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Cambiare rivoluzione. Come essere realisti senza dimenticare l’utopia

da Rivista Malamente n. 22, lug. 2021 (QUI IL PDF)

Di Groupe MARCUSE (Movimento autonomo di riflessione critica per l’uso dei sopravvissuti dell’economia)

Come lo ribaltiamo il corso della storia? Dove sistemiamo la fatidica leva? Difficile trovare un punto d’appoggio… e mentre ci perdiamo nel labirinto che dovrebbe condurre a un improbabile cuore della contraddizione sociale le lotte scorrono sotto i nostri occhi, nei nostri territori, limitate e parziali, spurie e sporche, ma vive, reali, concrete. Che siano valligiani che disturbano l’alta velocità ferroviaria, piccoli allevatori contrari alla gestione informatizzata dei propri greggi o genitori che rifiutano schedature e controlli biometrici all’ingresso delle scuole (come ci raccontano gli esempi portati in questo articolo), intere comunità si muovono diffidenti e combattive, anche se talvolta non radicali come ci piacerebbe, contro un capitalismo che grazie allo sviluppo industriale e informatico sta realizzando al massimo grado il suo programma di sottomissione e dominio dell’esistente. In attesa che torni popolare la causa della rivoluzione liberatrice, discutiamo insieme su questi argomenti a partire dal testo che abbiamo tradotto da “La liberté dans le coma” (edizioni La Lenteur, 2013, nuova ed. 2019).

Non ha molto senso, a nostro parere, lottare contro gli effetti di controllo prodotti da un dispiegamento tecnologico considerato come ineluttabile con il solo obiettivo di preservare le libertà individuali. Piuttosto, è proprio tale dispiegamento, e il suo carattere ineluttabile, che bisogna mettere in discussione teoricamente e praticamente. L’urgenza non è tanto difendere «le libertà», quanto reinventare la libertà.

Opporsi all’offensiva tecnologica, interromperla, ricacciarla indietro implica un tipo di cambiamento sociale e politico inedito. Quante rivoluzioni ci vorranno per recuperare delle condizioni di vita favorevoli a un progresso del genere umano? Quante insurrezioni e sollevamenti per riorientare il corso delle cose fuori dai binari, resistenti ma flessibili, dello sviluppo economico, dell’accumulazione senza scopo e senza freni? Non è piuttosto un cambio di civiltà quello che auspichiamo? E un tale cambiamento riguarda ancora la politica, cioè l’azione degli esseri umani associati, ciò che si può insieme elaborare e istituire? O si tratta di uno slittamento talmente profondo che sfugge completamente alla coscienza e alla volontà umane, andando al di là di quel che può progettare un movimento politico o un gruppo sociale?

Cambiare rivoluzione. Come essere realisti senza dimenticare l’utopia

“Del nostro meglio” – Viaggio nel mondo dello scautismo

Intervista collettiva di Luigi agli scout e alle scout del CNGEI Sezione di Fermignano (PU)
Da Rivista Malamente #23 (novembre 2021)

Può una rivista che si chiama “Malamente”, scritta e letta da dei poco di buono, parlare di scautismo? Forse qualcuno/a storcerà il naso, convinto che gli scout siano giovani soldatini di Cristo e di Baden-Powell o, al limite, bravi/e ragazzi/e in grado di accendere un fuoco e stringere nodi, ben disciplinati in un’organizzazione gerarchica. Con questa intervista collettiva al Grufe – la Sezione scout di Fermignano (PU) –, vogliamo smontare alcuni pregiudizi consolidati ma fuorvianti.

“Del nostro meglio” – Viaggio nel mondo dello scautismo

C’era una volta il miele

Di Tommaso, Apicoltura Corbecco

Come preannunciato, gli effetti della crisi climatica che la nostra epoca ha generato sono sempre più espliciti e invasivi. Gli anelli più delicati dell’ecosistema sono ovviamente i contesti in cui gli effetti risultano più visibili.

Dal punto di vista molto specifico del nostro mestiere osserviamo ormai da più di dieci anni un peggioramento della salute e della vitalità delle api. Ma è negli ultimi quattro o cinque che il fenomeno è ancora più evidente.

C’era una volta il miele

Boomer Covid Blues

Di Leucocita Senigallia fine estate: dopo mesi di siccità i primi acquazzoni hanno allagato le strade ma ancora in tanti devono consumare le proprie vacanze, in tanti hanno ancora i voucher da spendere dopo mesi… Boomer Covid Blues

Fondi e cimeli dell’Archivio storico della FAI

Di Francesco Scatigno

Nonostante la sua giovane età, l’Archivio storico della Federazione anarchica italiana, nato da una proposta del Congresso di Carrara del 1985, conserva cimeli e manoscritti provenienti da luoghi e tempi più remoti. Spesso sono stati conservati e tramandati da militanti anarchici che hanno donato all’archivio queste preziose testimonianze del passato.

