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Mio padre è troppo palestinese

Intervista di Maria Laura Belloni a Sophie

Prosegue la nostra rubrica iniziata quest’anno, dove raccontiamo pezzi di vita e storie di accoglienza. Il tentativo non è solo di capire realmente come funziona, ascoltando le esperienze di chi ci lavora o vive il sistema dell’accoglienza, ma anche vedere come si sta “dall’altra parte”. Dunque, riprenderci quell’umanità che quotidianamente vediamo sgretolarsi ogni qualvolta tentano di disumanizzare il “nemico” di turno. In questo numero vi raccontiamo la storia di una ragazza palestinese. Nonostante il nome dei personaggi e di alcuni luoghi – che riprendono la storia del Castello errante di Howl di Hayao Miyazaki – i fatti raccontati sono tutti realmente accaduti. Così come il nostro incontro, di cui abbiamo fatto tesoro. La storia si dipana tra l’Italia e la sua città di origine. Una città della Valle desolata, con una fontana al centro. Dunque, c’era una volta…

…il Castello di Howl, dove mi ritrovai in compagnia di Calcifer e di Rapa, in un pomeriggio soleggiato di marzo. Ai suoi piedi, vidi Sophie: capelli color caffè e due occhi grandi, luminosi, da perdercisi dentro. Così radiosi che non li immagineresti – molte parole dopo – carichi di rabbia e lacrime mentre ci racconta la storia della sua famiglia e dei giorni trascorsi nel suo paese. Al collo, una Palestina color d’oro. Piacere di conoscerti, cosa fai nella vita, ti piace stare qui… qualche domanda per rompere il ghiaccio mentre ci fumiamo una sigaretta, ai piedi del castello. La porta si apre, le scale si mostrano e noi entriamo.

Fotografia di @un_periodista_independiente

Se vuoi raccontami di te, della tua famiglia, da quanti anni e perché sei qui…

Sono venuta qui per studiare, solo perché non volevo studiare in Israele. Ci sono tantissimi studenti della Palestina che vogliono studiare fuori e c’è tantissimi che conosco qui in Italia, per la maggior parte fanno Medicina o Architettura. Non so perché l’Italia, ma conosco tantissimi studenti che studiano o in Germania o in Italia…il tedesco è un po’ più difficile dell’italiano; quindi, l’Italia per me era una buona scelta

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Ma cosa vuoi che sia una canzone…

Di Luigi

La mattina del 7 settembre 1894, il delegato di polizia di Fano, Achille Riello, si siede alla sua scrivania, estrae dal cassetto un foglio di carta intestata al Regio ufficio di pubblica sicurezza, impugna la penna e redige una nota diretta al procuratore del Re. Oggetto: «manifestazioni sovversive». Da informazioni confidenziali ricevute qualche giorno addietro, risulterebbe che la sera di domenica 2 settembre, intorno alle ore 19.00, nell’osteria fuori porta Cavour, alcuni individui non ancora identificati ma descritti come «una comitiva di anarchici socialisti» abbiano intonato canzoni proibite dalla legge.

Appena ricevuta la segnalazione, l’ufficio di polizia si era subito messo in moto. L’indagine era partita con l’interrogatorio dei conduttori dell’osteria, i coniugi Laura Latini e Achille Pandolfi, i quali riferivano che quella domenica, nel cortile del loro esercizio, erano presenti circa settanta persone divise in vari gruppi, da uno dei quali – è vero – tra un bicchiere e l’altro si erano levate «alcune canzoni popolari». In prima battuta, Latini e Pandolfi affermano di aver riconosciuto tra i canti l’Inno dei lavoratori, ma poi confermano all’interrogante che le strofe udite contenevano le parole «bandiera rossa e nera». Pertanto, il delegato Riello non ha dubbi: non si tratterebbe dell’Inno dei lavoratori, ma del ben più famigerato Inno della canaglia.

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Apicoltura digitale e connessa

L’informatica salverà le api?

Di Robin Mugnier

Abbiamo ripreso e tradotto questo testo dal secondo volume del libro “Le monde en pièces. Pour une critique de la gestion” (edizioni la Lenteur, 2019) e lo abbiamo notevolmente ridotto per adattarlo alle pagine della nostra rivista; ci scuserà l’autore. Si parla di un campo molto specifico, quello dell’apicoltura, per vedere come anche qui, al pari di ogni settore della società, l’informatizzazione e la digitalizzazione stiano modificando radicalmente attività, abitudini e saper fare. I problemi complessi vengono ridotti a elementi quantificabili, monitorabili e tracciabili, in nome della razionalità e dell’efficienza. Ma quanto, realmente, affidarsi alle tecnologie informatiche può essere una soluzione ai crescenti problemi dell’apicoltura (legati al disastro ambientale) e quanto, invece, sono esse stesse parte del problema? Questo testo, pur partendo da un settore di nicchia, ci aiuta a vedere l’altro lato della medaglia dietro alla comodità e alla praticità veicolate dalle tecnologie digitali.

