Eolico ad Apecchio: energia tutt’altro che “pulita”.
Come girano le pale sul Monte dei Sospiri
Di Luigi
Evocare il vento e il sole come fornitori di energia offre un’immagine di rispetto per l’ambiente, un’immagine di energia rinnovabile che la generosa natura mette a disposizione delle attività umane. Di fronte all’inquinamento prodotto dall’utilizzo di fonti fossili e allo spettro delle centrali nucleari, l’eolico e il fotovoltaico come motori dello “sviluppo sostenibile” rassicurano tutti quei bravi cittadini preoccupati per le sorti del pianeta. Se di energia c’è bisogno – energia elettrica, nello specifico – ecco pronta la soluzione tecnologica: turbine eoliche e pannelli al silicio ne garantiscono di pulita e in quantità illimitata. Ma stanno davvero così le cose? Rinnovabile è sinonimo di “pulito”? Soprattutto: a cosa ci dovrebbe servire l’energia elettrica? Ad accendere le lampadine di notte o a tenere in piedi una società tecno-industriale di per sé insostenibile? Un nuovo “parco eolico” è stato da poco installato sui crinali dell’Appennino marchigiano, nei dintorni di Apecchio. Possiamo stare certi che non abbia nulla a che vedere con una forma di appropriazione individuale o comunitaria della produzione di energia. Dimentichiamo le immagini bucoliche dei mulini a vento e andiamo a vedere che succede.
Sono considerate “rinnovabili” quelle energie generate da fonti che non risultano esauribili sulla scala del tempo umano e, per estensione, il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future. Fonti di energia rinnovabile sono dunque il sole, il vento, il calore della Terra, l’energia idraulica, le maree e anche le biomasse (cioè materia organica come legno, residui agricoli, deiezioni animali ecc.). Nel complesso delle fonti rinnovabili il fotovoltaico riveste un ruolo di primo piano. D’altra parte già da diversi anni non si può lasciare correre lo sguardo sulle colline senza notare i bagliori riflessi da qualche appezzamento di terreno coperto di pannelli al silicio. L’idroelettrico invece, almeno sul territorio marchigiano, ha ormai fatto il suo tempo e se è stato storicamente la fonte rinnovabile per eccellenza oggi non presenta particolari potenzialità di sviluppo, così come le famigerate biomasse non hanno grandi prospettive e il geotermico non ha ancora sfondato a livello industriale. Rimane da considerare la fonte eolica, sulla quale gli amministratori regionali del settore energetico hanno già puntato il dito: “è la grande assente nel territorio marchigiano”, ammoniscono nella presentazione del Pear2020 (Piano energetico ambientale regionale), come a dire: “preparatevi!”.
Piovono turbine
Nel 2015 l’eolico installato in Italia si è attestato sugli 8.942 MW, con 6.484 aerogeneratori di varia taglia (fino a 3 MW) raggruppati in “parchi” disseminati sul territorio e connessi alla rete ad alta tensione. Le Marche, insieme a Trentino, Friuli e Lombardia risultavano immuni dal miraggio dell’eolico industriale, mentre Puglia, Sicilia e Campania, da sole, raggiungevano quasi la metà della potenza installata sul totale nazionale[1].
Per il 2020 l’obiettivo italiano in ambito europeo è di raggiungere quota 12.680 MW e in questo sforzo anche il territorio marchigiano è chiamato a fare la sua parte, così come stabilito dal Pear2020 che recepisce le nuove strategie energetiche nazionale ed europea[2]. Nello specifico, il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 15 marzo 2012, noto come decreto “Burden Sharing”, ripartisce regione per regione gli obiettivi sulla riduzione di emissioni e sviluppo delle fonti rinnovabili: le Marche dal 4,3% del consumo di energia rinnovabile sul totale dei consumi del 2012 sono tenute a raggiungere il 10,1% nel 2016 e il 15,4% nel 2020 (considerando sia l’energia elettrica che quella utilizzata per riscaldamento e trasporti).
