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Ecologia

Anche noi stiamo con i falciatori e le falciatrici di OGM

Di Luigi

Immagini tratte dal libro Faucheurs volontaires, Les Dessin’Acteurs, 2010

Mezzana Bigli è un piccolo paese nelle campagne della Lomellina, in provincia di Pavia, recentemente diventato il centro della mobilitazione contro i cosiddetti “nuovi OGM”. Qui, in una porzione di terreno di pochi metri quadrati, l’Università degli Studi di Milano ha messo a coltura la prima sperimentazione italiana di queste nuove tecniche di ingegneria genetica: una varietà di riso – che i simpaticissimi e brillanti ricercatori hanno chiamato RIS8imo – studiato per ottenere piante più resistenti alle malattie e agli effetti del cambiamento climatico, riducendo l’uso di pesticidi e razionalizzando l’impiego di acqua.

Non entreremo nel dettaglio della critica agli OGM; per approfondire rimandiamo, tra gli altri, all’intervento del collettivo Terra e libertà che abbiamo pubblicato sul n. 33 di Malamente e che smonta punto per punto la retorica green dei tecnologi, mostrando come i “nuovi OGM”, oltre che potenzialmente pericolosi per la salute e l’ecosistema, sono portatori della stessa idea di mondo dei “vecchi OGM”, un mondo che condanna definitivamente l’agricoltura contadina a soccombere di fronte alle monocolture industriali e dove il vivente – che ormai non nasce più, ma viene prodotto – diventa una merce tra le altre, manipolabile e brevettabile.

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Il Gruppo Vulcano ha spento Tesla!

Martedì mattina, intorno alle 4:50, un traliccio dell’elettricità nello Stato tedesco del Brandeburgo è andato in fiamme. Vecchi pneumatici ammucchiati intorno hanno suggerito che si trattasse di un caso deliberato di incendio doloso. Pochi secondi dopo, l’elettricità ai villaggi circostanti è stata interrotta, colpendo migliaia di famiglie. I tagli hanno interessato anche la cosiddetta Gigafactory di Tesla nella vicina area di Grünheide. La fabbrica di automobili dovrebbe produrre 750 auto elettriche al giorno, ma a seguito dell’interruzione, circa 12.000 lavoratori sono stati evacuati mentre la produzione si fermava. Tesla ha dichiarato di non aspettarsi una ripresa della produzione questa settimana e ha stimato che i danni si aggirano intorno a “diverse centinaia di milioni di euro”. Abbiamo tradotto dal tedesco il comunicato del Gruppo Vulcano, che rivendica questo regalo fatto al pianeta e a tutti/e noi per l’8 marzo.

Oggi abbiamo sabotato Tesla. Perché Tesla a Grünau mangia suolo, risorse, persone, manodopera e sputa 6.000 SUV, macchine assassine e monster truck alla settimana. Il nostro regalo per l’8 marzo è chiudere Tesla. Perché la completa distruzione della Gigafactory e con essa l’eliminazione dei “tecno-fascisti” come Elon Musk è un passo avanti verso la liberazione dal patriarcato.

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Posizione e appello di Soulèvement de la terre sul movimento contadino in corso

Da lundi.am

Già da una settimana il mondo dell’agricoltura sta esprimendo a gran voce e in strada la sua rabbia: quella di un mestiere diventato quasi impraticabile, che si sgretola sotto la brutalità degli sconvolgimenti ecologici che si profilano all’orizzonte e sotto asfissianti vincoli economici, normativi, amministrativi e tecnologici.

Mentre i blocchi continuano quasi ovunque, come movimento Soulèvement de la terre proponiamo qualche riflessione sulla situazione.

Siamo un movimento di abitanti di aree urbane e rurali, di ecologisti/e e di contadini/e (sia di quelli che si sono già insediati che di quelli ancora in via di stabilizzazione). Rifiutiamo la polarizzazione che alcuni cercano di creare tra questi mondi. Abbiamo fatto della difesa della terra e dell’acqua il nostro punto di partenza e di radicamento. Da anni ci battiamo contro i grandi progetti di sviluppo che stanno devastando i territori e contro i complessi industriali che se ne accaparrano e li avvelenano. Sia chiaro, l’attuale movimento, in tutta la sua eterogeneità, è stato avviato e guidato in gran parte da forze diverse dalla nostra. Alcuni dei suoi obiettivi sono diversi dai nostri, mentre altri sono assolutamente condivisibili. In ogni caso, quando sono iniziati i primi blocchi ci siamo uniti ad alcuni di loro e alle azioni di vari comitati locali. Siamo andati a incontrare contadini e agricoltori mobilitati. Ci siamo confrontati con compagni e compagne di diverse organizzazioni contadine per capire la loro analisi della situazione. Ci siamo identificati nella rabbia dignitosa di chi rifiuta di rassegnarsi alla propria estinzione.

