Intervista collettiva di Luigi agli scout e alle scout del CNGEI Sezione di Fermignano (PU) Da Rivista Malamente #23 (novembre 2021)
Può una rivista che si chiama “Malamente”, scritta e letta da dei poco di buono, parlare di scautismo? Forse qualcuno/a storcerà il naso, convinto che gli scout siano giovani soldatini di Cristo e di Baden-Powell o, al limite, bravi/e ragazzi/e in grado di accendere un fuoco e stringere nodi, ben disciplinati in un’organizzazione gerarchica.
Con questa intervista collettiva al Grufe – la Sezione scout di Fermignano (PU) –, vogliamo smontare alcuni pregiudizi consolidati ma fuorvianti.
Agli inizi di marzo il sito Dinamo Press – che si definisce come un progetto di informazione indipendente nato dalla cooperazione tra diversi spazi sociali di Roma, giornalisti professionisti, ricercatori universitari, video maker e attivisti – ha pubblicato un articolo di Angela Pavesi e Michele Dal Lago intitolato “Una selva molto oscura. Il neoliberismo comunitarista delle scuole parentali e libertarie”. Mettendo in un unico calderone esperienze educative tra loro anche molto diverse, gli autori attaccano duramente tutte le realtà che si muovono esternamente alla scuola statale, identificata come l’unica scuola pubblica possibile, al di fuori della quale ci sarebbe solo la giungla del modello neoliberista. Pubblichiamo una replica di Francesco Codello, pedagogista, tra i fondatori della Rete per l’educazione libertaria, che è stato dirigente scolastico ed è da lungo tempo impegnato nella ricerca storico-educativa. Codello ha parlato ai microfoni di Radio Blackout, nella rubrica Anarres condotta da Maria Matteo, difendendo le esperienze concrete di educazione libertaria che, tanto oggi quanto nella loro ormai lunga storia, si sono sviluppate come strumenti di cambiamento sociale in senso antiautoritario: riportiamo qui il dialogo radiofonico con l’autorizzazione dell’autore, e ci ripromettiamo di tornare sul tema anche sulle pagine di Rivista Malamente.
[Maria Matteo] Vuoi raccontare brevemente cosa dice l’articolo pubblicato su Dinamo Press o preferisci partire dalla realtà delle scuole libertarie?
[Francesco Codello] Preferisco sicuramente partire dalle nostre idee e dalle nostre pratiche, perché ritengo quell’articolo pubblicato da Dinamo Press violento nei toni, inqualificabile, che sprigiona ignoranza e/o malafede. I toni e i modi, oltre che i contenuti, non stimolano l’apertura di un dibattito, non aiutano il confronto e nemmeno spingono a fare riflessioni e autocritiche, peraltro sempre necessarie. Nel corso della discussione spero di riuscire a far emergere alcuni concetti importanti sia dal punto di vista storico che attuale, che in quell’articolo non vengono minimamente considerati.
[M.M.] Cominciamo allora con il dissipare un po’ di confusione, che certamente Dinamo Press ha contribuito ad alimentare, perché il percorso delle scuole libertarie non può essere equiparato alla sola educazione parentale, né tantomeno a percorsi come quelli delle scuole private, confessionali o di altro genere.
[F.C.] Partirei da una prima considerazione: gli autori dell’articolo che esprimono questi giudizi, e portano un così duro attacco all’educazione libertaria, palesano una profonda ignoranza di tutta la storia dell’educazione libertaria. Non sanno nulla, almeno così traspare dall’articolo, di una storia della quale noi siamo orgogliosamente fieri, che ci appartiene e di cui sentiamo anche la responsabilità. Quando si intraprendono pratiche di educazione libertaria si deve infatti sentire il senso di appartenenza a una tradizione che ha segnato profondamente il rinnovamento della pedagogia nel corso della storia. A cominciare da William Godwin, che per primo parlò contro l’idea di un curricolo scolastico unico e quindi di gestione in esclusiva del sistema scolastico da parte dello Stato, per arrivare fino alle esperienze concrete dei giorni nostri.
C’è poi anche una profonda ignoranza di ciò che si è dibattuto e discusso nella storia della scuola italiana. Tra il 1900 e il 1926, cioè fino all’imporsi delle leggi cosiddette “fascistissime”, la scuola italiana ha subìto due grandi processi di cambiamento: la legge Daneo-Credaro del 1911 e la riforma Gentile del 1923. Mi soffermo in particolare sulla legge Daneo-Credaro, con la quale lo Stato italiano, in ritardo di molti anni rispetto ad altri paesi europei, avoca a sé la gestione e quindi l’organizzazione delle scuole di base, così si chiamavano le elementari, che fino ad allora erano state a gestione comunale. Questa legge rappresenta sicuramente un importante passaggio, anche in senso positivo, ma dà inizio anche a un percorso di statalizzazione esclusiva dell’organizzazione scolastica. Tra gli anarchici si sviluppa in quegli anni tutto un dibattito che possiamo semplificare nella domanda: scuola laica o scuola libera? Cioè era positivo il tentativo di togliere la scuola dal condizionamento clericale, perché era questo che succedeva con la scuola a gestione comunale, soprattutto nei piccoli comuni che rappresentavano la maggior parte del tessuto sociale italiano, ma d’altra parte a questa idea di scuola laica veniva contrapposta un’idea di scuola libera.