Il problema è che sul territorio italiano, fatta eccezione per alcune circoscritte zone, è difficile incontrare il vento adatto per rendere economicamente vantaggiosi gli enormi e costosissimi impianti dell’industria eolica. I dati lo dimostrano chiaramente. Quelle 6.484 turbine che abbiamo citato, per una potenza installata, potenziale, di 8.942 MW, hanno prodotto nel 2015 un quantitativo di energia pari a 14,6 TWh. Il conto è preso fatto: in un anno ci sono 8.760 ore, quindi l’energia che l’insieme degli aerogeneratori potrebbe produrre, se lavorassero al 100% delle loro capacità, sarebbe di 78.331.920 MWh, cioè 78,3 TWh. Avendo effettivamente erogato solo 14,6 TWh, significa che le pale hanno marciato al 18% del loro potenziale. Evidentemente un gran vento da sfruttare non c’è stato e infatti se andiamo a vedere qual è la media nazionale del vento di velocità compresa tra 4 e 20 metri al secondo (l’unica adatta alla produzione elettrica) scopriamo che non supera di molto le 2.000 ore annue[3]. In pratica, è come se il vento gestibile dall’industria eolica soffiasse per due mesi e mezzo, lasciandola a pale ferme per tutto il resto dell’anno. C’è solo una magra consolazione per gli ammiratori dell’eolico industriale: il rendimento del fotovoltaico è ancora minore; se non possiamo controllare il vento ancor meno possiamo intervenire, nostro malgrado…, su notti e nuvole!
Tutto ciò determina che la redditività economica sia per forza di cose basata sul sistema degli incentivi, cioè su denaro pubblico, pagato da tutti in bolletta. Lo faceva notare già nel 2010 quel furbone di Giulio Tremonti, allora ministro dell’economia: “quello dell’eolico – sosteneva – è un business ideato da organizzazioni corrotte che vogliono speculare”[4], anche se il suo scopo, perfettamente razionale dal punto di vista economico, era di affossare l’eolico per spingere sul nucleare. Fino al 2015 il sistema degli incentivi si è basato sui cosiddetti “certificati verdi” (successivamente sostituiti da un nuovo sistema incentivante) introdotti dal Decreto Bersani 79/1999 che poneva a carico dei produttori di energia l’obbligo di immettere nel sistema una quota percentuale di elettricità prodotta da fonti rinnovabili. I soggetti interessati potevano o produrre essi stessi questa energia oppure acquistare da altri produttori appositi titoli detti appunto “certificati verdi”. In questo modo eolico e altre rinnovabili sono entrate nel business delle aziende più inquinanti e dannose per l’ambiente, aiutandole anche a ripulire di fronte all’opinione pubblica progressista la propria faccia sporca di catrame. Come se non bastasse, lo Stato attraverso il Gestore dei servizi energetici si faceva carico di acquistare i “certificati verdi” prodotti in eccedenza a un prezzo altissimo e del tutto fuori mercato[5].
Rischiamo quindi di vedere presto un proliferare sui nostri territori, peraltro già iniziato, di pale eoliche a tutto vantaggio delle grandi aziende dell’energia che hanno fiutato l’affare e che sull’onda della crescente sensibilità ecologista, nutrita di pochi rimasticati slogan, possono fregiarsi di promuovere centrali di produzione di energia elettrica chiamandole, in neolingua, “fattorie” e “parchi” eolici.
Qualcuno per fortuna non c’è cascato e in effetti, quasi ovunque, associazioni e cittadini riuniti in comitati hanno provato a opporsi alla colonizzazione dei territori da parte dell’eolico industriale. Nel multiforme magma dell’opposizione ambientalista esistono forme di collegamento tra i vari comitati spontanei, associazioni e singoli residenti come, a livello internazionale, l’European Platform Against Windfarms che tiene unite 1.276 organizzazioni di 31 Paesi, tra le quali 20 italiane. Su scala nazionale è attivo, tra gli altri, un Comitato nazionale contro fotovoltaico ed eolico nelle aree verdi, mentre nell’Appenino centro settentrionale, in particolare tra Liguria, Toscana, Emilia e Umbria, si segnala l’attività del Coordinamento dei comitati dell’Alto Appennino contro l’eolico industriale selvaggio, meglio conosciuto come Rete della resistenza sui crinali. Negli anni, con una mobilitazione dal basso e spesso in contrasto con amministrazioni comunali preoccupate solamente di risollevare i propri magri bilanci, la Rete della resistenza sui crinali è riuscita a bloccare l’installazione di diversi impianti. Ora uno dei fronti di lotta principali è quello contro il colossale parco eolico di Poggio Tre Vescovi, nell’alto Montefeltro tra Badia Tebalda (Arezzo), Casteldelci (Rimini) e Verghereto (Forlì-Cesena), in realtà già bocciato tempo addietro, ma ora riproposto dal gruppo industriale tedesco GEO mbH: circa 30 turbine alte 180 metri da piazzare nel bel mezzo dei borghi appenninici[6].