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Destinazione Pastore

Progetto mutualistico per un acquisto collettivo dell’azienda di Luca Pala

Di CIURMA Comunità Integrata Urbana e Rurale di Mutuo Appoggio

Da Rivista Malamente n. 32, mar. 2024 (QUI IL PDFQUI IL PDF formato opuscolo)

Qui e seguenti: Fotografie di Cristina Panicali presso l’azienda di Luca Pala a Tavoleto (PU), 2024

La Ciurma così riunita e le altre intervenute sperano di coinvolgere con entusiasmo ancora nuove amicizie in questa impresa mutualistica a energia circolare ed effetto immediato.

Innanzitutto si stabilisce indispensabile per il nostro territorio l’esistenza del Cacio così come finora lo abbiamo conosciuto, libero da condizionamenti e ansie di controllo. E questo è auspicabile per la baldoria e il sostentamento alimentare delle nostre reti.

Così come al Cacio il casaro e il Pastore alla bestia, con la nostra associazione acquisteremo l’azienda per far sì che non finisca nelle mani sbagliate.

Questa azienda è così preziosa che per un po’ di tempo sarà di tutte noi e sarà restituita a chi di dovere quando non sarà più in pericolo.

Lo stesso avverrà per l’abitazione.

La casa è di chi l’abita, la terra è di chi la lavora.

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Luna di miele a Maiorca

Da Rivista Malamente n. 17, mar. 2020 (QUI IL PDF)

Di Miguel Amorós

La possibilità di spostarsi, viaggiare e soggiornare per brevi periodi “altrove”, tipicamente in estate, è oggi alla portata di molti, ma spesso si finisce per ammassarsi con altri simili negli stessi posti, influenzati dalle migliaia di travel blog, dai portali booking, dalle offerte economiche, dalle tratte low cost, da un immaginario vacanziero sempre più stereotipato. Eppure varrebbe la pena percorrere sentieri non battuti, cercare alternative inaspettate, per scoprire che la meraviglia può essere anche a distanza ragionevole da casa, può essere alla portata delle proprie tasche e altrettanto entusiasmante (se non di più) delle mete maggiormente in voga. Conosciamo bene il turismo di massa, che si abbatte ormai da decenni sul nostro litorale adriatico, così come avviene, forse in misura ancora peggiore, nelle Isole Baleari: territorio raccontato da Miguel Amorós in questo articolo. Ora, se qualcuno tra i nostri lettori e lettrici fosse andato in vacanza alle Baleari non si senta in colpa; non gli/le chiediamo di battersi il patto meditando sui propri peccati, perché qui non vogliamo mettere in discussione i comportamenti individuali (in qualche modo indirizzati e condizionati dal contesto sociale) ma il modello culturale sottostante. Il testo che segue è la trascrizione di un intervento tenuto il 27 ottobre 2016 all’Ateneu Lo Tort[1] di Manacor (Maiorca), che abbiamo ripreso dall’appendice del libro di Henri Mora, Désastres touristiques. Effets politiques, sociaux et environnementaux d’une industrie dévorante (L’échappée, 2022). Un secondo intervento, dedicato ai Pirenei catalani, lo pubblicheremo su uno dei prossimi numeri della rivista.

La distruzione costante e irreversibile della costa e dell’entroterra alle sue spalle non è un fenomeno esclusivo di Maiorca. Si verifica in tutto il Mediterraneo e i suoi effetti sono più o meno visibili ovunque, a seconda della speculazione immobiliare e della costruzione di tangenziali o circonvallazioni. La peculiarità delle Isole Baleari è che questo fenomeno può essere osservato allo stato puro e su scala ridotta, il che ne fa un laboratorio dove studiare l’involuzione di una società, circoscritta in un’area limitata e circondata dal mare, in funzione dell’adattamento delle sue risorse territoriali e dei suoi beni culturali (che sono beni comuni) a un’unica attività economica, privata, il cui solo obiettivo è l’arricchimento personale di chi la pratica.

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Lo scioglimento di Soulèvements de la Terre. Cosa succede ora?