Know your bees

«Gli apicoltori devono conoscere le loro api». È serio pensare che un apicoltore non sappia nulla delle api con cui condivide le sue giornate? Eppure è questo il credo di una serie di start-up che stanno proponendo agli apicoltori nuovi modi di interagire con le loro colonie di api. Bilance connesse da posizionare sotto le arnie, sensori interni di temperatura e umidità, telecamere, connessioni di rete per il trasferimento dei dati e, naturalmente, un’applicazione per smartphone in cui registrare quanto osservato durante le visite di monitoraggio delle colonie. Visto da un computer, l’alveare appare sotto una nuova luce: grafici e curve rendono visibile da lontano ciò che prima si poteva vedere solo andando sul posto.

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Banditi della Marca del Sud

Intervista di Luigi a Raoul Dalmasso

L’intervista a Raoul Dalmasso – autore di Storia dei Quaranta, ovvero La verissima storia de li quaranta banditi di Amandola che se ne andarono a menar guerra al Turco, Edizioni Malamente, 2024) – è uscita su Rivista Malamente #34, ott. 2024. Raoul ci accompagna in un lungo viaggio tra potere e contropotere nelle Marche del Cinquecento, sulla scia dei banditi protagonisti della “Storia dei Quaranta”. Il libro è disponibile sul nostro sito e in tutte le librerie.

Con la tua “Storia dei Quaranta” ci proponi un romanzo storico ambientato nel XVI secolo. È la storia di una compagnia di banditi di Amandola (piccolo paese sui Monti Sibillini, nelle Marche) che attraverso molteplici vicissitudini si ritrova a combattere contro i turchi a Famagosta. Ci sono una trama e un’ambientazione complesse, tradotte in una narrazione “pop” e accattivante, un sottofondo di humor ma anche etico e politico e altre caratteristiche che potrebbero farci classificare il tuo libro nel cosiddetto genere New italian epic (se ancora esiste…). Senti calzante questa etichetta?

Sì. Direi che se si volesse proprio classificare S40 sotto un genere letterario questo sarebbe il NIE. Wu ming 1, proponente della definizione, definisce il New Italian Epic come una “nebulosa” di opere aventi alcuni elementi in comune ma altrimenti diversissime fra loro. Una definizione piuttosto ampia che può accogliere tranquillamente il mio scritto. A mio avviso è principalmente una caratterista del mio libro a renderlo parte della nebulosa, ed è la sua natura ibrida. Storia dei Quaranta, infatti, ha diversi livelli di lettura. Sicuramente è un romanzo storico (“cappa e archibugio”, se vogliamo), e lo stile narrativo è volutamente pop. I fatti narrati sono truci e sanguinosi, il tono è hardcore. Ma non bisogna farsi trarre in inganno dalla forma: non si tratta di un’opera di fantasia. O meglio: lo è, ma solo in minima parte. Per questo motivo S40 può essere letto indifferentemente come un romanzo d’avventura o come una trattazione storica di eventi che ebbero luogo nel decennio 1565-1575 nella Marca Anconitana dello Stato Pontificio e più in generale nel Mediterraneo. Dipende da chi legge.

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Il progetto Edison per un impianto di trattamento rifiuti pericolosi a Jesi

Intervento di Augusto De Sanctis

Qualche settimana fa si è tenuto a Jesi (AN) l’incontro pubblico “Ad alto rischio ambientale. L’impianto Edison di trattamento rifiuti pericolosi alla ZIPA” con l’intervento di Augusto De Sanctis, attivista ecologista e autore di pubblicazioni scientifiche in campo ambientale. De Sanctis ha presentato un’analisi critica del progetto, basata sulla documentazione ufficiale, mettendone in luce le profonde criticità ambientali, sanitarie e sociali. Un progetto che in nome di ben precisi interessi privati si vorrebbe imporre al territorio, in un’area prossima al centro cittadino e a quartieri ad alta densità abitativa. Fermarlo non è facile, ma necessario.