A fronte di quanti, generosamente, si battono con i mezzi che ritengono più opportuni (anche riponendo tutta la propria fiducia in una valanga di carte bollate, così come i socialisti del 1922 volevano fermare il fascismo con una “valanga di schede rosse”), le collaborazioniste Legambiente, WWF e Greenpeace si sentono a proprio agio nella sottoscrizione di un patto d’intesa con l’Associazione nazionale energia del vento (ANEV), membro di Confindustria Energia.
Liberiamoci, dunque, dal timore che gli industriali dell’eolico vogliano speculare sui nostri territori! I paladini di Legambiente vigileranno attentamente affinché si possa “conciliare lo sviluppo della produzione di energia pulita con le necessarie tutele di valorizzazione e salvaguardia del territorio”[7]. Il protocollo prevede una serie di buone intenzioni da parte dei progettisti per minimizzare l’impatto sul territorio, in cambio delle noccioline le associazioni ambientaliste legittimano gli interessi delle aziende installatrici e giustificano la loro (e la propria) esistenza nella convinzione che di energia ci sia bisogno e quindi i parchi eolici industriali, da qualche parte, bisognerà pur piantarli. Il peggior nemico dei territori è forse proprio questo ecologismo organizzato che non riesce a guardare al di là delle soluzioni proposte dagli stessi responsabili della catastrofe ambientale, un ecologismo colonizzato dal modo di pensare dei tecnocrati, che ne ha fatto propri anche il linguaggio e le prospettive. Un ecologismo che non desidera altro se non gestire l’economia, riformare le istituzioni e far dialogare esperti e contro-esperti, affinché il pianeta sia un po’ meno inquinato e ci si possa morire un po’ meno velocemente.
Sospiri…
Sull’onda della corsa alla nuova frontiera della speculazione industriale, nel solo Appennino marchigiano settentrionale sono stati recentemente presentati almeno una decina di progetti, quasi tutti miseramente falliti per il mancato rilascio dei permessi da parte delle amministrazioni locali o per l’opposizione degli abitanti, a partire dai 10 aerogeneratori che la ditta Garbino Eolica di Milano avrebbe voluto piantare in località Piani Rotondi di Montevecchio di Pergola[8]. Altri progetti di cui si ha notizia, che non hanno superato l’iter amministrativo per ottenere il via libera, sono quelli proposti in località Monte Cerrone, comune di Mercatello sul Metauro, dalla Società Mtre s.r.l. di Fabriano (9 aerogeneratori, potenza 27 MW) e dalla Società Abaco Energia Pulita s.r.l. di Ancona (5 aerogeneratori, potenza 11,5 MW), per altri non sono nemmeno noti il numero degli aerogeneratori e la potenza complessiva prevista, come quelli proposti dalla Società Ser in località Infilatoio Monte Catria nel comune di Frontone, dalla società Tre in località Monte del Picchio nei comuni di Urbania e S. Angelo in Vado, dalla Società Bluenergy poi Apecchio Energia in località Monte Macinara nel comune di Apecchio e in località Monte San Lorenzo nel comune di Cagli[9].
Ma è necessario che anche le Marche facciano la propria parte nella strategia energetica imposta a livello nazionale ed europeo pertanto, al di là di ogni altra considerazione, non tutti i progetti possono venire bloccati. Ecco così che il comune di Serrapetrona, in provincia di Macerata, non sarà più ricordato per l’ottima Vernaccia Docg ma per essere il primo comune marchigiano ad aver ospitato l’eolico industriale, con la messa in opera tra 2013 e 2014 di 4 aerogeneratori da 2 MW nel “Parco eolico Monte d’aria”, realizzato dall’azienda MAIT Spa di Osimo da sempre specializzata in macchine industriali trivellatrici e perforazioni.
Chi l’ha spuntata nella zona di Apecchio (PU) è invece Marche Energie Rinnovabili s.r.l., con sede a Lucera in provincia di Foggia, subentrata alla fallita A.T.I. Abaco Energia Pulita s.r.l.-Fortore Sviluppo s.r.l.: nell’ottobre 2009 ha ottenuto il giudizio positivo di compatibilità ambientale (al termine del procedimento di valutazione di impatto ambientale) e nel dicembre 2011 l’autorizzazione unica regionale per installare 5 aerogeneratori da 2 MW alti 80 metri con pale da 40 metri – quindi per un’altezza complessiva di 120 metri – sul Monte dei Sospiri, a circa 5 chilometri a nord ovest rispetto al centro abitato[10].
