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“UNIVPM Not in my name”

Intervista di Giulia Melchionda al gruppo studentesco Gulliver per l’assemblea permanente convocata dalle studente di UNIVPM nella sede della Facoltà di Economia ad Ancona

[da Rivista Malamente n. 34, ottobre 2024. QUI IL PDF]

È un caldo lunedì di giugno e mi trovo alla facoltà di Economia e Commercio a Villarey, ad Ancona. Gli studenti, immersi nella preparazione degli esami, discutono animatamente degli argomenti ancora da studiare. Tuttavia, da quattro giorni, l’ordinario svolgimento dell’anno accademico è stato interrotto. Un cortocircuito di proteste è scaturito: il Gulliver, un gruppo studentesco, ha indetto un’assemblea permanente all’interno della facoltà per denunciare i legami tra l’ateneo e alcune università israeliane. Davanti all’ingresso, uno striscione invita ad alzare lo sguardo e riflettere: “UNIVPM Not in my name. Assemblea permanente.” Alla fine del corridoio d’ingresso, un manifesto1 espone le richieste dell’assemblea, mentre sul prato del cortile sono state montate delle tende. Questa occupazione segna un ritorno clamoroso di una modalità di lotta in uno spazio accademico anconetano dopo quasi quindici anni.

Gli spazi della facoltà di Economia di Ancona non sono gli unici a essere stati occupati da studenti che, in varie forme e modalità, richiamano l’attenzione di chi vive gli spazi accademici (e non solo) sull’attacco ai diritti del popolo palestinese. L’onda è partita nell’aprile di quest’anno negli Stati Uniti, alla Columbia University a New York, espandendosi al mondo arabo e “UNIVPM NOT IN MY NAME” Intervista di Giulia Melchionda al gruppo studentesco Gulliver per l’assemblea permanente convocata da studenti e studentesse dell’Università politecnica delle Marche, nella sede della Facoltà di Economia ad Ancona all’Europa e, quindi, in Italia. È proprio da questa marea che cominciamo quando, insieme a Veronica e Sabrina del gruppo studentesco Gulliver, da[1]vanti a una tazza di caffè, ripercorriamo i passi che hanno portato allo stabilirsi dell’assemblea permanente a partire dal 20 giugno.

«Abbiamo visto che l’onda dall’America e dall’Europa era arrivata anche in Italia e abbiamo deciso che fosse arrivato il momento di mobilitarsi anche qui. Da questo nasce l’idea di svolgere questo tipo d’azione, ma il lavoro che stiamo facendo a livello istituzionale sulla tematica è partito già a novembre» ci spiega Veronica. «Abbiamo raccolto informazioni su che tipo di affiliazioni avesse il nostro ateneo con gli atenei israeliani, e abbiamo visto che ce n’erano, che si capiva molto poco, e quindi abbiamo fin da subito chiesto tre cose in Consiglio studentesco: l’interruzione dei rapporti con tutti gli atenei israeliani; l’estensione del fondo monetario Carlo Urbani che l’università dà a studenti con particolari situazioni economiche; e che l’università prendesse una posizione rispetto al genocidio e all’aggressione militare israeliana».

Ci parlano di un processo iniziato a novembre dell’anno prima ma che ha avuto udienza negli organi maggiori solo a fine gennaio. «Il documento con le nostre richieste è stato subito votato con forte contrarietà, accompagnato da una discussione molto sterile. Si capiva già che c’era un “no” politico che veniva dall’alto, e si sentiva da com’è andata la discussione che nel corpo docente c’era una grande disinformazione. Non c’è stato nulla da fare».

Il secondo documento, presentato a maggio, chiedeva la cessazione dei rapporti con l’Università di Ariel che, ci spiegano è «una istituzione dichiarata dal diritto internazionale come priva di validità legale poiché situata in un territorio riconosciuto come insediamento illegalmente costruito e occupato in Cisgiordania». L’Università di Ariel si trova in un insediamento israeliano costruito nei Territori palestinesi occupati da Israele dal 1967. È costruito su terreni confiscati ai residenti palestinesi locali, utilizzando direttive militari.

«Nel frattempo abbiamo fatto una richiesta di accesso agli atti che ci è stata concessa dopo un mese all’incirca, quindi non subito. Nel documento non ci sono informazioni molto precise, e sono selezionate. Però, dal documento è uscita fuori un’informazione in più su Ariel: abbiamo scoperto che è la facoltà di Medicina ad avere un rapporto di collaborazione, un progetto di ricerca che interessa l’ambito medico (anche se non sappiamo su che temi nello specifico), all’attivo», ci raccontano.

