L’illusione di una scuola montessoriana a Urbino
Di Luigi
La scuola a cui siamo abituati e che probabilmente tutti noi abbiamo frequentato non è esattamente il luogo adatto a svegliare le menti ma, piuttosto, un contesto in cui addestrarle riempiendole di idee e nozioni precostituite. Una scuola che privilegia l’obbedienza alla libertà, funzionale a quello che i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, si troveranno di fronte quando andranno ad occupare il proprio ruolo in questa società.
Ma c’è anche un’altra idea di educazione, la cui storia viene da lontano e che negli ultimi anni sta riscuotendo un crescente interesse teorico, tradotto in sempre più diffuse sperimentazioni pratiche. L’idea di fondo vede nell’educare il portare alla luce, il facilitare lo sviluppo integrale di tutte le potenzialità dell’individuo: educare ad essere, dunque, in contrapposizione al plasmare per dover essere. In questo senso, c’è stata una vera e propria riscoperta del metodo pedagogico sviluppato da Maria Montessori agli inizi del Novecento, diffuso e apprezzato in migliaia di scuole di tutto il mondo tranne che, guarda caso (fascismo, chiesa e subcultura comunista c’entrano qualcosa…), nel nostro paese.
Il metodo montessoriano parte dalla centralità attribuita al bambino nel processo educativo, tale da renderlo protagonista del suo sviluppo, non considerandolo quindi come vaso da riempire ma quale soggetto attivo e creativo della propria crescita. Avendo fiducia in lui e nelle sue capacità di autoformazione fa in modo che la conoscenza non cali dalla cattedra ma sia frutto di una ricerca personale e nasca per prima cosa dall’esperienza.
La scuola montessoriana non punisce e non premia, non conosce il ricatto morale del voto, non obbliga ai compiti a casa, non pretende che tutti i bambini e le bambine stiano fermi dietro ai banchi ad ascoltare la lezione né che abbiano voglia di fare la stessa cosa – in realtà quella che vuole l’insegnante – allo stesso momento. Mentre la scuola tradizionale è una palestra di uniformità, quella montessoriana rispetta e valorizza l’unicità del singolo, i differenti tempi di apprendimento, le predisposizioni e gli interessi individuali. I bambini sono liberi di scegliere, individualmente o in gruppo, l’attività che in quel momento preferiscono, allenandosi così ad ascoltare le proprie inclinazioni e diventando capaci di scegliere la propria strada, senza timore del confronto e del giudizio di qualcun altro. Il tutto avviene all’interno di un ambiente ricco di stimoli predisposto dall’insegnante, figura di guida e mediazione che accompagna i bambini nella loro scoperta, con confini che non limitano la libertà di sperimentare ma sono proporzionati alla loro età e necessari alla loro sicurezza e al loro benessere.
Questo, in estrema sintesi, il fascino del metodo montessoriano. E non ci interessa rilevare che allievi montessoriani sono stati gente come Larry Page e Sergei Brin, fondatori di Google, Jeff Bezos, ideatore di Amazon, Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, o qualche altro manager di successo, perché ben altri sono i nostri modelli di riferimento.
Sull’onda di questo rinnovato interesse, in provincia di Pesaro e Urbino qualcosa si è mosso e si sta muovendo. A Fratte Rosa esiste già da qualche anno una Casa dei Bambini (scuola dell’infanzia) e dal prossimo settembre partirà il ciclo della scuola primaria, permettendo un percorso montessoriano dai tre ai dieci anni. Così a Trebbio di Montegridolfo, tra Romagna e Marche, si è positivamente concluso l’iter per introdurre il metodo intanto nella scuola d’infanzia. Anche solo limitandosi alle Marche, regione d’origine di Maria Montessori, sono già numerosi gli asili e le scuole primarie che hanno scelto con successo l’indirizzo montessoriano; a Castelfidardo è aperta addirittura una scuola secondaria di primo grado a ispirazione montessoriana.
E Urbino? Questo piccolo paese che si crede città ha avuto un’occasione unica e se l’è lasciata sfuggire. Nonostante gli sforzi fatti non è stato possibile introdurre uno spiraglio di aria fresca all’interno dell’offerta formativa cittadina. Andando a toccare determinati tasti si sommano infatti riflessi organizzativi, sindacali, di attaccamento a logiche consolidate e abbiamo verificato che non è semplice scardinare nella mentalità provinciale che ci contraddistingue l’idea che obiettivo dell’istruzione sia portare a termine un programma ministeriale preconfezionato.
L’occasione di cui si parlava è stato il pensionamento di quasi tutte le maestre che per quarant’anni hanno animato la scuola dell’infanzia Villa del Popolo e il suo contestuale passaggio dalla gestione comunale a quella statale, aggregata all’Istituto comprensivo Volponi. Un insieme di fattori rendevano la circostanza eccezionalmente favorevole all’accoglienza di un metodo i cui principi ispiratori avevano tra l’altro da sempre caratterizzato, sottobanco e grazie alla buona predisposizione delle maestre, l’asilo in questione. Intanto, il ministero stesso riconosce e sostiene la possibilità di attivare nelle scuole statali il “metodo di differenziazione didattica Montessori” e l’amministrazione comunale di Urbino si era dichiarata disponibile a sostenere economicamente l’iniziativa, dal momento che questo tipo di scuola richiede l’acquisto di materiali specifici e un arredamento “a misura di bambino” (quest’ultimo, in gran parte già presente). Non che, con questo, si voglia affermare una qualche lungimiranza del governo locale in tema d’istruzione, tutt’altro: l’assessora e la sua banda paiono avere la bacchetta magica per affossare tutto ciò che toccano, dal nido, al servizio mensa e via di questo passo. All’Università, il dipartimento di Scienze dell’Uomo ha attivo il master “Il metodo Montessori nella scuola dell’infanzia”, organizzato in collaborazione con la Fondazione Montessori, e avrebbe trovato nella Villa del Popolo un’ottima sponda per tirocini formativi e reclutamento del personale; anche nella vicina Fano l’Opera nazionale Montessori organizza un corso speciale per l’abilitazione degli insegnanti.
