Di Luigi
[da Rivista Malamente n. 34, ottobre 2024. QUI IL PDF]
Con questo contributo riprendiamo un discorso che abbiamo già affrontato nel n. 30 della Rivista (set. 2023), nell’articolo “Dio è morto in laboratorio”; lo facciamo, questa volta, a partire dal libro di Henry T. Greely, docente di diritto e genetica, nonché uno dei principali esperti internazionali in bioetica, “Bambini geneticamente modificati? La tecnica CRISPR: scienza ed etica dell’editing umano” (Milano, Franco Angeli, 2023).
«Un ricercatore cinese sostiene di aver contribuito a creare i primi bambini geneticamente modificati…»: questa l’apertura di un lancio dell’Associated Press del 25 novembre 2018, che rivelava al mondo come in maniera del tutto inaspettata un misconosciuto scienziato cinese avesse superato un confine ritenuto ancora – più eticamente che tecnicamente – invalicabile.
Proviamo a immaginare un nutrito capannello di grandi sapienti, a rappresentare la comunità scientifica e i comitati di bioetica, che davanti a una porta chiusa passano giorni e notti a discutere animatamente se sia il caso o meno di aprirla per vedere cosa c’è al di là, a soppesare con il bilancino pro e contro, rischi e benefici, ad accapigliarsi su quanto lungo dovrebbe essere il primo passo eccetera eccetera… e a un certo punto arriva l’addetto delle pulizie che, ignorato da tutti, si dirige verso la porta spalancandola con assoluta nonchalance. Più o meno è quel che è successo.
Il 27 novembre 2018 si è aperto a Hong Kong, il Second International Humane Genome Editing Summit. Arrivati alla terza sessione della seconda giornata la platea è in subbuglio, oltre un milione di addetti ai lavori sono collegati in diretta streaming da tutto il mondo: sul palco sale il dr. He Jiankui, che parla per una ventina di minuti raccontando quello che aveva fatto, dicendosi orgoglioso dei risultati ottenuti ma anche un po’ spiazzato dalla reazione scioccata della comunità internazionale.
Cosa aveva fatto He di così spiazzante? Aveva infranto un tabù, utilizzando la tecnologia CRISPR per modificare la linea germinale umana. Spieghiamo, in estrema sintesi: CRISPR è una biotecnologica che consente di individuare con precisione una sequenza di DNA e quindi di inattivarla o di sostituirla con un’altra. A differenza delle cellule somatiche (quelle che compongono i nostri organi e vivono e muoiono con il corpo di un singolo individuo), le cellule germinali sono coinvolte nella funzione riproduttiva, destinate al trasferimento del materiale genetico alla prole. Ad oggi buona parte degli sforzi (e della propaganda) investiti nella tecnologia CRISPR riguardano il suo utilizzo per curare malattie che hanno una chiara origine genetica. È quindi sostanzialmente accettato l’intervento di modificazione genetica su un singolo individuo, che porterà con sé nella tomba il suo DNA riprogettato in laboratorio. Ma intervenire sulla linea germinale implica tutto un altro ordine di problematiche, non solo mediche ma anche etiche, filosofiche, religiose. Scrivere a proprio piacimento il DNA della linea germinale vuol dire che, in prospettiva, sarà possibile progettare le prossime generazioni in base a caratteristiche prescelte. Quello che fino a oggi hanno fatto la natura, Dio, il caso (scegliete quello che volete).
Certo, messa così la cosa richiede un grosso sforzo di immaginazione. Siamo ancora lontani da uno scenario di questo tipo – troppe sono le incognite ancora non svelate nei processi che determinano la vita – ma quanto lontani, considerata la velocità esponenziale del progresso scientifico? E poi, quanto la genetica è realmente determinante nel definirci? Possiamo pensare al DNA come a uno spartito musicale: il modo in cui verrà effettivamente interpretato e suonato dipende da una vasta serie di fattori esterni (il contesto, le scelte, il destino…).
Fatto sta che He Jiankui, per primo, ha aperto quella porta, mostrando al mondo che si può fare.