Da lundi.am, 27 giugno 2023

A nostro parere la notizia dello scioglimento del movimento Souèvements de la Terre in Francia indica due importanti linee di tendenza anche per le lotte ecologiste nel nostro paese:

  • è possibile aumentare il livello di efficacia e l’impatto delle azioni contro le industrie ecocide e contro le grandi opere inutili a patto di dotarsi di un’alchimia organizzativa intelligente, generosa e coraggiosa, di cui abbiamo estremo bisogno anche in Italia. La tendenza è globale ed è necessario aprire maggiormente il dibattito nel nostro paese verso ciò che sta accadendo altrove.
  • gli stati democratici sono in difficoltà di fronte all’enorme contraddizione generata dalla crisi ecologica e fanno ricorso agli strumenti dell’antiterrorismo, alzando così il livello dello scontro in una direzione che era già prevista da numerose analisi e ricerche sul tema e che non deve sorprenderci.

Per questo abbiamo deciso di tradurre e documentare quello che sta succedendo in Francia, anche perché pensiamo che nonostante la generosità estrema di tanti/e attivisti/e ecologisti/e che si impegnano quotidianamente nel nostro paese sia necessario uno scatto di creatività e di determinazione all’altezza della situazione drammatica che stiamo vivendo.

Qui e seguenti: sabotaggio del cementificio Lafargue, Marsiglia, dic. 2022

Dopo diversi mesi di esitazione e tentennamenti, il governo ha finalmente deciso di mettere in atto le sue minacce. Durante il Consiglio dei ministri di mercoledì 21 giugno, il presidente della Repubblica, il primo ministro e il ministro dell’Interno hanno firmato il decreto di scioglimento del “raggruppamento di fatto” Soulèvements de la Terre. All’alba del giorno prima, diciassette persone erano state arrestate e le loro case perquisite nell’ambito di due distinte inchieste: una sullo smantellamento dell’impianto Lafarge[1] a Bouc-Bel-Air il 20 dicembre scorso, l’altra sulle manifestazioni a Sainte-Soline.

Poiché molto è già stato detto e scritto su questo scioglimento, sia dai nostri colleghi e colleghe della stampa che dagli stessi Soulèvements de la Terre, ci concentreremo qui su ciò che ci sembra essenziale.

SCIOGLIMENTO E STATO DI EMERGENZA

Dal punto di vista del governo, questa decisione di sciogliere i Soulèvements de la Terre è allo stesso tempo una misura forte e un’ammissione di fallimento.

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Ciò che cresce ovunque non può essere dissolto

Il governo francese ha appena avviato la procedura di “scioglimento” per il movimento Soulèvements de la Terre.

Ma ciò che cresce ovunque non può essere dissolto.

Soulèvements de la Terre ha rilanciato.

La rete è più viva che mai. Nuovi sollevamenti crescono ovunque, in difesa dei territori e del nostro futuro.

Tutta la nostra solidarietà.

Qui sotto il loro più recente comunicato.

Il 21 giugno, in consiglio dei ministri, il governo ha avviato la procedura di scioglimento di Soulèvements de la Terre. Dopo averci tirato in faccia le sue granate, ora sostiene che non abbiamo più il diritto di esistere insieme e di organizzarci. Il governo sta cercando di dissolvere un sollevamento con tutti i mezzi che ha a disposizione – anche arrestando gli/le attivisti/e nelle loro case, come è successo il 20 giugno.

Dai sinistri uffici di piazza Beauvau, questo scioglimento si prefigurava come una mannaia. Doveva essere la fine della storia. Eppure le voci che si diffondono nel Paese, dove le speranze ancora germogliano, raccontano una storia diversa. Sussurri contagiosi e innumerevoli slanci di solidarietà ci ricordano che i peggiori attacchi a volte producono rovesci inaspettati.

E se questo scioglimento fosse in realtà un invito ministeriale a unirsi in un grande movimento di resistenza? Una rete che vanta già 110.000 membri, 180 comitati locali e tante persone impegnate nella vita pubblica, nei collettivi e nei sindacati. Un movimento che si pretende di vietare ma che è collettivamente inarrestabile, preso di mira dalle autorità ma radicato nei territori, presente nei luoghi di lavoro e nelle scuole, nei fienili e negli scantinati, fino al cuore delle amministrazioni. Il governo sosteneva che saremmo scomparsi, in realtà diventiamo ogni giorno più visibili.

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Il rapporto completo dell’intelligence francese che elogia Soulèvements de la Terre

Da lundi.am

Il 26 marzo scorso nella località rurale di Sainte-Soline si è svolta una grande azione di protesta del movimento Soulèvement de la Terre contro un progetto di costruzione di un mega-bacino artificiale e di privatizzazione delle acque agricole.

La violenza della repressione ha sconvolto la Francia, già attraversata da manifestazioni molto radicali. Perché lo Stato ha difeso un buco coperto di plastica lanciando più di 5.000 granate (potenti più di una bomba carta) ferendo centinaia di persone di cui due gravemente?