Conosciamo Edison. Noi l’abbiamo incontrata e battuta in una campagna storica, quella del sito inquinato di Bussi, in provincia di Pescara, uno dei siti più inquinati del mondo. Ci siamo occupati di quel sito a partire dal 2007 e abbiamo ottenuto l’individuazione di Edison come responsabile della contaminazione; ora non solo l’azienda deve procedere alla bonifica, ma c’è un procedimento in corso al tribunale civile, con in ballo un risarcimento danni da un miliardo e mezzo di euro. Quindi, quando ho saputo del progetto di una società del gruppo Edison qui a Jesi mi sono subito attivato e informato e, come sempre faccio, sono andato a vedere “le carte”, perché sulle carte bisogna intanto cominciare a discutere. Io sono un attivista da tanti anni, mi occupo molto di valutazioni di impatto ambientale. Allo stato attuale il progetto è in questa fase, una fase centrale che prevede la partecipazione del pubblico; chiunque può infatti proporre delle osservazioni, e ancor di più lo dovrebbero fare l’amministrazione di Jesi e quelle dei paesi limitrofi, perché chiariamo subito un concetto: questo è un progetto di scala nazionale (a mio avviso anche extranazionale) per la quantità di rifiuti che vogliono gestire e quindi, come minimo, l’attenzione deve essere alta in tutto il territorio della provincia.

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G7: rituali e maschere sul palcoscenico della provincia italiana

  • di

Di Vittorio Sergi

Da Rivista Malamente n. 34, ott. 2024

Ogni società ha i suoi rituali politici. La nostra non fa eccezione. Nel 1975 attorno a un grande tavolo fiorito, in una sala regale del castello di Rambouillet in Francia, sotto le luci dei riflettori e l’obiettivo delle telecamere ancora analogiche, si riunirono i capi di stato e di governo di sei paesi. Erano le prime nazioni industrializzate del mondo, tutte potenze coloniali e sorprendentemente ne faceva parte anche l’Italia. L’idea pare sia stata dei presidenti di Francia e Germania, per provare a mettere una pezza su una delle più importanti crisi del capitalismo occidentale dopo il boom degli anni Cinquanta e Sessanta: austerità economica, crisi petrolifera, giovani che non ne vogliono più sapere di lavorare. Se vogliamo vederla dalla parte dei capitalisti possiamo parlare di ristrutturazione o rivoluzione neo-liberale: si era infatti negli anni in cui la prospettiva di innovazione socialista di Allende in Cile era stata sconfitta con argomentazioni di piombo e in Europa la lunga ondata di rivolta giovanile del Sessantotto stava combattendo anche con le armi in pugno ma si avviava sulla sua parabola discendente.

Il rituale, dunque, funziona così: i grandi capi del vapore si siedono e discutono con la faccia seria e usano le parole giuste. Poi tutte queste iniziative si concludono immancabilmente con cene di dubbio gusto, foto di gruppo mediamente ridicole e folclore a uso stampa. Si volta pagina e si continua con la solita politica di potenza. Certo, come tutti i rituali, anche se non si fa niente di concreto si porta a casa qualcosa che in politica è molto prezioso: il prestigio. I summit ospitati dal nostro paese sono stati quello del 2001 a Genova, del 2008 a L’Aquila e del 2017 a Taormina.

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Anche noi stiamo con i falciatori e le falciatrici di OGM

Di Luigi

Immagini tratte dal libro Faucheurs volontaires, Les Dessin’Acteurs, 2010

Mezzana Bigli è un piccolo paese nelle campagne della Lomellina, in provincia di Pavia, recentemente diventato il centro della mobilitazione contro i cosiddetti “nuovi OGM”. Qui, in una porzione di terreno di pochi metri quadrati, l’Università degli Studi di Milano ha messo a coltura la prima sperimentazione italiana di queste nuove tecniche di ingegneria genetica: una varietà di riso – che i simpaticissimi e brillanti ricercatori hanno chiamato RIS8imo – studiato per ottenere piante più resistenti alle malattie e agli effetti del cambiamento climatico, riducendo l’uso di pesticidi e razionalizzando l’impiego di acqua.

Non entreremo nel dettaglio della critica agli OGM; per approfondire rimandiamo, tra gli altri, all’intervento del collettivo Terra e libertà che abbiamo pubblicato sul n. 33 di Malamente e che smonta punto per punto la retorica green dei tecnologi, mostrando come i “nuovi OGM”, oltre che potenzialmente pericolosi per la salute e l’ecosistema, sono portatori della stessa idea di mondo dei “vecchi OGM”, un mondo che condanna definitivamente l’agricoltura contadina a soccombere di fronte alle monocolture industriali e dove il vivente – che ormai non nasce più, ma viene prodotto – diventa una merce tra le altre, manipolabile e brevettabile.

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Recensione a Carlo Cuppini, “Logout”, Marcos y Marcos, 2024

Di Luigi

«La libertà non è incoscienza. La libertà è dentro casa». Vi ricorda qualcosa?

