Vai al contenuto

Mio padre è troppo palestinese

Intervista di Maria Laura Belloni a Sophie

Prosegue la nostra rubrica iniziata quest’anno, dove raccontiamo pezzi di vita e storie di accoglienza. Il tentativo non è solo di capire realmente come funziona, ascoltando le esperienze di chi ci lavora o vive il sistema dell’accoglienza, ma anche vedere come si sta “dall’altra parte”. Dunque, riprenderci quell’umanità che quotidianamente vediamo sgretolarsi ogni qualvolta tentano di disumanizzare il “nemico” di turno. In questo numero vi raccontiamo la storia di una ragazza palestinese. Nonostante il nome dei personaggi e di alcuni luoghi – che riprendono la storia del Castello errante di Howl di Hayao Miyazaki – i fatti raccontati sono tutti realmente accaduti. Così come il nostro incontro, di cui abbiamo fatto tesoro. La storia si dipana tra l’Italia e la sua città di origine. Una città della Valle desolata, con una fontana al centro. Dunque, c’era una volta…

…il Castello di Howl, dove mi ritrovai in compagnia di Calcifer e di Rapa, in un pomeriggio soleggiato di marzo. Ai suoi piedi, vidi Sophie: capelli color caffè e due occhi grandi, luminosi, da perdercisi dentro. Così radiosi che non li immagineresti – molte parole dopo – carichi di rabbia e lacrime mentre ci racconta la storia della sua famiglia e dei giorni trascorsi nel suo paese. Al collo, una Palestina color d’oro. Piacere di conoscerti, cosa fai nella vita, ti piace stare qui… qualche domanda per rompere il ghiaccio mentre ci fumiamo una sigaretta, ai piedi del castello. La porta si apre, le scale si mostrano e noi entriamo.

Fotografia di @un_periodista_independiente

Se vuoi raccontami di te, della tua famiglia, da quanti anni e perché sei qui…

Sono venuta qui per studiare, solo perché non volevo studiare in Israele. Ci sono tantissimi studenti della Palestina che vogliono studiare fuori e c’è tantissimi che conosco qui in Italia, per la maggior parte fanno Medicina o Architettura. Non so perché l’Italia, ma conosco tantissimi studenti che studiano o in Germania o in Italia…il tedesco è un po’ più difficile dell’italiano; quindi, l’Italia per me era una buona scelta

E come mai hai scelto questa città?

Io volevo fare Medicina prima, infatti ho fatto un po’ di giri, ho studiato lingua qui in Italia perché di solito studiamo lingua in Israele, ma dobbiamo poi fare la certificazione in un collegio in Italia; ho studiato per tre mesi Verona, poi un mese a Perugia, poi ho vissuto in Ancona per fare il TOLC MED, l’esame di medicina, e dopo sono stata idonea ma c’erano solo dieci posti per stranieri, io ero dodici e non volevo perdere un altro anno, così ho fatto Farmacia perché se voglio fare il trasferimento l’anno prossimo posso farlo. La mia famiglia è ancora in Palestina, vivo qui da sola.

Quanti anni hai?

Venti, quest’anno ventuno. La prima volta sono arrivata a dicembre 2021, ma sono tornata tante volte.

La tua famiglia, dicevi, si trova ancora in Palestina…

Sì. Ho un fratello di diciotto anni e una piccola sorella, cinque anni.

Come mai ti sei avvicinata alla realtà e alle persone che ruotano attorno al Castello errante?

Ho visto un poster del film Israelism, fuori della mia facoltà, attaccato al bidone della spazzatura, ho fatto una foto che ho mandato alla mia famiglia; ho visto the flag of Palestine, quindi ho parlato con i miei amici, ho qui un’amica tunisina e… volevo vedere. Poi ho conosciuto un’altra ragazza palestinese e dopo ho parlato con Rapa, ho seguito l’Instagram del Castello e poi ho visto che c’era anche una manifestazione pro-Palestina, in una città qui vicino, a cui sono andata… e poi siamo qua.