Dopo aver notato quante altre s.r.l. condividono la sede legale di Lucera e aver visto la composizione societaria di Marche Energie Rinnovabili, proprietà delle multinazionali Fortore Energia s.p.a. (per il 51%) e Europower alternative energy capital–Erantec s.r.l. (per il 45%), non ci siamo addentrati nell’indagine degli intrecci societari, intravisti grazie a semplici visure camerali e una veloce ricerca, dato che rimestare nei liquami del capitalismo non piace a nessuno e comunque, se pur si trattasse di società dalla specchiata trasparenza, la sostanza del discorso non si sposterebbe di una virgola.
Fatto sta che alla fine del 2013 i comuni di Apecchio, Città di Castello e Mercatello sul Metauro emettono i decreti di esproprio e la ditta deposita la comunicazione di inizio lavori. L’attuale amministrazione apecchiese, insediatasi nel 2014, si ritrova così la bega sul tavolo. Tutti gli eletti si definiscono senza remore “ambientalisti” – certo, è pressoché impossibile trovare qualcuno, fosse pure il peggior magnate del petrolio, che si definisca “anti-ambientalista” – ma come fare quando è il buonsenso che pare essere anti-ambientalista? C’è sicuramente un grosso problema di impatto ambientale e di salvaguardia del territorio “dopo di che – afferma il sindaco – ci sono gli aspetti legati agli accordi contrattuali; [io] non sono nelle condizioni di esporre il Comune a rischi dal punto di vista economico-finanziario e giuridico”[11].
Il progetto rispetta infatti tutte le normative e la precedente amministrazione ha sottoscritto impegni che vanno onorati se non si vuol finire nei guai. E poi c’è una consistente fetta della cittadinanza indifferente o tacitamente favorevole al progetto perché immersa nelle sue false certezze e reale ignoranza, convinta che le pale “portino soldi”, e tanto basta. Non ultimo, sotto sotto ma nemmeno troppo, c’è il miraggio di far entrare qualche spicciolo nelle magre casse comunali disastrate da spending review e patto di stabilità. Alla fine, insomma, i soldi non hanno odore e la ragion di Stato (o ragion di Comune) prevale.
Tra una cosa e l’altra passa ancora tempo e il primo aerogeneratore viene collocato nell’aprile 2016, seguito in rapida successione dagli altri, nonostante le tonanti minacce del sedicente “assessore alla Rivoluzione” di Urbino, Vittorio Sgarbi: “se mettono le pale eoliche ad Apecchio chiamo l’Isis per farle esplodere in aria” – aveva dichiarato ai giornali nel novembre 2015[12]. Ogni torre è piazzata su una base di cemento profonda 3 metri e larga 16, vale a dire 256 metri quadrati, più ampia di due grandi appartamenti messi vicini. Parte integrante del complesso eolico è un elettrodotto interrato che collega il “parco” con la sottostazione di trasformazione realizzata a Mercatello sul Metauro in località Monte Cerrone e quindi con la rete elettrica ad alta tensione.
Le ragioni del no
Ambientalisti, associazioni, comitati, singoli cittadini hanno ragioni da vendere per opporsi all’avanzata dell’eolico industriale, al Monte dei Sospiri come altrove, nonostante le mille accortezze che si leggono nella relazione esecutiva del progetto, non ultime la tinteggiatura “con colori delle terre naturali” e i coppi anticati per la sottostazione di servizio, la nomina di un archeologo che si premuri di fotografare gli scavi e la realizzazione di punti informativi per un po’ di sana propaganda sui “benefici ambientali a livello globale o locale, derivanti dall’utilizzo dell’energia eolica”[13].
Innanzitutto, mentre si parla di energia “pulita” non si può dimenticare che ogni aerogeneratore da 2 MW contiene circa 3-4 tonnellate di rame, la cui estrazione avviene oggi in massima parte nelle miniere dell’America Latina (principalmente in Cile) in condizioni di estremo sfruttamento umano e danneggiamento ambientale, e circa 500 kg di minerali rari, su tutti il neodimio estratto in quell’inferno sulla terra che è la miniera di Baotou in Cina. L’aspetto che immediatamente colpisce l’attenzione resta comunque l’impatto sui valori paesaggistici e panoramici collinari, una ferita devastante che non riguarda solo la turbina in sé, ma deriva anche da tutte le opere accessorie come sbancamenti, costruzione di strade per il passaggio dei materiali, cementificazione del suolo, scavi per l’interramento di cavi e così via.
