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editoriali

À la guerre comme à la guerre

Da Rivista Malamente n. 31, dic. 2023 (QUI IL PDF)

Di Redazione

Abbiamo scelto di dedicare la copertina alla resistenza del popolo palestinese, oppresso da decenni e vittima in queste settimane di una brutale rappresaglia. La miccia questa volta è stata accesa dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. Quello che è seguito è noto ai più, ma l’interpretazione degli eventi è fonte di discussione tra molti compagni e compagne.

Non c’è alcun dubbio che lo Stato di Israele, da decenni, perseguiti e opprima la popolazione palestinese, che attui una politica di sterminio, che occupi territori da cui dovrebbe solo andarsene. Ed è chiaro come in questa “nuova” guerra, ancora una volta, i palestinesi pagheranno il prezzo più alto. Il nostro cuore è con loro e siamo al fianco di tutte le manifestazioni a sostegno della resistenza palestinese che vengono vietate e criminalizzate nel nostro Occidente.

D’altra parte ci rifiutiamo di credere che un gruppo di potere come Hamas possa rappresentare da solo le legittime aspirazioni alla libertà del popolo palestinese; sempre che si possa parlare di un “popolo” palestinese come unità indistinta. Sosteniamo la violenza degli oppressi contro i loro oppressori, ma sappiamo ancora distinguere tra rivolta popolare (intifada) e barbarie indiscriminata come quella che ha colpito tanti civili israeliani e di altre nazionalità la mattina del 7 ottobre. Pertanto ci rifiutiamo di festeggiare per le azioni di uomini che anche all’interno di Gaza reprimono ogni dissenso alla loro linea jihadista.

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Altri fiori, altri partigiani

Redazione Malamente


Ieri (07 maggio) a Kiev, in una località che è stata tenuta segreta per motivi di sicurezza, si è svolta la commemorazione di tre volontari internazionalisti caduti in combattimento a Bakhmut il 19 aprile, quasi impercettibili tra le centinaia di vite che vengono falciate ogni giorno dalla guerra sul lato ucraino e russo.

Questi tre uomini hanno però un significato particolare perché raccontano una storia minoritaria ma per noi molto importante all’interno della tragedia in corso. Dmitriy «Leshy» Petrov, Finbar «Chia» Cafferkey e Cooper «Harris» Andrews erano tutti e tre internazionalisti e attivisti antifascisti nei loro paesi. La piccola celebrazione in forma privata ha coinvolto decine di attivisti ucraini e di altre nazionalità, insieme ad alcuni familiari giunti dall’estero per l’occasione.

A Kiev dall’inizio della guerra esiste infatti una piccola ma resiliente rete di volontari/e, attivisti/e, militanti che nonostante e contro le difficoltà della guerra lottano per l’emancipazione sociale, sostengono lotte sindacali, forme di mutuo appoggio, forniscono sostegno materiale ed emotivo alle vittime della guerra e mantengono viva una elaborazione politica critica verso la società ucraina mentre al tempo stesso partecipano alla sua difesa. La cerimonia è stato un momento di emozione intensa, in cui sono emerse le biografie di questi uomini che nel momento della morte hanno mostrato controluce le aspirazioni, le passioni, le difficoltà di milioni di esseri umani che lottano per la liberazione in questo mondo in fiamme.

La propaganda russa anche in Italia sta tentando in questi giorni, inutilmente, di infangare il loro nome e la loro traiettoria di lotta con fantasiose ricostruzioni che raccontano una inesistente collaborazione o subordinazione alle forze neonaziste ucraine. Chi conosce la storia, l’etica e la pratica di questi compagni caduti o chi si sia preso il disturbo di passare anche solo qualche giorno in Ucraina nell’ultimo anno e mezzo capisce che quelle che circolano sui canali filorussi sono solo manipolazioni e infamie.

Tuttavia è importante fermarsi a raccontare e approfondire la storia e il profilo di questi attivisti perché essi mostrano una ricchezza umana, un coraggio e una capacità di visione del futuro che dobbiamo difendere e rafforzare nella nostra pratica quotidiana. Nelle loro biografie, infatti, la guerra non appare come un valore in sé o come qualcosa da celebrare, ma come un elemento tragico e inevitabile nei conflitti per l’emancipazione delle classi subalterne. C’è un filo rosso che unisce le lotte nelle metropoli degli Stati Uniti e della Russia, nelle campagne dell’Irlanda e del Rojava, con quello che sta succedendo oggi sul fronte est dell’Ucraina.

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