Quando hai deciso di partire per l’Italia, i tuoi cosa ti hanno detto?

Sono l’unica figlia che vuole vivere fuori. Mio fratello no. Sempre lui dice che mai vuole vivere fuori. Mai. Io invece sento che non sono comoda lì, che non sto bene lì, questo perché volevo studiare fuori. Mio padre anche voleva vivere fuori, una volta voleva vivere in Norway, ma dopo lui ha detto: no, perché era una decisione troppo difficile.

Loro sono molto felici che io studio qui e che parlo italiano. Prima per me era molto più difficile parlare, capisco tutto ma parlo poco perché tutti i miei amici sono arabi, quindi ho sempre praticato l’arabo qui in Italia. L’italiano è la mia quinta lingua…

Quante lingue conosci?

L’arabo, l’ebraico – unfortunatly – inglese, turco e italiano. Il nonno di mio padre he run away from Turchia.

Nella città della Valle desolata, sei andata a scuola, ma hai anche lavorato o fatto qualcos’altro?

Da noi la scuola non è come in Italia, da noi sono dodici anni, finisci a diciassette-diciotto, un anno in meno. Ho lavorato come cameriera, e ho lavorato da Zara, il negozio di vestiti.

E anche canto e sono un’attrice, ho fatto tante cose nella mia città, sono un po’ famosa perché ho fatto il mio primo album quando avevo sei anni… con una canzone molto famosa e tre canzoni che sono scritte per me, dal mio insegnante. I soldi che avevo i donated per bambini con cancro.

Di questo periodo, di questi giorni, che ti racconta la tua famiglia?

La mia famiglia anche se c’è un problema non dicono niente, perché non vogliono che io mi preoccupi. Mia mamma sempre mi dice studia e questa è l’unica cosa che mi fa felice. Anche non possono dire tante cose perché il governo israeliano può controllare tutto, non possiamo mandare messaggi e anche nella chiamata è sempre pericoloso. In questo periodo ci sono tanti dottori e dottoresse che non stanno lì, non lavorano più perché hanno pubblicato nelle stories [IG] qualcosa su Gaza. È sempre pericoloso. Perché ci sono tantissimi, anche bambini, che sono in jail e non c’è una vera ragione. Io ho vissuto lì per tutta la mia vita quindi posso capire come funzionano le cose.

Ci vuoi raccontare com’era la tua vita negli anni che hai vissuto là?

Nella mia città non c’è tanti ebrei. Ci sono in città più vicina, ma non viviamo insieme. Quindi lì ci sono solo cristiani e musulmani insieme.

E com’è la convivenza?

Siamo troppo tranquilli, per esempio adesso facciamo Ramadan, quindi non possiamo assaggiare se c’è troppo sale, quindi lo chiediamo a qualcuno che è cristiano… Non sentiamo che sei musulmano o cristiano, io per esempio ho fatto scuola cristiana, ho studiato religione cristiana, ma non abbiamo razzismo tra cristiani e musulmani, siamo sempre insieme. Come palestinesi, per vivere in Israele (non solo nella mia città ma in tutta la Palestina) non siamo comodi. Per esempio volevo fare il visto di studio per venire qui in Italia, all’ambasciata Tel Aviv, sono andata lì col treno e poi con l’autobus con mia mamma e non posso dimenticare questo: lei mi ha detto di non parlare l’arabo, perché ci sono nel bus tanti soldati e a uno stop dell’autobus una donna è entrata e cantava in ebraico “Viva Israele” e ballava coi soldati nell’autobus. Avevamo un po’ paura e quindi io e mia mamma parlavamo ebraico. Questo è solo un esempio di come viviamo.

Perché anche i tuoi parlano ebraico?

Tutti i palestinesi parlano ebraico, a scuola è obbligatorio. Anche se fai il cameriere hai clienti ebrei. Per vivere devi saperlo.

A te che hai fatto la cameriera ti sarà capitato di avere clienti ebrei? Com’è il rapporto in quei casi?

