Moro per sempre

Di Mario Di Vito

Un’immagine condannata a descriverci. «Brigate Rosse» e la stella cerchiata sullo sfondo. Davanti c’è Aldo Moro che stringe in mano una copia di Repubblica. Titolo: «Moro assassinato?». Lui guarda dentro l’obiettivo e l’effetto è lo stesso di tanti ritratti: sembra che ci stia osservando, quasi che ci segua con il suo sguardo.

È la stessa impressione, sia pure con un’altra foto, che ha Cossiga in Esterno Notte di Marco Bellocchio, che torna sul tema dopo Buongiorno, notte.

Solo un’impressione, quella di Cossiga? È la stessa cosa delle macchie sulla pelle che gli stavano venendo: lui le vedeva, gli altri non ancora. Capita che ti prendano per matto o per visionario solo perché hai capito tutto prima degli altri, perché vivi le situazioni in maniera diversa, le avverti come uno spiffero che si insinua e non passa. Non passa mai.

L’omicidio Moro (qui interpretato da un impressionante Fabrizio Gifuni) è il nostro omicidio Kennedy, uno di quei momenti che dividono la storia in un «prima» e in un «dopo». Nel nostro caso siamo nel cuore della notte della Repubblica, là dove tutte le trame sono nere ma il sangue è sempre rosso. E scende come la pioggia dal cielo, a ricordarci cosa eravamo, cosa non siamo stati capaci di essere e cosa non saremo mai.

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Fascisti al Furlo (#2)

Fascisti al Furlo
Di Luigi

Il profilo di Mussolini sul monte Pietralata in una vecchia cartolina

La gola del Furlo è un luogo di straordinaria bellezza naturalistica. Le pareti a strapiombo dei monti Pietralata e Paganuccio, scavate dalla forza del fiume Candigliano, si aprono inaspettate nel paesaggio dolcemente collinare dell’entroterra pesarese, proteggendo un piccolo ecosistema dal fascino unico, suggestivo e selvaggio (se non fosse violentato da un’orribile diga dell’Enel). Sul lato destro per chi proviene dal mare si snoda il percorso dell’antica via Flaminia che attraversa il “forulus” da cui la gola prende il nome, cioè le due antiche gallerie scavate in uno sperone di roccia, scheggia dopo scheggia, dagli scalpelli degli schiavi romani un paio di millenni fa.

Eppure questo scenario nasconde qualcosa di strano, come un’oscura presenza incombente. Se ci si ferma nel bar proprio sopra al parco fluviale, l’occhio cade sulla bacheca esterna dove tra immagini di fossili e inni al tartufo locale campeggia una vecchia foto, anni trenta, di un’autoblu antelitteram parcheggiata lì davanti. Il passeggero è sceso e sta guadagnando la porta, sopra la foto si legge: “entrata di Mussolini nella saletta”. Ah, ecco, è proprio Lui!

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Buongiorno siamo in guerra

Buongiorno lettrici e lettori di Malamente,

questo blog fino ad oggi ha ospitato solamente i primi due numeri del nostro progetto editoriale e gli aggiornamenti del nostro account su twitter. Vista l’importanza delle riflessioni politiche sugli attentati del 13 Novembre a Parigi, anche sulla nostra quotidianità nelle apparenti retrovie provinciali, vogliamo condividere due scritti che ci sembrano particolarmente interessanti.

Il primo è stato pubblicato oggi da un progetto di rivista online “lundi matin” animato da compagne e compagni che vivono in Francia, anche a Parigi e che al fuoco vivo degli avvenimenti propongono una lettura lucida e necessaria della guerra in corso.

Il secondo testo arriva dalla Turchia, dove il progetto di regime nazionalista islamico ed autoritario del presidente Erdogan trova una fiera opposizione da parte di tanti uomini e donne liberi come i compagni e le compagne del DAF (Devrimci Anarkist Faaliyet – Azione Rivoluzionaria Anarchica) e dove negli ultimi mesi le stragi indiscriminate contro la popolazione civile, gli attivisti politici e le minoranze sono la feroce normalità della forma di governo.

Seguiranno altri interventi, episodici come questo, anche su altri temi quando lo riterremo utile ed interessante.

La redazione


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buongiorno,

lundimatin non ha mai pubblicato un editoriale. Non abbiamo d’altra parte avuto mai ritenuto utile presentarci. Vogliamo che i nostri articoli e la loro impaginazione parlino da soli, senza civetterie né discorsi in aggiunta. Il carattere eccezionale delle circostanze ci spinge a derogare, per una volta, a questa abitudine. In questi ultimi tre giorni abbiamo come tutti, parlato con i nostri amici, spulciato i giornali, ascoltato la radio, temuto per delle persone a noi vicine. Vorremmo sapere cosa sia importante dire su tutto quello che è successo. Non ci siamo riusciti davvero. Ci sono delle cose da dire che sono incomprensibili, delle menzogne da polverizzare che sono indistruttibili e delle cose palesi talmente condivise che sarebbe inutile ripeterle.