Abbiamo intervistato una delle fondatrici del comitato Priorità alla scuola (PaS) nelle Marche, che in questi mesi di relativa passività e rassegnazione delle lotte sociali nella nostra regione è stata una voce forte e attiva. Ci mettiamo in ascolto di questa iniziativa in difesa della scuola pubblica, anche se siamo sempre stati critici verso gli aspetti più istituzionalizzanti, disciplinari e repressivi della scuola di Stato. Pensiamo infatti che la scuola oggi vada difesa non come istituzione statale ma come spazio di relazione sociale pubblico, per trasformarla radicalmente e non per salvare il modello che anche prima della pandemia aveva troppi difetti. Dirigenti e insegnanti, tra l’altro, non stanno dando generalmente una bella prova, accettando con troppa facilità il nuovo paradigma autoritario, verticale, trasmissivo e passivizzante che si esprime nella quasi totalità delle attività svolte in didattica a distanza.
Ancona, 12 gennaio 2021
Quando
e perché è nato il comitato di Priorità alla Scuola delle Marche? Da chi è
composto?
Il Comitato Marche del movimento Priorità alla Scuola (PaS) è nato il 27 maggio 2020 dalla volontà, ma anche dalla disperazione, di tre madri lavoratrici anconetane Silvia Mariotti, Livia Accorroni e Valentina Rubini che – lo raccontiamo sempre – non si conoscevano nemmeno tanto bene e disponevano soltanto di una chat Whatsapp. Inizialmente denominato Comitato di Ancona, il gruppo è nato in risposta alla lettera-petizione indirizzata alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, pubblicata su AVAAZ il 18 aprile 2020 da un gruppo di madri, docenti, professioniste che chiedevano a gran voce che fine avessero fatto le scuole nel piano nazionale previsto dalla Fase 2 e pretendevano che l’istruzione tornasse al centro dell’agenda politica. Quelle scuole che infatti erano state la prima attività a dover essere interrotta, alla fine di febbraio non venivano nemmeno citate dai proclami della Fase 2 e 3, quando – per ricordarlo a tutti – si poteva ricominciare ad andare dall’estetista, in palestra, nei bar e ristoranti, e successivamente anche in discoteca, ma non si poteva in alcun modo rientrare negli edifici scolastici.
Intervista di Luigi a Nicoletta e Serena [da Malamente #12, ottobre 2018] [QUI IL PDF]
La natura non è un posto da visitare. È casa nostra.
Gary Snyder
Il rapporto di molti bambini con l’ambiente naturale è oggi sempre meno diretto, spesso si riduce al palcoscenico di una gita domenicale o alla visita programmata in fattoria didattica, anche perché la quotidianità della vita urbana o semi-urbana ne cattura l’attenzione, loro malgrado, in un mondo di cemento, plastica ed elettronica. Nelle scuole d’infanzia, a parte rare eccezioni in cui qualche nonno è chiamato a piantare pomodori in giardino, si diventa per lo più abili a colorare le fotocopie di un albero senza uscire dai bordi, poco importa se non si è più in grado di riconoscere le piante attorno casa o se non si è mai sentito il profumo di un bosco d’autunno. Anzi, non è infrequente che le nuove generazioni, sempre più abituate a vivere in spazi chiusi, artificiali e igienicamente ipercontrollati, provino sensazioni di disagio quando sono chiamate a uscire dalla propria bolla per entrare in contatto con la materia organica, si tratti di camminare a piedi nudi sulla terra o bere latte appena munto.
Ma ci sono anche bambini e bambine che trascorrono le proprie giornate principalmente all’aria aperta, che sia estate o inverno, tra osservazioni e scoperte, esplorando in libertà il mondo esterno e le potenzialità della propria autonomia. Spesso si sporcano, ogni tanto si sbucciano un ginocchio. Non sanno cosa siano i “lavoretti” uguali per tutti/e e la curiosità è il motore della loro crescita. Li potete incontrare a spasso tra le campagne e i boschi delle Cesane di Urbino: sono i bambini e le bambine di Maestra Natura, un progetto educativo che è da poco entrato nel suo secondo anno di attività, rivolto, per ora, alla fascia uno-sei anni.
Nella sede che domina la vallata da dove, quando l’aria è tersa, lo sguardo può correre fino al mare, i bambini non sono oggetto di un trasferimento di competenze da parte degli educatori, ma soggetti di esperienze vissute, con buona pace di quei genitori ansiosi che i figli non imparino mai abbastanza per “essere pronti” all’ingresso nella scuola primaria, che è in primo luogo imparare a restare buoni e seduti fino al suono della campanella. Inoltre, lo stile educativo di Maestra Natura (e delle molteplici esperienze di outdoor education che si stanno sviluppando anche altrove, anche nelle Marche) non tiene conto solo della sfera cognitiva, perché imparare a gestire fin da piccoli le proprie emozioni e i rapporti umani con gli altri è altrettanto importante che imparare l’inglese e le tabelline e, probabilmente, è una buona strada per iniziare a costruire un futuro di migliore convivenza.
Su Malamente abbiamo già dato spazio a esperienze educative fuori dagli schemi oggi maggioritari, questa volta abbiamo intervistato Nicoletta e Serena, fondatrici ed educatrici dell’associazione L’Albero Maestro, al cui interno si sviluppa anche il progetto Maestra Natura.
Vi chiedo intanto di presentarvi. Da che percorsi personali siete arrivate all’apertura dell’associazione L’Albero Maestro e del progetto Maestra Natura?
