Trafficanti di armi nel Montefeltro: la Benelli di Urbino (#3)
Trafficanti di armi nel Montefeltro: la Benelli di Urbino
Di Luigi
Il businness delle armi non è mai stato pulito. Da secoli si intreccia con la promozione di politiche repressive e reazionarie, con la cinica riproduzione e alimentazione di conflitti armati per aprire nuovi mercati e con intense amicizie nelle stanze del potere. Il crudele omicidio di Stato di Giulio Regeni al Cairo nell’anniversario della rivoluzione (sconfitta) del 25 gennaio 2011 ha rotto il velo dell’ipocrisia mostrando quanto il governo italiano sostenga in modo strutturale il regime militare egiziano. L’agitazione sguaiata dei nostri politici nel rassicurare l’opinione pubblica sulla volontà di verità delle istituzioni copre la cattiva coscienza di chi sostiene l’armamento e l’addestramento dei mastini egiziani. Il 20 dicembre 2014, il ministro Roberta Pinotti ha firmato un accordo di cooperazione militare con il ministro della Difesa egiziano, generale Sedki Sobhi, mentre le aziende italiane vendono armi che sostengono la repressione interna. Questa volta le contraddizioni cadono molto vicino a noi. L’OPAL di Brescia (Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa) a inizio febbraio 2016 ha reso pubblico che la Benelli Armi di Urbino (gruppo Beretta) tra maggio e giugno 2015 ha spedito 1.266 fucili nell’Egitto del regime militare di Al-Sisi. L’azienda di Urbino è produttrice del fucile antisommossa M4 S90, utilizzato dalle forze speciali e di sicurezza di numerosi paesi. Il cerchio si chiude facendoci sentire che il dolore per le vittime è legato a una catena di cause e di responsabilità che arriva fino a molto vicino a noi. Detto questo, la nostra opposizione all’industria delle armi non sposa le posizioni del pacifismo, essa è semplicemente parte del tentativo di restare umani, di sabotare la normalità della repressione brutale che colpisce i nostri fratelli e sorelle egiziane. La crudele tragedia di Giulio ci ha colpiti quando la stesura di questo articolo era già quasi completata, confermandoci purtroppo che stavamo guardando nella direzione giusta.
Personalmente ho un paio di ricordi legati alla Benelli Armi di Urbino. Il primo è un po’ sfuocato, risale ai tempi delle scuole elementari: un giorno la nostra classe sale sullo scuolabus giallo e viene portata in “gita d’istruzione” a guardare la catena di montaggio dei fucili e una specie di poligono all’aperto dove venivano testati. Pare che oggi, con quel minimo di pudore che consiglia di evitare l’accostamento bambini-armi, queste esperienze formative non vengano più ripetute. Il secondo ricordo è più nitido, siamo verso gli inizi degli anni Duemila e all’osteria “La stazione”, un simpatico bar ricavato nell’ex stazione ferroviaria di Urbino, confinante con la fabbrica, suonano i Father Honey, gruppo cover dei Rage against the machine. Il concerto viene però disturbato dall’arrivo di alcune pattuglie di carabinieri, richiamate dal custode visto che qualche scalmanato sull’onda di Fuck you, I won’t do what you tell me, aveva preso a bersagliare i capannoni della Benelli con bottiglie e sassi dei binari.
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