Nella città di Sbafo, dove abita Luca – protagonista dodicenne di questo romanzo di Carlo Cuppini – non c’è nulla fuori posto. Anzi, non c’è proprio nulla fuori, perché i suoi abitanti non hanno né motivo né intenzione di uscire di casa. Troppe le insidie in agguato all’esterno. Le mura domestiche sono il Sesamo, che offre «serenità, salute, sicurezza, soluzioni», là fuori c’è il Baratro, costituito da «pericoli, incidenti, malattie, terroristi e imprevisti». E poi, dentro la casa ipertecnologica non manca davvero nulla. Le deserte strade di Sbafo, perfettamente allineate, sono percorse avanti e indietro da droni e furgoni robotici, che consegnano a domicilio tutto ciò di cui si può aver bisogno: la mega-azienda TuttoPer ha a cuore i suoi consumatori e può soddisfare in tempi rapidissimi qualsiasi necessità, basta un clic. Ancora: vi ricorda qualcosa?

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Il Gruppo Vulcano ha spento Tesla!

Martedì mattina, intorno alle 4:50, un traliccio dell’elettricità nello Stato tedesco del Brandeburgo è andato in fiamme. Vecchi pneumatici ammucchiati intorno hanno suggerito che si trattasse di un caso deliberato di incendio doloso. Pochi secondi dopo, l’elettricità ai villaggi circostanti è stata interrotta, colpendo migliaia di famiglie. I tagli hanno interessato anche la cosiddetta Gigafactory di Tesla nella vicina area di Grünheide. La fabbrica di automobili dovrebbe produrre 750 auto elettriche al giorno, ma a seguito dell’interruzione, circa 12.000 lavoratori sono stati evacuati mentre la produzione si fermava. Tesla ha dichiarato di non aspettarsi una ripresa della produzione questa settimana e ha stimato che i danni si aggirano intorno a “diverse centinaia di milioni di euro”. Abbiamo tradotto dal tedesco il comunicato del Gruppo Vulcano, che rivendica questo regalo fatto al pianeta e a tutti/e noi per l’8 marzo.

Oggi abbiamo sabotato Tesla. Perché Tesla a Grünau mangia suolo, risorse, persone, manodopera e sputa 6.000 SUV, macchine assassine e monster truck alla settimana. Il nostro regalo per l’8 marzo è chiudere Tesla. Perché la completa distruzione della Gigafactory e con essa l’eliminazione dei “tecno-fascisti” come Elon Musk è un passo avanti verso la liberazione dal patriarcato.

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Appunti di storia popolare del fermano dopo l’Unità

Di Joyce Lussu

Da Rivista Malamente n. 32, mar. 2024 (QUI IL PDF)

Dopo l’unificazione italiana, il biglietto da visita del nuovo Stato nelle regioni del centro-sud sono i carabinieri, le tasse e la leva obbligatoria. Di far parte di una nuova “patria” a ben pochi importava qualcosa. Nei paesi e nelle campagne marchigiane, come altrove, la popolazione non risponde sventolando bandiere tricolori, ma con la diserzione e il conflitto sociale. Quello che segue è un estratto dalla “Storia del fermano”, di Joyce Lussu (1970).

I renitenti di leva

Mentre nel mezzogiorno il rifiuto di arruolarsi nell’esercito italiano si trasforma in aperta rivolta collettiva, nelle Marche è molto diffuso il fenomeno dei renitenti di leva, arrestati a migliaia tra il ’60 e il ’65. Dopo il settembre 1860, quando l’esercito piemontese attraversa la regione, si comincia subito a parlare di coscrizione obbligatoria, e il terrore dilaga per le campagne: i vecchi ricordano le guerre napoleoniche, i giovani hanno sentito l’eco delle feroci repressioni contro i «briganti», con i quali genericamente s’identificano. È il discorso del giorno: se ne parla nelle stalle, in mezzo alle fatiche dei campi, nelle veglie, nelle osterie, quando si è sicuri che non ci sia in giro nessuna spia del governo. Alcuni vanno dai parroci, che alzano le braccia al cielo senza commenti; dai farmacisti, chiedendo se non vi sia qualche droga, che senza togliere la salute per sempre, li renda momentaneamente inabili o deformi; più spesso dalle fattucchiere o dai flebotomi, con la stessa domanda. Altri si fanno coraggio e vanno dal medico supplicandolo di far loro un certificato d’invalidità. Ma nonostante i molti doni di uova, pollame e formaggi, trovano sempre una riposta negativa. Allora i più stoici si mutilano le dita delle mani o dei piedi, o si fanno addirittura strappare tutti i denti; qualcuno si precipita dall’alto di un albero, lussandosi o fratturandosi.

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