La Rete per l’educazione libertaria: una realtà
Intervento di Giulio Spiazzi
La Biblioteca libertaria Armando Borghi di Castel Bolognese in occasione del centenario della sua fondazione ha organizzato lo scorso autunno un ciclo di conferenze e seminari sull’educazione libertaria intitolato “Vaso, creta o fiore? Educare alla libertà”. Pubblichiamo la trascrizione dell’intervento tenuto da Giulio Spiazzi la sera del 4 novembre presso il Teatrino del Vecchio Mercato, dedicato ai valori fondanti, ai percorsi e alle prospettive delle Rete per l’educazione libertaria, di cui Giulio è stato uno dei fondatori, oltre a essere attuale “accompagnatore” nella Piccola scuola libertaria Kether sulle colline di Verona. La registrazione dell’incontro, comprendente anche il dibattito con il pubblico presente, è disponibile sul canale youtube della Biblioteca Borghi.
La REL è una realtà in crescita, fatta di alcune esperienze già mature e consolidate e di tanti gruppi che, anche nelle Marche, ci stanno provando. Su queste pagine abbiamo già affrontato l’argomento con una lunga intervista alle animatrici della scuola Serendipità di Osimo (Malamente #3) e contiamo di tornare a parlarne anche nei prossimi numeri, dando spazio al fermento di quanti stanno cercando di mettere in pratica, con modalità diverse, approcci di pedagogia non autoritaria.
Studiare
Una storia collettiva
La storia collettiva e partecipata della REL, Rete per l’educazione libertaria, parte da lontano, ancora prima della data progettuale di fondazione del 2006, avvenuta poi fattivamente nel 2008 nella città di Padova. Infatti già nel 2004-2005, a seguito di contatti e di frequentazioni presso l’allora comunità educante sperimentale Kiskanu di Verona, insieme a Francesco Codello si era dibattuto sulla necessità di creare una Rete per l’educazione libertaria in Italia, quando ancora non esistevano realtà educative libertarie se non, in nuce, la nostra di Verona. A Berlino nel 2005 Francesco aveva partecipato all’incontro internazionale dell’IDEC, International Democratic Education Conference, e aveva contribuito attivamente alla redazione della dichiarazione sulla libertà di scelta educativa dei bambini e delle bambine e dei ragazzi e delle ragazze, che è il nostro manifesto (lo trovate anche sul sito della REL).
Nella scelta di dare vita a una Rete emergeva chiaramente la consapevolezza che i tempi stavano finalmente maturando, anche per il nostro Paese, per rendere concreto l’appello libertario che si ritrova nel principio dei “fini congiunti inscindibilmente ai mezzi”. L’esistenza già dal 2004, a Verona, di una realtà “scolastica” di ricerca e sperimentazione educativa libertaria e l’affiorare di volontà che si andavano concretizzando in altre parti d’Italia, in specie a Bologna con il progetto che verrà a chiamarsi I Saltafossi, indicavano che esistevano anche in questa parte d’Europa nuovi orizzonti dove la teoria libertaria poteva essere e divenire sempre più pratica libertaria.
A Padova, quando venne varato il cammino della futura REL, oltre a Francesco Codello e al sottoscritto erano presenti anche rappresentanti di diverse esperienze educative libertarie, che complessivamente coprivano un vasto arco temporale di crescita di bambini e ragazzi, che andava dalla fascia prescolare con Grazia Honegger Fresco (una diretta allieva della Montessori, che ricordo sempre con piacere come una “ribelle” montessoriana), alla nostra realtà veronese che riguardava la scuola primaria, alle proposte di cultura e autoeducazione permanente senza età, al di fuori dei percorsi di scolarizzazione, di Elis Fraccaro e dell’Ateneo degli imperfetti di Marghera. C’erano dei fuoriusciti dalla scuola steineriana – io sono tra questi – che non si riconoscevano nel suo dogmatismo e c’era chi criticava il sistema montessoriano sclerotizzato e diventato probabilmente qualcosa d’altro rispetto alle indicazioni della Montessori. Insomma, un mondo a vastissimo giro d’orientamento si ritrovava volontariamente per ascoltarsi e per promuovere un’utopia che, nel corso di questi quasi dieci anni di viva esperienza sul campo, è oggi la Rete per l’educazione libertaria: una delle possibili voci di aggregazione e di frequentazione del variegato mondo della pratica diretta libertaria.
Dico che la REL è solo “una delle possibili” reti perché noi non ci siamo mai sognati di dire che siamo l’unica rete per l’educazione libertaria. Noi siamo la REL, siamo partiti nella maniera che vi sto raccontando ma ciò non toglie che è che chi è fuori dalla REL sia fuori dall’educazione libertaria. È anche vero che la REL in tutti questi anni ha fatto un bel percorso e ha quindi accumulato una discreta esperienza per quanto riguarda il collegamento tra varie realtà educative, sia scolastiche che extra scolastiche.
Attraverso la pratica della condivisione e del sostegno mutualistico di kropotkiniana memoria, offerto da coloro che hanno acquisito capacità e conoscenze dirette sulla crescita di comunità autoeducanti, negli anni si è allargato e diffuso significativamente il numero di realtà che si riconoscono in questo percorso, creando un circuito attivo in continuo movimento. All’interno della Rete si ritrovano quindi sia le situazioni “storiche” che l’hanno generata e che ne hanno segnato il percorso (ricordo Kiskanu, ora Kether, di Verona e I Saltafossi di Bologna, solo per citare le prime) sia diverse nuove realtà che si sono affiancate nel tempo con coraggio e determinazione per rafforzare e ampliare il comune tessuto educativo libertario italiano.