Il summit di Hong Kong si è concluso con una dichiarazione condivisa: per i trial clinici sull’editing della linea germinale i requisiti tecnici sono ancora «troppo incerti» e i rischi «troppo elevati»; gli scienziati ritengono pertanto necessario definire un percorso «rigoroso e responsabile», fatto di «standard ampiamente accettati» per poter legittimare queste sperimentazioni.
Il 14 dicembre 2018, nello stesso giorno in cui l’OMS istituisce un panel di esperti con il compito di dettare la linea da seguire in questa «sfida», esce sulla rivista “Science” un comunicato delle massime autorità scientifiche degli Stati Uniti, i presidenti della National Academy of Medicine e della National Academy of Science, in cui viene ribadita la «necessità di accelerare gli sforzi per raggiungere un accordo internazionale su criteri e standard specifici da soddisfare prima che l’editing della linea germinale sia considerato ammissibile».
In pratica, riscrivere in laboratorio il DNA della nostra specie è considerato «ammissibile», purché segua delle regole condivise. George Daley, tra i principali relatori del summit di Hong Kong e rettore della Harvard Medical School, è ancora più esplicito quando dichiara che bisognerebbe smetterla una buona volta di porsi tanti paletti e scrupoli morali; la questione, per lui, è essenzialmente tecnica: «ritengo sia il momento di fare un passo avanti rispetto alla prospettiva dell’ammissibilità etica e di cominciare a delineare quale potrebbe essere un effettivo percorso per la traslazione clinica».
L’autore del libro Bambini geneticamente modificati? (da cui stiamo prendendo spunto per queste riflessioni), Henry T. Greely, ci tiene ad aggiungere un ulteriore parametro, quello dell’accettazione sociale. Nessuna, nemmeno la minima messa in discussione del percorso della ricerca tecno-scientifica, del suo trasformare il mondo e la vita in un immenso laboratorio, delle sue mire di manipolazione del vivente a profitto di pochi gruppi di potere, delle sue presunte soluzioni che aprono solo nuovi problemi… ma semplicemente la richiesta che l’opinione pubblica sia informata e favorevole. Non credo necessario soffermarsi su come, per chi ne ha le possibilità, sia facile influenzare e gestire gli orientamenti dell’opinione pubblica tramite media, social network, agenzie pubblicitarie, science influncer, fact checker e creature simili.
Altri documenti, sia precedenti che successivi al 2018, condivisi dalla comunità scientifica, usano tutti le stesse parole chiave: coerenza, benessere, standard, sicurezza, fattibilità, dibattito, monitoraggio per concludere che, disposta una serie di paletti, l’editing della linea germinale diventa «eticamente accettabile».
Il grosso errore di He Jiankui è stato quello di aver precorso i tempi. La gogna a cui è stato sottoposto dai suoi colleghi non è tanto dovuta a cosa ha fatto, ma a come lo ha fatto: «ha agito – scrive Greenly – in modo spericolato, con insufficienti prove circa la sicurezza della procedura per i bambini che intendeva far nascere, senza alcuna trasparenza e supervisione».
He Jiankui è nato nel 1984, da una famiglia di coltivatori di riso. Dopo una ordinaria carriera accademica è entrato nel 2012 come docente preso la Southern University of Science and Technology di Shenzen (a 40 km da Hong Kong); in quello stesso anno le “pioniere” del CRISPR Doudna e Charpentier dimostravano che tale metodologia poteva essere utilizzata come strumento biotecnologico per “tagliare” (e modificare) specifiche sequenze di DNA all’interno del genoma, anche quello umano.
Che cosa abbia davvero combinato He nel suo laboratorio, in tutti i dettagli, resta avvolto da un certo alone di mistero, vista anche la sua comprovata inattendibilità e le poche, censurate e incerte fonti sulla vicenda. Quel che si sa è che, nel chiuso del suo laboratorio, ha modificato in alcuni embrioni il gene CCR5, che ha un ruolo nel consentire l’infezione da HIV. La modifica mirava a renderlo inefficace e quindi, una volta impiantati gli embrioni in uteri materni e condotta a termine la gravidanza, a far nascere bambini schermati a vita dalla possibilità di diventare sieropositivi. Niente di particolarmente eclatante, solo una piccola modifica che però, come abbiamo detto, può essere pioniera di ben più radicali interventi.
