Intervento di Augusto De Sanctis
Qualche settimana fa si è tenuto a Jesi (AN) l’incontro pubblico “Ad alto rischio ambientale. L’impianto Edison di trattamento rifiuti pericolosi alla ZIPA” con l’intervento di Augusto De Sanctis, attivista ecologista e autore di pubblicazioni scientifiche in campo ambientale. De Sanctis ha presentato un’analisi critica del progetto, basata sulla documentazione ufficiale, mettendone in luce le profonde criticità ambientali, sanitarie e sociali. Un progetto che in nome di ben precisi interessi privati si vorrebbe imporre al territorio, in un’area prossima al centro cittadino e a quartieri ad alta densità abitativa. Fermarlo non è facile, ma necessario.
Conosciamo Edison. Noi l’abbiamo incontrata e battuta in una campagna storica, quella del sito inquinato di Bussi, in provincia di Pescara, uno dei siti più inquinati del mondo. Ci siamo occupati di quel sito a partire dal 2007 e abbiamo ottenuto l’individuazione di Edison come responsabile della contaminazione; ora non solo l’azienda deve procedere alla bonifica, ma c’è un procedimento in corso al tribunale civile, con in ballo un risarcimento danni da un miliardo e mezzo di euro. Quindi, quando ho saputo del progetto di una società del gruppo Edison qui a Jesi mi sono subito attivato e informato e, come sempre faccio, sono andato a vedere “le carte”, perché sulle carte bisogna intanto cominciare a discutere. Io sono un attivista da tanti anni, mi occupo molto di valutazioni di impatto ambientale. Allo stato attuale il progetto è in questa fase, una fase centrale che prevede la partecipazione del pubblico; chiunque può infatti proporre delle osservazioni, e ancor di più lo dovrebbero fare l’amministrazione di Jesi e quelle dei paesi limitrofi, perché chiariamo subito un concetto: questo è un progetto di scala nazionale (a mio avviso anche extranazionale) per la quantità di rifiuti che vogliono gestire e quindi, come minimo, l’attenzione deve essere alta in tutto il territorio della provincia.
Nel progetto vediamo le diverse linee di trattamento dei rifiuti per le quali viene chiesta l’autorizzazione. Sono in tutto sette. Come prima cosa, nell’impianto si andranno a trattare terreni e suoli contaminati – è la bonifica cosiddetta soil washing – per 110 mila tonnellate all’anno. Una parte di queste 110 mila (ma non è specificato quanta parte) sono rifiuti contenenti amianto e questa è una delle cose che mi ha suscitato maggiore preoccupazione. È previsto poi il trattamento di altri materiali solidi e una parte consistente di rifiuti liquidi, per 175 mila tonnellate all’anno. E poi ci sono le altre linee, con minori quantità, che portano il totale a varie centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti ogni anno.
Edison ci tiene a sottolineare che a prescindere dai quantitativi autorizzati si impegna a gestire “solo” mille tonnellate al giorno, benché l’impianto che vogliono costruire abbia potenzialità per duemila tonnellate al giorno. In pratica affermano di volersi autolimitare e questo è un fatto piuttosto particolare dal punto di vista economico… quale imprenditore, per scelta, fa andare un’azienda a metà dei ritmi di produzione? Diciamo che ci crediamo, poi però è anche lecito pensare che se uno ha un impianto che può macinare il doppio, magari fra qualche anno, dopo una variante al progetto, arriverà a quel livello. Io seguo progetti in tutta Italia e queste sono cose che accadono quotidianamente. Non voglio fare il processo alle intenzioni di Edison, ma solo far presente che questa possibilità, a vedere quel che succede in giro, non è così remota.