La nostra sola certezza è di essere in guerra. Tutto ne consegue. Resta da capire quale sia.

Una guerra implica degli schieramenti, delle prese di posizione, delle polarizzazioni.

La geografia prodotta dal 13 novembre non ci appartiene. Da un lato siamo i “crociati” e “miscredenti” del Bataclan. Dall’altra, abbiamo tutti, a lundimatin un dossier “S” che sta per “sicurezza di Stato” che sembrerebbe dover giustificare il nostro imminente internamento in dei campi.

Quello che ci propone il partito del governo è di abbandonare ogni prospettiva di rovesciamento della situazione in cambio di una sicurezza che ormai tutti sanno essere precaria. Quello che ci propone lo Stato Islamico, è la triste gloria di un nichilismo alla fine perfettamente occidentale.

“rifiutate entrambi i partiti, amate soltanto il resto

E’ un tempo propizio per tuffarsi nelle considerazioni geopolitiche, sociologiche, psicologiche e più generalmente da bar. E’ d’altra parte quello che vogliono gli schieramenti che abbiamo citato: limitarci all’assenza tipica dello spettatore. L’indecisione di cui paghiamo il prezzo oggi, presi in mezzo a così tante aberrazioni, è di non essere riusciti a formulare e condividere una prospettiva politica meno schifosa di quella dello Stato Islamico e più vivibile, meno miserabile, di quella di chi pretende di governarci.

In realtà noi non abbiamo affatto voglia di essere messi al sicuro e non siamo affatto terrorizzati. Non saremo né petainisti* né vittime dell’islamismo.

Quello che ci paralizza e ci soffoca è l’assenza di una strada praticabile.

In questa guerra è proprio quello che è necessario costruire e fare esistere malgrado l’idiozia e la paura, contro l’idiozia e la paura.

*declinazione storicamente francese del fascismo n.d.t.

 


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Il dolore che vivete è il nostro dolore, la rabbia che sentite è la nostra rabbia.
Il 13 novembre, oltre 130 persone hanno perso la vita e ci sono stati decine di feriti in 7 diversi quartieri di Parigi a causa di attacchi ISIS coordinati con bombe e armi da fuoco. L’organizzazione criminale ISIS continua a uccidere al di fuori delle regioni del Medio Oriente e dell’Anatolia. Il massacro che ha avuto luogo a Parigi, mostra chiaramente che il terrore dell’ISIS non conosce limiti. Sentiamo la strage di Parigi profondamente e condividiamo il suo dolore. Abbiamo vissuto e viviamo ancora gli attacchi ISIS sostenuti dallo Stato. Nelle zone di Sengal a Kobane , da Pirsus (Suru) ad Ankara, abbiamo perso tanti compagni e amici. Siamo consapevoli del fatto che i massacri mirano a creare paura, diffidenza e a renderci isolati. Il nostro dolore è grande e aumenta ogni giorno. In questo periodi, dobbiamo far crescere la solidarietà contro gli assassini che vogliono seppellirci nella paura, nella solitudine e nell’isolamento.

Vediamo le mosse simultanee dello Stato francese e di altri Stati allo scopo di manovrare la situazione. Sappiamo che queste stesse strategie sono realizzate nella nostra regione con il nome di “lotta contro il terrore”. In questo contesto di sfiducia, le persone hanno una psicologia di panico che è diretto da organismi dello Stato. Lo stato di oppressione dei rivoluzionari e le restrizioni delle politiche statali che limitano la libertà, sarà legittimata politicamente e la questione razzista e politica aumenterà. Gli Stati utilizzano questi eventi per i loro interessi politici, economici e sociali. Comprendiamo la situazione che i popoli in Francia stanno vivendo e vivranno. Conosciamo la difficoltà di portare avanti, da un lato il dolore di quelli che abbiamo perduto e nello stesso tempo la difficoltà di lottare contro le mobilitazioni fasciste create dallo Stato all’interno della società. Ci teniamo a sottolineare che, anche con questa difficoltà, la lotta dovrebbe essere contro la paura, lo Stato e il fascismo. Il dolore che vivete è il nostro dolore, la rabbia che sentite è la nostra rabbia, la vostra lotta è la nostra lotta!
Devrimci Anarkist Faaliyet – DAF (Azione Rivoluzionaria Anarchica)

