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Marche

Il giuramento del partigiano Wilfredo

Intervista di Sergio Sinigaglia ad Alfredo Antomarini [QUI IL PDF]

Wilfredo Caimmi (Ancona 1925-2009) è stato un partigiano comunista. Uno dei tanti giovani che appena diciottenne scelse di stare dalla parte giusta e salì in montagna a combattere il nazifascismo; successivamente insignito della medaglia d’argento al valore militare. Nel novembre del 1990 fu al centro di un clamoroso fatto di cronaca di rilievo nazionale: ce lo racconta in questa intervista Alfredo Antomarini, amico e compagno di Wilfredo, che nel libro “Ottavo chilometro” (Ancona, il lavoro editoriale) ha ricostruito insieme a lui la storia partigiana di Caimmi e dei suoi compagni.

L’intervista – in uscita su Rivista Malamente n. 22 (luglio 2021) – è stata raccolta poche settimane prima che Alfredo Antomarini, per tutti Edo, ci lasciasse improvvisamente, il 17 giugno 2021, dopo una breve malattia. [Nota della redazione]

Alfredo Antomarini

Possiamo raccontare come Wilfredo diventa antifascista e i suoi primi passi da partigiano?

Wilfredo nasce ad Ancona nel 1925, dunque nel 1943 è diciottenne, l’età considerata idonea dall’organizzazione clandestina per essere destinati alla resistenza armata. Al di sotto di questo limite non si reclutavano combattenti, tuttalpiù gappisti, con funzioni di supporto.

L’episodio che fa diventare Caimmi antifascista è legato al periodo del liceo scientifico. A scuola era piuttosto bravo, aveva ottimi voti. Frequentava il primo anno. Un giorno un professore indica due studenti, li invita a mettersi in fondo alla classe e comunica loro che da domani non dovevano venire più a scuola. Visto che non avevano compiuto nessuna cattiva azione, Wilfredo alza la mano e chiede le ragioni di questa decisione. Il professore irritato lo invita a non intromettersi e comunque afferma perentoriamente che, essendo ebrei, lo Stato vietava loro la frequentazione scolastica. Di fronte alla contestazione il preside convoca il padre di Wilfredo e rimarca l’atteggiamento indisciplinato del figlio, che da quel momento diventa antifascista.

Il fatto non sfugge all’organizzazione clandestina partigiana attenta a qualunque segnale che potesse indicare dei giovani da cooptare, soprattutto i ragazzi che facevano vita di strada, anche svelti di mano. E così Wilfredo e altri suoi amici, divenuti anche loro partigiani, frequentano la scuola di pugilato del maestro Fernando Cerusico, repubblicano e antifascista rigoroso: un vero “maestro di vita”, che dà a quei ragazzi portati alla rissa di strada una certa “disciplina”.

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Le Marche intensive. Tutta (ma proprio tutta) la storia del Covid Hospital di Civitanova Marche

Di Mario Di Vito [QUI IL PDF]

A un certo punto sembravamo spacciati. Il numero di contagiati saliva ogni giorno insieme al numero delle vittime, decine di milioni di italiani si erano chiusi in casa a tempo indeterminato, il presidente del consiglio Giuseppe Conte appariva in televisione ogni due o tre giorni per emanare nuove regole. Le terapie intensive sembravano sul punto di scoppiare, in televisione virologi e opinionisti più eventuali che vari continuavano ad accapigliarsi su questioni difficilmente comprensibili ai più, su Facebook i post degli infermieri e delle infermiere con il volto sempre segnato dalla fatica si moltiplicavano, così come le foto inquietantissime dei cadaveri portati via dai mezzi militari nella notte. Quattro o cinque generazioni, in vita loro, non avevano mai visto il baratro così tanto da vicino.

Marzo 2020, l’Italia è un paese in ginocchio. Terrorizzato dal Covid-19, acronimo inglese di Coronavirus Disease 19, ovvero infezione da Sars-CoV-2, una malattia respiratoria difficile da identificare. Non solo l’Italia, che comunque è stata tra i primi paesi a chiudere tutto, l’intero pianeta Terra è sconvolto e reagisce nelle maniere più disparate: chi ignora il problema, chi utilizza l’esercito, chi si colloca a metà tra queste due cose.