Tramite dei gruppi di sopporto a persone con HIV/AIDS, presentando nulla osta contraffatti del comitato etico della sua università, He avrebbe trovato otto coppie desiderose di avere un figlio e disponibili a sottoporsi volontariamente alla sua sperimentazione. Cinque di loro non hanno concepito, una ha abbandonato l’esperimento, ma le altre due coppie sono arrivate fino in fondo. Tra marzo e aprile 2018 He ha impianto gli embrioni geneticamente modificati, a ottobre sono nate due gemelle (premature), in un luogo imprecisato della Cina. La loro identità è rimasta segreta, ma per tutti sono Nana e Lulu. Il figlio della terza coppia è ancora più misterioso: di lui (o di lei) si ha solo la ragionevole certezza che esiste, ma nessuna informazione né sulla data di nascita, né sull’identità, né sullo stato di salute.
Lo scandalo della vicenda di He Jiankui, il primo ad aver “prodotto” bambini OGM si è chiuso con un comunicato dell’agenzia di stampa del governo cinese: le attività del dottore «hanno gravemente violato i principi etici e l’integrità scientifica, infrangendo la legislazione in vigore in Cina». He è stato processato a porte chiuse, insieme a due suoi collaboratori, e condannato a tre anni di reclusione e 430.000 euro di multa.
Si può dire che He abbia fatto (quasi) tutto da solo, ma nella comunità scientifica che poi si è affrettata a prendere le distanze e dichiararsi «inorridita» (Doudna) almeno sessanta accademici sapevano quello che stava facendo lo scienziato pazzo cinese, non pochi di loro sapevano effettivamente delle gravidanze in corso mesi prima della diffusione della notizia e nessuno di loro ha cercato con adeguata risolutezza di dissuaderlo, né lo ha denunciato pubblicamente o a una qualche autorità che potesse intervenire.
Per Greely l’esperimento è stato «spericolato a livelli criminali», nonché «grossolanamente prematuro e profondamente immorale» ma l’editing della linea germinale non sarebbe «un male» in sé perché, sostiene, la natura in purezza non esiste, nulla nella nostra vita è naturale. Abbiamo inventato gli occhiali e i vaccini che nessun Dio o Natura aveva previsto, quindi non ci sarebbe nulla di male nel continuare a spingerci sempre più avanti: riscrivere il DNA umano è solamente una pratica medica un po’ più evoluta, così come l’automobile è solamente l’evoluzione della carrozza.
Forse dovremmo ridimensionare questa storia che “la natura non esiste”, perché a forza di decostruzione finisce che si perde il senso dello stare al mondo. Non si può non vedere una differenza, un limite, tra un uomo con peacemaker e un uomo-cyborg, tra un paio di occhiali e una protesi oculare connessa a internet. I secondi non sono solamente l’evoluzione dei primi.
Al centro delle preoccupazioni, riconosce Greely, c’è il potenziamento (enhancement) umano, ovvero la possibilità di progettare geneticamente le future generazioni affinché oltrepassino i limiti, le debolezze e le malattie dell’uomo al naturale. La sua risposta è una non-risposta: non mette infatti in discussione la possibilità che CRISPR diventi il viatico del “transumanesimo”, dice solo che, ad oggi, non abbiamo le capacità tecniche per progettare interventi di questa portata ed eseguirli alla perfezione scongiurando qualsiasi rischio. Ancora una volta: il problema è la tecnica, non l’etica.
Allo stato attuale non è sufficientemente chiaro quali variazioni genetiche bisognerebbe introdurre per potenziare l’uomo: più semplice produrre bambini con un certo colore degli occhi, meno semplice produrne di “super-intelligenti”. Se perfino singole modifiche per specifici aspetti del potenziamento sono ancora fumose, ancora di più lo è capire l’interazione tra molteplici variazioni tali da produrre complessivamente un uomo di nuova specie, un Homo 2.0, completamente differente e superiore rispetto a quel che siamo noi oggi.