Un altro documento fondamentale è quello che contiene i codici dei rifiuti in ingresso. Nella mia esperienza, ormai decennale, è la prima volta che vedo un documento di questo tipo, quindi un elenco di codici, che arriva a cento pagine: vuol dire che qui davvero possono accogliere l’universo mondo… In sostanza gestiranno tutti i tipi di rifiuti, forse mancano solo quelli radioattivi. Questo già la dice lunga, perché più rifiuti si devono trattare più l’azienda si deve attrezzare, ma anche gli enti pubblici chiamati a controllare devono essere pronti a muoversi su tanti fronti. Quindi più si amplia il ventaglio, più il progetto diventa estremamente complesso anche da monitorare.
Leggiamo dal documento di Edison: «i processi di lavaggio sono idonei in particolare per terreni contaminati da metalli pesanti, da idrocarburi petroliferi alifatici e aromatici, amianto e solventi organoclorurati […]». In pratica intendono lavare i rifiuti solidi con procedimenti sia chimici che fisici, togliere i contaminanti e recuperare quello che rimane, mandandolo ad esempio alla filiera dell’edilizia. Per quanto riguarda i liquidi c’è un lungo elenco di rifiuti speciali conferibili all’impianto: «industria tessile, farmaceutica, cosmetica, chimica, portuale, petrolchimica, meccanica, conciaria, aziende galvaniche e della lavorazione dei metalli, macelli, lavanderie industriali, tintorie, stamperie, industria del legno, industria dei detersivi, perforazioni, attività di bonifica, ecc.». Hanno aggiunto anche l’“eccetera”; io non so se ci siano altri comparti produttivi che producono rifiuti liquidi non citati in questo elenco, ma insomma pare siano tutti.
Nei documenti è anche bene leggere tra le righe perché si trovano quelle che possiamo definire “ipocrisie”, per indorare un po’ la pillola. Viene detto che questo trattamento depurativo dei rifiuti liquidi è concepito per consentire, in via prioritaria, il riutilizzo dei reflui – questo è l’aspetto “nobile” – e in via secondaria è prevista la reimmissione delle acque reflue di risulta «nel ciclo naturale della risorsa idrica». Ma allora scrivete «nel fiume» e facciamo prima, perché è là che vanno a finire. Tutte le aziende scaricano, sia chiaro, secondo le tabelle di legge, in fognatura e da qui vanno al depuratore; da lì al fiume. Ma bisogna anche avere l’onestà di essere chiari con le parole.
C’è un altro aspetto che dovrebbe essere approfondito meglio nella documentazione: la miscelazione dei rifiuti. In generale, in Italia e in Europa, la miscelazione dei rifiuti è vietata, perché in passato è stato spesso il modo per diluire le concentrazioni di alcuni contaminanti e così, senza trattarli, abbassare il tenore degli inquinanti. Questo è successo in passato. Oggi c’è il divieto, che però prevede delle deroghe, ed Edison chiede di poterle applicare. Nei documenti che ho visto a mio avviso non è così ben specificato fin dove venga spinta questa miscelazione, trattando in maniera generica intere classi di sostanze e non le singole. Per quello che ho letto ho qualche dubbio anche su questo aspetto.
Un altro aspetto, forse non gravissimo, mi ha colpito. Edison, giacché ci siamo, prevede di attivare anche una filiera di lavaggio delle autobotti che non conferiscono nel nostro impianto, ma che scaricano altrove e poi vengono qui per trattare i residui rimasti dentro l’autobotte sporca. Una cosa che, come minimo, aumenta il traffico di autobotti avanti e indietro.