Oltre al territorio di Apecchio direttamente interessato, tutta la provincia risente delle conseguenze di questa installazione, come avevano previsto già da tempo alcune associazioni ambientaliste: “l’ecomostro sbarrerà la maestosa visuale che si gode salendo sul Sasso Simone, deturperà la visuale da tutto il versante sud del Monte Carpegna, si imporrà sulla Torre della Metola, sarà visibile da ogni punto di Villagrande di Montecopiolo, si imporrà sull’orizzonte occidentale della Riserva statale del Furlo e quindi sul panorama immenso che si gode dai monti Pietralata e Paganuccio. Sarà una vista inevitabile dal Montiego, deturperà per sempre il paesaggio infinito che si osserva dal Nerone, che spazia dai Monti della Croazia, all’Abruzzo, all’Appennino Reggiano. E spunterà sul paesaggio occidentale di Urbino, verso il sole che tramonta. Un capolavoro”. Nello stesso documento degli ambientalisti si legge, inoltre: “la perla è che il parco eolico e il supermetanodotto Snam si intersecano. Dobbiamo però ricordare che in provincia di Pesaro e Urbino sono esistiti due parchi eolici: quello del Catria e quello di Peglio. In entrambi i casi il vento ha staccato le pale, che sono volate via andando a conficcarsi nei paraggi. Che succede se una pala di 50 metri si stacca e si infilza in un metanodotto da 48 pollici, pieno di gas supercompresso? Ovviamente la risposta è sempre la stessa: queste cose non possono succedere, ovvero le pale non si staccano e i metanodotti non esplodono”[14].
D’altra parte la civiltà ci ha ormai al tal punto subdolamente abituati al brutto da esserne assuefatti e aver acquisito come parte del paesaggio, senza che proteste si sollevino, i tralicci dell’alta tensione e perfino la selva criminale di antenne per la telefonia cellulare. Capita così che in questo mondo rovesciato un architetto giovane e alla moda, tale Alessio Battistella, possa senza alcuna vergogna magnificare le centrali eoliche quali elementi positivi nell’evoluzione del paesaggio, così come sarebbe capace di trovare elegante uno svincolo autostradale: “le centrali eoliche – ha scritto – non solo sono in grado di integrarsi nel paesaggio, ma sono anche in grado di valorizzarlo, rivalutarlo e farsi portatrici di nuovi contenuti formali, simbolici ed estetici, rappresentativi dei luoghi e del tempo che le ospitano”[15].
Le ricadute negative si risentiranno presto anche sul turismo che in queste zone di montagna appenninica non è ancora massificato ma rappresenta comunque un significativo introito per l’economia locale. Forse a compensare qualche escursionista in meno ci sarà qualche curioso in più, di quelli che andavano anche a Cogne a vedere la villetta o all’Isola del Giglio a fotografare la Costa Concordia. Un ulteriore problema è poi il rischio di collisioni mortali per gli uccelli, in particolare per i rapaci, ben documentato dall’esperienza e dagli studi in materia: un’indagine condotta in un’area della California ha verificato che il 38% della mortalità dell’aquila reale era dovuto proprio all’impatto con le turbine eoliche; un ulteriore studio condotto nella stessa zona ha verificato che in undici mesi sono finiti tritati tra le pale 139 esemplari di rapaci, uno ogni tre giorni. Si prevede una dura vita per falchi, poiane, gufi e altri rapaci dell’Appennino apecchiese[16].
Infine, e soprattutto, le turbine eoliche industriali sono dannose per la salute, come dimostrato da una vasta bibliografia internazionale, fino alla teorizzazione della cosiddetta “sindrome da turbina eolica”, ovviamente contestata, minimizzata e ridotta a disturbo psicosomatico da quelle schiere di esperti, non privi di interessi, di cui abbiamo imparato a diffidare[17]. Che provino ad andare ad abitare loro stessi nei pressi di un parco eolico… La sintomatologia legata alla vicinanza delle abitazioni alle pale è uniforme in tutti i paesi dove queste sono state piantate e pare che la causa primaria degli effetti nocivi sia l’emissione costante di vibrazioni a bassa frequenza, unita al rumore di sottofondo e ai cambiamenti di pressione dell’aria. I sintomi segnalati sono sia di tipo fisico, come pulsazioni al torace, vibrazione di organi interni, tinnitus (rumori dentro l’orecchio), mal di testa, vertigini ecc., sia riguardanti la distorsione di funzioni cerebrali, come perdita e peggioramento delle condizioni di sonno, concentrazione e memoria. Non tutti gli individui coinvolti ne risentono in egual misura, si nota che chi manifesta condizioni più critiche sono soprattutto i soggetti sofferenti di emicrania e predisposti al mal d’auto o al mal di mare. Il raggio minimo in cui è sconsigliabile vivere abbraccia almeno due chilometri tutto attorno alla turbina.