Qui e seguenti: “Pandemia” – Opera di Blu, Campobasso 2019

Il contesto

Nelle Marche, all’estrema periferia dell’impero, già alla fine di febbraio il governatore Luca Ceriscioli si era lanciato in una personalissima guerra al governo centrale per imporre la chiusura delle scuole della sua regione per cercare di contenere i contagi. Una vicenda in qualche modo paradigmatica del caos italiano di quei giorni: lunedì 24 febbraio Ceriscioli convoca i giornalisti per annunciare la serrata degli edifici scolastici. Nel bel mezzo della conferenza stampa, però, il presidente marchigiano riceve una telefonata dal presidente Conte, che lo obbliga a desistere dal suo proposito. Smentita in diretta, dunque, e gran brutta figura per Ceriscioli. Martedì 25 febbraio, al mattino, il governo incontra in videoconferenza i rappresentanti di tutte le regioni italiane e, senza obiezioni, si trova un accordo sul fatto che qualsiasi decisione dovrà essere presa tutti insieme. Le fughe in avanti della Lombardia e del Veneto, che nella settimana precedente avevano cominciato a produrre ordinanze, sembravano arginate. Ma il pomeriggio dello stesso giorno, a sorpresa, Ceriscioli con un atto d’imperio chiude le scuole, questa volta per davvero. Il governo si innervosisce e decide di impugnare davanti al Tar il provvedimento della Regione Marche.

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Il marchingegno si è rotto. RetroMarch(e): cambiare direzione

Intervista di Sergio Sinigaglia a Carlo Carboni e Michele Serafini [QUI IL PDF]

A metà marzo ad Ancona, presso la Facoltà di Economia, si doveva tenere un incontro pubblico promosso dalla nostra rivista insieme al mensile Gli Asini e al Circolo Laboratorio Sociale. Alla vigilia di una tornata elettorale in cui si prefigurava un successo della destra, l’intento era quello di ragionare sulle trasformazioni avvenute nelle Marche, sui mutamenti sociali, economici, culturali e antropologici, specchio del contesto più generale. Tra i relatori era previsto Carlo Carboni, docente di sociologia presso la stessa facoltà, autore di numerosi saggi tra cui “Il marchingegno”, edito nel 2005 da Affinità elettive, che analizzava il defunto modello marchigiano incentrato sul “piccolo è bello” e cercava di ragionare sulle possibili alternative.

L’incontro di Ancona è saltato a causa delle restrizioni imposte dall’epidemia di Covid-19; abbiamo però ritenuto opportuno intervistare Carboni sulle tematiche di cui avremmo dovuto discutere a marzo. L’intervista contiene alcuni riferimenti alla “classe dirigente” che ovviamente non ci appartengono visto che le nostre idee guida sono, piuttosto, i concetti di autonomia sociale, autogestione, autogoverno. In ogni caso ci sembra un contributo importante e qualificato per riflettere sui cambiamenti in atto, con l’auspicio che nella prossima primavera si possano ricreare le condizioni per riproporre l’iniziativa annullata.

Per ampliare il quadro sulla situazione regionale abbiamo intervistato anche Michele Serafini che, ritornato nelle Marche dopo due anni da ricercatore in antropologia a Londra, ha contribuito alla formazione del gruppo di ricerca interdisciplinare “Emidio di Treviri” formato da antropologi, sociologi e urbanisti, seguendo fin dalle primissime fasi le vicende del terremoto e post-terremoto 2016. Michele ci ha parlato delle dinamiche dell’entroterra, in particolare delle conseguenze determinate dall’ultimo sisma in territori già gravemente alle prese con fenomeni sociali ed economici che ne hanno fortemente indebolito il tessuto civico.

Andrea Pazienza, “Vignette”

Intervista a Carlo Carboni

Nel 2005 hai scritto “Il marchingegno” dove riflettevi sul modello di sviluppo tradizionale della nostra regione e di come ormai mostrasse la corda, quindi sottolineando la necessità di un suo superamento e di un cambio di paradigma. A quindici anni di distanza sembra che siamo ancora al palo…

Non è cambiato nulla, anzi il contesto è peggiorato. Già due anni fa Ilvo Diamanti a un convegno all’Istao (Istituto Adriano Olivetti, ndr.) ad Ancona aveva osservato come le Marche fossero scivolate nella “media mediocritas” italiana. Devo dire che dopo la vicenda del terremoto di quattro anni fa, a cui dobbiamo aggiungere lo scossone della crisi del 2008, con tutte le conseguenze avute sia nell’apparato produttivo che nel sociale, molti di quelli che hanno fatto i cantori di questo modello di sviluppo diversi anni fa – mi riferisco al nostro ambito accademico – abbiano peccato di un eccesso di entusiasmo rispetto a una realtà che ha invece mostrato tutti i suoi limiti strutturali.

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Da Londra ad Ascoli Piceno. La scena punk in una regione quasi tranquilla

Intervista di Luigi ad Alessia Masini e Carlo Cannella [QUI IL PDF]

Dopo aver raccontato la scena hip-hop del nord delle Marche (Malamente #6, dicembre 2017), abbiamo deciso di fare un viaggio nel sottobosco punk per scoprire origini, storia e vicende di questo fenomeno musicale e culturale che dalla fine degli anni Settanta ha attraversato, in maniera forse anche inaspettata, la paciosa e sonnolenta tranquillità di questi territori.