Tuttavia il clima imbevuto di indifferenza, la mancanza di dialogo e la poca trasparenza, non hanno impedito al gruppo studentesco di trovare un modo per far ascoltare le proprie richieste. «Da questo percorso istituzionale fatto di immobilità e privo di risultati, così come dalla volontà di inserirsi nel movimento e nell’azione già partita in altre università, nasce l’idea di questa assemblea permanente. Questa è un’azione che come ateneo e gruppo studentesco non siamo abituati a fare: l’UNIVPM non viene occupata da una quindicina d’anni. Quindi chi ne fa parte, governance, studenti, ma anche la cittadinanza, non sono abituati a vedere questo tipo d’azione».

 Un’azione che, ci raccontano, non sarebbe stata possibile senza l’aiuto degli studenti UNIVPM ma soprattutto dei Giovani Palestinesi, che tutti i giorni continuano a dare una mano.

Questa forma di lotta rientra nelle pratiche del boicottaggio accademico, ovvero il ritiro del sostegno al regime di apartheid di Israele, alle istituzioni sportive, culturali e accademiche israeliane complici e a tutte le aziende israeliane e internazionali coinvolte nelle violazioni dei diritti umani dei palestinesi2. Come ci spiega Veronica, «è anche il funzionamento delle università israeliane che non avviene nello stesso modo in cui noi intendiamo l’università. L’università è una parte integrante di come funziona la ricerca israeliana. Se da noi l’esercito ha bisogno di una ricerca la commissiona ad aziende private. Al contrario, se in Israele l’esercito ha bisogno di qualcosa lo commissiona all’università. Proprio l’università di Ariel è uno strumento di legittimizzazione dell’occupazione di un territorio».

L’insediamento di Ariel e l’Università di Ariel sono stati costruiti per portare avanti l’agenda politica dei partiti di destra israeliani che vogliono rendere permanente l’occupazione israeliana3 , eliminando così la possibilità per i palestinesi di avere uno Stato indipendente, libero dall’occupazione israeliana. Pertanto, il personale accademico di Ariel deve essere in gran parte d’accordo con questa agenda politica, il che la rende un’istituzione accademica con una chiara inclinazione politica, diversa da qualsiasi altra in Israele o in qualsiasi altro paese democratico.

«La parte più difficile da far capire, in realtà, parlando con studenti, professori, o con lo stesso preside, è perché cessare la collaborazione con università israeliane e non con università di altre parti del mondo che sono in situazioni politiche complicate. Questa è una grossa falla nell’informazione: non si riesce a concepire il fatto che l’università per Israele è un mezzo e non un’entità scissa. In realtà, basterebbe fare ricerca sui siti delle università israeliane per capirlo. Sono un ingranaggio integrante della macchina bellica e della propaganda», aggiunge Sabrina.

Sembrano proprio essere la disinformazione, o la mancanza di informazioni che possano stimolare un dialogo costruttivo, a ostruire il lavoro dell’assemblea permanente.

«La disinformazione porta a pensare, soprattutto all’interno del corpo docenti, che il nostro obiettivo è interrompere i rapporti con Israele “perché siamo di parte”. Questo lo hanno pensato anche professori che sono in linea con le nostre politiche», ha aggiunto Sabrina. Poi, spiegando loro che le nostre richieste non si basano sulla provenienza degli atenei ma sul meccanismo in cui questi sono inseriti, facendo vedere loro i siti delle università dove ci sono raccolte fondi per l’esercito, hanno capito. Anche per questo abbiamo deciso di iniziare questa assemblea permanente. Ovviamente noi ne parliamo, ma certe volte è come parlare con il muro. Stare qui, mettere loro le cose in faccia, fare sensibilizzazione anche con la nostra presenza, è il pretesto per avvicinarsi a delle persone, sia studenti sia docenti, e spiegare le nostre posizioni», ha concluso, aprendo la riflessione al modo in cui si vivono gli spazi accademici e universitari, o su come studenti siamo abituati e abituate a farlo. Una visione che la presenza inattesa di un’assemblea permanente può trasformare in qualcos’altro, qualcosa di nuovo.

Nel manifesto hanno fatto la richiesta di mettere fine alle ingerenze nell’organizzazione delle attività culturali, perché, come scrivono, “l’università dovrebbe essere uno spazio in cui sviluppare un proprio pensiero critico, un focolaio di idee diverse che, nell’incontro costruttivo, possa aiutare l’individuo a sviluppare una propria visione della realtà circostante, favorendo così il pieno sviluppo della persona umana”. In questo modo l’assemblea permanente è diventata anche uno spazio che ospita una mostra sulla Palestina (condivisa con l’assemblea dall’Istituto Gramsci), un workshop per fare striscioni e cartelloni per il Pride, un momento di discussione con i Giovani Palestinesi per ascoltarne le esperienze e testimonianze. «Sicuramente tutti questi eventi sono qualcosa di preziosissimo, che rende importante anche solo spostarsi dall’aula. L’università non è solo formazione, esami, studio, ma anche attività culturale e diffusione evidente e libera della cultura», ci spiega Veronica.