Perché, nonostante questo, le proteste continuano e il sostegno popolare a pratiche radicali di sabotaggio ecologista sta crescendo?

I nostri amici di Lundimatin hanno pubblicato otto pagine di una relazione dei SRCT, l’equivalente della nostra Digos, che spiegano perché lo Stato teme Soulèvement de la Terre: perché funziona!

Spesso le parole dei nostri nemici sono in grado di descrivere meglio di tanta retorica “dei compagni” lo stato di salute di un movimento sociale, nella misura in cui esso è in grado di svolgere la sua necessaria e per noi benefica funzione di minacciare l’ordine costituito.

Con questo testo vogliamo aprire una sezione di approfondimento su quello che sta succedendo in Francia e sulle possibilità di relazione e di apprendimento – quanto mai necessario – per le lotte territoriali in Italia.

Stando alle dichiarazioni del ministro dell’Interno Gérald Darmanin, lo scioglimento di Soulèvements de la Terre sarebbe giustificato dagli «eventi inqualificabili» che si sono verificati a Sainte-Soline e «dall’estrema violenza di gruppuscoli che sono nel mirino dei servizi di intelligence da molti anni».[1] Tuttavia, un rapporto del Service central du renseignement territorial in riferimento a Soulèvements de la Terre getta una luce completamente diversa su questo annuncio. Leggendo infatti questa nota confidenziale sorprendentemente elogiativa si capisce che al di là del pretesto della violenza, se il ministro cerca di sciogliere il movimento, è perché questo ha successo!

In che senso ha successo? Il nocciolo della questione è questo: attraverso una serie di analisi elogiative che fanno riferimento alla capacità di federarsi, di uscire dal letargo politico e di avere un impatto reale sui progetti distruttivi per l’ambiente, ci viene spiegato in otto pagine che il problema fondamentale con questo movimento è che invece di fare la sua bella contestazione entro i limiti stabiliti riesce ad incidere in campo politico. Ciò che il governo indica, facendo seguire a questa nota di intelligence un tentativo di scioglimento, è che per lui, d’ora in poi, qualsiasi opposizione efficace che intralci le sue politiche – e quelle delle lobby finanziarie e industriali che lo sostengono – deve scomparire. Sciogliere tutta l’opposizione, anche se ciò significa farlo in un bagno di sangue prima di raggiungere i meandri dei tribunali.

Al di là di questa trasparente visione delle motivazioni del governo, il compitino scritto da un sociologo di polizia sfidato dalla vivacità del suo soggetto risulta tuttavia falsato dalla manifesta incapacità di percepire il movimento per quello che realmente è. Invariabilmente, tutto ciò che è effervescenza, rete, coalizione viene ridotto – per meglio incriminarlo in seguito – alla supervisione di un gruppo dirigente. Soprattutto, è necessario dare l’impressione che le persone e i gruppi che agiscono siano guidati solo da motivazioni fredde e strumentali e che vogliano opportunisticamente dirottare la causa ecologista e contadina verso una ricerca puramente astratta di motivi di scontro e violenza. Ma come stupirsi che dei funzionari, che scrivono dalle loro scrivanie al servizio di un governo che si ostina a distruggere terre coltivabili, foreste, fattorie, fiumi ecc., non riescano a capire e ad afferrare quel che viene difeso e costruito, i legami, la solidarietà e le gioie che ne derivano? Non sorprende nemmeno che gli autori del rapporto riducano tutto il fermento politico locale e decentralizzato, a cui Soulèvements de la Terre fa da eco e da catalizzatore, al rigido assetto verticistico che è il solo che conoscono.

Al di là della povertà delle loro analisi, è chiaro che se negli ultimi due anni folle crescenti non si sono accontentate di marciare ma hanno cercato gesti diretti per bloccare cantieri, per impedire il saccheggio dell’acqua o dei terreni, è perché si avverte un’urgenza vitale di agire. Tentativo di dissoluzione o meno, repressione brutale o meno, questo senso di urgenza non potrà che aumentare finché i decisori politici continueranno a promuovere infrastrutture che incarnano una violenza ecologica e sociale che molte persone hanno ormai scelto di affrontare.

Il 30 marzo, il quotidiano “Le Monde” ha pubblicato un articolo intitolato Nous sommes les Soulèvements de la Terre in cui decine di attori/trici, artisti/e, parlamentari e scrittori/trici hanno rivendicato di far parte del movimento. Attualmente conta più di 20.000 firme.

