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Considerazioni sparse e semiserie sulle agende di movimento

Sul tour di Matteo Salvini nelle Marche del 14 settembre 2020

Riceviamo e pubblichiamo da un nostro lettore dell’Alta Vallesina

Ieri è tornato Salvini nelle Marche, il politico più odiato da quando Berlusconi è diventato un avatar, ed ecco che oltre alle necessarie contestazioni sono fiorite inutili polemiche nella galassia dei cosiddetti movimenti. Si è parlato di “agende”, sarà che era anche il primo giorno di scuola e le vendite di diari si erano impennate vertiginosamente. Così a forza di sentire parlare di agende un po’ di curiosità mi è venuta e sono andato in cartoleria a chiedere una “agenda per il movimento”… niente, non l’ho trovata, anzi la commessa ventenne a dire il vero non capiva proprio la parola “movimento” e, visto che non avevo tanta voglia di dilungarmi in una lunga spiegazione che parte dalla Rivoluzione francese, ne ho approfittato per ricomprare la solita moleskine nera che da vent’anni uso come feticcio.

La scena è quasi sempre la stessa da parecchio tempo a questa parte, ma con delle varianti provinciali molto gustose che vale la pena raccontare.

Considerazioni sparse e semiserie sulle agende di movimento

Salviamo il pianeta! Smantelliamo il digitale!

Intervista a Matthieu Amiech, d Rivista Malamente n. 18, giu. 2020 (QUI IL PDF)

Matthieu Amiech, editore e saggista francese del gruppo Marcuse (Movimento autonomo di riflessione critica a uso dei sopravvissuti dell’economia), ha di recente pubblicato una nuova edizione di La Liberté dans le coma (La Lenteur, 2019), un libro che affronta di petto l’informatizzazione di ogni ambito della società in quanto problema non solo individuale ma collettivo e politico. Una questione che, se era attuale già qualche anno o mese fa, oggi troviamo assolutamente amplificata dall’epidemia di coronavirus, che sembra aver fatto della comunicazione digitale l’ancora di salvezza della nostra vita sociale. Il libro descrive come ha preso forma un mondo in cui la maggior parte delle nostre azioni quotidiane passano, sempre più “necessariamente”, attraverso le tecnologie informatiche e digitali e sono dunque automaticamente registrate. Una schedatura continuativa e di massa, nuova forma di “servitù volontaria”, possibile grazie a un consumo sfrenato di energia e risorse. Vengono inoltre approfondite le conseguenze disastrose che il modo di vita perennemente connesso ha sulla nostra autonomia, sulle nostre libertà, sulle nostre capacità di opporci alle grandi organizzazioni dalle quali dipende ormai la nostra vita materiale. Abbiamo tradotto e fuso insieme due recenti interviste ad Amiech: “Il nostro libero arbitrio è risucchiato da internet”, intervista raccolta da Kévin Boucaud-Victoire, in “Marianne”, 19 agosto 2019 e “Il digitale è al centro della catastrofe ecologica”, intervista raccolta da Gaspard d’Allens e Hervé Kempf, in “Reporterre”, 26 novembre 2019. La terza intervista, “L’isolamento in casa amplifica la digitalizzazione del mondo”, sempre raccolta da Gaspard d’Allens per “Reporterre”, è uscita il 30 marzo 2020 e affronta il rapporto tra digitale e isolamento sociale per come si è venuto a configurare nella presente fase di emergenza sanitaria.

“Reporterre”. A che punto siamo arrivati, oggi, sul fronte della digitalizzazione della vita?

Siamo andati lontano, ancora più lontano di quando abbiamo iniziato a scrivere la prima edizione del nostro manifesto contro l’informatizzazione del mondo, La Liberté dans le coma (La Lenteur, 2013). La società è oggi informatizzata da cima a fondo. Quello che è stato sottratto, non sono più solamente i mezzi di sussistenza, ma il mondo stesso, l’accesso al mondo. Nelle grandi città c’è come un fenomeno esistenziale: una cosa non esiste se non la fotografo nel momento in cui la vedo. Non ha importanza se non la registro, la catturo e la condivido sulle reti sociali. Si consulta il proprio smartphone in maniera compulsiva, da appena svegli, qualunque momento di pausa si riempie guardando il flusso delle notizie, dei messaggi o dei giochi…

Salviamo il pianeta! Smantelliamo il digitale!