Loro sono nella nostra città, quindi non possono fare… qualcosa. Ci sono tantissimi turisti ebrei nella mia città. Anche perché noi abbiamo bel cibo. Io però sempre ho praticato a parlare l’accento degli ebrei, per non far capire che sono araba se parlo con loro. Per esempio loro hanno la lettera ar ma non sanno pronunciarla e pronunciano rr, e io ho imparato il loro accento. E poi non sembro araba, perché sono bianca. Ho sempre detto che sono fortunata. Perché loro sembrano aver paura a parlare con gli arabi, perché forse sono cresciuti che noi vogliamo uccidere loro, ma noi siamo tranquilli, non siamo così; loro hanno tutto, hanno l’armi, hanno guns, noi non abbiamo niente quindi non so perché loro hanno paura di noi. Perché anche se non ho fatto niente, l’ebrei ha paura e allora me arrestano, perché forse per loro ho fatto qualcosa, non lo so. La vita di un palestinese è difficile. E la mia famiglia tutta è troppo palestinese. Mio padre specialmente è troppo palestinese.

Cosa intendi per troppo palestinese?

Sì, orgoglioso. Per esempio mio padre non ascolta musica ebraica, mai. Lui lavora con loro ogni giorno. Io ho il passaporto israeliano. Sono palestinese ma ho passaporto israeliano. Quando viaggio fuori… “di dove sei?”: Israele, non posso dire Palestina perché ho passaporto israeliano, quindi siamo sempre confusi. E se dico Palestina c’è gente che chiede: dov’è? Eh… tra il Libano e l’Egitto. Siamo sempre confusi.

E allora quando ero piccola non volevo essere confusa, e dicevo sempre sono israeliana. Anche perché non capivo di politica, di come funzionano le cose. Mio padre mi diceva: se così vuoi, va bene, forse quando sarai più grande, capirai e cambierai. Io gli dicevo: no, non penso, io non voglio questa confusion… però ho vissuto tante cose e a un certo punto ho detto: sono palestinese!

Mio padre ogni tanto he reminds me of what I said before… “sei israeliana?”. No, scusami tantissimo, no, non sono israeliana!

Voglio dire che anche se mio padre, come ho detto, è troppo palestinese, quando dicevo che ero israeliana lui mai mi ha detto: no, siamo palestinesi, devi odiare gli ebrei, noi non siamo come loro. No. Mai detto. E invece gli ebrei sono cresciuti per odiare noi. Per esempio se un ragazzo dice che è con la Palestina lui è fuori… loro crescono per odiare noi, puoi vedere tantissimi giovani e bambini che dicono una frase in ebraico […] che tradotta è “morte agli arabi”. Noi cresciamo con l’amore.

E tuo fratello diceva come te?

No, lui ha sempre detto che è palestinese, da subito.

C’è stato qualcosa, un momento preciso in cui hai cambiato idea?

Sì. Finché segui i media israeliano non puoi capire. Loro vogliono la perfect image of Israel, ma poi ho visto altri media, come Al Jazeera. E poi ti rendi conto che sono troppo razzisti, per esempio se vuoi entrare all’Università con gli stessi punti degli ebrei loro sempre preferiscono gli ebrei agli arabi, perché sono ebrei. C’è una regola: loro non vogliono che l’arabo sia una lingua obbligatoria nel paese, quindi, per esempio in strada loro hanno cancellato in tutti i cartelli l’arabo…Ma perché? Hai paura dell’arabo? È una lingua troppo bella, così ricca. Per “leone” abbiamo più di cento parole. E ci sono nonni che non capiscono l’inglese o l’ebraico… per strada come possono capire dove sono se non possono leggere i cartelli?