Abbiamo intervistato Alessia Masini, ricercatrice in storia, studiosa in particolare del rapporto tra giovani e politica in età contemporanea, collaboratrice di Rai Storia e autrice e speaker del programma radiofonico Vanloon in onda su Radio Città Fujiko (Bologna). Alessia ha da poco pubblicato il libro “Siamo nati da soli: punk, rock e politica in Italia e in Gran Bretagna, 1977-1984” (Pacini, 2019). Poi, per mettere a fuoco il punk marchigiano, abbiamo conversato con un testimone d’eccezione, Carlo Cannella, voce storica della scena punk hardcore italiana. Cresciuto ad Ascoli Piceno, ha fondato nel 1983 i Dictatrista, nel 1985 gli Stige, nel 1992 gli Affluente. Nomi che a qualcuno/a ricorderanno i tempi del walkman sparato nelle orecchie e l’energia del pogo sotto i più improbabili palchi. Nel libro “La città è quieta… ombre parlano” ha raccontato la storia di quell’umanità disagiata e sperduta nella foresta punk ascolana, schiumante rabbia di vivere; la quarta edizione è in uscita per Red Star Press.

E allora non ci resta che partire per questo viaggio nel “nostro” punk: in fondo, dal pogo al riot, il passo può essere molto breve.

Rivolta dell’odio (Ancona), Al Tuwat di Carpi, 1985 circa

Intervista ad Alessia Masini

Il tuo libro sulla storia del punk ha una delimitazione temporale ben precisa: 1977-1984. Queste date rappresentano un inizio e una fine? Quali sono i motivi di questa periodizzazione del punk?

Non definirei queste date un inizio e una fine. O meglio, forse un inizio sì, ma non una fine. Il 1977 è il momento in cui il fenomeno punk ha una delle sue manifestazioni più visibili, cioè diventa concretamente un elemento delle culture giovanili. Nell’ottobre 1977 il punk compare in televisione, per la prima volta la RAI parla di punk in un programma che si intitolava “Odeon. Tutto quanto fa spettacolo”. Pochi mesi prima, a maggio, iniziava a comparire anche tra le maglie dei movimenti, delle controculture, a partire dalla rivista “Re Nudo”. Nelle memorie dei punk italiani si ritrovano spesso questi due eventi: quasi tutti citano “Odeon” e qualcuno racconta anche di “Re Nudo”. Quindi da questo punto di vista si può dire, secondo me, che il 1977 sia un inizio.

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Auto-ricostruzione nel cratere. Come tornare ad abitare i territori colpiti dal sisma (#14)

Intervista di Luigi a Sara Campanelli (ARIA Familiare), Chiara Braucher (Emidio di Treviri) e Stefano Mimmotti. Da Malamente #14, maggio 2019 [QUI IL PDF]

In un precedente numero di Malamente (#8, settembre 2017) avevamo parlato di autocostruzione di case, concentrandoci in particolare sull’utilizzo di legno e balle di paglia. Torniamo ora sullo stesso argomento, calandolo nel contesto della ricostruzione post terremoto dell’Appenino centrale. Siamo stati nei pressi di Camerino, ospitati nella casetta di legno provvisoria di Stefano e Simona, e abbiamo discusso delle possibilità di auto-ricostruzione, in cantieri aperti ai volontari, insieme a Sara Campanelli dell’associazione ARIA Familiare [Associazione rete italiana autocostruzione] e Chiara Braucher del gruppo di ricerca Emidio di Treviri. L’auto-ricostruzione ci sembra particolarmente interessante sia perché consente la riappropriazione comunitaria e la condivisione gratuita di un “saper fare” che non dovrebbe essere esclusivamente delegato a imprese specializzate, sia perché non riguarda solo il mettere in piedi un edificio, ma comporta la creazione di legami sociali sul territorio e la ricostruzione di relazioni umane, a partire dallo stare insieme, volontariamente, attorno a un progetto di vita molto concreto. Ci sembra, insomma, una buona strada per tornare veramente ad “abitare” i territori interni colpiti dal terremoto del 2016 ed evitare che un giorno questi paesi si ritrovino pieni di case ristrutturate ma vuote perché prive di tessuto sociale.

Partiamo da voi stessi: come siete entrati in contatto attorno al tema dell’auto-ricostruzione nel cratere del sisma?

Sara: Con Stefano e Simona ci siamo incontrati per la prima volta nel novembre 2016 a Fermo, a una piccola fiera post sisma dedicata all’edilizia (Riabita). Io era stata invitata a parlare di costruzioni leggere, naturali e loro erano interessati alla possibilità di auto-ricostruirsi la casa che si trova in condizione di inagibilità di tipo E, cioè un edificio che risulta inutilizzabile in ogni sua parte. Mi ricordo una frase che mi disse Simona: “se devo rimanere a Calcina e ricostruire non voglio più avere le pietre intorno a me”. Dopo poco tempo mi hanno chiesto di diventare il loro tecnico incaricato per seguire la pratica sisma, così mi sono iscritta all’elenco speciale dei professionisti abilitati.

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