Salvini, le Marche, io e te (#1)

Salvini, le Marche, io e te
di Redazione

Manifestazione contro Salvini, Pesaro, 25 maggio 2015 - Foto di Cindy
Manifestazione contro Salvini, Pesaro, 25 maggio 2015 – Foto di Cindy

 

Eccoci finalmente al numero uno del progetto Malamente. Dopo l’uscita del numero zero abbiamo raccolto opinioni, critiche e suggerimenti, abbiamo cercato di allargare la rete dei nostri contatti per collaborazioni e distribuzione. Le impressioni sono positive, la ricchezza delle storie che stiamo incontrando non entrerà tutta neanche in questo numero, ma questo ci spinge già a pensare al prossimo. Ogni articolo ha una introduzione della redazione che vuole guidare la lettrice e il lettore nella comprensione del contesto e dei collegamenti tra ogni storia e il territorio in cui viviamo. La nostra casella di posta e l’account twitter sono aperti a commenti e discussioni.

In questo spazio vogliamo dire la nostra su alcuni episodi di lotta e di critica agiti sul nostro territorio contro chi strumentalizza le identità locali per un progetto neofascista. Infatti anche nelle Marche, così come in tutte le città e i paesi dove Matteo Salvini si è affacciato durante la campagna elettorale di maggio, le piazze hanno risposto con una sonora contestazione, assediando i suoi comizi allo scopo di impedirgli di parlare. A Macerata, Senigallia, Pesaro, Ancona, Porto Recanati è stata interrotta la tolleranza repressiva che spesso contraddistingue questi territori. Di fronte alla finzione del dialogo televisivo che domina questo miserabile tempo preferiamo uova, pomodori, frutta marcia, fumogeni e petardoni, come il minimo che si possa scagliare contro il felpato e la sua claque.

Nonostante qualcuno voglia farci credere che in questo modo “è stato fatto il suo gioco”, riteniamo che opporsi fisicamente al leader leghista sia stata l’unica cosa giusta da fare. C’è poi chi, con un curioso gioco di inversioni, ha accusato i contestatori di essere dei “fascisti”, in quanto si sarebbero opposti con la forza al diritto di parola che una società democratica deve concedere a tutti. Siamo d’accordo che poter esprimere liberamente la propria opinione è un diritto ignoto ai regimi autoritari, ma si tratta di una conquista di chi è senza potere. Quando a reclamare a gran voce il diritto di parola è invece chi si trova in posizione di forza, chi ha sempre un posto in prima serata in qualche canale televisivo è evidente che qualcosa non torna.

D’altra parte non pensiamo che il confronto dialettico sia sempre e comunque segno di tolleranza e democrazia, esso infatti non esiste in astratto, estrapolato dal contesto e dai soggetti che vi partecipano. Il dialogo è possibile quando le parti sono sul medesimo piano di reciprocità e, cercando di far valere le proprie idee, danno e prendono qualcosa l’una dall’altra. Ma quando le decisioni sono già stabilite e ad averle prese è proprio uno degli interlocutori, allora il pacato dialogo diventa una farsa, oltre che inutile perdita di tempo: “a chi mi contesta in maniera pacifica – ha detto Salvini ai giornalisti dopo la contestazione di Pesaro – dico che possono urlare e scrivere ciò che vogliono. L’importante è che non rompano le scatole alla gente per bene”.

Manifestazione contro Salvini, Senigallia, 14 maggio 2015 - Foto di Matilde Mazzaferri
Manifestazione contro Salvini, Senigallia, 14 maggio 2015 – Foto di Matilde Mazzaferri

 

Inoltre, nel nostro caso, non siamo di fronte a un semplice confronto di opinioni diverse, visto che dietro le parole di chi siede là dove vengono approvate le leggi e la politica del paese avvengono dei fatti concreti: la sofferenza dei migranti e la costruzione di un mondo sempre più intollerante nei confronti del diverso. Salvini non esprime semplicemente pareri come potrebbe fare qualunque razzista al bar, Salvini produce fatti. L’avanzata della Lega Nord nelle Marche sostenuta dai fascisti di Sovranità, dal 6,3% delle Regionali del 2010 all’attuale 13,02% testimonia la pericolosità della sua propaganda. Nella sua posizione di oggettivo potere, le sue parole diffondono odio e danno copertura a tanti piccoli gesti quotidiani di ordinario razzismo ed emarginazione.