Poi c’è stato un episodio particolare. C’era una manifestazione in un’altra città della Valle desolata (dove la gente non può uscire di casa perché, se escono, quando ritornano trovano gente che vive lì, nelle loro case… it happened a lot). Erano tre-quattro anni fa, andavo a scuola. Io sono andata a quella manifestazione perché era vicino a casa di mia nonna. Noi non possiamo fare troppe manifestazioni (e adesso non ce n’è una, dal 7 ottobre non c’è una manifestazione araba, perché loro uccidono subito). Quindi ero andata lì e loro hanno lanciato il gas lacrimogeno. Io già sapevo come posso… how to grap the gas and put something on head so that people don’t cry, il nostro childhood è così, impari come puoi resistere… Quando sono venuta in Italia mi sono resa conto che quella non è la normalità. Non penso che una bambina debba sapere che la cipolla ti aiuta a non sentire il gas…

Nelle manifestazioni, anche in quella nella via della mia nonna, ci sono sempre più ragazzi che ragazze perché sempre arriva… non l’army ma un’altra cosa, tipo la polizia, e sempre c’è violenza nelle manifestazioni. My job era mandare cipolla per tutti.

Noi sapevamo il limone…

Ma anche la cipolla, funziona di più…

E comunque ogni volta loro vengono, loro controllano le camere di tutti i ragazzi che sono lì, vanno a casa a prenderli.

A te è successo?

A me è successo qualcos’altro. In quella manifestazione I was escaping, volevo scappare a casa della mia nonna, and soldati they grap me e a quel momento ho pensato: io vado a jail, in prigione, ma ci sono ragazzi della via della mia nonna che hanno visto and they help me escape. Poi “loro” looking for the people who were at the manifestazione, cercavano… io ero a casa della mia nonna e “loro” hanno pensato che ci erano tanti ragazzi in questa casa, quindi “loro” hanno lanciato una bomba di gas dentro casa, con mio nonno e mia nonna, che hanno malattia… mia nonna è forse cento chilogrammi, io volevo solo portarla fuori, anche mio nonno, ma senza farmi vedere perché “loro” mi avevano già visto e mi avrebbero riconosciuto.

Volevo capire come è il rapporto tra bambini palestinesi ed ebrei

Sì, guarda, mio padre lavora con tanti ebrei, lui ha anche amici che sono ebrei. Quando ero piccola andavamo qualche volta anche da loro. Ma non tante volte. Io non dico che odio gli ebrei. Ci sono ebrei che sono bravi, che non odiano gli arabi, ma non sono la maggior parte. Quindi devi sempre capire con chi hai a che fare. Ci sono molte famiglie tranquille, che sono anche contro il governo (non sono la maggior parte), ma anche loro vogliano Israele, solo sono contro il governo, contro Netanyahu, ma non sono contro l’occupazione. Sono un po’ più tranquilli degli altri.

Quei bambini che ho conosciuto non erano così. Eravamo troppo bambini. Giocavamo. Non parliamo di politica. Poi, alla scuola superiore c’è stato un Camp, noi andiamo con un’altra scuola di ebrei e parliamo di politica, per capire come possiamo vivere insieme. Io ho raccontato l’episodio della manifestazione mi sono anche messa a piangere e loro: carina, scusa, forse sarà meglio dopo… ma avevo un’amica che era di questo Camp con cui parlavo e lei adesso è nell’esercito… Loro devono andare nell’esercito…

Io poi non sono tanto abituata a parlare di queste cose, questa forse è la prima volta che parlo di queste cose con qualcuno.

Ho visto qualche giorno fa un servizio, in televisione, in cui facevano vedere delle associazioni, dei gruppi di ex militari o comunque di ebrei che fanno delle attività per cercare di limitare l’occupazione israeliana sui territori palestinesi, e raccontavano come loro hanno deciso di andare via dall’esercito perché troppo violento verso i palestinesi…

Ci sono delle persone che fanno per esempio lavoro in ospedale, o nella polizia, ma senza essere pagati, o pagati pochissimo. È un’alternativa per non andare nell’esercito. Ma non tutti possono fare questa cosa, devi dimostrare che hai malattia o che non puoi…. Ci sono anche arabi, pochi, che fanno questa cosa perché poi paghi meno l’autobus, l’università.