Brigate volontarie d’altri tempi. I sovversivi e il colera di Napoli, 1884

Di Luigi (da Malamente #18, giugno 2020)

Il primo caso si verifica a Saluzzo, in Piemonte, il 28 giugno 1884, proveniente dal Sud della Francia. La malattia che presto comincia a dilagare nonostante i cordoni sanitari dell’esercito è, ancora una volta, il temuto colera. Una malattia di origine batterica, infettiva e contagiosa, che provoca diarrea, vomito e in poco tempo una grave disidratazione: gli occhi si infossano, la pelle si riempie di rughe, la morte attende dietro l’angolo. La trasmissione deriva da cibo contaminato, da poca igiene e scarsa disponibilità di acqua potabile, per questo è più facile incontrarla nei quartieri popolari piuttosto che nelle dimore dei ricchi. Il colera attraversa l’Italia, ad agosto è in Liguria, Toscana, Emilia, a settembre il focolaio peggiore colpisce Napoli. Qui, nel giro di due settimane i malati si contano a migliaia, quasi tutti tra i bassifondi della città, i morti arrivano presto a più di 8.000. Oltre all’esercito, inviato anche a sedare i tumulti popolari che andavano nascendo, arrivano a Napoli alcuni gruppi di volontari. Tra loro chi si batteva per un mondo libero dall’ingiustizia e dalla miseria sociale: anarchici e socialisti.

Gruppo di volontari per l'emergenza colera, Napoli 1884. Seduti a terra, da destra Luigi Musini e Felice Cavallotti
Gruppo di volontari per l'emergenza colera, Napoli 1884. Seduti a terra, da destra Luigi Musini e Felice Cavallotti

Tra i primi volontari contro il colera di Napoli troviamo Andrea Costa. Era stato uno dei pionieri dell’internazionalismo rivoluzionario anarchico, grande protagonista delle lotte operaie e mito delle plebi romagnole, solo da qualche anno aveva intrapreso il non facile percorso, pieno di spine, violente polemiche, accuse di tradimento e amicizie infrante che l’aveva portato dall’anarchismo al socialismo, fino a sposare la lotta elettorale e a diventare, nel 1882, il primo deputato socialista eletto al Parlamento. Con lui, a Napoli, c’è Luigi Musini, giornalista e uomo d’azione, ex garibaldino, secondo deputato socialista d’Italia. Entrambi affiliati alla massoneria, avevano risposto all’appello del Grande Oriente d’Italia[i] e si erano aggregati alla Croce verde di Giovanni Bovio, gran maestro della loggia napoletana. Musini era medico, Costa gli faceva da infermiere: «si aggiravano fra i bassi di Napoli con le tre stellette massoniche sul petto e la croce verde sul braccio, soccorrendo gli ammalati, bruciando le suppellettili ed i vestiti nei quartieri dove il morbo aveva più colpito»[ii]. In ragione dei servizi prestati durante l’epidemia, saranno nominati membri onorari della loggia partenopea Italia.

Muoversi non era facile. Un caffè, un bicchierino di cognac e subito ci si ritrova alla Farmacia del Tigre, punto di raccolta dei volontari; da lì si parte verso i quartieri popolari con in borsa laudano, etere, chinino, disinfettanti, miscele eccitanti e unguenti. Oltre a evitare il bacillo Vibrio cholerae, Costa e Musini devono anche sopportare il costante pedinamento della polizia (è vero che ormai sono onorevoli deputati, ma erano entrati e usciti di galera si può dire fino al giorno prima). Tanto che il 15 settembre scrivono una protesta pubblica sul giornale “Roma”, suscitando un certo imbarazzo nel governo. Ricorda Musini nelle sue memorie:

«ieri ci capitò un bel caso. Stavamo con Costa girando per il quartiere del mercato a visitar infermi assieme al dottor Calì, quando il vetturino si accorse che un tale in vettura ci seguiva tenendo nota delle abitazioni da noi visitate. Temendo di equivocarci ordiniamo al vetturino di fermarsi artificialmente in vari punti e sempre quell’altro prende nota e ci segue. Allora il Calì smonta per vedere chi è e chiedergli ragione. Tosto lo riconosce per un appuntato di PS che, messo alle strette, confessa»[iii].