Non ci interessa, quindi, discutere con Salvini e con quelli come lui, ma solo cacciarli dalle nostre piazze. Manifestare in maniera composta e contrapporre parole alle parole lo lasciamo ai “sinceri democratici” che popolano i salotti televisivi. Che il leghista, per raccogliere consensi, si atteggi a vittima di contestatori che gli impedirebbero di esercitare i propri diritti, è una questione, come abbiamo cercato di spiegare, falsa, che lasciamo prendere per buona ai campioni della solidarietà istituzionale e a coloro che hanno smarrito qualunque parvenza di senso critico.

Marche cinquanta e cinquanta. Malamente intervista Sergio Sinigaglia

Blu. Street art - Berlino
Blu. Street art – Berlino

di Vittorio

La competizione elettorale torna periodicamente a scandire i temi ed i tempi del dibattito politico pubblico: il degrado dei faccioni elettorali e delle promesse da marinaio riempiono di nuovo le strade. Le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale e di molti importanti comuni delle Marche del 31 maggio ci impongono di guardare con attenzione ad un terreno verso il quale nutriamo avversione e sfiducia. Il progetto conservatore della cricca storica del governatore Spacca si scontra con i nuovi delfini della destra renziana, più che “Marche 2020” ci sembra di vedere arrivare una spartizione “50 e 50” del potere regionale. Ancora più a destra avanzano le Lega e Sovranità. La prima sembra crescere nei consensi della fascia più risentita e conservatrice della popolazione, sta creando i suoi piccoli feudi nei centri impoveriti dell’interno della regione. In questa campagna elettorale ha mostrato un attivismo insolito sospinta dalle comparsate di Salvini a sostegno delle pulsioni razziste sul territorio. I secondi sono i fascisti di Casapound sotto altro nome, hanno la loro base di radicamento sociale nella provincia di Ascoli Piceno e tentano di agganciare il treno della Lega per ottenere sostegni istituzionali e risorse strategiche alla loro avanzata nel resto della regione. A sinistra rinasce l’ennesimo tentativo unitario, indebolito dai troppi generali senza esercito e da tante alleanze locali di comodo con il Pd. Forse qualcuno a questo punto si sarà già addormentato sulla pagina, ma è proprio perché vogliamo costruire una alternativa politica radicalmente anticapitalista, ecologista ed egualitaria che non possiamo fare a meno di capire meglio i meccanismi di distribuzione e gestione del potere istituzionale per combatterlo. Troppi uomini e donne oppressi e delusi dalla politica istituzionale si illudono oggi che semplicemente girandosi dall’altra parte le relazioni di potere dettate dalle istituzioni scompaiano, non è così. Laddove si sperimentano alternative al modello economico e politico esistente, se non esistono iniziative politiche autonome capaci di dare corpo a ciò che si evoca, è l’apparato di governo che se ne appropria, come spesso accade nei territori amministrati dal Pd. Le lotte dei lavoratori, in assenza di sindacati conflittuali, restano quasi sempre intrappolate nelle mediazioni sindacali ed istituzionali, espropriate della propria autonomia e svendute ai tavoli della convenienza economica e della pacificazione sociale. Infine durante l’ultimo anno ed anche di recente, le principali manifestazioni pubbliche delle formazioni razziste e neofasciste hanno subito contestazioni anche dure nelle province di Pesaro, Ancona e Macerata e nelle piccole realtà locali si stanno riaccendendo uno spirito antifascista ed una attenzione che troppo spesso si erano addormentate cullandosi nella favola delle Marche come regione rossa e tranquilla. Ma non basta la contestazione a sottrarre alle destre agibilità e consensi né a riportare le lotte per il lavoro sul terreno di una contestazione radicale al modello economico esistente. Occorre ri-costruire le parole e le azioni necessarie a riportare il potere nelle nostre mani, acquistare la fiducia nell’autogestione, nell’autogoverno e nella cooperazione non gerarchica. E aspirare ad estendere queste relazioni a parti sempre più ampie delle nostre vite e dei territori in cui abitiamo. Per questo abbiamo deciso di intervistare Sergio Sinigaglia, anconetano, giornalista ed attivista da lungo tempo nelle lotte sociali, profondo conoscitore della realtà politica marchigiana. Sergio è autore tra gli altri della raccolta di articoli “Altre Marche: la crisi di un modello e le sue alternative” (Ancona, Affinità Elettive, 2012) e del romanzo “Il diario ritrovato” (Ancona, Italic, 2014).

Blu. Street art - Bologna
Blu. Street art – Bologna

Perché Spacca vuole candidarsi per la terza volta? Quali interessi convergono sulla nuova lista di Area Popolare che unisce tutto il centro e centro-destra? Quali interessi forti lo sostengono?

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