Tra questi cimeli ci sono oggetti e manoscritti che risalgono alla guerra civile spagnola, lettere che fanno parte della corrispondenza di alcuni esponenti anarchici con importanti figure della politica e della cultura italiana come Calamandrei, Pertini, Nenni e Salvemini.

I reperti della guerra civile spagnola

Ad arricchire notevolmente l’ASFAI vi sono reperti e documenti della guerra civile spagnola appartenuti a Valentino Segata. Segata è un anarchico nato a Sopramonte (TN) nel 1892 e arruolatosi nella Colonna italiana Ascaso nel 1936, dove è al comando di una sezione di fucilieri. Dopo la conclusione della guerra spagnola, torna a Parigi. I suoi documenti furono custoditi dall’anarchico romagnolo Domenico Girelli, anch’egli combattente nella guerra civile spagnola, famoso per aver segregato nella loro caserma i carabinieri di Civitella di Romagna durante le insurrezioni della Settimana Rossa nel 1914.

Domenico Girelli, nei giorni in cui si tenne il convegno del 1987 su Sacco e Vanzetti a Villafalletto (CN) consegnò a Massimo Ortalli, curatore dell’ASFAI, i documenti appartenuti a Segata. Tra questi documenti ci sono una tessera del 1937 della Confederación Nacional del Trabajo, documenti di identità, carte di circolazione, permessi e la nomina di Segata a Capitano di compagnia con le firme di Antonio Cieri, Emilio Canzi, Umberto Consiglio, Giuseppe Bifolchi e Gregorio Jover. Alcuni di questi documenti hanno il timbro della Divisione Francisco Ascaso.

Fondi e cimeli dell’Archivio storico della FAI

Il giuramento del partigiano Wilfredo

Intervista di Sergio Sinigaglia ad Alfredo Antomarini [QUI IL PDF]

Wilfredo Caimmi (Ancona 1925-2009) è stato un partigiano comunista. Uno dei tanti giovani che appena diciottenne scelse di stare dalla parte giusta e salì in montagna a combattere il nazifascismo; successivamente insignito della medaglia d’argento al valore militare. Nel novembre del 1990 fu al centro di un clamoroso fatto di cronaca di rilievo nazionale: ce lo racconta in questa intervista Alfredo Antomarini, amico e compagno di Wilfredo, che nel libro “Ottavo chilometro” (Ancona, il lavoro editoriale) ha ricostruito insieme a lui la storia partigiana di Caimmi e dei suoi compagni.

L’intervista – in uscita su Rivista Malamente n. 22 (luglio 2021) – è stata raccolta poche settimane prima che Alfredo Antomarini, per tutti Edo, ci lasciasse improvvisamente, il 17 giugno 2021, dopo una breve malattia. [Nota della redazione]

Alfredo Antomarini

Possiamo raccontare come Wilfredo diventa antifascista e i suoi primi passi da partigiano?

Wilfredo nasce ad Ancona nel 1925, dunque nel 1943 è diciottenne, l’età considerata idonea dall’organizzazione clandestina per essere destinati alla resistenza armata. Al di sotto di questo limite non si reclutavano combattenti, tuttalpiù gappisti, con funzioni di supporto.

L’episodio che fa diventare Caimmi antifascista è legato al periodo del liceo scientifico. A scuola era piuttosto bravo, aveva ottimi voti. Frequentava il primo anno. Un giorno un professore indica due studenti, li invita a mettersi in fondo alla classe e comunica loro che da domani non dovevano venire più a scuola. Visto che non avevano compiuto nessuna cattiva azione, Wilfredo alza la mano e chiede le ragioni di questa decisione. Il professore irritato lo invita a non intromettersi e comunque afferma perentoriamente che, essendo ebrei, lo Stato vietava loro la frequentazione scolastica. Di fronte alla contestazione il preside convoca il padre di Wilfredo e rimarca l’atteggiamento indisciplinato del figlio, che da quel momento diventa antifascista.

Il fatto non sfugge all’organizzazione clandestina partigiana attenta a qualunque segnale che potesse indicare dei giovani da cooptare, soprattutto i ragazzi che facevano vita di strada, anche svelti di mano. E così Wilfredo e altri suoi amici, divenuti anche loro partigiani, frequentano la scuola di pugilato del maestro Fernando Cerusico, repubblicano e antifascista rigoroso: un vero “maestro di vita”, che dà a quei ragazzi portati alla rissa di strada una certa “disciplina”.