Volare
In rete per un cammino comune
Fatta questa premessa “storica”, la domanda d’obbligo è: “che cos’è dunque la REL?”. Possiamo dire che la Rete per l’educazione libertaria è in primis una “pratica di relazione che si nutre di presenze” ed è bene sottolineare che le presenze sono corpi, corpi reali, non pensieri e teorie immateriali. La presenza è importante. Noi non comunichiamo solo per email ma cerchiamo di incontrarci per poter tessere fisicamente delle relazioni. La REL si estende da un capo all’altro della penisola e quindi non è sempre facile trovarsi, ma nel tempo si è visto che chi effettivamente vuole aderire e seguire i percorsi della rete trova il modo di essere presente fisicamente agli incontri: siamo un gruppo di donne e di uomini che si ritrova per stare assieme, per discutere di educazione libertaria e per agire conseguentemente in quest’ambito.
Per scelta la REL non ha una formalizzazione giuridica, non siamo un’associazione iscritta in qualche registro. Dunque la REL è un insieme aperto di persone reali che, partendo da motivazioni interiori, da un desiderio d’essere, hanno dato vita a un soggetto concreto, non formalmente riconosciuto dunque non giuridico, un soggetto collettivo che cerca con le proprie forze e con le proprie capacità di divulgare, diffondere, mettere in relazione le esperienze di pratiche autoeducative che si reggono filosoficamente su principi di matrice libertaria. La REL è quindi una “partecipazione collettiva” di desiderio, di contatto, di scambio, di approfondimento e di scommessa sulla fattività, oggi giorno, della messa in opera di pratiche educative autoeducanti sinceramente libertarie.
Per far questo la REL compie un lavoro di tessitura che passa attraverso momenti annuali di aggregazione nazionale (quest’anno si è appena concluso il 7° incontro) e seminari di approfondimento, dialogo, discussione e studio comune. Proprio domani a Pavullo, nel modenese, presso la comunità autoeducante de I Prataioli prenderà il via il 5° seminario operativo incentrato su tematiche educative importanti quali: corpo e sessualità nell’esperienza educativa libertaria; le competenze di base per un accompagnatore libertario; la funzione “politica” del cammino REL in Italia; etc. Possiamo delineare una cronologia e una geografia di queste attività assembleari periodiche. Gli incontri nazionali si sono finora svolti a Verona (scuola libertaria Kiskanu), ancora a Verona, a Roma, a Rimini, a Urupia nella comune libertaria di S. Marzano di S. Giuseppe nel Salento tarantino, a Osimo (Scuola libertaria Serendipità) e ad Abbiategrasso (Scuola libertaria Ubuntu). I quattro seminari hanno invece visto la luce alla Scighera di Milano, a Osimo, ancora a Milano e l’ultimo a Verona presso la comunità autoeducante Kether.
È bene precisare, quando si parla di seminari, qual è la posizione esplicita della REL rispetto a queste proposte. Siamo fermamente convinti che nessuno di noi si possa proporre né qui né altrove come “esperto”, “formatore”, detentore di un ricettario che possa far diventare qualcun altro un “operatore libertario” o che lo possa rendere empatico con bambini, bambine, ragazzi e ragazze. I seminari di studio e di incontro/confronto della REL sono momenti autoformativi importantissimi, dove chi vi partecipa trova nello scambio di esperienze, dentro la dimensione fortemente contestuale del momento, la possibilità di far crescere se stesso e la comunità di cui fa parte. Siamo quindi del tutto estranei all’idea di un intervento da parte di “tecnici-guru” col compito di insegnare come dover essere libertari o quale particolare dottrina frequentare per aprire e gestire una scuola libertaria, come se fosse un franchising, una start-up o altre, per me odiose, imprese micro-capitalistiche di questo tipo. La REL non dà certificazioni né attestati di “buon educatore libertario”, ma promuove scambio, confronto, messa in gioco su queste questioni educative.
Viaggiare
È necessario puntualizzare questo perché rispetto a quando siamo partiti, ormai una decina di anni fa, l’educazione libertaria sembra adesso interessare un vasto pubblico – per fortuna – ma a volte con l’idea che si possa diventare libertari da un momento all’altro e si possano creare scuole che partono immediatamente e perfettamente libertarie. Se ci chiedete come fare per creare una scuola libertaria, la risposta è: fatela, punto e basta. Non è che siano i più bravi a riuscirci. Riesce chi sa congiungere la teoria alla pratica. Noi possiamo fornire un aiuto per quanto riguarda la nostra esperienza, suggerire ad esempio di partire come associazione piuttosto che come cooperativa sociale, dare indicazioni su come regolarizzarsi con i pagamenti, dare cioè delle indicazioni tecniche… le problematiche sono tante, il lavoro da fare è notevole.
A volte quando andiamo a visitare alcune realtà ci chiedono se secondo noi sono “abbastanza libertarie” o addirittura se facciamo corsi di formazione all’essere libertari o cose del genere. La REL non ha la funzione di dare una “certificazione” alle realtà che incontra nel corso della propria attività. La REL non dà il bollino di “libertario”, non autentica nessuna scuola che si propone come tale. Insomma, c’è questo grosso rischio della moda del momento, mentre quello che conta è proprio il fatto che si tratta di un cammino estremamente delicato, quotidiano, di contatto con i ragazzi, un cammino di relazione. Tutto il resto è qualcosa che appartiene all’idea teorica e astratta di certi adulti che pensano questa realtà come una moda, se non come un business.