Veniamo alle emissioni. L’impianto ha degli input, cioè entrano dei materiali, ma visto che “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, avrà necessariamente delle emissioni che sono sia i materiali recuperati, sia altre cose che vanno nelle varie matrici ambientali: in primo luogo le emissioni in atmosfera. L’impianto prevede diversi camini che rilasciano residui gassosi delle lavorazioni, i principali sono due: E1 in cui vanno quasi tutte le linee ed E2 dove va la linea dell’amianto. Che ci saranno degli inquinanti rilasciati in atmosfera è chiaro, è fuori discussione che questo territorio conoscerà un aggravio degli inquinanti presenti nell’aria. Edison li ha quantificati. Per il camino E1 si parla di 1 kg e mezzo all’ora di ammoniaca (su 365 giorni l’anno h24), 0,4 kg/ora di acido cloridrico, 0,4 kg/ora di polveri, 1,5 kg/ora di composti organici volatici. Per il camino E2, quello dell’amianto, sono previste emissioni di polveri, diciamo poche, 50 grammi/ora, e anche un po’ di fibre di amianto (2 fibre/millilitro)… Edison tralascia inoltre di affrontare altri problemi. Ad esempio, se si immette ammoniaca in atmosfera si formano anche polveri secondarie, perché quello che c’è nell’aria interagisce con le emissioni. Anche queste polveri secondarie andrebbero valutate, cosa che non si fa in questo progetto (o almeno, io non l’ho trovato).
Ci sono poi diversi, ulteriori aspetti da considerare: l’energia termica fornita all’impianto da due caldaie a metano, che bruciano fossile con le relative emissioni, soprattutto di ossido di azoto; lo scarico in fognatura, di una portata significativa per un fiume le cui condizioni già non sono ottimali; le emissioni di rifiuti in uscita, cioè di tutto quello che non si riesce a decontaminare, stimati in 50 mila tonnellate; il traffico di mezzi pesanti che si aggirerà intorno ai 16 mila passaggi per anno, più altri 6 mila e cinquecento di mezzi commerciali leggeri.
Non dimentichiamo che ci troviamo in un’area definita, già nel 2000, «a forte rischio ambientale». Nel 2004 è stata fatta una legge apposita, che norma queste aree e pone l’obiettivo del risanamento, in capo agli enti pubblici, in primis la provincia. Quest’ultima dovrebbe aggiornare il piano e individuare le misure urgenti per rimuovere le situazioni di rischio. Sono passati vent’anni… ormai fa un po’ ridere. Ma il fatto è che la provincia dovrebbe preoccuparsi di bonificare questo territorio dai problemi che già ci sono, non intanto autorizzare Edison. Abbiamo bisogno di ridurre le emissioni inquinanti, non di aumentarle. Tra l’altro anche il fiume Esino è fuori dai parametri previsti dall’Unione Europea in base ai quali, entro il 2015, tutti i fiumi sarebbero dovuti rientrate in uno stato definito “buono”. I rilievi dell’ARPAM hanno potuto assegnare all’Esino solo lo status di “sufficiente”, che non è una buona notizia, vuol dire che non rispetta i parametri di qualità europei.
C’è poi il Piano della qualità dell’aria: quello della Regione Marche è fermo al 2006. In Italia ogni anno muoiono 80 mila persone per le polveri e altri inquinanti; non lo dico io ma ci sono le statistiche e gli studi. Non si scherza su queste cose. Il piano marchigiano, vergognosamente rimasto al 2006, indicava questo territorio come una “zona rossa”, perché c’è la raffineria di Falconara, un fondovalle con forte traffico, industrie già esistenti e così via. La stessa Edison parla di «zone caratterizzate anche da altri notevoli squilibri ambientali».
Prendiamo il valore delle polveri ultrasottili (molto pericolose per la salute) rilevato dalle centraline. La media annua è 16. Quindi dentro gli obiettivi europei che stabiliscono un valore di 25. Peccato che già da decenni l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) abbia detto che i valori dell’Unione Europa non salvaguardano la salute umana e fissano il limite tollerabile a 5 (e anche l’Unione Europea, negli ultimi mesi, sta rivedendo al ribasso i valori limite). Quindi Jesi, con i valori registrati, è tre volte superiore agli obiettivi dell’OMS. Detto in altri termini: con i valori che ha Jesi, ci sono problemi di salute. La cosa assurda è che Edison scrive: grazie ai nostri procedimenti tecnici, alle precauzioni che prenderemo per il traffico veicolare, non ci sarà contrasto con gli obiettivi previsti dal piano di risanamento dell’aria. Cioè: loro stessi ammettono che aumenteranno le polveri sottili immesse in atmosfera, aumenteranno il traffico, e poi sostengono una compatibilità con gli obiettivi di risanamento della qualità dell’aria… Non è possibile! È una frase priva di senso.