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Ritorno in paradiso

Dalla rivista ecologista “Do or Die” [da Rivista Malamente #27, dic. 2022. Scarica il PDF]

Cosa accadrebbe se un giorno venissero abbandonate le metropoli? Se quegli spazi coperti di asfalto e cemento, brulicanti di umani e merci, alimentati da combustibili ed elettricità, soffocati dalle loro scorie, fossero di punto in bianco liberati dalla virulenza dei loro abitanti? Questo articolo – tratto dalla rivista ecologista “Do or Die” (n. 10, luglio 2003), tradotto in opuscolo da Istrixistrix e qui riproposto con una nuova revisione – traccia con una qualche attendibilità scientifica le tappe e i passaggi che segnerebbero nei decenni e secoli successivi all’abbandono la riconquista del territorio da parte delle forze naturali. In fondo, nella vita del pianeta, la nostra specie è solo di passaggio. Quello che ha edificato cadrà e, prima o poi, perfino le macerie saranno spazzate via.

«L’inferno è una città molto simile a Londra» scrisse Shelley due secoli fa. Ma non è sempre stato così. Prova a immaginare un periodo dieci volte più lontano nel passato dell’epoca di Shelley, quando il panorama in Parlament Square era molto diverso. Là dove ti trovi adesso, un grazioso ruscello scorre giù dalle colline di Hampstead. Proprio di fronte ci sono le sponde piene di canneti dei meandri del Tamigi. Sulla destra, dove verrà eretta l’Abbazia di Westminster, c’è Thorney Island [Isola Spinosa], chiamata così per l’abbondanza di rovi selvatici. Dietro c’è la quiete dei campi contornati da salici. Ancora un migliaio di anni fa, quando Edoardo il Confessore la stava prendendo in considerazione come sito per la sua grande abbazia, Thorney Island era un posto tranquillo e rustico. «Un luogo delizioso, circondato da terre fertili e campi verdi», scrisse un monaco nella sua biografia di Edoardo.
È possibile far tornare indietro l’orologio, e che Londra sia di nuovo un paradiso silvestre? Se hai mai nutrito il desiderio di vedere il traffico svanire, gli edifici crollare e le colline e le valli di Londra di nuovo piene di fiori, di alberi e del canto degli uccelli, non sei solo. Verso la fine dell’Ottocento il naturalista Richard Jefferies era così disgustato dalla sporcizia della capitale da scrivere After London, romanzo in cui i londinesi si estinguono in modo misericordioso e la città ritorna rapidamente a essere una palude.
Ma cosa accadrebbe realmente se Londra tornasse alla natura? Supponiamo che questo fine settimana i londinesi fuggano in seguito a un incidente nucleare tipo Chernobyl. O che le notizie della sera annuncino che è stato rilasciato un virus geneticamente modificato, come nel film 28 Days Later. Oppure, che improvvisamente i londinesi si sentano così male a causa della vita in città da seguire il consiglio di Shelley e fuggire «verso i boschi selvaggi e le colline erbose». Quanto impiegherà Londra abbandonata per tornare a essere un paradiso rurale? In che modo la natura prenderà il controllo?

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Dobbiamo continuare la ricerca scientifica?

Di Alexander Grothendieck, da Rivista Malamente, n. 15, set. 2019 (QUI IL PDF)

Alexander Grothendieck è riconosciuto come uno dei più grandi e brillanti matematici del Novecento. Nel pieno della sua carriera ha però aperto gli occhi sul mondo della ricerca scientifica, sulle sue implicazioni, sui legami con il mondo militare e si è interrogato su quale ruolo sociale avessero lui stesso e i suoi colleghi. Il loro lavoro migliorava la condizione umana o, piuttosto, serviva a sostenere il sistema di dominio esistente? Nel settembre 1970, a quarantadue anni, Grothendieckabbandona il suo posto presso l’Institut des hautes études scientifiques (IHES), all’epoca centro nevralgico per la matematica e la fisica teorica e, allo stesso tempo, fonda il gruppo ecologista radicale Survivre et Vivre.

Alexander Grothendieck, 1965 circa

NOTA BIOGRAFICA

Alexander Grothendieck nasce a Berlino nel 1928 da Alexander “Sascha” Schapiro, ebreo russo rivoluzionario espulso dal suo paese e Hanka Grothendieck. I genitori, che si erano conosciuti negli ambienti del movimento anarchico tedesco, nel 1936 vanno a sostenere la rivoluzione sociale e combattere la guerra civile spagnola per poi stabilirsi in Francia, dove li raggiunge Alexander rimasto nel frattempo affidato a una famiglia di Amburgo.

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