La REL non ha nemmeno la funzione di pubblicare e promuovere sul proprio sito qualsiasi cosa esistente sul territorio che si dica, anche solo di nome, “libertaria”. Come ho sottolineato all’inizio, la relazione si nutre di presenze, per cui laddove esistano esperienze nascenti che ci contattano è sempre bene andare di persona, non con lo scopo di verificare, controllare, bollare o meno questa o quella realtà, ma – i viaggi assidui per l’Italia di Francesco Codello, miei, di Gabriella Prati e di altri lo testimoniano – per iniziare a costruire un rapporto tra persone, ambienti e situazioni che possa dipanarsi nel tempo e nelle difficoltà inevitabili. Lo scopo è intraprendere un cammino comune d’intesa, nel tracciato fluido e in divenire della REL, quale organismo aperto alle trasformazioni innescate da reali incontri di persone finalmente scese dall’empireo della teoria alla quotidianità spinosa della pratica libertaria, immersa nel contesto neo-liberista della società attuale.
Scrutare
Democrazia diretta e pratiche libertarie
La Rete per l’educazione libertaria nasce quindi dalla volontà di donne e uomini provenienti da diversi percorsi formativi e lavorativi, non solo in esperienze auto-organizzate, che sperimentano pratiche educative alternative in progettualità comunitarie. Questa ricerca teorica, ma soprattutto pratica, del fare libertario mette al centro della propria riflessione educativa e politica il ruolo di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, coinvolti in prima persona nella loro crescita autoeducativa. Fanno parte della Rete molte figure diverse, da chi effettivamente sta costruendo una scuola o è già dentro questo tipo di percorso, a soggetti a vario titolo interessati a conoscere, confrontarsi e riflettere intorno a un differente modo di pensare e vivere l’educazione, a studenti, a genitori coinvolti nelle problematiche di crescita dei loro figli. Ne fanno parte anche diversi insegnanti delle scuole statali; abbiamo anche genitori che insegnano nella scuola statale ma portano i figli alla scuola libertaria e sarebbe interessante indagare i perché di questa scelta.
La REL vive fin dagli albori della sua nascita un forte dibattito interno su tematiche semantiche percepite come basilari. Agendo per la diffusione del pensiero e delle pratiche educative libertarie, si è interpellata per lungo tempo anche sul significato del termine libertario, piuttosto che democratico da dare proprio a se stessa in fase costituente. Fuori dai nostri cosiddetti confini nazionali, le realtà autoeducanti vengono identificate generalmente con il termine, in parte fuorviante, “democratiche”. Ciò comporta a mio avviso, anche a livello di immaginario collettivo, una visione che abbraccia qualsiasi tipo di democrazia, in specie quelle attuali occidentali con tutto il carico di disuguaglianze gerarchizzate e di dominio dell’uomo sull’uomo e sulla donna. Per noi invece il significato del termine “libertario” rimane strettamente connesso con l’intima e profonda storia di lotte che questo modo d’essere ha avuto e ha proprio in questa penisola: l’Italia. Ecco perché nell’ambito delle reti europea (EUDEC) e mondiale (IDEN), non utilizzando come tutti gli altri il termine “democratico”, siamo una mosca bianca: ne abbiamo discusso a lungo, per almeno un anno, e alla fine, a mio parere giustamente, c’è stata una convergenza definitiva della Rete sul termine “libertario”. È stata una decisione che ha comunque avuto anche un suo prezzo da pagare, in termini di fuoriuscita di persone che si collocavano più in una definizione di scelta maggioritaria.
I luoghi di questo ciclo di seminari, come la Biblioteca Borghi, l’Archivio storico della FAI, testimoniano chiaramente la lunga tradizione di un’altra concezione di democrazia, non certo maggioritaria ma consensuale, non delegante ma diretta, dove l’esposizione del proprio essere individuale si rispecchia nell’ascolto e nella relazione con la collettività assembleare. Questa democrazia effettivamente partecipata è il modo di vivere di bambini e ragazzi nel confronto e nell’incontro, senza mediatori indirizzanti, senza una maggioranza che schiaccia inevitabilmente la minoranza che dissente anche solo momentaneamente riguardo a qualcosa. Nella pratica i ragazzi hanno sperimentato come crescendo la consapevolezza in ognuno di loro si possa arrivare all’unanimità nelle decisioni con una certa velocità e si possano risolvere i problemi senza aver un gruppo maggioritario che decide a scapito di altri. Dopo diversi anni mi rendo conto che tanti frutti estremamente positivi stanno venendo fuori da queste pratiche che all’inizio possono sembrare degli azzardi. E credo che questo metodo di riunirsi assieme e di trovare un’unanimità, certo non a tutti i costi, avrà la sua influenza su quando questi bambini e ragazzi diventeranno uomini e donne.