Un servizio civile in pratica…

Sì, ma io non l’ho fatto

Nella quotidianità, nella tua città, c’è l’esercito in strada?

No, non nella mia città. A Jenin sono troppi, a Gerusalemme troppi, a Tel Aviv… C’è la polizia ma i soldati non ci sono in tutte le città.

Adesso che sei qui in Italia, che sei stata ad alcune manifestazioni, che in alcuni spazi vedi esposte le bandiere palestinesi… come percepisci tutto questo? A noi sembra sempre troppo poco quello che riusciamo a fare di fronte a quello che sta succedendo…

A me mancava questa cosa, perché adesso in Palestina non c’è nessuna manifestazione. Qui vedo le bandiere e le scritte Palestina libera, troppo felice. Nella manifestazione hanno fatto una canzone in arabo che dice: dove sono i milioni, dov’è la popolazione araba, dove sono? Ho pianto per questa canzone. Sono in Italia con gli italiani fare questa manifestazione, ma nei paesi arabi non ci sono. Quindi: dove sono gli arabi? Non vedi in nessun paese arabo manifestazioni. Forse le popolazioni sono con la Palestina ma i governi no e non possono manifestare. A Roma si vede tanti marocchini, tanti tunisini con la kefiah, con flag of Palestine, ma perché non fanno le manifestazioni anche ai loro paesi…? Forse loro hanno paura, non lo so.

E tu hai paura, per te o per la tua famiglia?

Per la mia famiglia, certo. Perché loro sono lì… è sempre troppo pericoloso vivere lì. Non puoi sapere se oggi vivi o muori. Per esempio adesso c’è il Ramadan, dobbiamo pregare in moschea; c’è la moschea di al-Aqsa che per noi è molto importante e adesso loro controllano chi entra e chi esce, in questo mese solo la gente di più di settanta anni può entrare. A Gerusalemme. Ma per noi il Ramadan è un mese di pace, un mese di forgiveness, un mese troppo tranquillo, più vicino a Dio. Sono “loro” che fanno casino, gli ebrei molto religiosi entrano con le sheeps, le pecore, e fanno casino dentro al-Aqsa. E non puoi dire niente, se reagiamo siamo terroristi. Quindi noi cresciamo con questa violenza, con questa rabbia.

E tua sorella piccola?

Lei canta sempre canzoni palestinesi. Lei è palestinese.

Cosa pensi del futuro?

Sempre mi chiedono se voglio tornare lì quando sono laureata. Non lo so. La cosa più importante per me è la mia famiglia e allora forse torno perché loro sono lì, ma sono più comoda qui in Italia. Per vivere. Quando mi sveglio non penso se oggi sono vivo o morto.

E provi a dire alla tua famiglia di venire qui?

Ci provo, ma mio padre e soprattutto mio fratello, non vogliono. Troppo palestinesi. Ma non penso che lui può vivere qui, è altra cultura, altra vita.

Penso che questa intervista la intitoleremo “mio padre è troppo palestinese”

Ma sai perché mio padre è troppo palestinese? Una volta con un altro uomo, un amico, erano in strada che c’era un casino, una cosa di Palestina…, e un soldato voleva uccidere mio padre. Mio padre era con questo uomo, questo amico, lui ha fatto così davanti a mio padre e lui è morto.

In chiusura, vuoi dire qualcosa sul 7 ottobre?

Non inizia il 7 ottobre. Inizia tanti anni fa. Anche prima del ‘48. Io non sopporto violenza, non sopporto uccidere. Ma questa è una cosa di resistenza e non di terrorismo. Non hanno nessun gruppo di resistenza, solo Hamas. Io non sono con Hamas, non sono il miglior gruppo di resistenza, ma a Gaza non hanno altre opzioni. Non sono con Hamas, ma non sono contro. Come in fisica si dice non c’è azione senza reazione; il 7 ottobre è una reazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *