di Collettivo transfemminista Ortica
[da Rivista Malamente, n. 34, ottobre 2024. QUI IL PDF]
Tu chiamali se vuoi… consultori
Mi ritrovo con alcune compagne del collettivo transfemminista a spartire volantini per un presidio indetto, il pomeriggio stesso, davanti al consultorio della nostra città. Lo slogan recita: «ci volete in mille pezzi… ci avrete unit3 in mille piazze! Ci riprendiamo i consultori e molto di più».
«Ma cos’è un consultorio?» mi chiede una ragazza a cui ho appena distribuito il volantino. La domanda non era banale: cos’è un consultorio, o meglio, cos’è sulla carta un consultorio e cosa nella realtà?
I consultori nascono nel 1975, con la legge 405, a seguito delle battaglie femministe e della successiva riforma del diritto di famiglia, come spazio libero e di autodeterminazione di ogni soggettività. A dispetto del nome – consultori familiari – vengono istituiti sotto il segno della prevenzione e della cura della persona. Stando alla legislazione in vigore, sono posti gratuiti, laici e liberi da qualsivoglia implicazione religiosa o statale, in cui l’approccio alla salute avviene olisticamente, secondo caratteri di multidisciplinarietà e integrazione con gli altri servizi presenti territorialmente. Ecco perché dentro ai consultori è possibile trovare mediche, ostetriche, ginecologhe, psicologhe, assistenti sociali e figure consulenziali quali sessuologa, sociologa, legale, androloga, neuropsichiatra infantile.
Eppure…
I consultori sono oggi ridotti all’osso, spenti. Sebbene anche agli inizi soffrissero di carenze significative, più o meno diffuse fra le varie regioni, negli anni si è assistito a un progressivo svuotamento del loro ruolo, arrivando perfino alla chiusura, a volte mascherata da accorpamenti di strutture. E oltre l’aspetto quantitativo, i problemi emergono circa la concreta operatività di queste strutture, che spesso si trovano a lavorare in condizioni emergenziali. La mancanza di organico e di figure specialistiche fa sì che in molti consultori non sia possibile avere la certificazione per l’IVG (interruzione volontaria di gravidanza), piuttosto che lo svolgimento della necessaria attività di prevenzione e di promozione della salute o il supporto e l’assistenza psicologica per famiglie, soggetti fragili o chi vive con difficoltà la propria sessualità. Di fatto si nega la concreta applicazione di una legge che, su carta, esiste già. La violenza patriarcale è entrata anche lì. In quei luoghi pensati sicuri e accessibili, femministi e solidali.
La minaccia dei consultori: lo stato e la chiesa alias anti-abortisti
I compiti previsti dalla legge 405 (assistenza psicologica alla maternità, alla paternità e alla coppia, procreazione responsabile, tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento, prevenzione delle gravidanze indesiderate) vengono ampliati con la legge 194 che, nel 1978, depenalizza l’interruzione di gravidanza e rende i consultori luoghi sempre più frequentati e accessibili.
Il 2024, seppur non ancora concluso, ha già mostrato di saper imprimere una notevole svolta per l’autodeterminazione di ogni soggettività. Per la prima volta, nel marzo di quest’anno, in Francia il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza è stato inserito nella Costituzione, riconoscendolo dunque come «diritto inalienabile dell’uomo». Incluso nell’articolo 34, argomenta: «la legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso a un’interruzione volontaria della gravidanza», cioè riconosce il pieno diritto alle donne francesi di scegliere se accedere o meno all’aborto in totale libertà. Sulla scia di quanto fatto, le cittadine e i cittadini europei hanno infuocato ancora di più il dibattito in corso. Al parlamento europeo, l’11 aprile di quest’anno, si è votato affinché venga inserito il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; sebbene l’europarlamento abbia votato in maggioranza a favore, una modifica del documento prevede il voto positivo di ogni stato dell’unione, che ad oggi non sussiste.
Solo il caso dell’Italia è enigmatico: come risposta alla parziale apertura internazionale ed europea, la nostra presidente del consiglio – che tanto vanta la sua posizione in quanto donna – si è premurata di infliggere un altro duro colpo all’autodeterminazione delle soggettività, attaccando duramente il diritto all’aborto. E i consultori in cui questo diritto si esercita. Stando alla relazione del ministro della salute sull’attuazione della legge contenente le norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza del 2023, al 2021 quasi la metà dei certificati necessari per l’IVG (42,8%) è stata rilasciata dai consultori. Oggi, l’emendamento di Fratelli d’Italia, su cui il governo ha posto la fiducia ed è divenuto legge, contenuto nel decreto per l’attuazione del PNRR, prevede che le regioni, nell’organizzazione dei servizi inerenti i consultori, possano «avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità»: alias anti- abortisti.
Ecco il mostro: occhi da chierico e cuore da governante. Oggi il diritto all’aborto, e all’autodeterminazione di ogni soggettività, più che un diritto sembra una chimera.
Lo stato dei consultori nelle Marche
Nelle Marche, la situazione attorno ai consultori sta deteriorandosi sempre più drasticamente. I risultati ottenuti dal report sui consultori familiari nella regione, aggiornato al 2023, a cura dell’Osservatorio sulle diseguaglianze nella salute/ARS Marche, sono eloquenti e incredibilmente spaventosi. E sebbene i dati siano lampanti e chiarificatori di una situazione oltremodo trascurata e indebolita, nei fatti le cose stanno anche peggio. Questo è quanto emerge:
Sedi consultoriali
Nella regione sono attive 66 sedi consultoriali, contro le 71 del 2016. E se, nel medesimo anno, sul territorio era presente una sede consultoriale ogni 21.743 abitanti, oggi si conta un consultorio ogni 22.533 abitanti, con un’ampia variabilità tre le cinque AST distribuite nelle province di Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Fermo e Ascoli.
Equipe consultoriali
Per quanto riguarda le figure professionali, le normative nazionali prevedono quattro figure indispensabili per lo svolgimento delle funzioni del consultorio: ginecologa, ostetrica, assistente sociale, psicologa, mentre nella deliberazione amministrativa n. 202/1998 della regione Marche è prevista anche la figura del pediatra. Dei 66 consultori presenti sul territorio, solamente in 24 sedi (36,4%) operano 4 figure specialistiche; 8 sedi (12,1%) hanno 3 figure; 23 sedi (34,8%) hanno 2 figure e 11 sedi (16,7%) 1 sola figura. In nessun consultorio è presente il pediatra. Complessivamente, nei consultori della regione operano 75 ginecologhe, 89 ostetriche, 35 assistenti sociali, 49 psicologhe, 3 infermiere professionali.
Il confronto fra l’anno 2023 e il 2016, relativamente alla numerosità dei componenti dell’équipe consultoriale, evidenzia:
- La mancanza, in tutti i consultori della regione, delle cinque figure professionali
previste dalla normativa, con una diminuzione, rispetto al 2016, del 10%. In particolare, la figura del pediatra è assente in tutti i consultori.
- Una sostanziale stabilità nella percentuale dei consultori in cui operano rispettivamente 4 e 2 figure professionali.
- L’aumento percentuale sia dei consultori in cui operano 3 figure professionali (+5%) che di quelli in cui opera soltanto 1 figura professionale (+7%).
Orario settimanale delle figure professionali
Secondo la delibera amministrativa della regione Marche n. 202/1998, per la ginecologa, la pediatra e la psicologa sono previste in media 9 ore alla settimana ogni
10.000 abitanti, mentre 18 ore spettano all’ostetrica e all’assistente sociale. I dati, in questo senso, dimostrano una forte carenza nelle ore erogate dalle figure professionali fondamentali per il consultorio. Ginecologa (41%), ostetrica (44%) e assistente sociale (51%) assicurano a malapena la metà di quanto previsto dalla delibera, mentre una buona, sebbene non esaustiva, disponibilità di ore è garantita dalla presenza della psicologa che fornisce il 69% di quanto previsto dalla normativa.
Orario di apertura del consultorio
L’accessibilità di un servizio dipende anche dal numero di giorni e ore di apertura settimanali. Oltre alla quantità complessiva delle ore di consulenza dei diversi professionisti è infatti importante verificare quanto l’offerta sia in grado di rispondere, ad esempio, alle necessità delle donne lavoratrici o degli adolescenti che frequentano la scuola. I dati mostrano l’offerta delle cinque AST del territorio regionale in termini di numero di ore di apertura settimanali (parametrate su 10.000 abitanti): l’AST Ancona e l’AST Fermo (con 10 ore/settimana di apertura per 10.000 abitanti) si pongono al di sotto di una media regionale già modesta (11 ore/settimana); l’AST Ascoli Piceno è in linea con la media regionale; mentre l’AST Pesaro-Urbino e l’AST Macerata la superano di poco.
Il confronto fra i dati del 2016 e quelli rilevati nella presente indagine evidenzia inoltre che solo l’AST Pesaro-Urbino ha aumentato il numero di ore di apertura e che sono sostanzialmente stabili i dati relativi alle AST Ancona e Macerata, mentre per l’AST Fermo si rileva una diminuzione delle ore di apertura di circa il 33%. Infine, solamente 6 sedi consultoriali su 66 (contro le 12 su 71 del 2016) hanno un orario di apertura anche il sabato mattina e ben 25 su 66 (il 38%) sono aperte solo 1 o 2 giorni la settimana.
Vi sono, poi, ulteriori informazioni inerenti l’offerta di alcuni servizi e attività che è bene mettere in luce.
− Ambulatorio gravidanza fisiologica: svolto in 34 sedi su 66 (51 sedi su 71 nel 2016).
− Cartella ostetrica gravidanza: disponibile in 34 sedi su 66 (56 sedi su 71 nel 2016).
− Ecografo: presente in 33 sedi su 66 (31 sedi su 71 nel 2016).
− Certificazioni IVG: fornite in 26 sedi su 66 (24 sedi su 71 nel 2016).
− Percorso IVG territorio/ospedale: fornito in 25 sedi su 66 (39 sedi su 71 nel 2016).
− IVG farmacologica: non effettuata in alcuna sede poiché la Regione Marche, al momento della stesura del presente report, non ha ancora recepito la circolare del ministero della Salute del 12 agosto 2020 “Aggiornamento delle Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine”
− Effettuazione del PAP test:disponibile in 55 sedi su 66 (65 sedi su 71 nel 2016), ma solo in 26 consultori viene effettuato il PAP test alla donna che lo richiede spontaneamente. Va comunque precisato che in 27 consultori il PAP test può essere eseguito in accesso diretto, ma sempre con impegnativa o su appuntamento programmabile e nei limiti della prenotazione aggiuntiva, a causa della “rigidità” del sistema.
− Numero di obiettori:L’obiezione di coscienza è praticata: dal 100% degli operatori (ostetriche e/o ginecologi) in 7 sedi; dal 20 al 33% degli operatori in 13 sedi; dal 40 al 67% degli operatori in 18 sedi. Solamente in 9 sedi non ci sono obiettori. Non hanno risposto alla domanda 18 sedi consultoriali, in 13 delle quali, tuttavia, non vengono rilasciate certificazioni IVG.
− Ambulatorio e/o attività per adolescenti: sono disponibili in 19 sedi, mentre l’educazione sanitaria nelle scuole viene svolta soltanto da 17 sedi consultoriali.
