pianeta. Se il mondo di plastica e transistor della Malsazia può esistere e prosperare è perché ci sono schiere di lavoratori sottopagati (e anche qualcosa di peggio…) che ne reggono le fondamenta e c’è un altro paese, la Poverania, depredato di materie prime e forza lavoro. Intanto, nel mondo amministrato dalla tecnologia è sempre primavera, perfino fuor di metafora: in caso di maltempo le finestre-schermo della casa di Luca sostituiscono la visione non mediata dell’esterno con la sua riproduzione digitale ambientata in una bella giornata di sole.

La prima parte di Logout è questo incubo gentile, dove tutto è ordine e armonia. Il problema, l’incrinatura sulla superficie levigata, sono le scorie di umanità che si ostinano a minacciare la perfezione tecnica: «Io sono solo un essere umano» dice a un certo punto Luca, come a doversi scusare. Brandelli di umanità sono ancora presenti al di fuori di Sbafo, nel selvatico, là dove può capitare di imbattersi in «segni di vita vera», con il rischio di sbucciarsi le ginocchia. Per raggiungere questo residuo di mondo antico bisogna superare le alte mura del Quartiere Morto, che come il Muro Verde di Noi (Evgenij Zamjatin) divide il mondo della perfezione matematica dal regno dell’imprevisto, di qua il conformismo e la rassegnazione, di là il libero pensiero e la speranza.

La storia narrata in Logout rispecchia il nostro tempo di transizione. Sebbene l’innovazione tecnologica e digitale stia portando avanti a grande velocità una completa trasfigurazione del mondo e delle relazioni umane, la nostra generazione di mezzo conserva ancora il ricordo della vita analogica e ipotecnologica. Nel romanzo è un pallone da basket – ricordo del nonno ancora umano di Luca, quello strano tipo che acquistava cibo vero al mercato e non aveva l’erba sintetica sul prato di casa – a rappresentare il trait d’union tra i due mondi.

In ogni caso, dopo il coraggio di fare logout, di fronte a Luca si apre un mare di avventure, finalmente reali, che si susseguono per tutta la seconda parte del romanzo, dandogli ritmo, suspense e godibilità. Perché Logout non è per nulla un mattone distopico, ma una bella storia di ragazzi e d’amicizia, di scelte importanti e di una vita che va affrontata, anche a costo di rischiare qualcosa. Da leggere col fiato sospeso. Il finale è a sorpresa e non possiamo svelarlo, ma anticipiamo che è pieno di speranza. Aperto alla possibilità. Fa sorridere e riempie il cuore, che non guasta mai.

Logout è un libro per tutte le età – per ragazzi/e e per adulti – adatto a tutti e tutte. È una lettura simpatica, leggera, che però, a chi li vuol cogliere, offre senza forzature preziosi spunti per interrogarsi sul presente. Nello specifico, sollecita e fa risuonare le corde della nostra riflessione: è una buona lettura per noi che siamo contro il dominio della macchina e contro il sacro trasferito alla tecnica, noi che sappiamo che quel che nasce poi muore, noi che non crediamo che la natura sia fascista, che denunciamo il delirio di onnipotenza armato dai mezzi della tecnoscienza, che preferiamo il rischio nella libertà alla sicurezza nel controllo, per noi che – animali politici – stiamo dalla parte del vivente contro una confortevole artificializzazione che lo avvilisce e distrugge.

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