Ci parlano di un episodio di qualche mese fa, condividendo le difficoltà incontrate nell’organizzare un evento sulla Palestina. Veronica ha spiegato che, nonostante i loro sforzi, la richiesta di un contraddittorio ha complicato la situazione, mettendo a disagio l’ospite. Sabrina ha aggiunto che non è stato facile far comprendere che, data l’esperienza personale dell’ospite, la presenza di un contraddittorio non era necessaria. Alla fine, dopo molte difficoltà, sono riuscite a ottenere l’aula solo due ore prima dell’evento, costringendole a fare rapidi cambiamenti.

«Per noi, quindi, stare qui e organizzare l’attività che vogliamo senza dover mandare mail dove viene specificato chi c’è, a che ora, che fa, chi è, e tutto quello di cui tratterà l’attività, è una grossa vittoria e presa di posizione. Anche perché l’iter è estremamente lungo e macchinoso e la maggior parte delle volte i “no” sono politici, non sono dei “no” logistici, quindi ci sentiamo arrivare in risposta: “no, non potete parlare di questo” oppure “sì, puoi parlare di questo, ma dev’essere presente anche il contraddittorio”. Questa però non è libera informazione. Ed è anche per questo che abbiamo deciso di non chiedere le aule per le nostre attività», conclude Sabrina.

Ci salutiamo con alcune anticipazioni sulla giornata di domani, in cui si svolgerà la seduta del Senato accademico. Sabrina e Veronica hanno condiviso il loro punto di vista sulla mozione imminente, sottolineando le sfide nel cercare un dialogo costruttivo con chi sarà chiamato a votare. Sabrina ha spiegato che, nonostante alcune aperture da parte di certi professori, altri hanno mostrato una chiusura dovuta, secondo loro, a una mancanza di informazione. La speranza è di aver avviato un cambiamento, ma Sabrina ha ribadito l’importanza di instaurare un dialogo consapevole, «percepiamo di aver sostenuto in gran parte noi il lavoro d’informazione, quando dovrebbe essere il contrario, perché il Senato accademico è l’organo politico dell’Università. Chi sta lì dev’essere consapevole di quello che vota, di quello di cui si parla». L’assemblea permanente è stata sciolta il 30 giugno: dopo dieci giorni di occupazione della facoltà; parte delle richieste avanzate sono state ascoltate.

Tuttavia, durante la conversazione con Sabrina, non è difficile cogliere un po’ di delusione. Chiedo degli aggiornamenti dall’assemblea con il Senato accademico e Sabrina mi guida nel ricostruire i passi che hanno portato alla loro importante vittoria.

«Dopo la conversazione che abbiamo avuto, c’è stata un evento con Stephanie Westbrook, da anni impegnata nel movimento BDS4 e che si occupa di boicottaggio accademico. L’evento è stato molto partecipato, anche dal preside e da alcuni membri del Senato accademico. Il giorno dopo, infatti, durante la seduta del Senato, molti di quelli che a gennaio si erano dimostrati contrari all’adozione del documento si sono dimostrati favorevoli. Pensiamo che abbiano cambiato idea anche grazie all’evento del giorno prima, così come la presenza dell’assemblea permanente. Sicuramente molti hanno riflettuto sull’intera questione».

Sabrina ha spiegato come, durante una seduta del Senato accademico, il rettore abbia affermato che non esistono collaborazioni attive tra la loro università e l’Università di Ariel. Questo risultato è emerso dopo aver consultato presidi e direttori di dipartimento, i quali hanno confermato l’assenza di collaborazioni in corso. Il Senato si è concluso così, con il consiglio d’amministrazione a seguire il giorno dopo. Tuttavia, l’associazione era a conoscenza dell’esistenza di un Memorandum of Understanding valido fino al 2027, che permetterebbe l’avvio di nuove collaborazioni in qualsiasi momento.