Tutto lasciava ben sperare che a partire dalla scuola dell’infanzia, per proseguire negli anni futuri almeno con la primaria, fosse possibile aprire un percorso montessoriano a Urbino e qualcuno si poteva perfino illudere che tra queste colline si sarebbe sviluppato un vero e proprio polo d’attrazione per un’educazione tendenzialmente libertaria e alternativa alla scuola dei voti e delle interrogazioni. Purtroppo, anche per colpa nostra, così non è stato.
Il comitato spontaneo di genitori che ha cercato di sollecitare l’Istituto comprensivo in questa direzione, nonostante abbia raccolto un certo consenso e abbia lavorato con generosità e fiducia, alla fine ha perso la partita. Il primo errore è stato cadere nella trappola di facebook, nell’abbaglio che il social network possa essere un ambito di dialogo e coordinamento, mentre si è rivelato per quello che effettivamente è: una dimensione totalmente separata dalla vita. Ma le colpe sono anche altre, soprattutto non aver trovato il modo di coinvolgere attivamente altri genitori, ma d’altra parte diversi genitori interessati, presi dai loro cazzi, hanno preferito stare alla finestra certi che qualcuno avrebbe sbrigato la faccenda anche per loro. E anche, come ulteriore mancanza, aver troppo timidamente e troppo tardi pensato di allargare il discorso all’intera città con un’associazione, mai nata, che avrebbe dovuto creare un movimento di opinione favorevole.
Non è poi scusabile l’aver riposto immeritata fiducia in quelle che sembravano rassicurazioni – false – provenienti a più riprese dall’Istituto Volponi, il cui dirigente scolastico si è prenotato un posto nel girone degli ignavi, tra quelli che non osano portare avanti una propria idea ma girano la bandiera a seconda del vento più forte, quelli “che mai non fur vivi”, per dirla con Dante. Per non parlare del collegio dei docenti, bloccato da qualche insegnante amica della famigerata “buona scuola” renziana, ma in realtà ferma su posizioni già vecchie un secolo e mezzo fa, incapace di mettere in discussione i binari che hanno costruito per i bambini che capitano sotto le loro mani e che, in fondo, danno sicurezza a chi non sa gettare lo sguardo al di là dell’abitudine. Un collegio docenti che afferma senza pudore di aver “preso in seria considerazione” l’ipotesi di una scuola montessoriana ma la ha ritenuta “inopportuna” sulla base di motivazioni che ancora nessuno è riuscito a decifrare. A parte la preferenza per un metodo autoritario nei cui principi di educazione a non essere liberi queste persone evidentemente si riconoscono.
C’è di buono che al di là del nostro piccolo mondo e del metodo Montessori in sé, teoria e prassi dell’educazione libertaria stanno facendo breccia in diverse realtà del paese, arrivando a superare anche il concetto stesso di istituzione scolastica a favore di esperienze educative comunitarie, autogestite, libere nel senso pieno della parola (si veda ad esempio quanto portato avanti nell’ambito della Rete per l’educazione libertaria: http://www.educazionelibertaria.org).
In ogni caso, ogni movimento che ha provato a ragionare su come superare l’esistente si è dovuto confrontare con due grandi istanze, quella educazionista e quella rivoluzionaria, nessuna delle due sufficiente in se stessa, ma entrambe necessarie: per cambiare la società bisogna partire dai bambini, dall’educazione a un vivere libero, ma se non cambiamo la società questo tipo di scuola non troverà facilmente spazio.
Qualche spunto di lettura:
Francesco Codello, “La buona educazione”: esperienze libertarie e teorie anarchiche in Europa da Godwin a Neill, Milano, Franco Angeli, 2005.
Francesco Codello, Vaso, creta o fiore? Nè riempire, nè plasmare ma educare, Lugano, La Baronata, 2005.
Francesco Codello e Irene Stella, Liberi di imparare, Firenze, Terra Nuova, 2011.
Maria Montessori, Come educare il potenziale umano, Milano, Garzanti, 2007.
Maria Montessori, Educare alla libertà, Milano, Mondadori, 2008.
Maria Montessori, La scoperta del bambino, Milano, Garzanti, 2011.
Joel Spring, L’educazione libertaria, Milano, Elèuthera, 2015.
Filippo Trasatti, Lessico minimo di pedagogia libertaria, Milano, Elèuthera, 2004.
Quanta arroganza generica e cialtrona per non dire niente di intelligente: “E Urbino? Questo piccolo paese che si crede città”. Le parole sono importanti, ogni passaggio può smascherare la supponenza di un narcisista che si compiace dei propri geni: e se te li mettessero in discussione?
Davide
Grazie Davide, ci mancava proprio la predica di un nanni moretti de’ nialtri.