Energia per fare cosa?
I problemi sul tavolo sono quindi tanti, ma alcuni ambientalisti spesso scordano di porre la questione principale e fondamentale: energia, per fare cosa? A che cosa serve l’energia elettrica e perché nell’attuale organizzazione sociale ne abbiamo un bisogno costante e in continua crescita? Per soddisfare quali bisogni? Sono, queste, domande decisive dal momento che la questione dell’energia, della sua produzione e dei suoi flussi di circolazione, è al centro del modello di sviluppo disegnato dalla ragione economica; un modello che, attualmente, “non può giustificare la propria dismisura se non attraverso la dismisura dei bisogni che suscita e [in cui] la paura della mancanza è il principale combustibile immateriale del consenso sociale a favore del furore energetico”[18].
Le necessità energetiche sono un fatto che si è storicamente determinato nella società. Mentre riempiamo il pianeta di nocività inquinandolo fino alle soglie del collasso, dal consumo di 0,7 GWh del 1883 siamo passati ai 19.000 del 1940, ai 54.000 del 1960, ai 180.000 del 1980 fino agli oltre 300.000 del 2014, diffusi da una ragnatela di tralicci e linee ad alta tensione lunga 70.000 km (dati riferiti all’Italia). Di questi, solo 64.000 GWh vanno al consumo domestico, gli altri sono succhiati in massima parte dall’industria, seguita da agricoltura, costruzioni, amministrazione e terziario[19].
La questione energetica, che è questione insieme ambientale e sociale, non è risolvibile se non uscendo fuori dalla logica di produzione del capitalismo industriale. Questo salto non possono di certo farlo tecnici e amministratori del settore, che fino all’altro ieri si sono adoperati per rendere invivibile il pianeta e oggi cercano di raddrizzare il tiro aprendo nuovi settori d’impresa per proporre soluzioni “eco-compatibili” (l’eolico, il solare, il geotermico…), ma continuano a dissimulare la questione principale, che è appunto sociale e politica, ovvero la “riorganizzazione della società affinché produzione, distribuzione, trasporti e consumo possano essere considerati dal punto di vista delle necessità collettive iscritte in un quadro di eguaglianza e autonomia”[20]. Non si tratta, in altre parole, di escogitare soluzioni tecnologiche per sostituire il fumo delle ciminiere con qualcos’altro, ma di porre in discussione i modi di vita e i consumi imposti da questa società, per costruire dei rapporti tra gli individui e i loro territori in cui l’energia – la sua riappropriazione e il suo uso individuale e sociale – da strumento per la perpetuazione del dominio industriale diventi un aiuto per la soddisfazione dei bisogni di uomini e donne e un veicolo per la loro autonomia. Autonomia energetica e autonomia sociale vanno di pari passo.
Certamente – dice chi ha fatto della religione del male minore il proprio credo – meglio un “parco” eolico di una centrale nucleare, ma sta proprio qui il cuore del problema. Perché l’inquinamento ideologico fa altrettanti danni di quello ambientale. L’accettazione dell’eolico industriale come alternativa ecologica all’inquinamento degli idrocarburi e ai potenziali disastri del nucleare, il suo proporsi come soluzione per far fronte al riscaldamento globale e sostenere la nuova economia green, pulita e giusta, sono un’ottima copertura per lasciare essenzialmente intatta la società industriale con il suo portato di distruzione. Eolico e fotovoltaico, infatti, non sono fonti affidabili poiché legate all’intermittenza di sole e vento e, non essendo possibile accumulare grandi quantità di energia elettrica, per evitare intermittenze e blackout la rete dovrà sempre far affidamento sulle fonti “tradizionali”. È quindi un falso problema quello del passaggio alle fonti rinnovabili: queste non escludono affatto le fonti inquinanti utilizzate finora, ma vi si accostano e, cosa ben più grave, fanno buon gioco alla propaganda ecologista di un capitalismo che si presenta “verde” e sostenibile.