Il giuramento del partigiano Wilfredo

Ancona capitale del TSO

  • di

Uso e abuso del TSO psichiatrico nelle Marche Intervista di Sergio Sinigaglia ad Anna Stammati di Telefono Viola da Malamente 13 [QUI IL PDF]

Non di solo Stato vive la scuola. In difesa delle scuole libertarie

Intervento di Francesco Codello

Agli inizi di marzo il sito Dinamo Press – che si definisce come un progetto di informazione indipendente nato dalla cooperazione tra diversi spazi sociali di Roma, giornalisti professionisti, ricercatori universitari, video maker e attivisti – ha pubblicato un articolo di Angela Pavesi e Michele Dal Lago intitolato “Una selva molto oscura. Il neoliberismo comunitarista delle scuole parentali e libertarie”. Mettendo in un unico calderone esperienze educative tra loro anche molto diverse, gli autori attaccano duramente tutte le realtà che si muovono esternamente alla scuola statale, identificata come l’unica scuola pubblica possibile, al di fuori della quale ci sarebbe solo la giungla del modello neoliberista. Pubblichiamo una replica di Francesco Codello, pedagogista, tra i fondatori della Rete per l’educazione libertaria, che è stato dirigente scolastico ed è da lungo tempo impegnato nella ricerca storico-educativa. Codello ha parlato ai microfoni di Radio Blackout, nella rubrica Anarres condotta da Maria Matteo, difendendo le esperienze concrete di educazione libertaria che, tanto oggi quanto nella loro ormai lunga storia, si sono sviluppate come strumenti di cambiamento sociale in senso antiautoritario: riportiamo qui il dialogo radiofonico con l’autorizzazione dell’autore, e ci ripromettiamo di tornare sul tema anche sulle pagine di Rivista Malamente.

[Maria Matteo] Vuoi raccontare brevemente cosa dice l’articolo pubblicato su Dinamo Press o preferisci partire dalla realtà delle scuole libertarie?

[Francesco Codello] Preferisco sicuramente partire dalle nostre idee e dalle nostre pratiche, perché ritengo quell’articolo pubblicato da Dinamo Press violento nei toni, inqualificabile, che sprigiona ignoranza e/o malafede. I toni e i modi, oltre che i contenuti, non stimolano l’apertura di un dibattito, non aiutano il confronto e nemmeno spingono a fare riflessioni e autocritiche, peraltro sempre necessarie. Nel corso della discussione spero di riuscire a far emergere alcuni concetti importanti sia dal punto di vista storico che attuale, che in quell’articolo non vengono minimamente considerati.

[M.M.] Cominciamo allora con il dissipare un po’ di confusione, che certamente Dinamo Press ha contribuito ad alimentare, perché il percorso delle scuole libertarie non può essere equiparato alla sola educazione parentale, né tantomeno a percorsi come quelli delle scuole private, confessionali o di altro genere.

[F.C.] Partirei da una prima considerazione: gli autori dell’articolo che esprimono questi giudizi, e portano un così duro attacco all’educazione libertaria, palesano una profonda ignoranza di tutta la storia dell’educazione libertaria. Non sanno nulla, almeno così traspare dall’articolo, di una storia della quale noi siamo orgogliosamente fieri, che ci appartiene e di cui sentiamo anche la responsabilità. Quando si intraprendono pratiche di educazione libertaria si deve infatti sentire il senso di appartenenza a una tradizione che ha segnato profondamente il rinnovamento della pedagogia nel corso della storia. A cominciare da William Godwin, che per primo parlò contro l’idea di un curricolo scolastico unico e quindi di gestione in esclusiva del sistema scolastico da parte dello Stato, per arrivare fino alle esperienze concrete dei giorni nostri.

C’è poi anche una profonda ignoranza di ciò che si è dibattuto e discusso nella storia della scuola italiana. Tra il 1900 e il 1926, cioè fino all’imporsi delle leggi cosiddette “fascistissime”, la scuola italiana ha subìto due grandi processi di cambiamento: la legge Daneo-Credaro del 1911 e la riforma Gentile del 1923. Mi soffermo in particolare sulla legge Daneo-Credaro, con la quale lo Stato italiano, in ritardo di molti anni rispetto ad altri paesi europei, avoca a sé la gestione e quindi l’organizzazione delle scuole di base, così si chiamavano le elementari, che fino ad allora erano state a gestione comunale. Questa legge rappresenta sicuramente un importante passaggio, anche in senso positivo, ma dà inizio anche a un percorso di statalizzazione esclusiva dell’organizzazione scolastica. Tra gli anarchici si sviluppa in quegli anni tutto un dibattito che possiamo semplificare nella domanda: scuola laica o scuola libera? Cioè era positivo il tentativo di togliere la scuola dal condizionamento clericale, perché era questo che succedeva con la scuola a gestione comunale, soprattutto nei piccoli comuni che rappresentavano la maggior parte del tessuto sociale italiano, ma d’altra parte a questa idea di scuola laica veniva contrapposta un’idea di scuola libera.

Non di solo Stato vive la scuola. In difesa delle scuole libertarie