Brigate volontarie d’altri tempi. I sovversivi e il colera di Napoli, 1884

Ludd, ipermodernità e neototalitarismo al tempo del Covid-19

Di Tomás Ibañez

Traduzione di Isabella Tomassi e Valentina Mitidieri

Un po’ più di due secoli fa, nel 1811 e durante i cinque anni seguenti, l’Inghilterra è stata il teatro di una intensa rivolta sociale conosciuta sotto il nome della “rivolta dei luddisti” – con riferimento al suo protagonista eponimo, Ned Ludd – che distrusse una buona parte delle nuove macchine tessili la cui installazione sopprimeva numerosi posti di lavoro e condannava una parte della popolazione alla miseria. Ci sono voluti migliaia di soldati per schiacciare l’insurrezione che, ben lontana dal ridursi a delle motivazioni tecnofobe, si situava nell’ambito del lavoro e aveva la pretesa di opporsi alle conseguenze più nefaste del “progresso” dello sfruttamento capitalista.

Oggi è essenziale “reinventare” questo tipo di rivolta, facendola passare dalla sfera delle rivendicazioni puramente economiche alla sfera più direttamente politica delle lotte per la libertà e contro il totalitarismo di tipo nuovo, che s’insinua già da un po’ di tempo e che trova nella crisi attuale del Covid-19 un carburante abbondante per accelerare il suo sviluppo.

Allontanarlo dalla sfera economica, non implica sottostimare il capitalismo come principale nemico, poiché il nuovo tipo di totalitarismo al quale faccio riferimento costituisce un pezzo assolutamente fondamentale della nuova era capitalista, che nasce da questa enorme innovazione tecnologica che fu, e continua a essere, la rivoluzione digitale.

Ludd, ipermodernità e neototalitarismo al tempo del Covid-19

Immuni e DiAry: perché le App per il tracciamento non sono la soluzione ma un ulteriore problema

Di Redazione rivista Malamente

“Fase 2. È ora di usare Digital Arianna!”, recita il 18 maggio lo spot dell’applicazione dell’Università di Urbino per il contenimento del contagio da Covid-19.

Digital Arianna, per gli amici DiAry, disponibile da metà aprile negli store Android e iOS, è l’App sviluppata all’interno dell’università urbinate, dalla start-up Digit in un progetto coordinato dalla cattedra di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni. Un bel vantaggio essere arrivati prima della tanto annunciata App governativa Immuni, con la quale, assicurano, non c’è concorrenza, ma una prevedibile integrazione.

I due sistemi lavorano su principi diversi: mentre Immuni utilizzerà la tecnologia Bluetooh, DiAry punta sulla geolocalizzazione: “due strategie diverse ma che possono interfacciarsi per diventare complementari” in vista di una finalità comune, ovvero monitorare e tenere traccia degli spostamenti e dei contatti quotidiani di ogni individuo, cosicché in caso di positività al Covid-19 sia possibile risalire ai luoghi e alle persone frequentati durante il periodo di incubazione. In poche parole, Immuni rileva e registra ogni contatto ravvicinato tra cellulari di persone diverse, Diary mantiene memoria dei luoghi in cui ogni giorno sostiamo: il bar, l’ufficio, il negozio, la casa della zia o dell’amante.

Quando una persona risulta positiva, le autorità sanitarie tramite App lanciano un alert che raggiunge i telefoni di chi è entrato in contatto con l’infetto nei giorni e nelle settimane precedenti, in modo da allertarlo e possibilmente metterlo in quarantena.

Tutto molto bello e funzionale, a prima vista.

Immuni e DiAry: perché le App per il tracciamento non sono la soluzione ma un ulteriore problema

Malamente vanno le cose… Campagna a sostegno della rivista

Amici e amiche, lettori e lettrici, compagni e compagne di Malamente la peggiore rivista marchigiana degli ultimi tempi vi chiede una mano

Un vecchio manifesto torinese suggeriva una via sempre valida per far fronte alla mancanza di denaro. Noi – per ora – ci limitiamo ad aprire una più prosaica campagna di sottoscrizione a favore della rivista. Chiaro che non indagheremo sulla provenienza dei vostri soldi 😉

Malamente vanno le cose… Campagna a sostegno della rivista