Va tenuto presente che l’eolico, ma il discorso è estensibile alle altre rinnovabili, neanche volendo potrebbe risolvere il problema dell’approvvigionamento elettrico mantenendo gli attuali livelli di consumo. Dati alla mano, con i suoi 14,6 TWh il girare delle pale ha coperto il 4,8% del consumo nazionale di energia, attestatosi nel 2015 intorno ai 300 TWh. Una percentuale che nelle più rosee previsione di ANEV potrebbe aumentare nel 2020 al massimo di un paio di punti percentuale, dopo la messa in funzione di altre 3.000 turbine. Un bel misero risultato se pensiamo che la contropartita è la devastazione di interi territori costellati, come in una sorta di agopuntura su larga scala, di pale alte quanto grattacieli da trenta piani. Se volessimo coprire l’intero fabbisogno basandoci sull’eolico, di turbine (di media grandezza) ne servirebbero oltre 135.000 cioè, in media, una ogni 2,2 Km2 sull’intero territorio nazionale. I sostenitori delle energie “pulite” possono pure ammirare le pale rotanti e i campi al silicio sognando un’economia sostenibile, ma nel frattempo il grosso dei consumi è sostenuto da petrolio, carbone, gas e nucleare (acquistato dall’estero) e se, chissà, tra cent’anni le rinnovabili conquisteranno una significativa fetta delle necessità energetiche, nel frattempo avremo talmente martoriato il pianeta che ci sarà ben poco da festeggiare sulle macerie della civiltà industriale.
La riconversione ecologica della produzione e gestione di energia non si fa, quindi, solamente cambiandone la fonte (rinnovabili piuttosto che combustibili fossili o nucleare). Piuttosto, la prospettiva va ribaltata: è solo smantellando questa società tecno-industriale con tutto l’apparato politico e amministrativo che la sostiene, è solo facendo sì che la dipendenza umana dalla produzione e circolazione di merci diventi il ricordo di un grigio passato, è solo rimettendo in discussione le grandi infrastrutture di trasmissione che alimentano oggi l’insostenibilità della produzione centralizzata e degli agglomerati metropolitani, solo allora potremmo porci nell’ottica di ripensare una produzione locale, ridotta e veramente alternativa dell’energia.
— Foto dei lavori in corso per il “parco eolico” di Apecchio —
[1] Al momento della redazione dell’articolo non sono disponibili dati certi per il 2016, la stima è di 9.605 MW di potenza installata. La situazione italiana non è ancora paragonabile a quella di altri paesi europei, con in testa la Germania (44.949 MW), seguita da Spagna (23.025 MW) e Regno Unito (13.603 MW). Dati: Associazione nazionale energia del vento (ANEV), <www.anev.org>.
[2] La normativa di riferimento comprende la Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili; il D.lgs 28/2011 che recepisce la direttiva europea del 2009; il DM 15 marzo 2012 (“Burden Sharing”); il DM 11 maggio 2015 “Metodologia di monitoraggio per il raggiungimento degli obiettivi Burden Sharing”.
[3] Cfr. Comitato nazionale del paesaggio, La questione eolica in Italia, 2002.
[4] <http://www.corriere.it/economia/10_settembre_18/tremonti-eolico-corruzione_ f2d85cd0-c34e-11df-824c-00144f02aabe.shtml>.
[5] Cfr. Alberto Cuppini, L’eolico industriale su tutto l’Appennino come paradigma di un sistema politico impazzito, <https://reteresistenzacrinali.wordpress.com/2013/03/09/leolico-industriale-su-tutto-lappennino-come-paradigma-sistema-politico-impazzito>.
[6] Cfr. <https://reteresistenzacrinali.wordpress.com/2016/02/02/nuova-ribalta-per-il-mostro-eolico-di-poggio-tre-vescovi>. La vicenda dell’eolico a Poggio Tre Vescovi è in continua evoluzione, se ne possono seguire gli aggiornamenti sul sito della Rete della resistenza sui crinali.
[7] Anev, Report 2016, <http://www.anev.org/wp-content/uploads/2016/05/Anev_ brochure_2016web.pdf>. Va detto che il Circolo Legambiente di Urbino si è schierato contro il parco eolico di Monte dei Sospiri, si veda il comunicato del Circolo <http://www.legambienteurbino.it/2016/03/impianto-eolico-apecchio-pu> e Vittorio Emiliani-Comitato per la bellezza, “Urbino deve protestare”, «Il Resto del carlino», 20 marzo 2016.