«In questo Memorandum, nella prima parte, c’è questo scambio reciproco di solidarietà e amicizia tra stati, si parla di come l’Università riconosca quella di Ariel come una istituzione valida. A noi sembrava imprescindibile il fatto che il Memorandum dovesse essere chiuso». A seguito del Consiglio di amministrazione, il rettore ha confermato la mancanza di intenzioni di proseguire la collaborazione con Ariel e ha istituito una Commissione per valutare i rapporti con altre università Tuttavia, ciò che è mancato davvero è stata una chiara presa di posizione politica, un’assenza che, sebbene non sorprenda, risulta comunque deludente. Come ci spiega Sabrina, «no, non c’è mai stata una presa di posizione politica, nemmeno nei confronti del Memorandum. L’UNIVPM ha deciso di mandare una comunicazione ad Ariel dove scrivevano che non aveva intenzione di continuare i rapporti di collaborazione con la loro Università, anche se in realtà per rescindere il contratto non è possibile fare un’azione unilaterale. La massima aspirazione che potevamo avere era la comunicazione ad Ariel dell’intento di non mettere in pratica il Memorandum. Alla fine il rettore ha effettivamente fatto quello che chiedevamo, però l’hanno fatto passare, sia a livello mediatico sia come interfaccia che hanno avuto con le persone, come una cosa da poco, senza spiegare le vere motivazioni dietro l’azione».

Sabrina conferma che l’associazione continuerà a monitorare la situazione e a portare avanti le proprie istanze. Dopo aver presentato il lavoro svolto fino a quel momento all’assemblea cittadina, il gruppo intende proseguire con le richieste, che vanno ben oltre quanto ottenuto finora. L’obiettivo principale è creare una rete di supporto con la cittadinanza, considerata cruciale per superare le difficoltà e chiedere la cessazione di tutti i rapporti esistenti con l’Università di Ariel e altre università. «Il nostro obiettivo è di coinvolgere, oltre a più studenti, anche tutti gli altri enti all’interno dell’Università: docenti interessati, personale tecnico amministrativo, tutte le persone che vivono l’università e anche chi c’è fuori».

Guardando al futuro, è interessante riflettere su come iniziative come l’assemblea permanente abbiano potuto avvicinare ulteriormente il gruppo studentesco. Se nelle conversazioni precedenti si parlava di una situazione stagnante, dovuta anche al particolare periodo dell’anno universitario (molti studenti, infatti, sono impegnati con lo studio) ora sembrerebbe emergere una nuova dinamica. Chiediamo loro se sono stati notati cambiamenti, un incremento nella partecipazione, o un potenziale rafforzamento del movimento. «Sicuramente, come metodologia di conflitto, l’occupazione o altri metodi come presidi e manifestazioni, sono stati abbastanza abbandonati. L’ultima volta che Gulliver ha visto una mobilitazione così forte è stata sotto la riforma Gelmini. Adesso, con il senno di poi, anche rispetto a quello che è successo qui ad Ancona, abbiamo visto che queste metodologie di conflitto sono necessarie e, in molti casi, funzionano. L’occupazione è stata una metodologia che si è rivelata efficace e positiva, aprendoci altri orizzonti e metodi di contrattazione con l’ateneo che non siano i consigli o gli organi di rappresentanza», ci dice Sabrina, riflettendo sui primi risultati ottenuti.

«In generale poi è stato anche molto positivo perché ci siamo resi conto del fatto che abbiamo vissuto gli spazi della facoltà in modo differente rispetto a come facciamo solitamente. Magari anche sentendoli più nostri, imparando a gestirli, e portando dentro tematiche, o aggregando persone che siano docenti o studenti in maniera positiva e proficua… cosa che solitamente non riusciamo a fare», aggiunge Sabrina, spiegandoci come questa iniziativa abbia dato un nuovo slancio al gruppo, creando l’opportunità per un dibattito critico e politico su temi rilevanti, su come desiderano che l’università affronti determinate questioni, e su come essere attivi all’interno della comunità universitaria, oltre al semplice ruolo di studenti impegnati negli esami. «Ora l’importante è non far morire la cosa così com’è nata ed è fondamentale creare una rete dentro e fuori dall’università in modo da portarla avanti in maniera concreta».

Note

1 È possibile leggere il manifesto UNIVPM Not in my name del grup[1]po studentesco Gulliver, al seguente link: https://ugc.production.linktr. ee/81b7beba-1ca3-4c25-bdad-78752c2f08e6_MANIFESTO.pdf.

2 Yehezkel Lein, LAND GRAB Israel’s Settlement Policy in the West Bank, maggio 2002. https://www.btselem.org/download/200205_land_grab_eng. pdf.

3 Michal Shmulovich, Ariel University here to stay, education minister says at inaugural event, 2 gen. 2013.ì, https://www.timesofisrael.com/ ariel-university-here-to-stay-education-minister-says-at-inaugural-event/.

4 https://bdsmovement.net/.

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