Attendere
Non è una considerazione da poco perché nelle scuole libertarie, come ad esempio a Kether, la democrazia è vissuta davvero come democrazia diretta. La scuola è piccola perché volutamente abbiamo scelto l’idea alla Paul Goodman che “il piccolo è bello”, nel senso che nel piccolo c’è la possibilità di relazionarsi e il metodo democratico di scelta è consensuale, cioè non passa nessuna decisone se non siamo d’accordo tutti. Potete capire che palestra di vita fanno questi figlioli, a partire dalla materna, avendo riconosciuta la possibilità di dire la propria, di dirla in assemblea, di mettere in pratica il principio one man, one vote, per cui l’espressione della propria incisività sul mondo viene presa in considerazione: ogni testa vota e quel voto è rispettato, quindi un bambino di tre anni potrebbe anche bloccare la decisione finale dell’assemblea. Il senso di responsabilità di ognuno si innalza veramente di molto rispetto a una democrazia di delega. Sono meccanismi che fanno fare grandi salti di coscienza ai bambini. Quelli più piccoli magari ancora non comprendono esattamente cosa stia succedendo, però alzano la mano perché iniziano a capire che alzando la mano hanno voce in capitolo e capita che si mettano a parlare di problematiche che in quel momento non hanno molto senso, ma per loro sono conquiste enormi, perché un bambino di tre anni che si mette in primo piano di fronte a una platea con ragazzi molto più grandi di lui è una grossa conquista di sicurezza e autostima.
Qualunque situazione di unanimità non è mai data, ma cresce strada facendo nella pratica del vivere gli eventi della propria autoformazione a stretto contatto con la comunità dei molteplici. Parliamo perciò di pratiche “libertarie” per mettere in chiaro un percorso fatto di crescita quotidiana, di convivenza tra uguali nel rispetto delle differenze. Tutto ciò per noi rientra nello spazio reale del politico. La REL dunque fa politica, fa cultura, produce documenti di riflessione e di critica. Come osserva Thea Venturelli, comunarda di Urupia che da circa un anno ha dato inizio a un percorso di educazione libertaria per bambini e bambine all’interno della comune libertaria salentina: “la consapevolezza che un percorso educativo è essenzialmente un percorso politico, il ritenere l’educazione lo strumento privilegiato per un significativo e radicale cambiamento sociale che parta dal singolo individuo: questi sono i punti di partenza per una pratica quotidiana che impegna tutti i mezzi a disposizione di chi ha deciso di accompagnare le donne e gli uomini di domani nel loro percorso di crescita, operando contro ogni realtà che mortifichi l’essere umano e ne ostacoli la libera e soggettiva espressione”.
Osservare
Accompagnatori per l’autoeducazione
Sulla base di quella “semantica liberata” di cui si accennava prima, riguardo alla decisione di adottare il termine libertaria anziché democratica, la REL ha per lungo tempo studiato e sviscerato un altro appellativo che nel tempo aveva subito una radicale perversione di senso, come avrebbe detto Ivan Illich, ovvero quello di “maestro”, “professore”, “docente”, all’estero è spesso usato “facilitatore”. Per definire il ruolo dell’adulto all’interno di queste comunità autoeducanti, noi preferiamo utilizzare il senso e il significato di “accompagnatore libertario”.
È logico che difficilmente sentirete bambini o ragazzi che vi chiamano “accompagnatore”. Ai bambini piccoli piace chiamarti “maestro” e dal nostro punto di vista sarebbe anche scorretto togliere loro questa voglia di chiamarti così, poi magari quando arrivano alle soglie della secondaria di primo grado cominciano a chiamarti per nome: “Giulio”, “Susanna”…, insomma osano e decidono loro quando è il momento. Invece per quanto riguarda la stesura di un documento o per dare una chiave di senso all’azione che facciamo preferiamo usare “accompagnatore”. “Facilitatore” non ci sembra adatto perché non dobbiamo facilitare niente, anzi spesso sono i ragazzi che facilitano il nostro lavoro.
Proprio su questo punto ritengo opportuno citare Lamberto Borghi, che in uno dei suoi scritti ci parla dello psicopedagogista americano Carl Rogers, quando questi affrontò il problema dell’apprendimento in ambito di educazione libertaria contro le supposte “verità-totemiche” di comportamentisti quali ad esempio Skinner convinti, all’opposto, che “l’uomo non è libero” e che “l’immagine di un uomo interiormente libero e padrone del proprio comportamento è solo un surrogato prescientifico”. Probabilmente questo Skinner non aveva frequentato comunità autoeducanti. Ebbene Rogers risponde mettendo in chiaro, dal mio punto di vista, ciò che è focale nel termine “accompagnatore”, con queste parole: “mi sono convinto che il solo apprendimento che influenza in modo significativo il comportamento è quello che il discente scopre, e di cui si appropria, da sé”. E aggiungeva: “in conseguenza […], sento che non mi interessa più essere un insegnante, mi rendo conto che mi interessa solo essere un discente e preferibilmente di imparare cose che contano, che esercitano un’influenza significativa sul mio comportamento. Trovo molto proficuo imparare in gruppi, tramite un rapporto con una persona […]. Ritengo che uno dei modi per me migliori, anche se più difficili di imparare, consista nell’allentare la mia struttura difensiva, almeno temporaneamente, e di cercare di capire il modo in cui un’altra persona sente e considera la propria esperienza”.