[8] Cfr. <https://reteresistenzacrinali.wordpress.com/2014/04/01/dal-consiglio-di-stato-il-no-definitivo-allimpianto-di-pian-rotondo-di-montevecchio-di-pergola-pu>.
[9] Cfr. <https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2012/02/25/appennino-umbro-marchigiano-crinali-di-pale-eoliche>.
[10] Cfr. Decreto n. 109/VAA_08 del 08/10/2009 del Dirigente della Posizione di Funzione Valutazione e autorizzazioni ambientali (Geol. David Piccinini), pubblicato sul BUR Regione Marche n. 10 del 01/02/2010, valido fino al 2015 ma poi prorogato di ulteriori tre anni fino al febbraio 2018. Cfr. Decreto n. 114 dell’1/12/2011 del Dirigente della Posizione di Funzione Rete elettrica regionale autorizzazioni energetiche gas ed idrocarburi (Ing. Luciano Calvarese), pubblicato sul BUR Regione marche n. 109 del 22/12/2011.
[11] Incontro informativo con l’amministrazione comunale di Apecchio sul progetto eolico, Teatro G. Perugini, 9 maggio 2015: <https://youtu.be/YNfY8f5OoOs>.
[12] «Il Resto del Carlino», cronaca di Urbino, 18 nov. 2015.
[13] Si veda la documentazione progettuale presentata per la domanda di VIA: <http://www. ambiente.marche.it/Ambiente/Valutazionieautorizzazioni/ValutazionediImpattoAmbientale/ tabid/86/ctl/Dettaglio/mid/626/Impianto/365/Ditta/336/ID_proc/1260/Tipo/VIA/directory/V00599/Default.aspx>.
[14] Comunicato a firma Comitato No Tubo – Gruppo d’Intervento Giuridico – Italia Nostra Marche – La Lupus in Fabula, Apecchio 3 dicembre 2015.
[15] Alessio Battistella, Trasformare il paesaggio: energia eolica e nuova estetica del territorio, Milano, Ambiente, 2010, p. 11.
[16] <http://centrostudinatura.it/public2/documenti/75-29209.pdf>.
[17] Cfr. Nina Pierpont, Wind turbine syndrome: a report on a natural experiment, Santa Fe, K-Selected Books, 2009. Tra la vasta letteratura scientifica sull’argomento si vedano ad esempio: Hanning C., Evans A., Wind turbine noise, «BMJ», 2012, 344(7853), art. n. e1527; Nissenbaum M.A.[et al.], Effects of industrial wind turbine noise on sleep and health, «Noise Health», 2012, 14(60), p. 237-43; Kurpas D. [et al.], Health impact of wind farms, «Annals of agricultural and environmental medicine», 2013, 20(3), p. 595-605; Schmidt J.H., Klokker M., Health effects related to wind turbine noise exposure: a systematic review, «PLoS ONE», 2014, 9(12), art. n. e114183; Onakpoya I.J. [et al.], The effect of wind turbine noise on sleep and quality of life: a systematic review and meta-analysis of observational studies, «Environment international», 2015, 82, p. 1-9.
[18] Collettivo editoriale delle Éditions de la Roue, Prospettive antindustriali, Torino, Nautilus, 2015, p. 51.
[19] Cfr. Serie di dati storici elaborati da Terna, <https://www.terna.it>. La Serie storica comprende anche il dettaglio regionale, i consumi di energia elettrica delle Marche vanno da 133 GWh del 1932 ai 571 del 1950, 2.004 del 1970, 4.251 del 1990, 7.388 del 2010, nel 2014 si attestano sui 6.700 registrando una lieve flessione, in linea con il dato nazionale, dovuta alla “crisi”.
[20] José Ardillo, Les illusions renouvelables, Parigi, L’échappée, 2015, p. 203.
Uno scempio che continua ancora ora, non si riescono a fermare impianti che deturperanno solo il territorio senza nessun vantaggio per chi ci abita e lo vive… solo per un mero interesse delle imprese… Possibile che noi privati non possiamo fare nulla??? ora vogliono denaturare anche la Val Borbera (Monte Giarolo) con un mega impianto. Uniamoci tutti per proteggere il nostro territorio che non è solo quello sotto cosa… tutto..ovunque.. solo unendoci potremo “forse” fare qualcosa…