− DVD plurilingue Per la vostra salute donne del mondo: viene utilizzato soltanto da 6 sedi consultoriali e solo 12 mettono a disposizione strumenti o materiali informativi dedicati specificamente alla comunicazione per le donne straniere.
− Mediazione linguistico culturale: viene utilizzata pochissimo (in 11 sedi su 66) e in maniera sporadica. Va tuttavia precisato che molte sedi consultoriali motivano il mancato utilizzo con la mancanza di una convenzione con un servizio di Mediazione linguistico culturale strutturato.
− Corsi di Accompagnamento alla nascita (CAN): vengono effettuati in 28 delle 66 sedi consultoriali (erano 36 su 71 nel 2016).
Già solo l’esempio dell’IVG farmacologica – uno fra tanti – è lampante di come i numeri possano essere più positivi della realtà che intendono rappresentare. Nelle Marche è effettuata con un dato medio del 20,8% (sul totale delle IVG eseguite), a fronte del dato nazionale del 47,3%, seppure molti centri non la pratichino affatto, obbligando la popolazione a spostarsi in altre regioni. Il quadro viene ancora più aggravandosi dal fatto che tale procedura non è stata aggiornata secondo le linee guida ministeriali dell’agosto 2020 (su raccomandazione OMS), che prevedrebbero un allungamento dei termini fino alle nove settimane di gestazione e la presa in carico totale da parte dei consultori, come già avviene in altre regioni d’Italia e in gran parte d’Europa.
Nella regione, invece, si rimane ancora ancorati al regolamento del vecchio protocollo del 13 giugno 2016, di fatto impedendo alle libere soggettività, come invece è previsto dalla legge 194, di poter scegliere un metodico e meno invasivo trattamento, con l’implicazione di assumersi minori rischi per la salute e minori costi per la collettività (è possibile firmare la petizione che chiede l’aggiornamento delle linee guida sull’aborto nelle Marche, rinviamo al link: urly.it/310kan).
Ciò che però più emerge, forse fra le righe, da questo report, è un fatto di grande rilevanza. Il consultorio è – o dovrebbe essere – un luogo in cui l’aspetto meramente medico-scientifico si lega a quello sociale, come luogo di accoglienza e di cura, di prevenzione a tutto tondo: se il primo arranca e fa fatica a resistere, il secondo sembra essersi ormai arreso da tempo.
Diritto alla salute pubblica: diritto o lusso? Una riflessione transfemminista
Di fronte a questo stato di abbandono totale, con i consultori ridotti ai minimi termini, il carente organico, il massiccio investimento nella medicina privata, le mediche obiettrici di coscienza, l’ingresso di associazione anti-scelta nei consultori, quale futuro ci si prospetta di fronte? Quale, poi, in un sistema che condanna e strumentalizza la salute dei corpi e delle identità sessuali e di genere?
La domanda sorge spontanea: che fine ha fatto il diritto alla salute pubblica? Arrivano anche lì le logiche del profitto e dello sfruttamento, lì dove la cura e la prevenzione del soggetto dovrebbe essere al primo posto.
In un sistema pubblico che nega le proprie responsabilità e si rifugia dietro dita oramai scheletriche, in cui la cattiva amministrazione è giustificata dalla insensata quanto agghiacciante frase «è gratis, per questo si permettono di fare come gli pare», è ora di opporsi e agire. Un diritto è tale in quanto tale, non perché lo si paga. E non va negato mai.
Inoltre, ciò che più spaventa è che mentre il diritto alla salute pubblica va sempre più ridimensionandosi dietro l’ombra del suo alter-ego privato, un’altra domanda mi balena nella mente. Dov’è finito il posto dell’umanità? Compreremo anche quello negli studi privati delle nostre mediche non obiettrici, solo perché pagate profumatamente? Se anche la salute incentiva il “ricco” e abbandona il “povero”, che tipo di diritto alla salute stiamo contribuendo a costruire? Un diritto o un lusso?