Nel frattempo questo territorio, le Marche, ha visto crescere il numero di siti in procedura di bonifica, potenzialmente contaminati o addirittura già inquinati. Ci sono 1.110 siti contaminati. Per il territorio di Jesi l’elenco ufficiale della regione Marche è lungo tre pagine: siti dove sono stati rilevati valori, o nei terreni o nelle acque, superiori alle soglie stabilite, che quindi imporrebbero l’avvio di un procedimento di bonifica. La cosa incredibile è che il sito dove vogliono fare l’impianto Edison ha già le acque di falda con concentrazioni di tetracloroetilene, un cancerogeno, oltre i limiti di legge (Edison sostiene non esserne responsabile). Sarebbe logico pensare come prima cosa a sistemare questi danni, a riportare tutto almeno nei limiti, perché chi abita qui ha il diritto di vivere in un posto non inquinato, che non l’ammazzi.
Dopo tutto ciò, dopo che molte di queste cose le ammette anche Edison, come affronta il problema? Sostenendo che il piano di risanamento ambientale ha cessato di essere vigente nel 2015 (visto che restava in vigore per dieci anni): «pertanto il fattore di tutela non risulta ostativo alla realizzazione dell’impianto». Un capolavoro: visto che la provincia non ha rinnovato il piano, è lei a essere inadempiente, mica Edison, e quindi si può fare l’impianto non perché la situazione sia migliorata, ma perché nonostante sia tutto inquinato, non c’è più il piano… e va tutto in cavalleria.
Due parole sull’amianto sono doverose. Se non altro per la storia tragica che si porta dietro. Che bisogni smaltirlo è un fatto. Ma gli impianti devono essere pubblici, come ha detto anche il presidente degli esposti all’amianto di Casale Monferrato, che hanno vissuto il problema sulla loro pelle. Edison ha scelto il trattamento con idrossido di sodio: il materiale viene sottoposto a un trattamento chimico che trasforma l’amianto in silicati e lo rende inoffensivo. Io non sono un ingegnere chimico ma so cercarmi le informazioni scientifiche sulle riviste internazionali, e ho trovato solo ricerche che sottolineano i “limiti”, se non i veri e propri problemi, di questo tipo di trattamento dell’amianto. È un trattamento che interessa la superficie ma non le fibre interne; un trattamento sperimentale che non ha ancora applicazione su impianti di larga scala. E tutta una serie di problematiche. Inoltre Edison, dopo aver ammesso che un certo residuo di amianto viene rilasciato dal camino E2, non ne prevede il monitoraggio negli anni successivi nell’aria circostante l’impianto. Diciamo che mi sembra un po’ una “caduta di stile” non inserire l’amianto nel piano di monitoraggio.
E gli enti, che finora hanno dimostrato di essere stati inadempienti nel tutelare la salute di questo territorio, saranno capaci di controllare un impianto di questo genere? Qualche dubbio a me viene. Già un anno fa sono stati chiamati a dare una valutazione preliminare, nella fase che precede la valutazione di impatto ambientale e il dibattito pubblico: il Comune di Jesi non ha rilevato nulla di quello che vi ho raccontato; la ASL ha un servizio di prevenzione che sinceramente è del tutto inutile, non dice niente; la provincia, in base a questi pareri, ha emesso un sostanziale via libera. Certo, è tutto previsto dalla legge, ma c’è modo e modo di fare le cose, nel rispetto della popolazione che ha il diritto di conoscere quello che può avvenire nel territorio in cui vive.