Costruire
L’accompagnatore deve fornire un esempio, senza sentirsi per forza di cose un esempio. Deve comportarsi come un adulto corretto, ma soprattutto autentico: i ragazzi percepiscono immediatamente se uno sta mentendo, se sta facendo l’amicone… queste cose non funzionano. Gli accompagnatori sono cioè persone che autenticamente si mettono in gioco con i ragazzi e che sono presenti con la loro spontaneità, per cui se qualcosa li fa arrabbiare che si arrabbino pure; a volte gli adulti devono re-imparare a essere spontanei, a essere effettivamente se stessi: questa è la carta vincente, questo è il buon esempio. Se si vuole essere un accompagnatore, fare dei passi indietro con i ragazzi è estremamente salutare ed è forse la prima auto-regola che ognuno dovrebbe darsi. Il fatto di imparare un altro linguaggio, che molto spesso è un linguaggio del corpo, oppure di fermarsi e di non interrompere quello che sta accadendo è un grosso allenamento che un accompagnatore deve fare di fronte alle dinamiche libere dei ragazzi.
Questo, per quanto riguarda la mia personale esperienza di lavoro e di vita nelle realtà autoeducanti che aderiscono alla REL, è l’azzardo necessario per riportare il mondo degli adulti, in maniera consapevole, a ri-colloquiare in termini non impositivi con l’autocrescita spontanea dei giovani, nei luoghi dove si decide assieme un cammino educativo libertario. Poniamoci la domanda che dà anche il titolo a questo ciclo di seminari: “Vaso, creta o fiore?”. Perché mai formare qualcuno come creta? Oppure l’idea del vaso: io conosco, travaso la mia conoscenza in te bambino, che sei il vaso, riempito della mia scienza. È invece il fiore il simbolo dell’educazione libertaria. Il fiore nasce spontaneo e l’educatore al limite zappetta intorno, vede che qualche erbaccia non vada a stritolarlo quando è debole, gli dà da bere. Sono passaggi sottili ma nella pratica diventano fondamentali.
Concludo con una sintesi di parole non mie, ma che per me abbracciano tutta l’enorme esperienza che non solo le singole scuole libertarie, né la sola Rete per l’educazione libertaria, ma l’intero panorama di pratiche politiche dove il mezzo e il fine combaciano potrebbe esprimere. È la voce di un ragazzo di undici anni, ebreo israeliano, colta durante un’assemblea a Kether, pochi giorni fa, indirizzata a risolvere pacatamente una delle tante problematiche di convivenza e di rispetto che in una situazione autoeducante si devono affrontare. Giuseppe Zwiebel, questo il suo nome, con noi da cinque anni ci dice, nella fase cruciale di una sorta di contenzioso che si era innescato: “noi siamo una comunità, non siamo individui anonimi”. Partendo proprio dalle parole di un bambino che frequenta la quinta elementare io riassumerei l’esperienza della REL: noi, la REL, siamo una comunità, non siamo individui anonimi ma persone che vogliono incontrarsi per fare un percorso comune e per cercare di far crescere sempre più questo tipo di visione anche qui in Italia.
Figli della libertà
Film documentario di Lucio Basadonne e Anna Pollio, 78 minuti, Italia, 2017
Recensione di Vittorio
Figli della libertà
È una calda sera di inizio estate. Siamo in giro con la solita compagnia di amici di Senigallia e il nostro corredo di otto bambini indisciplinati e rumorosi. Nella incantevole frazione fortificata di Piticchio di Arcevia è prevista la proiezione di Figli della libertà all’interno della programmazione di un piccolo festival a tema ecologico. Quale opportunità migliore per solleticare le nostre sensibilità libertarie in tema di educazione? Anche i più piccoli hanno assistito alla proiezione, alcuni con interesse, altri addormentandosi sulle sedie dopo la lunga giornata di giochi e bagni al mare. Io invece mi sono arrabbiato. La protagonista è la piccola figlia di Lucio e Anna, che affronta con ironia e leggerezza un percorso di educazione libertaria a Genova mentre i suoi genitori documentano altre esperienze in giro per l’Italia. Il film, costruito con la stessa tecnica narrativa del precedente Unlearning, fallisce completamente negli obiettivi dichiarati, annoia a livello narrativo e indispone per la superficialità con cui affronta l’argomento dell’educazione libertaria.
Alla fine della proiezione era presente l’autrice e ne approfitto per provare ad aprire un dialogo. Dopo un primo assonnato silenzio iniziano alcune domande molto generali, poi arrischio la mia: « Cosa significa per voi educazione libertaria?» La risposta disegna una conoscenza superficiale del tema dove le diverse esperienze di educazione libertaria vengono associate senza distinzione di qualità e storia dei diversi progetti all’educazione parentale, descritta come facoltà di ogni famiglia di scegliere la migliore educazione per i “propri” figli.
Qui sta il principale problema dell’approccio proposto dal film: l’educazione parentale non è l’educazione libertaria, che nelle sue esperienze più consapevoli si allaccia a una storia di almeno trecento anni di sperimentazioni e progetti pedagogici ispirati da filosofie politiche principalmente di stampo anarchico, comunista libertario e socialista. La pedagogia, inoltre, proprio perché riflette sulle pratiche dell’educazione, è necessariamente orientata a una lettura universalista del fenomeno educativo e quella ispirata da principi egualitari si propone di migliorare l’educazione di bambini e bambine a partire da una critica degli ostacoli sociali e culturali che la impediscono. In Figli della libertà invece l’unica forza in campo è la volontà delle “famiglie”, questa istituzione
sociale funesta e fortemente conservatrice che non viene per nulla criticata né messa in questione con il risultato di trovare in primo piano le teorie aristo-freak di Erika di Martino, blogger di professione che promuove da anni l’educazione parentale come alternativa alla scuola pubblica.