Anche i costi, al momento, sembrano troppo elevati perché si possa diffondere l’editing del genoma a livello di massa; siamo fuori dalla portata dei sistemi sanitari, ma forse non dalla portata di chi se lo potrà permettere. Inoltre, secondo i canoni della ricerca scientifica, è indispensabile un lungo processo di sperimentazione su embrioni prima ex vivo (al di fuori dell’organismo, quindi non impiantati per una gravidanza) e poi in vivo (portando a termine gravidanze), quest’ultimo passerà prima per ratti, gatti e probabilmente scimpanzè (che saranno torturati con una lunga procedura invasiva, visto che vanno sedati anche per un semplice prelievo di sangue).
Greely, in sostanza, sostiene che tale prospettiva non è sul piatto dei prossimi anni e che quindi le decisioni etiche da prendere saranno demandate alle future generazioni, che potrebbero anche avere sensibilità e valori molto diversi dai nostri. La cosa, però, non lo preoccupa più di tanto; in fondo, si chiede, «c’è qualche altra ragione, al di là di un legame sentimentale, simile al tifo per una squadra sportiva, per preferire la nostra specie in un futuro genericamente remoto?». Forse no… se gente come Greely rappresenta gli esemplari più intelligenti tra noi.
Un ulteriore questione è quella relativa a chi dovrà prendere le decisioni, visto che né la comunità scientifica né i comitati di bioetica hanno il potere di autorizzare alcunché. Sul piano del diritto vanno considerate le leggi che regolano la sperimentazione medica sugli esseri umani, quelle relative all’approvazione di un prodotto medico e infine il quadro normativo specificamente dedicato all’editing della linea germinale. Le prime due, in fin dei conti, richiedono solo di incassare una serie di autorizzazioni e se speriamo che sia la FDA statunitense o altri enti simili a porre qualche freno all’industria biotecnologica abbiamo già perso in partenza. La terza è una legislazione ancora tutta in divenire. Ma saranno davvero i governi nazionali a decidere, come sostiene Greely o, più probabilmente, sarà la forza del mercato?
E intanto nei laboratori si lavora al continuo miglioramento del CRISPR per perfezionarlo sempre più in modo da scongiurare le modifiche non volute, nei punti sbagliati (off target), e i cambiamenti errati, nei punti giusti. Già ampiamente sdoganato in campo agroalimentare e industriale, è solo questione di tempo prima che si dissolvano gli ultimi scrupoli relativi alla sua applicazione sull’essere umano. D’altra parte è lo stesso identico meccanismo che consente di curare malattie genetiche in soggetti portatori, di “ripulire” il DNA di chi deve ancora nascere in modo che non sia predisposto alla malattia e, infine, di potenziare uno stato di salute; il passaggio dall’uno all’altro punto verrà da sé, in base alla legge per cui quello che può essere fatto, in campo scientifico-tecnologico, prima o poi verrà fatto.
Questo superamento dei limiti della natura umana, che viene presentato dai suoi araldi come un’opzione di libertà (libertà dalla fatica, dall’invecchiamento, dalle malattie) diventerà presto una scelta obbligata: chi pur avendone le possibilità economiche vorrà conservare la propria umanità si ritroverà inadatto al nuovo mondo, membro della comunità dei reietti, un irresponsabile che affida sé e i suoi figli alla lotteria della natura.
Per opporsi a questa deriva, al di là dei discorsi su tecnoscienza e potere, su biotecnologie e capitalismo, rimangono ineludibili alcuni nodi di fondo, ovvero la questione dell’identità personale e dell’autonomia nello scrivere la storia della propria vita. Due aspetti che vengono meno se l’indisponibilità del principio della nostra esistenza lascia posto alla progettazione da parte di altri. Affrontare la vita insieme ai propri simili passa anche per il riconoscimento e l’accettazione del ruolo del caso, che ci dispone tutti sullo stesso piano.