Sul suo sito www.controscuola.it si trova la sintesi di questo pensiero apparentemente ingenuo ma in realtà fortemente classista: “lei e suo marito non credono che la scuola allo stato attuale possa dare ai loro bambini l’opportunità di imparare e sperimentare fino in fondo ciò che è veramente importante nella vita. Essi amano stare insieme ai loro figli, seguirli mentre crescono ed esplorano il mondo e pensano che la loro educazione sia responsabilità della famiglia, non dello Stato”. Diciamolo a chi ha entrambi i genitori lavoratori e assenti per ore o giorni da casa, ai figli degli integralisti di ogni religione, alle madri single, a chi ha figli disabili e una pensione minima. Da questo orizzonte viene totalmente cancellato il significato sociale e comunitario dell’educazione per ricondurla a una scelta privata e quasi intima dove l’ego dei genitori finisce per schiacciare quello dei figli, costretti a sopportare madri e padri 24 ore su 24.
L’educazione libertaria descritta da Figli della libertà diventa un rifugio per privilegiati che non hanno le capacità o le forze di affrontare le contraddizioni del sistema educativo come contraddizioni sociali e politiche e scelgono la ritirata come strategia di presunta salvezza personale. Non si accenna neanche alle difficoltà anche nelle relazioni lavorative tra organizzatori e insegnanti che emergono nell’ambito delle esperienze di piccole scuole autogestite, dove spesso l’auto-sfruttamento, la dequalificazione e la mancanza di welfare vengono taciute in nome dell’ideale “alternativo”. Insomma, l’aggettivo libertario nei contesti descritti dal documentario di Basadonne e Pollio corrisponde a individualista ed elitario.
Questo documentario è un’occasione mancata, perché sicuramente nel campo della educazione libertaria esistono piccoli progetti alternativi come quelli che abbiamo descritto anche noi (Serendipità a Osimo, ad esempio) che articolano la sperimentazione in una capacità di leggere in modo critico la relazione con il sistema educativo statale e il contesto socio-economico in cui la scuola libertaria si inserisce. Esistono inoltre esperienze consapevoli come la Rete per l’educazione libertaria che dialoga in modo costruttivo anche con chi lavora nella scuola pubblica. La storia di questo documentario è purtroppo è anche lo spaccato di una situazione di confusione e di superficialità in cui spesso si fermano le buone intenzioni di cambiare il proprio piccolo mondo senza approfondire le ragioni della critica sociale e il significato nobile e impegnativo della parola libertà.
La pedagogia del buonsenso alla scuola Serendipità di Osimo
Di Luigi
[si veda anche: “Serendipità: una scuola-comunità dinamica a Osimo” Intervista di Luigi a Emily Mignanelli e Federico Pierlorenzi, in Malamente #15, settembre 2019]
Serendipità – Osimo
A Osimo, in provincia di Ancona, abbiamo incontrato una bellissima realtà educativa basata su principi libertari, finora unica nelle Marche, avviata con il progetto sperimentale dell’associazione “Lilliput” per la fascia 0-3 e proseguita con l’apertura, tre anni fa, dell’esperienza di educazione libertaria “Serendipità” rivolta alla fascia prescolare e scolare, corrispondente alla scuola dell’infanzia e primaria. Una scuola che parte dai bambini e dalla loro voglia di esplorare il mondo per aiutarli a realizzare se stessi in libertà. È una risposta di buonsenso al sistema educativo e repressivo tradizionale a cui siamo abituati, ma non è una scuola d’élite come a volte lo sono le scuole alternative private, che siano montessoriane, steineriane o libertarie. Abbiamo intervistato Emily, che per prima si è messa in gioco nello sperimentare le possibilità di questo modello educativo, e Veronica che si è unita a lei per aprire “Serendipità”: due giovani donne con le idee chiare e un entusiasmo trascinante. Alla conversazione si è unita anche Federica, mamma di due bambini di 5 e 8 anni che frequentano la scuola. Speriamo che dalla loro esperienza possa diffondersi un sano contagio anche altrove.
Qual è stato il percorso che vi ha portato dal nido Lilliput alla creazione della scuola Serendipità?Continue reading →
L’illusione di una scuola montessoriana a Urbino
Di Luigi
Scuola dell’infanzia Villa del popolo, Urbino
La scuola a cui siamo abituati e che probabilmente tutti noi abbiamo frequentato non è esattamente il luogo adatto a svegliare le menti ma, piuttosto, un contesto in cui addestrarle riempiendole di idee e nozioni precostituite. Una scuola che privilegia l’obbedienza alla libertà, funzionale a quello che i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, si troveranno di fronte quando andranno ad occupare il proprio ruolo in questa società.
Ma c’è anche un’altra idea di educazione, la cui storia viene da lontano e che negli ultimi anni sta riscuotendo un crescente interesse teorico, tradotto in sempre più diffuse sperimentazioni pratiche. L’idea di fondo vede nell’educare il portare alla luce, il facilitare lo sviluppo integrale di tutte le potenzialità dell’individuo: educare ad essere, dunque, in contrapposizione al plasmare per dover essere. In questo senso, c’è stata una vera e propria riscoperta del metodo pedagogico sviluppato da Maria Montessori agli inizi del Novecento, diffuso e apprezzato in migliaia di scuole di tutto il mondo tranne che, guarda caso (fascismo, chiesa e subcultura comunista c’entrano qualcosa…), nel nostro paese.